CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 12/01/2012 (Ud. 24/11/2011) Sentenza n. 649
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dai sigg. magistrati:
Dott Ciro Petti – Consigliere
Dott. Alfredo Teresi – Consigliere
Dott Silvio Amoresano – Consigliere
Dott. Santi Gazzara – Consigliere
Dott Alessandro Andronio – Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto nei confronti di:
1) Marrocolo Eraldo, nato ad Orvieto il 4 agosto del 1949;
2) Ravanelli Marco, nato a Roma il 20 aprile del 1964;
3) Frellicca Amilcare, nato ad Orvieto il 5 ottobre del 1974;
4) Sebastiani Caterina, nata a Gubbio il 16 giugno del 1954, avverso la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare presso il tribunale di Orvieto del 2 dicembre dei 2010;
– Udita la relazione svolta dal presidente dott. Ciro Petti;
– sentito il procuratore generale nella persona del dott. Nicola Lettieri, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
– udito i, difensori avv.ti Luca Giardini e Ranchino Angelo, i quali hanno concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Orvieto,con sentenza del 2 dicembre del 2010, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Marrocolo Eraldo, Ravanelli Marco, in ordine ai reati loro ascritti in rubrica, con la formula “perché il fatto non costituisce reato” nonché nei confronti di Frelicca Amilcare e Sebastiani Caterina in ordine al delitto loro ascritto al capo e) con la formula ” perché il fatto non costituisce reato”.
Agli imputati si erano addebitati i seguenti reati:
a) la contravvenzione di cui all’art. 44 lett. c) del D.P.R. 380/2001, per avere, il Marrocolo Eraldo, nella qualità di proprietario e di titolare del permesso di costruire, Carletti Bernardo di progettista e direttore dei lavori, Frellicca Amilcare di responsabile del procedimento e cofirmatario del permesso di costruire n. 120 del 12.4. 2007, edificato l’immobile oggetto del permesso in contrasto con le norme urbanistiche e segnatamente con l’art. 115 comma 5 NTA ,il quale per la zona E5 del Comune di Orvieto, prescrive la possibilità di effettuare una modifica di destinazione d’uso per mq. 100,00 mentre quella effettuata é di mq. 168,65 ed in contrasto anche con la normativa statale che consente il cambio di destinazione d’uso per destinazioni omogenee senza permesso di costruire mentre, nella fattispecie, il piano terra era destinato ad annessi rustici (fienile, stalla, magazzino, ripostiglio, locale di sgombro e cucina con disimpegno e non a destinazione residenziale), nonché per avere proceduto anche alla demolizione di un annesso rustico ed un incremento dei piani abitabili e quindi della superficie utile e della cubatura mediante uno spostamento delle quote dei solai di calpestio con conseguente radicale cambiamento della facciata nella distribuzione delle aperture; con escavazione ed eliminazione della parte del terreno della « rupe » vicino al fabbricato per creare un parcheggio e con la realizzazione di un edificio con sagoma diversa dall’originaria; il tutto, in concorso con Carletti Bernardo, Frellicca Amilcare, e Sebastiani Caterina nelle rispettive qualità e inoltre per avere consentito l’esecuzione di estesi movimenti di terra vietati ai sensi dell’art. 56 NTA, effettuati intorno all’immobile, che, in precedenza, si presentava addossato al pendio (terreno intorno alla “Rupe di Orvieto”), isolando il fabbricato dal terreno circostante ed abbassando il piano di campagna;
b) la contravvenzione di cui all’art. 734 c.p, per avere il Marrocolo ed il Carletti, nelle rispettive qualifiche di cui al capo a), e Sebastiani Caterina,quale responsabile del Settore Urbanistico – paesaggistico, effettuato la costruzione di cui al capo a) con autorizzazione paesistica n. 7/0385 del 24.5.1986, distruggendo ed alterando le bellezze naturali del luogo ed in particolare la « Rupe di Orvieto » in una zona vincolata in cui non esistono altre costruzioni ed in cui gli interventi devono servire solo per il recupero degli immobili esistenti;
c) del reato p. e p. dall’art. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001, per avere il Ravanelli titolare del permesso di costruire n. 152 del 7.5.2007, Magnabene Gianfranco, in qualità di direttore dei lavori e progettista, e Frellicca Amilcare di funzionario responsabile del procedimento, edificato l’immobile di cui al citato atto in maniera illegittima, in quanto eseguito in contrasto con l’art.115 comma 5 NTA del Comune di Orvieto e con la normativa nazionale e regionale (Legge .n. 11/05 art. 35), perché effettuava una pretesa ristrutturazione filologica funzionale di un rudere per il quale non era consentita alcuna ristrutturazione (edilizia o urbanistica), ma solo una nuova costruzione, esclusa per la zona E5 (Orvieto-Selciata);
d) del reato p. e p. dall’art. 734 c.p., per avere Ravanelli e Magnabene nella qualità di cui al punto c), e Sebastiani Caterina, quale responsabile del Settore Urbanistico-paesaggistico, effettuato, in zona vincolata, la costruzione di cui al capo c) con autorizzazione paesaggistica n. 07/0190 del 14.3.2007, rilasciata dal Comune di Orvieto, distruggendo ed alterando le bellezze naturali del luogo ed in particolare la « Rupe di Orvieto », in zona in cui non esistono altre costruzioni ed in cui gli interventi servono solo per il recupero degli immobili esistenti.
