Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 45272 | Data di udienza: 18 Luglio 2018

RIFIUTI – Sottoprodotti – Terre e rocce da scavo – Certezza sulla destinazione dell’utilizzo – Materiale stoccato e deposito incontrollato – Autorizzazioni – Termine maggiore per la durata dei lavori – Mancata indicazione della normativa extrapenale – Principio di correlazione tra sentenza ed accusa – Tutela del diritto di difesa – Artt. 184, 186,  256 d. lgs. n.152/2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale – Principio di retroattività della norma favorevole – Limiti – Norma penale in bianco.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 9 Ottobre 2018
Numero: 45272
Data di udienza: 18 Luglio 2018
Presidente: SARNO
Estensore: GAI


Premassima

RIFIUTI – Sottoprodotti – Terre e rocce da scavo – Certezza sulla destinazione dell’utilizzo – Materiale stoccato e deposito incontrollato – Autorizzazioni – Termine maggiore per la durata dei lavori – Mancata indicazione della normativa extrapenale – Principio di correlazione tra sentenza ed accusa – Tutela del diritto di difesa – Artt. 184, 186,  256 d. lgs. n.152/2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale – Principio di retroattività della norma favorevole – Limiti – Norma penale in bianco.



Massima

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/10/2018 (Ud. 18/07/2018), Sentenza n.45272
  

  
RIFIUTI – Sottoprodotti – Terre e rocce da scavo – Certezza sulla destinazione dell’utilizzo – Materiale stoccato e deposito incontrollato – Autorizzazioni – Termine maggiore per la durata dei lavori – Mancata indicazione della normativa extrapenale – Principio di correlazione tra sentenza ed accusa – Tutela del diritto di difesa – Artt. 184, 186,  256 d. lgs. n.152/2006 – Giurisprudenza.
 
In materia di rifiuti, per l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo, il presupposto della certezza sulla destinazione all’utilizzo di tutto il materiale stoccato e che, in ogni caso, anche a voler ritenere in qualche modo valide le autorizzazioni di cui all’art. 186 D.lgs. n. 152 del 2006, allora vigente, la durata del deposito si era protratta per ben oltre l’anno consentito, a nulla rilevando la disciplina prevista dall’art. 41 bis della legge n. 98 del 2013, che consentirebbe una deroga all’anno laddove sia previsto un termine maggiore per la durata dei lavori di sistemazione in assenza di una certezza sulla destinazione dell’utilizzo. Inoltre, la mancata indicazione della normativa extrapenale (quella relativa alla disciplina delle terre e rocce da scavo) integratrice della norma penale non determina alcuna violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa e, neppure, alcuna lesione del diritto di difesa in presenza di una indicazione di riferimento nella descrizione del fatto (deposito incontrollato di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo (smarino) derivante dai cantieri… ). Va, poi, ricordato che, poiché il principio di correlazione tra sentenza ed accusa è posto a tutela del diritto di difesa, per il suo rispetto occorre verificare che l’imputato possa avere chiara cognizione, ai fini della sua difesa, di ciò che gli viene contestato (Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, Diaji; Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale – Principio di retroattività della norma favorevole – Limiti – Norma penale in bianco.
 
In tema di successione di leggi penali nel tempo, il principio di retroattività della norma favorevole, affermato dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., non si applica in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato e quindi sulla fattispecie tipica, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto, delineando la portata del comando e del conseguente fatto illecito (Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, Branchi; Sez. 3, n. 40551 del 25/06/2014, Venuti; Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, Rubegni). Inoltre, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva (Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008), laddove il fenomeno della "norma penale in bianco" riguarda la determinazione del precetto della norma penale, la cui definizione la stessa legge penale demanda ad atti normativi sottordinati nella gerarchia delle fonti del diritto, quale il regolamento o il provvedimento della pubblica autorità.
 
