Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 17823 | Data di udienza: 17 Gennaio 2012

RIFIUTI – Materiali provenienti da demolizioni – Assoggettamento a disposizioni più favorevoli – Limiti – Demolizione di edifici e scavi di cantiere – Materiali di risulta – Materiale sottoposto ad attività di recupero – Condizioni – (Terza) definizione di “sottoprodotto” – Presupposti – Artt.181, c. 6-13, 183, lett. n), 184 c.3° lett. b) e 256, 2° c., D.Lgs. n. 152/2006 – Art. 12, c.1, D.Lgs. n. 205/2010, oggi art. 184-bis D.Lgs. n. 152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 11 Maggio 2012
Numero: 17823
Data di udienza: 17 Gennaio 2012
Presidente: Teresi
Estensore: Fiale


Premassima

RIFIUTI – Materiali provenienti da demolizioni – Assoggettamento a disposizioni più favorevoli – Limiti – Demolizione di edifici e scavi di cantiere – Materiali di risulta – Materiale sottoposto ad attività di recupero – Condizioni – (Terza) definizione di “sottoprodotto” – Presupposti – Artt.181, c. 6-13, 183, lett. n), 184 c.3° lett. b) e 256, 2° c., D.Lgs. n. 152/2006 – Art. 12, c.1, D.Lgs. n. 205/2010, oggi art. 184-bis D.Lgs. n. 152/2006.



Massima

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 11 maggio 2012 (Ud. 17/01/2012)  Sentenza n. 17823 

RIFIUTI –  Materiali provenienti da demolizioni – Assoggettamento a disposizioni più favorevoli  – Limiti – Artt. 184 c.3° lett. b) e 256, 2° c., D.Lgs. n. 152/2006.
 
I materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all’abbandono. L’eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi. L’eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti presupposti previsti dalla legge (Cass. sentenza 29.4.2011, n. 16727). 

(conferma sentenza n. 379/2009 TRIBUNALE di LAGONEGRO, del 06/04/2011) Pres. Teresi, Est. Fiale, Ric. Celano
 
 
RIFIUTI – Demolizione di edifici e scavi di cantiere – Materiali di risulta – Materiale sottoposto ad attività di recupero – Condizioni – Artt. 181, c. 6-13 e 183, lett. n), D.Lgs. n. 152/2006.
 
I materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati “sottoprodotti”, ai sensi dell’art. 183, lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006, soltanto a condizione che: il loro utilizzo sia certo e avvenga direttamente ad opera dell’azienda che li produce; gli stessi materiali non vengano sottoposti a trasformazioni preliminari. L’art. 39, comma 3, del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205, che ha rinnovato ed innovato la disposizione dell’art. 184 quater del D.Lgs. n. 152/2006, restando superata la definizione di materia prima secondaria a fronte di una chiara fissazione delle condizioni che, ove sussistenti, fanno cessare, per un materiale sottoposto ad attività di recupero, la qualità di rifiuto. Presupposti essenziali sono da individuarsi, in ogni caso: – nella sottoposizione dei rifiuto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo; – nella sussistenza di un mercato e di una domanda del – materiale recuperato (con conseguente attribuzione di un valore economico) e nella riammissione dello stesso in un ciclo – produttivo tipico; – nella rispondenza dei materiale recuperato a requisiti tecnici – e standard specifici;  – nella insussistenza di impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana.

(conferma sentenza n. 379/2009 TRIBUNALE di LAGONEGRO, del 06/04/2011) Pres. Teresi, Est. Fiale, Ric. Celano
 
 
RIFIUTI – (Terza) definizione di “sottoprodotto” – Presupposti – Art. 12, c.1, D.Lgs. n. 205/2010, oggi art. 184-bis D.Lgs. n. 152/2006.
 
In relazione alla (terza) definizione di “sottoprodotto” posta dall’attuale art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (aggiunto dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205) va rilevato che l’utilizzo del materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo fino dai momento della sua produzione.
 
