Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 5609 | Data di udienza: 15 Dicembre 2016

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Deposito controllato o temporaneo – Requisiti normativi – Deposito preliminare e messa in riserva – Lavaggio di cisterne – Artt. 183, 256, d. lgs. n. 152/2006 – CODICE DELL’AMBIENTE –  Qualifica di produttore di rifiuti – Attività di pulizia di autocisterne – Rifiuti prodotti nell’impianto di lavaggio – Esclusione – Estrazione mediante pompaggio, raccolta in contenitori e  successivo avvio a ditte specializzate per lo smaltimento – Obbligo.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Febbraio 2017
Numero: 5609
Data di udienza: 15 Dicembre 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: Mengoni


Premassima

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Deposito controllato o temporaneo – Requisiti normativi – Deposito preliminare e messa in riserva – Lavaggio di cisterne – Artt. 183, 256, d. lgs. n. 152/2006 – CODICE DELL’AMBIENTE –  Qualifica di produttore di rifiuti – Attività di pulizia di autocisterne – Rifiuti prodotti nell’impianto di lavaggio – Esclusione – Estrazione mediante pompaggio, raccolta in contenitori e  successivo avvio a ditte specializzate per lo smaltimento – Obbligo.



Massima

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 07/02/2017 (Ud. 15/12/2016) Sentenza n.5609


RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Deposito controllato o temporaneo – Requisiti normativi – Deposito preliminare e messa in riserva – Lavaggio di cisterne – Artt. 183, 256, d. lgs. n. 152/2006.
 
 
In tema di gestione dei rifiuti, infatti, per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti stessi, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183 d. lgs. n. 152 del 2006; con la conseguenza che, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero), come nel caso di specie, o come “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi) (tra le altre, Sez. 3, n. 38676 del 20/5/2014, Rodolfi; Sez. 3, n. 49911 del 10/11/2009, Manni; Sez. 3, n. 19883 dell’11/3/2009, Fabris). Nel caso di specie non risultano dedotti dalla difesa – né tantomeno riportati – i requisiti che, per contro, giustificherebbero l'”intervento” del deposito temporaneo di cui all’art. 183, comma 1, lett. aa), d. lgs. n. 152 del 2006.
 

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI –  Qualifica di produttore di rifiuti – Attività di pulizia di autocisterne – Rifiuti prodotti nell’impianto di lavaggio – Esclusione – Estrazione mediante pompaggio, raccolta in contenitori e  successivo avvio a ditte specializzate per lo smaltimento – Obbligo.
 
In tema di smaltimento rifiuti, la condotta di attività di pulizia di autocisterne deve esser qualificata nei termini del deposito preliminare, quale forma di gestione, proprio sul presupposto che deve escludersi che i rifiuti di cui trattasi possano essere considerati come prodotti nell’impianto di lavaggio, trattandosi di sostanze residue di quelle trasportate dagli automezzi, le quali, in occasione della pulitura delle cisterne, vengono solo estratte da queste e gestite, non già prodotte. Dette sostanze, pertanto, acquistano la qualità di “rifiuti” nel momento in cui, divenute parte residua o scarto, di esse il proprietario degli automezzi o il trasportatore ha necessità di disfarsi attraverso le operazioni – effettuate nell’impianto di lavaggio – di estrazione mediante pompaggio, di raccolta in contenitori e di successivo avvio a ditte specializzate, per lo smaltimento.
 
 
(dich. inammiss. il ricorso avverso sentenza del 28/3/2014 del Tribunale di Udine) Pres. RAMACCI, Rel. MENGONI, Ric. Marega
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 07/02/2017 (Ud. 15/12/2016) Sentenza n.5609

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 07/02/2017 (Ud. 15/12/2016) Sentenza n.5609
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE 
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da Marega Bruno, nato nella Repubblica popolare del Congo il 17/12/1963
 
avverso la sentenza del 28/3/2014 del Tribunale di Udine; 
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
 
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tacci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
 
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Maurizio Amoroso in sostituzione dell’Avv. Maurizio Pancaro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 28/3/2014, il Tribunale di Udine dichiarava Bruno Marega colpevole della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, così riqualificata l’imputazione sub a), assolvendolo per contro dalle ulteriori condotte ascrittegli ai sensi del medesimo decreto n. 152 e del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; all’imputato era contestato di aver effettuato una gestione illecita di rifiuti speciali non pericolosi, derivanti dall’attività di pulizia di autocisterne svolta dalla società della quale è titolare.
 
