Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 32898 | Data di udienza: 20 Aprile 2017

* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Immobili sottoposti a vincoli – Ristrutturazione edilizia in zona a “vincolo paesaggistico speciale” – Interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti – Rispetto della sagoma della precedente struttura – Permesso di costruire – Necessità – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Differenza legislativa tra disciplina urbanistica e paesaggistica – Art. 181 D.L.vo n.42/2004 – Artt. 2, 3, 44 lett.c) D.P.R. 380/2001 – Legislazione regionale (Sicilia) interpretazione e rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sindacato di legittimità della Corte di Cassazione – Valutazione della correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito – Art.606 lett.e) cod.proc.pen. – Giurisprudenza – Prescrizione in presenza di più atti interruttivi – Termine massimo e ordinario – Calcolo.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Luglio 2017
Numero: 32898
Data di udienza: 20 Aprile 2017
Presidente: FIALE
Estensore: AMORESANO


Premassima

* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Immobili sottoposti a vincoli – Ristrutturazione edilizia in zona a “vincolo paesaggistico speciale” – Interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti – Rispetto della sagoma della precedente struttura – Permesso di costruire – Necessità – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Differenza legislativa tra disciplina urbanistica e paesaggistica – Art. 181 D.L.vo n.42/2004 – Artt. 2, 3, 44 lett.c) D.P.R. 380/2001 – Legislazione regionale (Sicilia) interpretazione e rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sindacato di legittimità della Corte di Cassazione – Valutazione della correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito – Art.606 lett.e) cod.proc.pen. – Giurisprudenza – Prescrizione in presenza di più atti interruttivi – Termine massimo e ordinario – Calcolo.



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/07/2017 (Ud. 20/04/2017) Sentenza n.32898


BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Immobili sottoposti a vincoli – Ristrutturazione edilizia in zona a “vincolo paesaggistico speciale” – Interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti – Rispetto della sagoma della precedente struttura – Permesso di costruire – Necessità – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Differenza legislativa tra disciplina urbanistica e paesaggistica – Art. 181 D.L.vo n.42/2004 – Artt. 2, 3, 44 lett.c) D.P.R. 380/2001 – Legislazione regionale (Sicilia) interpretazione e rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale.
 
Per gli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del D.L.vo n.42/2004, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto se sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente. Pertanto, per quanto riguarda gli interventi eseguiti in zona vincolata, che, oltre ad accertare l’esistenza dei connotati essenziali dell’edificio preesistente (pareti, solai tetti) o, in alternativa, la preesistente consistenza dell’immobile in base a riscontri documentali, è necessario, in ogni caso, verificare il rispetto della sagoma della precedente struttura; sicchè gli interventi di demolizione e ricostruzione o di ripristino di edifici o parti di essi crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso di costruire ove non sia possibile accertare la preesistente volumetria delle opere che, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno l’obbligo di rispettare anche la precedente sagoma (Sez.3 n.40342 del 03/06/2014). (Differenza sostanziale con l’art. 30 del d.l. 21/06/2013 n.69, conv.dalla legge n.98 del 09/08/2013 che ha parzialmente modificato la normativa precedente, essendo stata espunta dalla definizione datane dall’art.3 comma 1 lett.d) D.P.R. 380/2001 la parola “sagoma” (vanno quindi ricompresi negli interventi di ristrutturazione edilizia quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione dell’edificio preesistente anche se non con la stessa sagoma). Pertanto, anche la legislazione regionale, (Cass. sez. 3 n.28560 del 26/03/2014), deve non solo rispettare i principi fondamentali della legislazione statale, ma deve essere anche interpretata in modo da non collidere con i medesimi (e, nel caso di specie, nel senso che, nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono da considerare di ristrutturazione edilizia soltanto se, oltre alla preesistente volumetria, venga rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sindacato di legittimità della Corte di Cassazione – Valutazione della correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito – Art.606 lett.e) cod.proc.pen. – Giurisprudenza.
 
Anche a seguito della modifica dell’art.606 lett.e) cod.proc.pen., con la L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18/12/2006; Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012).


DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prescrizione in presenza di più atti interruttivi – Termine massimo e ordinario – Calcolo.
 
