Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Aree protette, Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 13964 | Data di udienza: 29 Gennaio 2016

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Violazioni edilizie e paesaggistiche – Procedimenti amministrativi di sanatoria – Compatibilità con gli strumenti urbanistici – Illiceità dell’intero manufatto in quanto costruito interamente su particelle gravate da uso civico – Mancanza del requisito della disponibilità dell’area – AREE PROTETTA – Vincolo paesaggistico – Parco Naturale Regionale “Sirente-Velino” – Area a”protezione speciale” (Z.P.S.) – Fattispecie – Artt. 181 e 142 lett. d) ed f) d.L.vo n.42/04Artt. 36, 44 lett. e) e 45 dpr n.380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Congruità della motivazione – Censure con criteri omogenei e passaggi logico-giuridici – Pronuncia di 1° e di appello – Unicità e inscindibililità – Artt. 521, 522, 616 e 606 c.1 lett. e) cod. proc. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Aprile 2016
Numero: 13964
Data di udienza: 29 Gennaio 2016
Presidente: Fiale
Estensore: Di Stasi


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Violazioni edilizie e paesaggistiche – Procedimenti amministrativi di sanatoria – Compatibilità con gli strumenti urbanistici – Illiceità dell’intero manufatto in quanto costruito interamente su particelle gravate da uso civico – Mancanza del requisito della disponibilità dell’area – AREE PROTETTA – Vincolo paesaggistico – Parco Naturale Regionale “Sirente-Velino” – Area a”protezione speciale” (Z.P.S.) – Fattispecie – Artt. 181 e 142 lett. d) ed f) d.L.vo n.42/04Artt. 36, 44 lett. e) e 45 dpr n.380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Congruità della motivazione – Censure con criteri omogenei e passaggi logico-giuridici – Pronuncia di 1° e di appello – Unicità e inscindibililità – Artt. 521, 522, 616 e 606 c.1 lett. e) cod. proc. pen..



Massima

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 07/04/2016 (ud. 29/01/2016) Sentenza n.13964


DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Violazioni edilizie e paesaggistiche – Procedimenti amministrativi di sanatoria – Compatibilità con gli strumenti urbanistici – Illiceità dell’intero manufatto in quanto costruito interamente su particelle gravate da uso civico – Mancanza del requisito della disponibilità dell’area – Vincolo paesaggistico – Parco Naturale Regionale “Sirente-Velino” – Area a”protezione speciale” (Z.P.S.) – Fattispecie – Artt. 181 e 142 lett. d) ed f) d.L.vo n.42/04Artt. 36, 44 lett. e) e 45 dpr n.380/2001.
  
Nell’ipotesi in cui il giudice di merito non abbia sospeso, ex art. 45, comma 1, del T.U. n. 380/2001, il procedimento relativo ai reati di cui all’art. 44 dello stesso T.U., non consegue alcuna nullità, mancando qualsiasi previsione normativa in tal senso e non configurandosi pregiudizi al diritto di difesa dell’imputato, poiché questi può far valere nei successivi gradi di giudizio l’esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva. A tale interpretazione ha aderito anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 370/1988 e con l’ordinanza n. 247/2000). La norma ricollega, dunque, la durata della sospensione all’esaurimento dei soli “procedimenti amministrativi di sanatoria”, limitandola temporalmente alla decisione degli organi comunali sulla relativa domanda, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto prevista dal 4^ comma dell’art. 36. Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del T.U. n. 380/2001; la relativa richiesta risulta presentata con contestuale richiesta di compatibilità paesaggistica ex art. 181 commi 1 ter-1quater D.lgs.42/2004– e, ai sensi del comma 3 della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, la richiesta medesima deve intendersi “rifiutata”. Risulta pacifico, infatti, che, pur se l’attuale stato del manufatto risulti compatibile con i vigenti strumenti urbanistici, l’istanza di sanatoria e quella di accertamento di compatibilità paesaggistica risultano non accoglibili difettando il requisito della disponibilità dell’area in quanto gravata da usi civici. 
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Congruità della motivazione – Censure con criteri omogenei e passaggi logico-giuridici – Pronuncia di 1° e di appello – Unicità e inscindibililità – Artt. 521, 522 e 606 c.1 lett. e) cod. proc. pen..
 