In Orvieto con costruzione in atto il 12.1.2009.
e) del reato p. e p. dall’art 323 c.p, perché, Frellicca Amilacare e Sebastiani Caterina, il primo nella qualità di responsabile del procedimento per il settore urbanistico e la seconda, per il settore paesaggistico, nello svolgimento delle loro funzioni, istruivano dette pratiche per procurare ai titolari del permesso di costruire un ingiusto vantaggio patrimoniale con varie violazioni di legge e di regolamento e di N.T.A già evidenziate nelle altre imputazioni, nonché per aver istruito la pratica edilizia diretta al rilascio del permesso di costruire, di cui è titolare la IASFO Consulting s.r.l., per la pretesa ricostruzione filologica di un rudere, senza effettuare alcuna indagine e senza richiedere idonea documentazione in parte prodotta in sede giudiziaria e per aver consentito, nella pratica edilizia nr. 120/07, l’esecuzione di notevoli movimenti di terra e scavi tali da intaccare la vegetazione ed il terreno prossimo alla “Rupe di Orvieto”, permettendo di effettuare l’isolamento dell’immobile e la creazione di un’area parcheggio in modo da modificare pure la viabilità. In Orvieto il 12.4.2007 per il p.d.c. n. 120/07 ed il 7.5.2007 per il p.d c. n 152/07.
A fondamento della decisione il giudice osservava:
a) che, mentre il contrasto dei permessi di costruire con la normativa urbanistica avrebbe meritato un adeguato vaglio dibattimentale, alcune posizioni potevano già trovare adeguata definizione per la mancanza di colpa e più precisamente poteva essere definita la posizione dei proprietari e titolari dei permessi di costruire Marrocolo Eraldo e Marco Ravanelli, i quali avevano chiesto ed ottenuto il permesso di costruire dopo essersi rivolti a qualificati professionisti ed avevano fatto affidamento su un parere preventivo rilasciato dal Comune di Orvieto nel 2002;
b) che, quanto alla contravvenzione di cui all’articolo734 c.p., la conformità dell’opera all’autorizzazione amministrativa elideva il disvalore dell’azione, posto che l’autorizzazione non risultava essere frutto di collusione;
c) che, anche per il delitto di abuso d’ufficio, era insussistente l’elemento psicologico, il quale implica l’esistenza di un rapporto collusivo tra privato e pubblico ufficiale, rapporto collusivo che nel caso in esame non era stato prospettato.
Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto deducendo:
1) la violazione dell’articolo 44 lettera c) del D.P.R. n 380 del 2001 perché non si era tenuto conto della decisione di questa sezione n. 35390 del 2010 che, recependo l’interpretazione delle norme urbanistiche prospettate dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Orvieto, aveva ritenuto configurabile il reato;
2) la violazione degli artt. 20, 23, 29, 52, da 64 a 67 del d..P.R.n. 380 del 2001 nonché della legge Regione Umbria n 1 del 2004 e del Regolamento Edilizio del Comune di Orvieto: assume che è la legge a richiedere in materia urbanistica l’intervento di professionisti qualificati; di conseguenza l’incarico loro conferito dai proprietari non può essere utilizzato come elemento idoneo a dimostrare la buona fede dei titolari del permesso di costruire;
3) la violazione dell’articolo734 c.p. perché il reato può essere integrato anche in presenza di un opera conforme all’autorizzazione amministrativa, perché le determinazioni dell’autorità amministrativa non vincolano il giudice penale e non è richiesta per la configurabilità del reato l’enormità dell’alterazione,che, peraltro, nella fattispecie era sussistente, posto che era stato eliminato una parte del terreno della “Rupe” per costruire un parcheggio;
4) la violazione dell’articolo 323 c.p. perché tale reato non può essere escluso solo perché non è stata ipotizzata la collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale come sostenuto dal giudice
dell’udienza preliminare, in quanto esso è configurabile pur in assenza di un accordo collusivo con il privato; mancando la contestazione della collusione, la prova del dolo intenzionale può desumersi dalla macroscopicità della violazione urbanistica, dai rapporti tra pubblico ufficiale ed il privato, dalla mancanza di adeguata istruzione della pratica, ecc;
5) violazione ed erronea applicazione degli arti 43 e 5 c.p. e mancanza ed illogicità della motivazione sul punto, in quanto, per escludere la colpa, non è sufficiente l’incarico conferito a professionisti qualificati, come ritenuto dal giudice dell’udienza preliminare, avuto anche riguardo al fatto che la ricostruzione di un ” rudere” non è intervento di ristrutturazione, ma costituisce nuova costruzione e, quanto al delitto di abuso d’ufficio, l’inosservanza del dovere di compiere adeguata istruttoria diretta ad accertare la sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio del permesso di costruire è elemento idoneo ad integrare il reato sotto il profilo soggettivo ed oggettivo. Ad abundantiam il ricorrente rileva che nella fattispecie non sarebbe neppure configurabile un errore scusabile, tema questo peraltro non trattato nella sentenza impugnata.
Resistevano al ricorso con memoria gli imputati Ravanelli Marco, Frelicca Amilcare e Sebastiani Caterina chiedendone il rigetto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto perché fondato.
Per dimostrarne la fondatezza, non è neppure necessario procedere ad un esame analitico dei vari motivi addotti a sostegno dell’impugnazione potendo gli stessi essere esaminati globalmente, in quanto le incoerenze motivazionali e le violazioni di legge denunciate emergono, in maniera palese, dallo stesso contenuto della sentenza impugnata.
Occorre solo premettere e ribadire che, pur dopo le modifiche all’articolo 425 c.p.p. introdotte con la legge n 479 del 1999, al giudice dell’udienza preliminare continua ad essere riservato un giudizio meramente prognostico sugli sviluppi del dibattimento, nel senso che deve prosciogliere l’imputato allorché l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi acquisiti sia insuscettibile di essere sanata nel giudizio. In definitiva le modificazioni apportate all’articolo 425 c.p.p., pur tendendo a rendere effettiva la funzione di filtro dell’udienza preliminare, non hanno comunque alterato le caratteristiche della sentenza di non luogo a procedere, che continua ad essere una
sentenza meramente processuale ,che accerta soltanto la necessità o meno di passare alla fase dibattimentale.
