Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 30919 | Data di udienza: 11 Maggio 2018

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mutamento di destinazione d’uso senza opere nell’ambito della stessa categoria urbanistica – Modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria – Cambio d’uso eseguito nei centri storici – Reato urbanistico e reato paesaggistico – Natura permanente – Cessazione dell’attività – Reati contravvenzionale – Termine quinquennale di prescrizione – Giurisprudenza – Artt. 10, 22, 44, 93 e 95 d.P.R. n. 380/2001DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione – Effetti e preclusioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 9 Luglio 2018
Numero: 30919
Data di udienza: 11 Maggio 2018
Presidente: DI NICOLA
Estensore: GAI


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mutamento di destinazione d’uso senza opere nell’ambito della stessa categoria urbanistica – Modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria – Cambio d’uso eseguito nei centri storici – Reato urbanistico e reato paesaggistico – Natura permanente – Cessazione dell’attività – Reati contravvenzionale – Termine quinquennale di prescrizione – Giurisprudenza – Artt. 10, 22, 44, 93 e 95 d.P.R. n. 380/2001DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione – Effetti e preclusioni.



Massima

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/07/2018 (Ud. 11/05/2018), Sentenza n.30919
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mutamento di destinazione d’uso senza opere nell’ambito della stessa categoria urbanistica – Modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria – Cambio d’uso eseguito nei centri storici – Artt. 10, 22, 44, 93 e 95 d.P.R. n. 380/2001.
 
In tema di reati edilizi, nel senso che il mutamento di destinazione d’uso senza opere è assoggettato a d.i.a, (ora SCIA), purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, P.M. in proc. Stellato; Sez. 3, n. 12904 del 03/12/2015, Postiglione; (Sez. 3, n. 3953 del 16/10/2014, Statuto; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, Filippi; Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013; Tortora).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato urbanistico e reato paesaggistico – Natura permanente – Cessazione dell’attività – Reati contravvenzionale – Termine quinquennale di prescrizione – Giurisprudenza.
 
Il reato urbanistico al pari del reato paesaggistico, hanno natura permanente e la loro consumazione, che ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione, perdura fino alla cessazione dell’attività edilizia abusiva (ex multis Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso), momento nel quale inizia a decorrere il termine di prescrizione. La cessazione dell’attività, coincide con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera (Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi), con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio mediante sequestro penale (Sez. 3, Sentenza n. 49990 del 04/11/2015, P.G. in proc. Quartieri e altri), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo). Dunque, ciò che rileva, e che deve essere rigorosamente provato o risultare dagli atti, è che l’attività antigiuridica sia cessata e deve risultare il momento in cui la stessa si è verificata, momento a partire dal quale decorre il termine quinquennale di prescrizione trattandosi di reati contravvenzionale.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione – Effetti e preclusioni.
 
Il ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella).  
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 08/11/2017 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA) Pres. DI NICOLA, Rel. GAI, Ric. Barberi

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/07/2018 (Ud. 11/05/2018), Sentenza n.30919

SENTENZA

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/07/2018 (Ud. 11/05/2018), Sentenza n.30919

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Barberi Annunziata, nata a Monte Porzio Catone il 19/05/1946;
 
avverso la sentenza del 15/02/2017 della Corte d’appello di Bari;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione dei reati;
 
udito per la ricorrente l’avv. D. Drogheo che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e in subordine chiede l’annullamento per prescrizione.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza in data 21 settembre 2017, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri, sez. dist. di Frascati, con la quale Annunziata Barberi era stata condannata, alla pena sospesa di giorni quindici di arresto e € 23.000,00 di ammenda, perché ritenuta responsabile del reato di cui all‘art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, perché, senza permesso a costruire, realizzava un manufatto a solo piano terra delle dimensioni di 4,00 x per 2,80 + 1,80x 0,70, pari ad una superficie totale di metri quadrati 12,46, con copertura ad una falda con altezza al colmo di metri 2,20 (capo A), e artt. 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per aver iniziato le opere indicate, realizzate in zona sismica, omettendo di dare preventivo avviso scritto e di attendere il rilascio dell’autorizzazione all’inizio dei lavori dal competente Ufficio tecnico regionale (capo B).Fatti accertati in Frascati il 22/10/2011.
 
