Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 9940 | Data di udienza: 20 Gennaio 2016

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali – Interventi di miglioramento ambientale – Natura di sottoprodotto – Onere della prova a carico di chi invoca l’applicazione della disciplina in deroga – Artt. 185, 186 e 256, c.1, d. lgs. n. 152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Pena dell’arresto e dell’ammenda alternativamente previste – Beneficio del trattamento più favorevole – Motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di sintesi – Sufficiente.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Marzo 2016
Numero: 9940
Data di udienza: 20 Gennaio 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: Andreazza


Premassima

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali – Interventi di miglioramento ambientale – Natura di sottoprodotto – Onere della prova a carico di chi invoca l’applicazione della disciplina in deroga – Artt. 185, 186 e 256, c.1, d. lgs. n. 152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Pena dell’arresto e dell’ammenda alternativamente previste – Beneficio del trattamento più favorevole – Motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di sintesi – Sufficiente.



Massima

 


 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 10/03/2016 (ud. 20/01/2016) Sentenza n.9940


CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali – Interventi di miglioramento ambientale – Natura di sottoprodotto – Onere della prova a carico di chi invoca l’applicazione della disciplina in deroga – Artt. 185, 186 e 256, c.1, d. lgs. n. 152/2006.
 
 
In materia di rifiuti, la disciplina relativa ai sottoprodotti ha carattere eccezionale e derogatorio rispetto alla disciplina ordinaria, l’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti e degli specifici adempimenti richiesti per la riconducibilità del materiale nel novero dei “sottoprodotti” deve essere assolto da ‘colui che ne richiede l’applicazione, la mancanza di tale prova comportando che i materiali in oggetto, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, debbano essere considerati, comunque, come cose di cui il detentore ha l’intenzione di disfarsi. Nella fattispecie, le censure formalmente ricondotte a violazione di legge e a difetto motivazionale muovono da un presupposto fattuale (ovvero la circostanza che il materiale scavato sarebbe stato utilizzato a fini di miglioramento ambientale) che dalla sentenza impugnata non emerge affatto; né il ricorrente richiama ai fini di un eventuale travisamento della prova, elementi istruttori da cui una tale circostanza sarebbe desumibile, restando dunque la stessa su un piano meramente fattuale e del tutto unilateralmente enunciata. Anzi un tale assunto parrebbe trovare una implicita smentita nel fatto che, come emerge dalla sentenza, è stata, nella specie, adottata ordinanza di ripristino che, evidentemente, non avrebbe avuto ragion d’essere ove le terre da scavo fossero state effettivamente utilizzabili a fini di miglioramento del fondo agricolo. Ne consegue dunque che, anche a volere ritenere attribuibile al materiale da risulta la natura di sottoprodotto, comunque condizionata alla ricorrenza di una serie di adempimenti espressamente richiesti dalla legge e di cui nessun cenno viene fatto in ricorso.
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Pena dell’arresto e dell’ammenda alternativamente previste – Beneficio del trattamento più favorevole – Motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di sintesi – Sufficiente.
 
Quando per la violazione ascritta all’imputato sia prevista alternativamente la pena dell’arresto e quella dell’ammenda, il giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato la misura massima della sanzione pecuniaria, perché, avendo l’imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più favorevole rispetto all’altra più rigorosa indicazione della norma, è sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente.
 
 
(dich. inamm. il ricorso avverso sentenza del Tribunale di Benevento in data 23/09/2013) Pres. RAMACCI, Rel. ANDREAZZA, Ric. Fusco 
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 10/03/2016 (ud. 20/01/2016) Sentenza n.9940

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 10/03/2016 (ud. 20/01/2016) Sentenza n.9940
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta da
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da: Fusco Carmine, n. a Torrecuso il 22/02/1969;
– avverso la sentenza del Tribunale di Benevento in data 23/09/2013;
– udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
– udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura,tore generale M. Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità;
– udite le conclusioni del Difensore, Avv. c. Cancellario, che ha concluso per l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO
 
1. Fusco, Carmine ha proposto ricorso nei confronti della sentenza del Tribunale di Benevento che, in data 23/09/2013, lo ha condannato per il reato di cui all’art. 256, comma 1, del d. lgs. n. 152 del 2006 per avere effettuato lo smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali.
 
2. Con un primo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 256, comma 1, cit. in relazione agli artt. 185 e 186 giacché il materiale riversato sul fondo condotto in affitto dall’imputato, rappresentato da terre e rocce da scavo non contaminate, deve ritenersi rientrare nella categoria del sottoprodotto e non del rifiuto, in particolare l’art. 185 consentendo l’utilizzo del suolo scavato in siti diversi da quelli in cui è stato ottenuto previe analisi chimiche che ne dimostrino la natura incontaminata. Inoltre, il comma 7 bis dell’art. 186 del d. lgs. n, 152 del 2006 estende l’impiego di terre e rocce da scavo anche agli interventi di miglioramento ambientale. Deduce infine, anche alla stregua della giurisprudenza secondo cui, ai fini della configurabilità del sottoprodotto, è essenziale la certezza oggettiva del reimpiego del materiale costituente sottoprodotto, che nel caso di specie è stato accertato il reimpiego del terreno su un fondo agricolo per lavori di miglioramento con l’impianto di un vigneto.
 