In tema di prescrizione, pur in presenza di più atti interruttivi, perchè possa ritenersi non verificata la estinzione del reato, è necessario, non solo che non sia superato il termine massimo previsto dall’ultima parte del terzo comma dell’art.160 cod. pen., ma anche che, tra un atto interruttivo ed un altro, non sia superato il termine ordinario previsto nel comma primo dell’art.157 stesso codice. Conseguentemente, come è indubbio che il termine prescrizionale deve ritenersi spirato se, tra la data si commissione del reato ed il primo atto potenzialmente interruttivo, sia trascorso il termine ordinario, così è altrettanto evidente che il medesimo effetto si verifica nelle ipotesi in cui, dopo il compimento di un atto interruttivo, non risulti compiuto nel procedimento, entro i termini temporali normativamente prefissati dall’art.157 cod.pen., alcun altro atto idoneo a determinare la interruzione (cfr. ex multis Cass.pen. Sez.5 n.1018 del 03/12/1999; Cass.pen. Sez.2 n.35278 del 19/06/2007).
 

(conferma sentenza del 19/10/2015 CORTE DI APPELLO DI MESSINA) Pres. FIALE, Rel. AMORESANO, Ric. De Francesco

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/07/2017 (Ud. 20/04/2017) Sentenza n.32898

SENTENZA

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/07/2017 (Ud. 20/04/2017) Sentenza n.32898

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sui ricorsi proposti da:
 
De Francesco Francesco, nato a Taormina il 20/02/1936;
De Francesco Maria Luisa, nata a Taormina il 23/09/1934;
 
avverso la sentenza del 19/10/2015 della Corte di Appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano; udito il P.M.,in persona del Sost.Proc.Gen. Felicetta Marinelli, che ha concluso, chiedendo dichiararsi la inammissibilità dei ricorsi;
 
uditi i difensori delle parti civili, avv. Maria Donata Licata e Fabrizio Siracusano, che hanno concluso per il rigetto dei ricorsi;
 
uditi i difensori degli imputati, avv. Salvatore Leotta e Salvatore Silvestro, che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1.La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 19/10/2015, confermava la sentenza del Tribunale di Taormina, con la quale Francesco De Francesco e Maria Luisa De Francesco erano stati condannati alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di mesi 2 di arresto ed euro 32.000,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui all’art.44 lett.c) D.P.R. 380/2001 loro ascritto; con condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle costituite parti civili.
 
Rilevava, preliminarmente, la Corte territoriale, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la cessazione della permanenza del reato si verifica solo con il completamento delle opere, comprese le rifiniture. Nella fattispecie in esame, dovendosi far riferimento, ai fini della cessazione della permanenza, alla data di emissione della sentenza di primo grado (19/11/2010), la prescrizione non era ancora maturata tenuto anche conto delle sospensioni del suo decorso per rinvii delle udienze determinati da legittimi impedimenti del difensore o degli imputati.
 
Quanto al merito, assumeva la Corte distrettuale che i provvedimenti, con i quali erano state assentite le opere, dovevano, come già correttamente ritenuto dal primo giudice, considerarsi illegittimi.
 
Dopo aver premesso che la zona in cui era stato realizzato l’immobile era classificata come “zona urbana da ristrutturare “A” e che pacificamente gli interventi di ristrutturazione edilizia ricomprendono anche la demolizione e la ricostruzione del preesistente manufatto, purchè ne rimangano inalterate la volumetria e la sagoma, riteneva che ci si trovasse in presenza di una nuova opera.
 
In ordine al richiamo della legislazione regionale, rilevava che, come affermato dalla Suprema Corte, essa deve comunque rispettare i principi stabiliti dalla legislazione statale e deve essere interpretata in modo da non collidere con gli stessi. Pertanto eventuali deroghe al divieto di nuova costruzione non sono rilevanti in sede penale.
 
2. Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, sollevando i seguenti motivi di gravame, qui enunciati ai sensi dell’art.173 disp.att.cod.proc.pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
 
Con il primo motivo denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, avendo gli imputati realizzato il fabbricato in conformità alla concessione edilizia n. 93/03 ed alle varianti in corso d’opera.
 
Nonostante le conclusioni del perito di ufficio e senza argomentare in ordine ai rilievi contenuti nell’atto di appello, la Corte distrettuale avrebbe, secondo i ricorrenti, apoditticamente ritenuto che l’intervento edilizio eseguito avesse travalicato nel suo complesso la mera ricostruzione di quanto preesistente e avesse quindi dato luogo ad una “nuova costruzione”. Tale convincimento sarebbe, però, frutto di un travisamento della prova, risultando dagli atti che il fabbricato, nel suo complesso, sarebbe costituito da due corpi di fabbrica distinti e separati, posti in collegamento tra loro secondo le indicazioni del Genio civile in conformità alla normativa antisismica.
 
Si evidenzia, inoltre, che il volume non sarebbe stato modificato, emergendo piuttosto una sua riduzione pari a mc.14 e la ricostruzione del fabbricato preesistente sarebbe avvenuta rispettando l’altezza e la sagoma (da intendersi come la conformazione plano volumetrica della costruzione e il suo perimetro in senso verticale e orizzontale- cfr. Corte Cost.n. 309 del 2011).
 