Le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, si possono fondere e integrarsi a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, cosicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (univoca giurisprudenza Cass. Sez.2, n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia; conf. Sez.3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4.2012, Valerio; Sez.2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.1994, Albergamo ed altri). Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri).
 

(dich. inamm. il ric. avverso sentenza del 30/06/2014 della Corte di Appello di L’Aquila) Pres. FIALE, Rel. DI STASI, Ric. Palumbo
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 07/04/2016 (ud. 29/01/2016) Sentenza n.13964

SENTENZA

 

 
 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 07/04/2016 (ud. 29/01/2016) Sentenza n.13964
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
– sul ricorso proposto da:
PALUMBO PIERLUIGI, nato a Cugnoli il 27/11/1970
MINAFRA ROBERTO, nato a Bari il 20/09/1975
DI IORIO MARIA DOMENICA, nato a Celano il 17/06/1969
– avverso la sentenza del 30/06/2014 della Corte di Appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
– udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Aldo Policastro che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
– udito per l’imputato l’avv. Domenico Martino in sostituzione dell’avv. Giuseppe Martino, che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso. 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 13.5.2013, il Tribunale di L’Aquila, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti imputati (capo A) del reato di cui all’art. 44 lett. e) dpr n. 380\1990 (nrd 2001), per aver eseguito in assenza del permesso di costruire opere edili su manufatto ubicato alla via per Secinaro e censito al fg 41, p.lla 364 del catasto del Comune di Roccadi Mezzo, segnatamente nei locali posti a margine della struttura ricettiva ed aventi destinazione come deposito serbatoi e locale antincendio (consistite in completamento con tamponature esterne, interne ed intonaco esterno dell’edificio e completamento dei locali interni con variazione della disposizione e della destinazione d’uso dell’immobile attraverso la suddivisione in quattro locali e la predisposizione di servizi igienici e locale cucina), opere realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142 lett. d) ed f) del dLvo 42\04, in quanto interamente compresa all’interno di Comune della catena appenninica sito ad oltre 1.200 metri di altezza s.l.m. ed all’interno del Parco Naturale Regionale “Sirente-Velino” in area “protezione speciale” (Z.P.S.) e (capo B) del reato di cui all’art. 181 del d.lgs. 22.1.2004 n. 42 in relazione all’art. 44 lett. e) del dpr 6.6.2001 n. 380 per avere eseguito, senza la prescritta autorizzazione, le opere descritte le opere edilizie descritte al capo A) in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142 lett. d) ed f) del d.lgs. 42\04, in quanto interamente comprese all’interno di Comune della catena appenninica sito ad oltre 1.200 metri di altezza e ed all’interno del Parco Naturale Regionale “Sirente-Velino” in area “protezione speciale” (Z.P.S.) (Fatti accertati in Roccadi Mezzo(AQ) il mese di febbraio del 2011, dichiarava i predetti responsabili dei reati loro ascritti e li condannava ciascuno alla pena di mesi 18 di arresto ed euro 45.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Disponeva, altresì, la sospensione condizionale della pena ed il ripristino dello stato dei luoghi previa demolizione del manufatto realizzato sulla particella indicata nel capo d’imputazione.
 
Con sentenza del 30.6.2014 la Corte di Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dagli imputati, ritenuto il concorso formale tra i reati, rideterminava la pena nella misura di mesi dieci di arresto ed euro 15.000,00 di ammenda, confermando nel resto.
 
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione PALUMBO PIERLUIGI, MINAFRA ROBERTO e DI IORIO MARIA DOMENICA, tramite il difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 
 
a. Art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen: inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.; Art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen: manifesta illogicità della motivazione.
 