Con la medesima sentenza il Tribunale aveva assolto la Barberi dal reato di cui all’art.181 comma 1 bis del d.lvo n. 42 del 2004 perché il fatto non sussiste ed aveva disposto l’ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate.
 
1.1. Secondo quanto accertato dai giudici del merito, l’imputata aveva realizzato le opere edilizie, come meglio descritte sopra, in zona sismica e senza permesso a costruire. La realizzazione delle opere edili era in corso nel 2011, al momento del sopralluogo, ed era stata accertata la realizzazione di un’opera destinata a soddisfare esigenze abitative dell’imputata, con mutamento di destinazione d’uso rispetto al precedente deposito per attrezzi agricoli e magazzino, opere realizzate in assenza di permesso a costruire, ex art. 10 comma 1 lett. c del d.P.R. n. 380 del 2001, dovendo queste essere qualificate come "nuova costruzione", non potendosi ritenere una ristrutturazione del manufatto preesistente, lavori per i quali era necessaria la mera presentazione della DIA.
 
Da tale assunto, i giudici di merito hanno ritenuto responsabile l’imputata per i reati ascritti ed hanno ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione del reato, perché risalente l’edificazione al 2002, ed essendo i lavori in corso di realizzazione nel 2011.
 
2. Avverso la sentenza l’imputata ha presentato ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
 
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 22 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001.
 
In sintesi, il motivo di censura investe l’affermazione della responsabilità penale per il reato edilizio perché i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto che le opere realizzate dovesse essere qualificate quale nuova opera, con necessità di permesso a costruire laddove si era trattato di mere opere di ristrutturazione di un precedente manufatto, edificato nel 2002, pertinenziale rispetto all’abitazione, avente la destinazione d’uso di locale a legnaia e ricovero attrezzi, non essendo indicativo in senso contrario l’aver accertato la messa in opera degli allacci alla rete idrica ed elettrica. Trattandosi di mera ristrutturazione, l’opera era soggetta a DIA, e il mancato deposito della DIA integra una mera sanzione pecuniaria e non costituisce reato.
 
In ogni caso sarebbe maturata la prescrizione del reato con riguardo all’epoca dei lavori di ristrutturazione risalenti al 2002.
 
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’omessa motivazione sulla quantificazione della pena.
 
3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, l’annullamento senza rinvio per prescrizione dei reati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Il ricorso appare manifestamente infondato e va, pertanto, dichiarato inammissibile.
 
5. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, anche ripetitivo della stessa censura già devoluta al giudice dell’impugnazione e da quel giudice disattesa con motivazione logica e congrua.
 
Deve rilevarsi, secondo quanto risulta dalle conformi sentenze del merito con accertamento insindacabile in questa sede in presenza di congrua motivazione, che l’imputata aveva realizzato, in zona sismica, opere edilizie consistite nella realizzazione di un manufatto, a solo piano terra, delle dimensioni di 4,00 x per 2,80 + 1,80x O, 70, pari ad una superficie totale di metri quadrati 12,46, con copertura ad una falda con altezza al colmo di metri 2,20 e dotato di attacchi per l’elettricità, l’acqua ed il gas, opere realizzate su un preesistente fabbricato che aveva quale destinazione d’uso quella di deposito di attrezzi agricoli, opere che per consistenza e modalità costruttive e per la mutata destinazione all’uso abitativo, resa evidente dalla predisposizione degli allacci (quello del gas incompatibile con la precedente destinazione a deposito attrezzi), dovevano ritenersi quale "nuova opera" e, dunque, soggetta a permesso a costruire e alle autorizzazioni e comunicazioni previste dalla normativa per le costruzioni in zona sismica.
 