Nella fattispecie in esame il giudice dell’udienza preliminare, pur non contestando il principio dianzi evidenziato, ha esordito affermando che, mentre la sussistenza del contrasto dei permessi di costruire con le norme urbanistiche avrebbe meritato un adeguato vaglio dibattimentale, alcune posizioni e segnatamente quelle dei due titolari del permesso di costruire potevano essere definite essendo palese la mancanza di colpa. In definitiva, secondo il giudice dell’udienza preliminare, nella fattispecie si poteva escludere la colpa senza esaminare l’elemento oggettivo della contravvenzione. Il metodo utilizzato dal giudice per risolvere il problema rivela di per sé la propria incoerenza, giacché non si può escludere l’elemento psicologico del reato, sia esso dolo o colpa, se non si esamina prima la condotta. Invero, essendo l’elemento soggettivo del reato costituito da un fatto psichico interno all’agente, per ricostruirlo è necessario fare ricorso a massime di esperienza che consentano di desumerlo da elementi esterni direttamente accessibili e riscontrabili. Ora, poiché l’elemento soggettivo del reato si trasfonde nel fatto nel momento attuativo dello stesso e si manifesta nel fatto stesso, la base dell’accertamento va ravvisata nelle modalità della condotta e delle circostanze che la precedono accompagnano e seguono. Di conseguenza, salvo casi eccezionali, non ricorrenti nella fattispecie e difficilmente riscontrabili nella prassi giudiziaria, non si può affermare o escludere l’elemento soggettivo del reato se non si esamina prima quello oggettivo. Nell’abuso d’ufficio connesso al rilascio di un permesso edilizio ritenuto illegittimo e nei reati edilizi compiuti in esecuzione di tale permesso,uno degli elementi dai quali desumere l’intenzionalità del dolo o la colpa è costituito appunto dall’analisi del contrasto del permesso di costruire con la norma urbanistica nel senso che, quanto più è palese o macroscopico tale contrasto, tanto più è evidente la ricorrenza dell’elemento psicologico del reato.
Nella fattispecie l’impossibilità di escludere l’elemento psicologico del reato senza esaminare la condotta si desume dall’inconsistenza degli elementi che il giudice del merito ha addotto a sostegno della propria tesi.
Per dimostrare l’insussistenza della colpa nei reati edilizi il giudice ha richiamato due elementi: il primo è costituito dal fatto che i proprietari titolari del permesso di costruire si erano rivolti a professionisti qualificati per l’istruzione della pratica. Il secondo è costituito da un parere preventivo rilasciato dalla stessa pubblica amministrazione.
Orbene, il primo elemento, come riconosciuto dagli stessi difensori, è palesemente inconsistente perché colui il quale intende realizzare una costruzione deve necessariamente rivolgersi a professionisti qualificati per la redazione del progetto e per l’assistenza tecnica nella realizzazione dell’opera. Anzi, sovente, è proprio il professionista che suggerisce all’interessato lo strumento per eludere i vincoli imposti dalla legge.
Più suggestivo è il secondo elemento, giacché il parere preventivo rilasciato dalla pubblica amministrazione sulla legittimità di una costruzione, salvo ipotesi di collusione, è indubbiamente astrattamente idoneo a dimostrare la buona fede del contravventore. Ma nella fattispecie è proprio dalla richiesta del parere e dal contenuto del parere stesso che il giudice avrebbe dovuto trarre elementi che giustificavano gli approfondimenti dibattimentali.
Dai documenti anzidetti, che il collegio ha potuto esaminare perché allegati al ricorso, emerge che la dante causa del Ravanelli, nel 2002, assumendo che l’edificio di cui era proprietaria aveva allora (nel 2002) subito un crollo parziale, il quale comunque consentiva di individuare la sagoma e l’altezza dell’immobile, aveva chiesto di sapere se il manufatto poteva essere ricostruito con il recupero delle volumetrie originarie. Il dirigente del settore le aveva comunicato che, secondo la commissione edilizia, l’edificio poteva essere ricostruito nel rispetto della volumetria precedente con un eventuale incremento di essa in misura non superiore al 5 % senza però alcun ampliamento. Quel parere è stato quindi rilasciato sulla premessa che si trattava di ricostruire un immobile già esistente e definito quanto alla sagoma e ai volumi, che aveva allora (nel 2002) subito un crollo parziale. Nell’esposizione del fatto contenuta nella memoria presentata nell’interesse del Ravanelli,si precisa che la ricostruzione era stata chiesta nel 2007 a seguito di un crollo parziale che l’edificio aveva subito per effetto del terremoto del 2007 che aveva interessato la regione Umbria. Orbene, a parte pure il rilievo che i costruttori non si sono adeguati al parere espresso nel 2002, posto che,stando almeno alla contestazione, la