I ricorrenti deducono di avere eccepito in sede di appello la nullità della sentenza di primo grado in considerazione della non corrispondenza tra quanto contestato e la decisione emessa, come evincibile dal riferimento nel corpo della motivazione alla illegittimità dell’intera struttura e dalla condanna al rispristino dello stato dei luoghi “previa demolizione del manufatto realizzato sulla particella indicata nel capo di imputazione”.
 
Argomentano, inoltre, che la sentenza della Corte territoriale sarebbe illogica nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di nullità, rilevando che la condanna era intervenuta unicamente in relazione ai fatti contestati e che il riferimento nel corpo della motivazione alla eventuale illegittimità di opere diverse da quelle in contestazione era argomentazione che non aveva inciso sulla decisione di condanna.
 
b. Art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen: carenza nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla posizione di Di Iorio Maria Domenica.
 
I ricorrenti deducono che in sede di appello era stata richiesta l’assoluzione di Di Iorio Maria Domenica, legale rappresentante della srl Elios Club Vacanze, perché aveva acquistato il complesso alberghiero dal Tribunale fallimentare di Bari solo in data 22.10.2010, nel mentre dalle risultanze istruttorie (prove orali e documentali) emergeva che l’attività edificatoria era stata posta in essere negli anni 2008/2009 e, comunque, non oltre l’anno 2009.
 
La motivazione della Corte territoriale sarebbe illogica in quanto, dando rilievo alle dichiarazioni rese dal teste Di Pietro – che riferiva che al momento del sopralluogo le opere non erano state ancora ultimate -, riteneva che la mancata ultimazione delle opere equivalesse ad una attività edilizia in corso di svolgimento.
 
La motivazione sarebbe, inoltre, carente su un punto decisivo oggetto di doglianza per omessa considerazione delle risultanze probatorie favorevoli all’imputata Di Iorio.
 
c. Art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen: erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 45 d.P.R. 6.6.2001 n. 380 ed all’art. 181 n. 1 ter lett. a) del dgls 22 gennaio 2004 n. 42. Art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen: carenza di motivazione in ordine alle questioni amministrative prospettate.
 
I ricorrenti deducono che in sede di appello si era richiesta la sospensione del processo anche ai sensi dell’art. 45 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 essendovi prova orale e documentale che era stata presentata istanza di sanatoria, che l’opera abusiva era assentibile anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica e che era in corso procedimento per l’alienazione della particella gravata da uso civico.
 
Sul punto la motivazione della Corte territoriale della Corte territoriale di rigetto della istanza sarebbe carente ed assunta in violazione dell’art. 45 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380.
Chiedono, quindi, l’annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata con l’adozione dei provvedimenti conseguenti.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
 
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
 
La condanna, infatti, ha riguardato unicamente i fatti contestati e la riduzione in pristino, come evincibile dalla lettura sia della motivazione che del dispositivo si riferisce alla struttura indicata in dispositivo e, che, quindi, deve interpretarsi come riferito alle opere edili dettagliatamente descritte nel capo di imputazione.
 
La riprova di tanto discende da quanto evidenziato dallo stesso giudice in motivazione laddove, ritenuta in via di ipotesi l’illeceità dell’intero manufatto in quanto costruito interamente su particelle gravate da uso civico, ha disposto la trasmissione degli atti al Pm per le determinazioni di competenza.
 
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
 
Va ricordato che, in caso di conforme affermazione di responsabilità, il giudice di secondo grado, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
 
In tale caso, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usatì dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, cosicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di questa Corte: per tutte Sez. 2, n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, Rv.256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4.2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.1994, Albergamo ed altri, Rv.197250).
 
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri, Rv.254107).
 