(annulla senza rinvio per prescrizione del reato sentenza del 29/02/2016 – TRIBUNALE DI BRESCIA) Pres. SARNO, Rel. GAI, Ric. Chiodi 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/10/2018 (Ud. 18/07/2018), Sentenza n.45272

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/10/2018 (Ud. 18/07/2018), Sentenza n.45272
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da Chiodi Giovanna, nata a Corteno;
 
avverso la sentenza del 29/02/2016 del Tribunale di Brescia;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Il Tribunale di Brescia, con sentenza emessa in data 29 febbraio 2016, ha condannato Giovanna Chiodo, alla pena sospesa di € 8.000,00 di ammenda, perché ritenuta responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, per avere, quale legale rappresentante della Plana Costruzioni s.r.l., realizzato un deposito incontrollato di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo derivante dai cantieri per la sistemazione della galleria della SS n. 39 dell’Aprica, nei comuni di Edolo, Cortene, Golgi, senza procedere all’effettivo e dichiarato e autorizzato riutilizzo degli stessi, stoccandoli e detenendoli presso la sede sociale oltre il periodo consentito di un anno, in quantitativo stimato di mc. 20.000. Accertato in Sonico il 04/05/2011 e permanente sino al maggio 2011.
 
 
2. Avverso tale pronuncia Giovanna Chiodi ha proposto ricorso, deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come impone l’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
 
 
2.1. Con il primo motivo, deduce la nullità del decreto di citazione a giudizio ai sensi dell’art. 552 comma 2 cod.proc.pen. per mancanza/insufficienza del requisito di cui all’art. 552 comma 1 lett. c) cod.proc.pen. per l’assenza di indicazione della normativa extrapenale (quella relativa alla disciplina delle terre e rocce da scavo) integratrice della norma penale. Da qui la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 cod.proc.pen. e la nullità della sentenza ex art. 522 cod.proc.pen..
 
Deduce altresì il vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge in relazione alla qualificazione del materiale quale rifiuto, e violazione della nuova normativa ex art. 41 bis della legge n. 98 del 2013.
La sentenza impugnata avrebbe argomentato la natura di rifiuto di quanto depositato presso la società della ricorrente in assenza di una destinazione precisa, certa e definitiva del materiale e della durata del deposito oltre l’anno senza alcuna specifica contestazione, quanto al primo profilo (certezza sulla destinazione all’utilizzo del materiale proveniente dallo scavo della galleria) e con erronea applicazione della disciplina di settore per non aver applicato, il Tribunale, la norma, successivamente intervenuta, di cui all’art. 41 bis della legge n. 98 del 2013, norma che avrebbe introdotto una disciplina più favorevole quanto al profilo temporale del deposito, consentendo lo stesso per un tempo superiore nel caso in cui il materiale sia destinato ad essere utilizzato in un progetto che prevede un termine di esecuzione superiore. Tale norma di maggior favore nella disciplina di settore sarebbe applicabile al caso in esame in quanto in vigore al momento dell’accertamento ARPA nell’ottobre 2013 e, sulla scorta di essa, l’utilizzo autorizzato per un tempo maggiore consentirebbe di escludere la qualifica di rifiuto e il reato contestato.
 
 
2.2. Con il secondo motivo deduce l’insussistenza del dolo e, in ogni caso, la sussistenza della buona fede in capo alla ricorrente e ciò in quanto l’imputata aveva ottenuto ripetutamente autorizzazioni, ex art. 186 del d.lgs n. 156 del 2006 per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo, a fronte di un progetto presentato che prevedeva il loro utilizzo per una riqualificazione ambientale e in parte per una lavorazione per la produzione di materiale idoneo da destinare a sottofondi stradali, nonché di proroghe per il deposito ottenute dagli enti preposti. Infine, ricorrerebbe la buona fede nell’imputata che, stante la normativa di settore, aveva affidato a professionisti del medesimo la redazione del piano e delle istanze rivolte agli enti amministrativi.
 
 
2.3. Con il terzo motivo eccepisce la prescrizione del reato maturata, trattandosi di reato contravvenzionale, al più tardi al 31 maggio 2016.
 
 
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Il ricorso non è fondato, ma non manifestamente infondato, situazione che consente di rilevare, come richiesto dal Procuratore generale in udienza, l’intervenuta prescrizione del reato nelle more del giudizio di legittimità.
 
 
5. Va anzitutto apprezzata la censura di nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza sollevata nella prima parte del primo motivo di ricorso. Essa è manifestamente infondata. 
 