2. Propone ricorso per cassazione il Marega, personalmente, deducendo seguenti motivi, peraltro con previa richiesta di sospensione del processo con messa alla prova:
– violazione dell’art. 183, comma 1, lett. bb), d. lgs. n. 152 del 22006, nonché dell’art. 4, comma 1, d. lgs. n. 52 del 1997; vizio motivazionale. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto l’attività del Marega quale deposito preliminare, in luogo del più corretto inquadramento nel deposito temporaneo nel luogo ove i rifiuti sono prodotti; il quale, a mente dell’art. 183, comma 1, lett. bb), richiede la verifica di elementi – quantitativi e temporali – che il Giudice non avrebbe affatto considerato. Ancora, i valori riscontrati dai tecnici risulterebbero estremamente modesti, tali da evidenziare una concentrazione di formaldeide e monoetilenglicole in misura inferiore all’1%; ne deriverebbe, quindi, l’impossibilità stessa di ipotizzare un’eventuale gestione degli stessi rifiuti. Di seguito, il Giudice avrebbe errato nel ritenere i rifiuti in esame come solo raccolti, non anche prodotti nell’ambito della stessa attività; ed invero, nel caso di lavaggio di cisterne, il produttore primario risulterebbe il lavaggista stesso, ed il rifiuto liquido prodotto consisterebbe nell’acqua di lavaggio più lo sporco del mezzo lavato via. Nessuna attività di gestione, dunque, sarebbe posta in essere nel caso di specie, tanto che nessun autolavaggio della provincia di Udine – operando soltanto con una idropulitrice, “attivata” su contenitori giunti già vuoti – avrebbe mai richiesto un’autorizzazione in tal senso;
– violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio motivazionale, anche con riguardo alla sospensione condizionale della pena. La sentenza avrebbe negato le circostanze attenuanti generiche soltanto in forza di un risalente precedente penale, peraltro del tutto estraneo alla presente; anche la sospensione condizionale risulterebbe negata con argomento inadeguato, ossia con generico riferimento ad una pluralità di elementi ostativi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Con riguardo, innanzitutto, alla richiesta sospensione del procedimento per messa alla prova, la stessa non può essere accolta.
 
Occorre premettere che il capo 2° della L. 28 aprile 2014, n. 67 ha introdotto l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova anche per gli imputati maggiorenni. L’art. 3 della legge disciplina le modifiche al codice penale, con l’inserimento dei nuovi artt. 168-bis e 168-ter cod. pen., indicando i presupposti oggettivi e soggettivi per l’applicazione del nuovo istituto e prevedendo che l’esito positivo della prova estingua il reato per cui si procede. L’art. 4 modifica invece il codice di rito, disciplinando: tempi e modi della richiesta nella fase del giudizio (art. 464-bis) e in quella delle indagini preliminari (art. 464-ter cod. proc. pen. e art. 141-bis disp. att. cod. proc, pen.); contenuto del provvedimento del giudice e suoi effetti (464-quater); contenuti, modalità e possibili vicende afferenti l’esecuzione della messa alla prova (artt. 464- quinquies, 464-sexies, 464-octies, 464-novies, 141-ter disp. att.); esiti della messa alla prova (art. 464-septies, in particolare con l’alternativa della sentenza che dichiara l’estinzione del reato e dell’ordinanza che dispone la ripresa del corso del processo). Per quanto poi riguarda la fase del giudizio, che qui rileva, la nuova disciplina costruisce l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova quale alternativa alla celebrazione di alcun giudizio, caratterizzata da peculiari e ripetuti apprezzamenti di merito del giudice che sarebbe competente al giudizio di primo grado. Ciò si evince sia dalla previsione di termini rigorosi (art. 464-bis, comma 2; art. 464-quater, comma 9), comunque tutti precedenti la dichiarazione di apertura del dibattimento (o la formulazione delle conclusioni ex artt. 421 e 422 cod. proc. pen.); sia dalla peculiarità delle valutazioni in fatto che il giudice deve compiere (acquisizione di ulteriori informazioni, art. 464-bis, comma 5; modifiche o integrazioni d’ufficio del programma, e decisione alla stregua dei parametri ex art. 133 cod. pen. dopo specifico contraddittorio, art. 464-quater; modifiche delle prescrizioni originarie, art. 464-quinquies, comma 3; revoca dell’ordinanza di sospensione con messa alla prova, art. 464-octies; deliberazione sull’esito, art. 464-septies). Conferma della natura di “rito/procedura” radicalmente alternativa al giudizio, poi, si ricava dal fatto che le ordinanze che decidono sulla richiesta originaria o sulla revoca sono immediatamente ricorribili per cassazione: art. 464-quater, comma 7 e art. 464-octies, comma 3.
 