(conferma sentenza n. 379/2009 TRIBUNALE di LAGONEGRO, del 06/04/2011) Pres. Teresi, Est. Fiale, Ric. Celano

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 11 maggio 2012 (Ud. 17/01/2012) Sentenza n. 17823

SENTENZA

 

 

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli lll.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
Dott. ALFREDO TERESI                   – Presidente
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI            – Consigliere
Dott. ALDO FIALE                              – Consigliere rel.
Dott. LUCA RAMACCI                  – Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da CELANO ANTONIO SANTINO N. IL 01/11/1957
– avverso la sentenza n. 379/2009 TRIBUNALE di LAGONEGRO, del 06/04/2011
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.Giuseppe Volpe che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, il difensore, Avv.to Vincenzo Viceconte, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
Il Tribunale di Lagonegro, con sentenza del 6.4.2011, ha affermato la responsabilità penale di Celano Antonio Santino in ordine al reato di cui:
– all’art. 256, 2° comma, del D.Lgs. n. 152/2006, (per avere – nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. “Epo Edil” – abbandonato, in un fondo ove detta società stava edificando un deposito agricolo, rifiuti speciali non pericolosi – acc. in Episcopia, il 31.1.2007) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo hacondannato alla pena di euro 1.800,00 di ammenda.
 
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Celano, il quale – sotto il profilo del vizio di motivazione – ha eccepito:
– la erronea qualificazione come “rifiuti” dei materiali rinvenuti dai verbalizzanti, poiché l’area in cui essi erano stati depositati era interessata da un cantiere edilizio per la costruzione di un deposito agricolo e gli stessi consistevano in residui da demolizione destinati al reimpiego per l’esecuzione delle opere in corso.
 
Si tratterebbe, dunque, di “materia prima secondaria” anche in base alle disposizioni contenute nell’allegato “C” della circolare n. 5205 del Ministero dell’ambiente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 25.72005 (secondo le conclusioni formulate dal consulente tecnico della  difesa), con percentuale dei materiali diversi dal pietrame molto inferiore all’1%.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
 
1. Deve evidenziarsi, anzitutto, che – nella fattispecie in esame – i verbalizzanti hanno riscontrato l’ammasso alla rinfusa, nell’area di cantiere, di circa 200 mc. non soltanto di pietrame proveniente da demolizione ma anche di materiali consistenti in residui di impianti igienico-sanitari e di impianti elettrici divelti, frammisti ad elementi ferrosi e legnosi vari e pure ad indumenti dismessi e pneumatici usurati.
 
2. Ai sensi dell’art. 184, 3° comma – lett. b), del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 – sono rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione …”.
 
In relazione ai residui delle attività di demolizioni edili e del loro reimpiego, questa Sezione:
– in alcune decisioni ha ritenuto possibile il loro riutilizzo, nello stesso od in diverso ciclo produttivo, solo quale attività di recupero (così Cass., Sez. III: 9.7.2004, n. 30127, Piacentino; 15.6.2005, n. 22511, Venticinque);
– con le sentenze 9.10.2006, n. 33882, Barbati; 12.12.2006, n. 40445, Bisogno; 5.4.2007, n. 14185, Brugnera, ha rilevato che il materiale proveniente da demolizioni non può qualificarsi “materia prima secondaria”, ai sensi dell’art. 181, commi 6 e 13, del D.Lgs. n. 152/2006;
– con la sentenza 7.4.2008, n. 14323, ha affermato il principio secondo il quale i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati “sottoprodotti”, ai sensi dell’art. 183, lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006, soltanto a condizione che:
– il loro utilizzo sia certo e avvenga direttamente ad opera dell’azienda che li produce;
– gli stessi materiali non vengano sottoposti a trasformazioni preliminari;
– l’utilizzazione non comporti condizioni peggiorative per l’ambiente o aa salute;
– con la sentenza 29.4.2011, n. 16727 ha recentemente ribadito che i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all’abbandono; l’eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi. L’eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti presupposti  previsti dalla legge.
  
3. Nella vicenda in esame i residui in oggetto non possono essere considerati “materia prima secondaria” secondo la disciplina progressivamente vigente a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006.
 
3.1 L’art. 181, comma 6, di tale D.Lgs. (nella formulazione originaria) prevedeva la possibilità di ottenere materie preme secondarie attraverso attività di recupero – in attesa dell’emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio – rinviando alle disposizioni previste dal D.M. 5.2.1998 e disponendo che materie siffatte fossero sottoposte al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, purché avessero le caratteristiche indicate da quei decreto ministeriale e fossero “direttamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo”.
 