La Corte avrebbe ritenuto una diversità di sagoma sol perché nell’edificio prima vi erano delle finestre e dopo la ricostruzione delle vetrate.
 
Ma quel che rileva, secondo i ricorrenti che richiamano la giurisprudenza penale ed amministrativa, è che il fabbricato demolito e ricostruito non comporti realizzazione di nuovi volumi o modifiche della sagoma, la cui nozione è legata all’area di sedime del fabbricato.
 
Né la Corte territoriale avrebbe tenuto conto di tutte le testimonianze in atti secondo le quali il fabbricato corrispondeva ai parametri urbanistici previsti dal PRG di Taormina.
 
Con il secondo motivo denunciano la violazione dell’art.2 DPR 380/2001, art.117, comma 3, Cost. in relazione all’art.14 Statuto della Regione Sicilia. 
 
La normativa regionale (in particolare art. 15 L.R. n.12/2006), secondo i ricorrenti, prevede che anche una variazione di sagoma (peraltro insussistente per i motivi in precedenza evidenziati) sia consentita, con il solo limite della coincidenza, anche in parte, del perimetro del nuovo edificio con quello del preesistente e del rispetto dei vincoli paesaggistici ed ambientali.
 
Con il terzo motivo denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’eccepito difetto dell’elemento soggettivo del reato.
 
Con il quarto motivo, infine, deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al rigetto dell’eccezionedi intervenuta prescrizione, pur risultando che dalla pronuncia della sentenza di primo grado a quella di appello non vi sarebbe stato alcuno degli atti interruttivi di quelli indicati nell’art.160 cod.pen.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno, pertanto, dichiarati inammissibili.
 
2. Non c’è dubbio che rientrino nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione dell’organismo edilizio preesistente purchè con le medesime “caratteristiche” (l’art.3, comma 1 lett.d, d.P.R. 380 del 2001, nella formulazione precedente, faceva riferimento alla “stessa volumetria e sagoma di quello preesistente). Ne consegue che, ove il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincida con il manufatto preesistente, l’intervento deve essere qualificato come “nuova costruzione” e necessita del permesso di costruire, non essendo sufficiente la semplice denuncia di inizio attività.
 
L’art. 30 del d.l. 21/06/2013 n.69, conv.dalla legge n.98 del 09/08/2013 ha parzialmente modificato la normativa precedente, essendo stata espunta dalla definizione datane dall’art.3 comma 1 lett.d) la parola “sagoma” (vanno quindi ricompresi negli interventi di ristrutturazione edilizia quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione dell’edificio preesistente anche se non con la stessa sagoma).
 
Per gli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del D.L.vo n.42/2004, però, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto se sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente.
 
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, per quanto riguarda gli interventi eseguiti in zona vincolata, che, oltre ad accertare l’esistenza dei connotati essenziali dell’edificio preesistente (pareti, solai tetti) o, in alternativa, la preesistente consistenza dell’immobile in base a riscontri documentali, è necessario,in ogni caso, verificare il rispetto della sagoma della precedente struttura; sicchè gli interventi di demolizione e ricostruzione o di ripristino di edifici o parti di essi crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso di costruire ove non sia possibile accertare la preesistente volumetria delle opere che, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno l’obbligo di rispettare anche la precedente sagoma (Sez.3 n.40342 del 03/06/2014, Rv.260552).
 
3. Nella fattispecie in esame, risultando pacificamente la sottoposizione della zona a “vincolo paesaggistico speciale”, l’intervento, per poter essere considerato di “ristrutturazione edilizia”, a norma dell’art.3 d.pr.380 del 2001, come modif.dalla legge n.98 del 2013, avrebbe dovuto rispettare sia la precedente consistenza volumetrica che la sagoma, per le ragioni in precedenza esposte.
 
La Corte territoriale, con accertamento in fatto adeguatamente e logicamente argomentato, ha, sulla base delle risultanze processuali ed in particolare delle dichiarazioni del perito d’ufficio, puntualmente richiamate, ritenuto che si trattasse di una nuova costruzione, con modifica della sagoma e dell’area di sedime (pag.8 e ss. sent.app.).
 
Gli imputati, infatti, avevano effettuato un intervento che travalicava completamente la mera ricostruzione del fabbricato preesistente (consistente in tre elevazioni, di cui la prima seminterrata). Era stato realizzato, invero, un fabbricato, da valutarsi unitariamente, anche se diviso in due corpi di fabbrica, che eccedeva palesemente la mera ristrutturazione, per cui l’intervento non poteva essere assentito. 
 
Ha, inoltre, congruamente e correttamente argomentato anche in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo (pag.12. sent.).
 