volumetria dell’immobile originario era stata incrementata in misura notevolmente superiore al 5% menzionato nel citato parere e che si era verificata, per altro verso, una notevole modificazione della destinazione d’uso immobile originario, si rileva che i costruttori, avendo appreso per mezzo del citato parere preventivo del 2002 che era possibile ricostruire un manufatto parzialmente crollato, nel rispetto della sagoma preesistente, nella domanda per il rilascio del permesso di costruire hanno lasciato intendere che quel manufatto era crollato nel 2007 , in contrasto con quanto esposto nella richiesta di parere del 2002, allorché si era esposto che il crollo, peraltro parziale, era avvenuto nel 2002. Il giudice dell’udienza preliminare, non avendo esaminato la condotta, non è stato in grado di precisare né l’epoca del crollo né la situazione fattuale del manufatto al momento del rilascio del permesso di costruire. Invece tale accertamento era fondamentale al fine di affermare o escludere sia l’elemento oggettivo che soggettivo del reato perché occorreva accertare se si fosse in presenza di un immobile parzialmente diruto, per effetto di eventi straordinari, ma del quale era però possibile definite la sagoma ed il volume, o di un vero e proprio rudere del quale non era possibile ricostruire l’originaria consistenza . Qualora fosse emerso che l’immobile era crollato per la vetustà del tempo e non per eventi straordinari e che si era fatto artificiosamente riferimento al crollo parziale ed alla reale possibilità di definire la consistenza originaria del manufatto per sostenere che trattavasi di una ristrutturazione, ancorché pesante, e non di una nuova costruzione, sarebbe stato evidente, non solo l’elemento soggettivo delle contravvenzioni, ma anche l’intenzionalità del dolo nel delitto di abuso d’ufficio, posto che ai pubblici ufficiali si era addebitato proprio il fatto di non avere istruito la pratica per non fare risultare la reale consistenza del manufatto da ricostruire.
Appare quindi evidente che nel caso in esame non si poteva escludere l’elemento soggettivo delle contravvenzioni edilizie, se non si fossero prima accertati la natura del contrasto dell’immobile con le norme urbanistiche ed il comportamento tenuto dai proprietari nella rappresentazione della situazione del manufatto prima della richiesta del permesso di costruire.
Per quanto concerne l’abuso d’ufficio, l’elemento soggettivo del reato è stato escluso solo perché non si era contestata la collusione tra i pubblici ufficiali ed i privati. In proposito si osserva che il dolo intenzionale del delitto di abuso d’ufficio può desumersi, non solo dal rapporto collusivo al quale ha fatto riferimento il giudice del merito, ma anche da una serie di altri indizi diversi dal rapporto collusivo, quali ad esempio: la natura dell’illegittimità dell’atto, i rapporti tra il pubblico ufficiale ed il privato, la mancanza di una doverosa istruttoria della pratica. Nel caso in esame nella contestazione si era, come già accennato, tra l’altro, addebitato ai pubblici ufficiali proprio di non avere svolto alcuna indagine per accertare la reale consistenza dell’immobile al momento della richiesta del permesso di costruire, indagine che nel caso in esame era doverosa per le considerazioni prima esposte.
Le stesse considerazioni valgono anche per il reato di cui all’articolo 734 c.p., perché anche in tal caso il giudice ha ritenuto la buona fede dei contravventori per il semplice fatto che agli stessi era stata rilasciato un’autorizzazione amministrativa per l’esecuzione delle opere senza porsi il problema della legittimità di tale autorizzazione e senza analizzare il comportamento delle parti.
Se quell’autorizzazione fosse stata rilasciata sulla base di una premessa fattuale non rispondente alla realtà, in ordine all’effettiva consistenza dell’immobile diruto, sarebbe stata evidente la sua irrilevanza e la mala fede dei contravventori anche per tale reato.
Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata con rinvio al tribunale di Orvieto per un nuovo esame. Il giudice del rinvio dovrà tenere conto dei principi dianzi esposti ossia del fatto che nel caso in esame non si può escludere l’elemento soggettivo dei reati se non si analizza prima il contestato contrasto con le norme urbanistiche e non si accertino i comportamenti tenuti dalle parti in relazione alla rappresentazione fattuale del manufatto da ricostruire ed in relazione all’omesso espletamento, da parte dei pubblici ufficiali, dell’istruttoria necessaria per accertare la reale consistenza del manufatto da ristrutturare.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l’articolo 625 c.p.p.
Annulla
la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Orvieto per un nuovo esame
Così deciso in Roma il 24 novembre del 2011.