La mancata indicazione della normativa extrapenale (quella relativa alla disciplina delle terre e rocce da scavo) integratrice della norma penale non determina alcuna violazione del principio e, neppure, alcuna lesione del diritto di difesa in presenza di una indicazione di riferimento nella descrizione del fatto (deposito incontrollato di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo (smarino) derivante dai cantieri … ).
 
Va, poi, ricordato che, poiché il principio di correlazione tra sentenza ed accusa è posto a tutela del diritto di difesa, per il suo rispetto occorre verificare che l’imputato possa avere chiara cognizione, ai fini della sua difesa, di ciò che gli viene contestato (Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, Diaji, Rv. 253776; Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro, Rv. 242027).
 
Sulla scorta di tali principi deve escludersi la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza come argomentato.
 
 
6. Nel merito, non è fondata la censura di violazione di legge, sostenuta nella seconda parte del primo motivo di ricorso, ma la sentenza non appare sorretta da congrua motivazione che non appare adeguata in presenza di una complessa vicenda nella quale assume rilievo la valutazione dei numerosi atti amministrativi, rilasciati ex art. 186 cit. norma vigente, situazione che comporta, in presenza di un rilevato vizio di motivazione, l’annullamento della sentenza senza rinvio per essere nelle more maturata la prescrizione del reato. Resta assorbito l’ultimo motivo di ricorso.
 
 
7. Muovendo dalla censura svolta nella seconda parte del motivo, la dedotta erronea applicazione della disciplina di settore e segnatamente dell’art. 41 bis della legge n. 98 del 2013, norma più favorevole che la ricorrente ritiene applicabile ai sensi dell’art. 2 cod.pen. non è fondata.
 
Va, in primo luogo, rilevato che il Tribunale ha escluso, avuto riguardo alla natura dei materiali, che gli stessi fossero destinati al dichiarato ed autorizzato riutilizzo ed ha accertato che gli stessi risultavano stoccati presso la sede aziendale oltre al periodo massimo consentito di un anno. Secondo il Tribunale era risultato mancante, per l’applicazione della disciplina invocata dalla difesa sulle terre e rocce da scavo, il presupposto della certezza sulla destinazione all’utilizzo di tutto il materiale stoccato e che, in ogni caso, anche a voler ritenere in qualche modo valide le autorizzazioni di cui all’art. 186 D.lgs. n. 152 del 2006, in allora vigente, la durata del deposito si era protratta per ben oltre l’anno consentito, a nulla rilevando la disciplina, invocata dalla difesa, prevista dall’art. 41 bis della legge n. 98 del 2013, che consentirebbe una deroga all’anno laddove sia previsto un termine maggiore per la durata dei lavori di sistemazione in assenza di una certezza sulla destinazione dell’utilizzo.
 
Argomenta la ricorrente che, invece, avrebbe dovuto trovare applicazione la nuova disciplina delle terre e rocce da scavo come risultante dalle modifiche – più favorevoli – operate nel 2013, nella parte in cui non prevedono più il rigido termine annuale per il riutilizzo delle terre e rocce da scavo (art. 41 bis comma 2 del D.L. 21 giugno 2013 conv. con la legge 9 agosto 2013, n. 98) nel caso in cui l’opera, nella quale il materiale
è destinato ad essere utilizzato, preveda un termine superiore di esecuzione. Da tale assunto deriverebbe l’esclusione della natura di rifiuto dovendosi considerare le stesse quale sottoprodotto ex art. 184 D.lgs n. 152 del 2006.
 
La prospettazione difensiva si fonda su un errato presupposto ovvero l’applicazione della disciplina dettata, dall’art. 2 cod.pen., per la successione delle leggi penali nel tempo alla norma extrapenale integratrice del precetto penale.
 
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di successione di leggi penali nel tempo, il principio di retroattività della norma favorevole, affermato dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., non si applica in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato e quindi sulla fattispecie tipica, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto, delineando la portata del comando e del conseguente fatto illecito (Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, Branchi, Rv. 266474; Sez. 3, n. 40551 del 25/06/2014, Venuti, Rv. 260757; Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, Rubegni, Rv. 256665).
 