I ricorrenti, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione e travisamento del fatto, richiedono sostanzialmente una rivisitazione delle risultanze processuali.
 
Tali doglianze non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art.606 lett.e) cod.proc.pen., con la L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18/12/2006; Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012).
 
4. Quanto alla legislazione regionale, i Giudici dì appello, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (sez. 3 n.28560 del 26/03/2014), hanno correttamente rilevato che essa deve non solo rispettare i principi fondamentali della legislazione statale, ma deve essere anche interpretata in modo da non collidere con i medesimi (e, nel caso di specie, nel senso che, nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico,gli interventi di demolizione e ricostruzione sono da considerare di ristrutturazione edilizia soltanto se, oltre alla preesistente volumetria, venga rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente).
 
5. Infine, non era certamente maturata la prescrizione al momento della emissione della sentenza impugnata.
 
La Corte distrettuale ha già rilevato che, pacificamente, la permanenza del reato debba intendersi cessata soltanto (ove non sia stato disposto un provvedimento di sequestro) con il completamento dell’opera, ivi compresetutte le rifiniture esterne ed interne.
 
Risultando ancora in corso lavori di finitura (pavimentazioni, infissi, pitturazione) e di impiantistica, l’opera non poteva dirsi completata, per cui, ai fini della cessazione della permanenza del reato, doveva farsi riferimento alla data di emissione della sentenza di primo grado (vale a dire al 19/11/2010).
 
I ricorrenti assumono, però, che anche a voler seguire tale impostazione, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, nel rigettare l’eccezione di prescrizione, che dalla pronuncia della sentenza di primo grado non vi sarebbe stato più alcun atto interruttivo, per cui il termine di prescrizione di anni 4 sarebbe già maturato alla data di emissione della sentenza di appello (19/10/2015).
 
Non c’è dubbio, che, ai sensi del tassativo disposto dell’art.160, comma 3, cod.pen., la prescrizione interrotta cominci nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione.
 
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito che, in tema di prescrizione, pur in presenza di più atti interruttivi, perchè possa ritenersi non verificata la estinzione del reato, è necessario, non solo che non sia superato il termine massimo previsto dall’ultima parte del terzo comma dell’art.160 cod. pen., ma anche che, tra un atto interruttivo ed un altro, non sia superato il termine ordinario previsto nel comma primo dell’art.157 stesso codice.
 
Conseguentemente,come è indubbio che il termine prescrizionale deve ritenersi spirato se, tra la data si commissione del reato ed il primo atto potenzialmente interruttivo, sia trascorso il termine ordinario, così è altrettanto evidente che il medesimo effetto si verifica nelle ipotesi in cui, dopo il compimento di un atto interruttivo, non risulti compiuto nel procedimento, entro i termini temporali normativamente prefissati dall’art.157 cod.pen., alcun altro atto idoneo a determinare la interruzione ( cfr. ex multis Cass.pen. Sez.5 n.1018 del 03/12/1999; Cass.pen. Sez.2 n.35278 del 19/06/2007). 
 
I ricorrenti non tengono, però, conto che dopo la sentenza di primo grado e, prima della emissione della sentenza di secondo grado, vi fu l’ulteriore atto interruttivo del decreto di citazione per il giudizio di appello, che venne emesso in data 05/04/2014.
 
E che il decreto di citazione per il giudizio di appello costituisca atto interruttivo emerge dal combinato disposto degli artt. 601, comma 3, cod.proc.pen. (decreto di citazione per il giudizio di appello), e dell’art. 160, comma 2, cod.pen. (che indica, tra gli altri atti interruttivi, il decreto di citazione a giudizio).
 
Essendo intervenuto un idoneo atto interruttivo dopo la sentenza di primo grado, il termine massimo di prescrizione di anni 5 (anche a prescindere dalla sospensione per giorni 60 per il rinvio, per legittimo impedimento, dell’udienza del 09/03/2015) non era ancora decorso al momento della emissione della sentenza di appello.
 
6. I ricorsi debbono, quindi, essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro 2.000,00 ciascuno, nonché, in solido tra loro, alla rifusione delle spese, sostenute nel presente grado di giudizio, dalle costituite parti civili, che si liquidano come da dispositivo.
 
E’ appena il caso, infine, di aggiungere che la manifesta infondatezza dei ricorsi, non consentendol’instaurazione di un valido rapporto processuale, preclude la possibilità di rilevare
la prescrizione, maturata dopo la sentenza impugnata.
 
P. Q. M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processualie della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassadelle Ammende.
 
Condannai ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili, Russotti Giovanni e Vasta Antonina, che liquida – per ciascuna di esse- in euro 3.500,00 oltre accessori di legge.
 
Così deciso in Roma il 20/04/2017
 
 
 

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