Orbene, alla luce della richiamata disciplina, deve quindi ribadirsi l’orientamento secondo cui l’istituto della messa alla prova previa sospensione del procedimento è stato costruito dal legislatore come opportunità possibile esclusivamente in radicale alternativa alla celebrazione di ogni tipologia di giudizio di merito, già dal primo grado; si tratta, quindi, di procedura e opportunità assolutamente incompatibile con alcun giudizio di impugnazione (Sez. F., n. 35717 del 31/7 /2014, Ceccaroni, Rv. 259935). Come poi confermato dalla Corte costituzionale, a mente della quale «il termine entro il quale l’imputato può richiedere la sospensione del processo con messa alla prova è collegato alle caratteristiche e alla funzione dell’istituto, che è alternativo al giudizio ed è destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo. Consentire, sia pure in via transitoria, la richiesta nel corso del dibattimento, anche dopo che il giudizio si è protratto nel tempo, eventualmente con la partecipazione della parte civile (che avrebbe maturato una legittima aspettativa alla decisione), significherebbe alterare in modo rilevante il procedimento, e il non averlo fatto non giustifica alcuna censura riferibile all’art. 3 Cost.».
 
Sì da concludere, quindi, che la deliberata mancata adozione di disposizioni transitorie per l’applicazione di tale nuovo istituto, valutata unitamente alla previsione di scansione temporali per la proposizione dell’istanza che non sono suscettibili di trasposizione del giudizio di secondo grado, ed alla ratio deflattiva dell’istituto, destinato a tradursi in una declaratoria di estinzione del reato da dichiarare in caso di esito positivo della prova, impongono quale unica soluzione interpretativa quella dello stretto rigore interpretativo delle disposizioni, come applicabili soltanto all’esito delle indagini preliminari e nell’ambito del giudizio di primo grado.
 
La questione, pertanto, deve esser rigettata.
 
3. Nel merito, poi, il ricorso risulta manifestamente infondato.
 
Osserva innanzitutto la Corte che non costituisce oggetto di gravame l’oggettivo svolgersi della vicenda, emerso in termini del tutto pacifici: è risultato, infatti, che il Marega gestiva un’attività di lavaggio di autocisterne, regolarmente registrata, e che, in questo contesto, era stato accertato il versamento di liquidi in una trincea calditoia priva di via di scarico, ma contenente una elettropompa che, attraverso un manicotto, aspirava tali acque di lavaggio trasferendole all’interno di contenitori in polietilene.
 
Rifiuti che, giusta analisi tecniche eseguite, erano risultati speciali ma non pericolosi.
 
Motivo di impugnazione, per contro, costituisce l’inquadramento giuridico della fattispecie, ossia se la stessa debba esser qualificata come deposito preliminare (come ritenuto dal Tribunale) ovvero deposito temporaneo (come sostenuto dalla difesa), quale raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti; e con l’ulteriore, preliminare accertamento in ordine alla qualifica del Marega quale produttore, invero negata dal Giudice in luogo di quella di “raccoglitore” di quanto già esistente all’interno delle cisterne lavate (e pur giunte vuote all’impianto).
 
4. Orbene, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata non possa esser censurata sul punto, contenendo una motivazione del tutto congrua, non manifestamente illogica e priva delle dedotte violazioni di legge. In particolare, il Tribunale ha rilevato che l’attività del ricorrente era svolta con l’impiego soltanto di acqua a pressione, sì che tutte le sostanze chimiche rinvenute nei contenitori di raccolta non potevano che provenire dalle cisterne oggetto di lavaggio; «e, quindi, per certo tali residui non erano stati “prodotti” o “realizzati” dall’attività dell’imputato, ma solo da lui “raccolti” in quanto già esistenti all’interno delle cisterne».
 