Con la citata sentenza Rubegni, Questa Corte ha avuto modo di precisare che la modifica alla regolamentazione apportata da un successivo provvedimento che, pur incidendo sulla punibilità della condotta, non implica una modificazione della disposizione sanzionatoria penale, comporta che la sanzione resta in vigore e continua ad applicarsi nelle forme previste alle condotte poste in essere anteriormente alla nuova regolamentazione, e ciò in quanto "la successione delle leggi extrapenali determina esclusivamente una variazione del contenuto del precetto con decorrenza dalla emanazione del successivo provvedimento".
 
Nel caso in esame, varia la disciplina derogatoria che sottrae l’illiceità penale di un fatto in presenza di requisiti diversi, e dunque si è in presenza di una modifica della disciplina derogatoria di settore che è sottratta al principio dell’applicazione retroattiva della norma più favorevole di cui all’art. 2 comma 4 cod.pen.
 
Deve dunque ribadirsi il principio secondo cui, in tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva (Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008, Rv. 238197), laddove il fenomeno della "norma penale in bianco" riguarda la determinazione del precetto della norma penale, la cui definizione la stessa legge penale demanda ad atti normativi sottordinati nella gerarchia delle fonti del diritto, quale il regolamento o il provvedimento della pubblica autorità.
 
 
8. Non di meno, la motivazione della sentenza impugnata non è adeguata in presenza di una complessa vicenda nella quale assume rilievo la valutazione dei numerosi atti amministrativi, rilasciati ex art. 186 cit. norma vigente all’epoca del fatto contestato, che la sentenza ha pretermesso. Ed infatti, la società della ricorrente aveva ricevuto dall’ANAS in subappalto, nel 2009, l’incarico di effettuare lavori di scavo e movimento terra all’imbocco della galleria San Sebastiano, alla medesima erano state rilasciate, negli anni, numerose singole autorizzazioni, ex art. 186 D.Lgs n. 152 del 2006, in allora vigente, per il riutilizzo delle terre e rocce da scavo provenienti dai lavori di allargamento della suddetta galleria, terre e rocce che erano depositate presso il cantiere della predetta e che erano da destinare a vari cantieri, individuati di volta in volta nelle singole richieste di riutilizzo, per le quali la società della ricorrente aveva ottenuto numerose autorizzazioni dal Comune, autorizzazioni che si erano succedutesi fino al 25 giugno 2013 e all’8 agosto 2013. Tuttavia alla data del sopralluogo dell’ottobre 2013 (sopralluogo dell’ARPA in sede di verifica a fronte dell’autocertificazione del 14/10/2013 con cui la società dichiarava che i materiali provenienti dalla scavo erano sottoprodotti da destinare al livellamento del piano viario di via Molbeno del comune di Malonno), era stato rilevato un deposito presso la società, in Sonico, di mc. 20.000 contenente smarino che è stato ritenuto incompatibile con la destinazione certa sin dall’origine (2009-2010) del materiale ivi depositato, deposito, peraltro, che si era protratto oltre l’anno. Ora, la sentenza impugnata conclude per l’assenza di dimostrazione della destinazione certa sin dall’origine delle terre e rocce da scavo e sul punto appare non adeguatamente motivata la responsabilità nella misura in cui, da un lato, dà atto che la società aveva ottenuto numerose autorizzazioni al riutilizzo (risalenti al 2009-2010) e, dall’altro, afferma, sulla scorta dell’accertamento dell’ottobre 2013 che, rilevata la presenza di circa mc. 20.000 di materiale depositato, non vi era destinazione precisa sin dall’origine del materiale, omettendo di confrontarsi con gli atti amministrativi rilasciati e non offrendo adeguata argomentazione circa il fatto che, proprio in ragione delle rilasciate autorizzazioni, il materiale depositato fosse risalente all’epoca della contestazione (maggio 2011).
 
 
9. Pertanto, la sentenza deve essere annullata in presenza di un rilevato vizio di motivazione. Come ha concluso il Procuratore generale, va disposto l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato maturata nel corso del giudizio, (prescrizione ultima maturata al 4 maggio 2016).
 
Il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell’imputato comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza stessa (Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016, Silva, Rv. 267844; Sez. 2, n. 32577 del 27/04/2010, Preti, Rv. 247973).
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
 
Così deciso il 18/07 /2018
 

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