Nella vicenda che ci occupa la previsione normativa in oggetto non è applicabile, poiché non risulta che gli eterogenei materiali rinvenuti fossero direttamente destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo. Essi, inoltre, non costituivano il risultato di una operazione di recupero giunta al suo completamento, – come richiesto dal comma 12 dell’originario art. 181.
 
3.2 Il .D.Lgs. 16.1.2008, n, 4 ha modificato l’art. 181 (il cui testo è stato sostituito, da ultimo, dall’art. 7 del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205) e nell’art. 181-bis, di nuova introduzione, aveva fissato requisiti e condizioni che dovevano sussistere perché un materiale potesse essere considerato non un rifiuto ma una materia prima secondaria.
 
Alla stregua di quella normativa:
– doveva trattarsi di materie e sostanze prodotte da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
– dovevano essere individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si potessero produrre;
– dovevano essere individuate le operazioni pii riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producevano, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;
– dovevano essere precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto;
– le materie e sostanze dovevano avere un effettivo valore economico di scambio sul mercato.
 
Anche in relazione a tali disposizioni i materiali in oggetto non potevano essere considerati materia prima secondaria, già sul rilievo che essi non risultavano prodotti “da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifui”.
 
3.3 L’art. 181-bis é stato poi abrogato dall’art. 39, comma 3, del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205, che ha rinnovato ed innovato la disposizione dell’art. 184 quater, restando superata la definizione di materia prima secondaria a fronte di una chiara fissazione delle condizioni che, ove sussistenti, fanno cessare, per un materiale sottoposto ad attività di recupero, la qualità di rifiuto.
 
Presupposti essenziali sono da individuarsi, in ogni caso:
– nella sottoposizione dei rifiuto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo;
– nella sussistenza di un mercato e di una domanda del -materiale recuperato (con conseguente attribuzione di un valore economico) e nella riammissione dello stesso in un ciclo – produttivo tipico;
– nella rispondenza dei materiale recuperato a requisiti tecnici – e standard specifici; 
– nella insussistenza di impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana.
 
In relazione al regime attualmente vigente non risulta effettuata – nella vicenda che ci occupa – alcuna attività di recupero (da condursi nel rispetto di quanto previsto dai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 162 e 17 novembre 2005, n. 269), neppure rivolta alla mera verifica della sussistenza dei presupposti dianzi indicati da parte di un soggetto autorizzato a compiere le operazioni di recupero.
 
4. Per completezza espositiva appare opportuno evidenziare che i residui in oggetto neppure appaiono riconducibili al regime eccettuato previsto per i “sottoprodotti”.
 
L’art. 183, comma 1- lett. n), del D.L..gs n.152/06, nella formulazione originaria, definiva sottoprodotti “i prodotti dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo”, precisando che non erano soggetti alle disposizioni della parte quarta i sottoprodotti “impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per i impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo” e che “l’utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa -e non eventuale”.
 
L’art. 183, comma 1- lett. p), del D.Lgs n.152/06 [come riscritto dall’art. 2, comma 20, del D.Lgs. n. 4/2008] qualificava come sottoprodotti “le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) íl loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integre e avvenga direttamente ciel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato”.
 
Alla stregua di entrambe le definizioni fissate dalla normativa anzidetta a non risulta dimostrato, nella vicenda che ci occupa, (ad esempio, attraverso specifica ed espressa previsione nel progetto autorizzato con il titolo abilitativo edilizio) – che i residui da demolizione fossero destinati, sin dalla fase della loro produzione, al preventivamente individuato integrale riutilizzo per riedificazione, senza trasformazioni preliminari e senza compromissione della qualità ambientale.
 
In relazione poi alla (terza) definizione di “sottoprodotto” posta dall’attuale art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (aggiunto dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205) va rilevato che l’utilizzo del materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo fino dai momento della sua produzione, mentre nella specie in esame non é dimostrata una preventiva organizzazione alla riutilizzazione, configurandosi piuttosto un utilizzo meramente eventuale e non integrale degli eterogenei materiali rinvenuti nel cantiere conseguente ad un’attività di produttore non industriale rivolta sostanzialmente a disfarsi degli stessi.
 
5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000/00.
 
P.Q.M.
 
la Corte Suprema di Cassazione
 
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali ed al versamento 
 
della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
 
ROMA, 17.1.2012
 

 

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