Nella specie, le motivazioni delle due sentenze di affermazione della responsabilità dell’imputata Di Iorio Maria Domenicasi saldano fornendo un’unica e complessa trama argomentativa, non scalfita dalle censure mosse dalla ricorrente che ripropone gli stessi motivi dedotti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado.
 
La Corte di appello di L’Aquila, inoltre, non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto specificamente alla doglianza oggi riproposta, con argomentazioni adeguate e logiche e, quindi, esenti da censure in questa sede.
 
In particolare, con riferimento alle deduzioni difensive relative alla circostanza che l’attività edificatoria doveva ritenersi posta in essere negli anni 2008/2009 mentre l’imputata Di Iorio Maria Domenica aveva acquistato il complesso alberghiero dal Tribunale fallimentare di Bari in data 22.10.2010, la Corte territoriale ha fornito adeguata e logica motivazione in ordine alla infondatezza della tesi difensiva a fronte delle ulteriori acquisizioni processuali.
 
La Corte ha dato rilievo alle dichiarazioni testimoniali rese dal teste Di Pietro che riferiva che, al momento del sopralluogo, i lavori erano in corso per trarne la logica conseguenza che nell’anno 2009 le opere in contestazione non erano state ancora ultimate.
 
La ricorrente, peraltro, si limita sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
 
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Cass. n.27429/2006, Rv. 234559, Lobriglio; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215, Casavola; Sez. 6, n. 25255/2012, Rv.253099).
 
Compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione del giudice di appello; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata.
 
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. IV, 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri).
 
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
 
L’art. 45, comma 1, del TU n. 380/2001 (allo stesso modo dell’art. 22 della legge n. 47/1985) dispone che – qualora venga richiesto l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 dello stesso T.U. (già art. 13 della legge n. 47/1985) – “l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria”.
 
La norma ricollega, dunque, la durata della sospensione all’esaurimento dei soli “procedimenti amministrativi di sanatoria”, limitandola temporalmente alla decisione degli organi comunali sulla relativa domanda, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto prevista dal 4^ comma dell’art. 36 (Sez.3, n.16706 del 18/02/2004,Brilla Rv.227960;7.3.2003, n. 10640, Petrillo; 29.11.2000, n. 12288, Cimaglia). A tale interpretazione ha aderito anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 370/1988 e con l’ordinanza n. 247/2000).
 
L’emissione del provvedimento sospensivo, inoltre, resta pur sempre condizionata al previo accertamento del giudice penale in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti necessari per il conseguimento della sanatoria (Sez. 3, 7.3.1997, n. 2256, Tesseri ed altro;). 
 
Deve ricordarsi, al riguardo, che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema – nell’ipotesi in cui il giudice di merito non abbia sospeso, ex art. 45, comma 1, del T.U. n. 380/2001, il procedimento relativo ai reati di cui all’art. 44 dello stesso T.U., non consegue alcuna nullità, mancando qualsiasi previsione normativa in tal senso e non configurandosi pregiudizi al diritto di difesa dell’imputato, poiché questi può far valere nei successivi gradi di giudizio l’esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva.
 
Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del T.U. n. 380/2001; la relativa richiesta risulta presentata in data 8.4.2011- con contestuale richiesta di compatibilità paesaggistica ex art. 181 commi 1 ter-1quater D.lgs.42/2004– e, ai sensi del comma 3 della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, la richiesta medesima deve intendersi “rifiutata”.
 
Risulta pacifico, infatti, che, pur se l’attuale stato del manufatto risulti compatibile con i vigenti strumenti urbanistici, l’istanza di sanatoria e quella di accertamento di compatibilità paesaggistica risultano non accoglibili difettando il requisito della disponibilità dell’area in quanto gravata da usi civici giusta ordinanza del 7.4.1939 registrata in L’Aquila in data 11.4.1939 al n 817.
 
La sentenza impugnata, quindi, risulta congruamente motivata ed in linea con i principi espressi in subiecta materia da Questa Corte.
 
5. Essendoi ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso il 29/01/2016
 
 
 

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