In senso contrario, il ricorrente afferma che i rifiuti di che trattasi sarebbero stati prodotti nell’impianto, a seguito del lavaggio delle autocisterne, e non altrove, dal momento che gli automezzi arrivavano vuoti, sicché si tratterebbe di rifiuti lì presenti in deposito temporaneo, controllato; tale tesi, tuttavia, non può essere condivisa.
 
5. Come costantemente affermato da questa Corte in tema di gestione dei rifiuti, infatti, per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti stessi, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183 d. lgs. n. 152 del 2006; con la conseguenza che, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero), come nel caso di specie, o come “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi) (tra le altre, Sez. 3, n. 38676 del 20/5/2014, Rodolfi, Rv. 260384; Sez. 3, n. 49911 del 10/11/2009, Manni, Rv. 245865; Sez. 3, n. 19883 dell’11/3/2009, Fabris, Rv. 243719). Orbene, a fronte di questo costante indirizzo, ribadito anche nella sentenza impugnata, nel caso di specie non risultano dedotti dalla difesa – né tantomeno riportati in questa sede – i requisiti che, per contro, giustificherebbero l'”intervento” del deposito temporaneo di cui all’art. 183, comma 1, lett. aa), d. lgs. n. 152 del 2006, limitandosi invero il ricorrente a dare per pacifica la presenza degli stessi ed a richiamare ampiamente, di seguito, i caratteri propri dell’istituto, quantitativi e temporali, come indicati nella medesima lettera aa), sub n. 2), come riferibili al caso in esame. Il che, tuttavia, non può costituire effettiva censura alla pronuncia di merito, fondandosi su un presupposto – la sussistenza dei requisiti del deposito preliminare – che la sentenza non ha riconosciuto ed il ricorrente non ha contestato in questa sede.
 
6. Con riguardo poi alla qualifica di produttore di rifiuti (che, a parere del Marega, gli sarebbe propria, ancora nell’ottica del deposito temporaneo), rileva il Collegio che il Tribunale di Udine – su ciò pronunciandosi – ha steso ancora una motivazione del tutto adeguata e priva delle dedotte violazioni di legge od aporie argomentative; come tale, dunque, non contestabile. In particolare, la sentenza ha affermato che, in forza delle risultanze istruttorie in atti (testimoniali e documentali), la condotta doveva esser qualificata nei termini del deposito preliminare, quale forma di gestione, proprio sul presupposto che doveva escludersi che i rifiuti di cui trattasi potessero essere considerati come prodotti nell’impianto di lavaggio, trattandosi di sostanze residue di quelle trasportate dagli automezzi, le quali, in occasione della pulitura delle cisterne, venivano solo estratte da queste e gestite, non già prodotte. Dette sostanze, pertanto, acquistavano la qualità di “rifiuti” nel momento in cui, divenute parte residua o scarto, di esse il proprietario degli automezzi o il trasportatore aveva necessità di disfarsi attraverso le operazioni – effettuate nell’impianto di lavaggio – di estrazione mediante pompaggio, di raccolta in contenitori e di successivo avvio a ditte specializzate, per lo smaltimento.
 
7. Accertamento in fatto, fondato su oggettive emergenze dibattimentali e non ripetibile in questa sede attraverso un nuovo esame della concrete modalità dell’operazione, degli strumenti impiegati e del carattere vuoto delle cisterne lì condotte (elementi, peraltro, in sé non contestati); al pari, peraltro, di quello concernente i valori riscontrati nei materiali analizzati e le percentuali di formaldeide e di monoetilenglicole accertate, sui quali il ricorso ampiamente si diffonde. Al riguardo, infatti, occorre ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lette), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
 
Il primo motivo, pertanto, risulta inammissibile.
 
8. Alle stesse conclusioni, di seguito, si perviene quanto al secondo, in punto di circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
 
Con riguardo alle prime, deve esser confermato il consolidato indirizzo in forza del quale, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque  rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899); indirizzo del quale il Tribunale ha fatto buon governo, negando le stesse circostanze sul presupposto dell’esistenza di un precedente penale. Quanto, poi, alla sospensione condizionale della pena, la stessa è stata negata ancora in ragione di detto precedente (un delitto contro la persona), definito “ostativo alla concessione dei benefici di legge”; da intendersi, in difetto di elementi ulteriori, come inidoneo a consentire una prognosi favorevole sulle future condotte del soggetto. Con motivazione, dunque, non suscettibile di censura in questa sede.
 
9. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, 15 dicembre il 2016
 

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