3. Con un secondo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art.256, comma 1, cit., non avendo il giudice indicato in modo chiaro quali elementi probatori siano riconducibili alla violazione contestata ed essendo stati accertati in giudizio la qualità di non rifiuto e il reimpiego del materiale – sottoprodotto per miglioramenti agropastorali.
 
4. Con un terzo motivo lamenta infine la violazione dell’art. 133 c.p. posto che gli elementi circa la gravità del reato e del danno cagionato e la personalità dell’imputato in ordine alla incensuratezza avrebbero dovuto portare ad una diversa determinazione della pena tenuto anche conto dell’ottemperanza alle prescrizioni imposte dall’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi; gli stessi elementi avrebbero dovuto condurre alla concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
5. I primi due motivi sono inammissibili.
 
Le censure formalmente ricondotte a violazione di legge e a difetto motivazionale muovono da un presupposto fattuale (ovvero la circostanza che il materiale scavato sarebbe stato utilizzato a fini di miglioramento ambientale) che dalla sentenza impugnata non emerge affatto; né il ricorrente richiama ai fini di un eventuale travisamento della prova, elementi istruttori da cui una tale circostanza sarebbe desumibile, restando dunque la stessa su un piano meramente fattuale e del tutto unilateralmente enunciata.
 
Ed anzi, a ben vedere, un tale assunto parrebbe trovare una implicita smentita nel fatto che, come emerge dalla sentenza, è stata, nella specie, adottata ordinanza di ripristino che, evidentemente, non avrebbe avuto ragion d’essere ove le terre da scavo fossero state effettivamente utilizzabili a fini di miglioramento del fondo agricolo.
 
Ne consegue dunque che, anche a volere ritenere attribuibile al materiale da risulta la natura di sottoprodotto, comunque condizionata, come costantemente enunciato da questa Corte, alla ricorrenza di una serie di adempimenti espressamente richiesti dalla legge (in tal senso, tra le tante, da ultimo, Sez. 3, n. 333028 del 01/07/2015, Giulivi, Rv. 264203; Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Buse, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504) e di cui nessun cenno viene fatto in ricorso, già solo per questo i motivi suddetti devono appunto reputarsi inammissibili: restano infatti estranei all’orizzonte cognitivo della Corte accertamenti in fatto che si risolvano nella invocazione dell’ennesimo giudizio di merito.
 
6. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
 
Quanto al primo profilo invocato, attinente al preteso non corretto esercizio di esplicazione dei criteri utilizzati per la determinazione della pena, va ribadito che quando per la violazione ascritta all’imputato sia prevista alternativamente la pena dell’arresto e quella dell’ammenda, il giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali ha applicato la misura massima della sanzione pecuniaria, perché, avendo l’imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più favorevole rispetto all’altra più rigorosa indicazione della norma, è sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, ben potendo esaurirsi tale motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente (da ultimo Sez. 3, n. 37867 del 18/06/2015, Di Santo, Rv. 264726).
Nella specie, la sentenza impugnata ha determinato, a fronte di pena edittale prevista, alternativamente, in quella da tre mesi ad un anno di arresto e da 2.600 a 26.000 euro di ammenda, la pena pecuniaria di euro 5.000 muovendo da una pena base di euro 7.000: ne consegue, alla luce del principio appena ricordato, la assoluta esaustività del richiamo agli elementi di cui all’art. 133 c.p..
 
6.1. Quanto al secondo profilo, riguardante la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. ritenuta illegittima alla luce dell’ottemperanza alle prescrizioni imposte dall’ordinanza di ripristino, va in primo luogo rilevato che non risulta (né il ricorrente deduce alcunché sul punto) che tale circostanza sia stata chiesta in sede di conclusioni del giudizio di primo grado (la sentenza non riporta infatti tale richiesta tra quelle del Difensore) sicché nessun obbligo aveva il giudice di primo grado di motivare sul punto e nessuna doglianza può oggi essere avanzata in sede di legittimità.
 
In ogni caso, anche a volere ritenere diversamente, è proprio la ragione evidenziata in ricorso a rivelare, al contrario, la correttezza, comunque, di una soluzione negativa: la circostanza in oggetto richiede infatti, tra i suoi necessari presupposti, la spontanea attivazione idonea ad elidere o attenuare le conseguenze del reato, tale invece non essendo una condotta posta in essere, come nella specie, solo a seguito di ordinanza della pubblica autorità amministrativa (cfr., sia pure con riferimento ai reati edilizi, Sez. 3, n. 41518 del 22/10/2010, Bove, Rv. 248745; Sez. 3, n. 29991 del 13/07/2011, Crisà, Rv. 251025).
 
7. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di denaro di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
 
 
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2016
 
 

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