Nel caso di specie, si è verificato un cambio di destinazione d’uso, realizzato mediante opere edilizie, di un locale deposito attrezzi ad abitazione, ovvero dalla categoria d’uso non residenziale alla diversa categoria d’uso residenziale.
 
Un tale cambio di destinazione, pacificamente realizzato in assenza di qualsivoglia titolo (neppure una DIA era stata presentata dall’interessata), configura il reato contestato. Deve rammentarsi, ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del d.P.R n. 380 del 2001, che «le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività». La Regione Lazio, con l’art. 7, terzo comma, della legge regionale n. 36 del 1987, nella sua formulazione attualmente vigente, ha stabilito che «le modifiche di destinazione d’uso con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposita permesso di costruire, mentre quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria sono soggette a denuncia di inizio attività da parte del sindaco». Si tratta di una disciplina che, nel suo complesso, si pone in armonia con quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, e della giurisprudenza amministrativa, in tema di reati edilizi, nel senso che il mutamento di destinazione d’uso senza opere è assoggettato a d.i.a, (ora SCIA), purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, P.M. in proc. Stellato, Rv. 267106; Sez. 3, n. 12904 del 03/12/2015, Postiglione, Rv 266483; (Sez. 3, n. 3953 del 16/10/2014, Statuto, Rv. 262018; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, Filippi, Rv. 260422; Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013; Tortora, Rv. 258686).
 
Consegue che il mutamento di destinazione d’uso realizzato nel caso in scrutinio avrebbe dovuto essere eseguito con permesso di costruire.
 
6. Anche il terzo motivo appare manifestamente infondato. La corte territoriale ha congruamente argomentato, in risposta alla censura difensiva, che il trattamento sanzionatorio, stabilito in misura prossima la minimi edittale, non era suscettibile di una sua rivisitazione e la misura della pena appariva congrua alla gravità dei fatti.
 
Al riguardo deve osservarsi che nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, cod.proc.pen., anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 Ruggeri, Rv. 237402). A tale dictum si è uniformata la Corte d’appello che, in presenza di una determinazione della pena prossima ai minimi edittali ha confermato la congruità della stessa in ragione della gravità dei fatti come accertati.
 
7. Infine, non può essere accolta la richiesta di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Come correttamente osservato dai giudici territoriali a pag. 3, ad ottobre 2011, i lavori non solo erano in corso, ma proseguivano in assenza di permesso a costruire sino alla data del sopralluogo del 13/01/2012, sicchè la prescrizione reato non era ancora maturata dalla data della pronuncia della sentenza di appello emessa il 28 settembre 2016.
 
Come è noto, il reato urbanistico al pari del reato paesaggistico, hanno natura permanente e la loro consumazione, che ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione, perdura fino alla cessazione dell’attività edilizia abusiva (ex multis Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso, Rv. 261916), momento nel quale inizia a decorrere il termine di prescrizione.
 
La cessazione dell’attività, come ricorda la giurisprudenza, coincide con l’ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera (Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351), con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio mediante sequestro penale (Sez. 3, Sentenza n. 49990 del 04/11/2015, P.G. in proc. Quartieri e altri, Rv. 265626), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498).
 
Dunque, ciò che rileva, e che deve essere rigorosamente provato o risultare dagli atti, è che l’attività antigiuridica sia cessata e dve risultare il momento in cui la stessa si è verificata, momento a partire dal quale decorre il termine quinquennale di prescrizione trattandosi di reati contravvenzionale.
 
Nel caso di specie, dal testo del provvedimento impugnato, emerge che i lavori non erano terminati nell’ottobre 2011, come riferito dall’imputata alla PG, ed erano proseguiti fino al sopralluogo del 13/1/2012, cossichè non era sicuramente decorso il termine alla data della pronuncia impugnata.
 
Peraltro, va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p." (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119). 
 
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso l’11/05/2018
 

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