Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Danno ambientale,
Legittimazione processuale,
Rifiuti
Numero: 36818 |
Data di udienza: 14 Giugno 2011
DANNO AMBIENTALE – Configurabilità oggettiva del danno ambientale – Incremento dell’inquinamento – Criterio principale di risarcimento del danno ambientale – Riparazione del danno – Giudizi in corso – Applicazione – Risarcimento per equivalente patrimoniale – Criterio residuale – Artt. 300 303 e 311, d.lgs. n. 152/2006 – Art. 2058 c.c. – Azione risarcitoria – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Esercizio dell’azione civile nel processo penale – Soggetto legittimato ad causam – Artt. 76, 100, 102 e 122 c.p.p. – D.lgs. n. 152/2006 – RIFIUTI – Stoccaggio dei rifiuti – Conferimento disordinato in discarica – Obbligatorietà di partizioni interne alla discarica – Responsabilità penale – Configurabilità – Fattispecie – Insufficienza del solo esame visivo per verificare la natura dei rifiuti conferiti – Art. 1, c.3, D.M. n. 141/1998
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Ottobre 2011
Numero: 36818
Data di udienza: 14 Giugno 2011
Presidente: Petti
Estensore: Andronio
Premassima
DANNO AMBIENTALE – Configurabilità oggettiva del danno ambientale – Incremento dell’inquinamento – Criterio principale di risarcimento del danno ambientale – Riparazione del danno – Giudizi in corso – Applicazione – Risarcimento per equivalente patrimoniale – Criterio residuale – Artt. 300 303 e 311, d.lgs. n. 152/2006 – Art. 2058 c.c. – Azione risarcitoria – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Esercizio dell’azione civile nel processo penale – Soggetto legittimato ad causam – Artt. 76, 100, 102 e 122 c.p.p. – D.lgs. n. 152/2006 – RIFIUTI – Stoccaggio dei rifiuti – Conferimento disordinato in discarica – Obbligatorietà di partizioni interne alla discarica – Responsabilità penale – Configurabilità – Fattispecie – Insufficienza del solo esame visivo per verificare la natura dei rifiuti conferiti – Art. 1, c.3, D.M. n. 141/1998
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 12/10/2011 (Ud. 14/06/2011) Sentenza n. 36818
DANNO AMBIENTALE – Configurabilità oggettiva del danno ambientale – Incremento dell’inquinamento.
Ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale, è sufficiente l’incremento dell’inquinamento rispetto alle condizioni originarie e non il livello di inquinamento in senso assoluto.
(riforma sentenza n. 1183/2008 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 20/05/2010) Pres. Petti, Est. Andronio, Ric. Bonato
DANNO AMBIENTALE – Criterio principale di risarcimento del danno ambientale – Riparazione del danno – Giudizi in corso – Applicazione – Risarcimento per equivalente patrimoniale – Criterio residuale – Artt. 300 303 e 311, d.lgs. n. 152/2006 – Art. 2058 c.c..
In tema di danno ambientale, ai giudizi in corso si applica retroattivamente (art. 303, comma 1, lettera j) il principio secondo cui il responsabile «è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva» (art. 311, comma 2). Il criterio di riparazione del danno preferito dal legislatore è, dunque, quello ripristinatorio e non quello risarcitorio, da considerarsi residuale. A norma dello stesso art. 311, comma 2, infatti, nel solo caso in cui «l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale».
(riforma sentenza n. 1183/2008 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 20/05/2010) Pres. Petti, Est. Andronio, Ric. Bonato
LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – DANNO AMBIENTALE – Azione risarcitoria – Esercizio dell’azione civile nel processo penale – Soggetto legittimato ad causam – Artt. 76, 100, 102 e 122 c.p.p. – D.lgs. n. 152/2006.
La costituzione di parte civile ad opera del soggetto legittimato ad causam può avvenire personalmente o a mezzo di procuratore speciale, mediante conferimento a quest’ultimo del potere di promuovere l’azione risarcitoria in nome e per conto del danneggiato. È questa la “procura speciale” alla quale si riferiscono gli artt. 76 e 122 c.p.p.. Diversa, invece, è la procura speciale rilasciata ai sensi dell’art. 100 c.p.p., con la quale si affida il mandato difensivo. Ovviamente, è possibile conferire con un unico atto alla stessa persona sia la procura sostanziale che quella difensiva, investendola contemporaneamente sia della legitimatio ad causam che della rappresentanza processuale; ma, anche in tale ipotesi, le due procure rimangono distinte tra loro. Ciò posto, si osserva che il soggetto al quale il danneggiato dal reato abbia conferito procura speciale per la costituzione di parte civile non può delegare tale attività, salvo che la procura preveda espressamente una simile facoltà (Cass. Sez. V, 6/2/2005, n.11954). Al contrario, il difensore della parte civile, investito della rappresentanza tecnica, può nominare un sostituto anche se la procura alle liti rilasciatagli non contenga alcuna previsione al riguardo, derivandogli il relativo potere direttamente dall’art. 102 c.p.p.; e il sostituto ha facoltà di svolgere in dibattimento ogni attività e, quindi, anche di presentare le conclusioni, in luogo del sostituito, a prescindere dal fatto che questi si sia costituito anche parte civile come procuratore speciale della persona offesa (Cass. Sez. V, 7/3/1995, n. 3769). Infine, con riguardo all’esercizio dell’azione civile nel processo penale, occorre distinguere la legitimatio ad causam, che si identifica normalmente con la titolarità del diritto sostanziale in capo alla persona alla quale il reato ha cagionato un danno, e che è il presupposto per l’esercizio dell’azione civile, dalla “rappresentanza processuale”, in virtù della quale la parte civile non può difendersi da sola, ma deve intervenire in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale (Cass. Sez. VI, 2/02/2010, n. 15229; Cass. Sez. VI, 8/03/1994, n.6332).
(riforma sentenza n. 1183/2008 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 20/05/2010) Pres. Petti, Est. Andronio, Ric. Bonato
RIFIUTI – Stoccaggio dei rifiuti – Conferimento disordinato in discarica – Obbligatorietà di partizioni interne alla discarica – Responsabilità penale – Configurabilità – Fattispecie – Insufficienza del solo esame visivo per verificare la natura dei rifiuti conferiti – Art. 1, c.3, D.M. n. 141/1998.
L’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 11 marzo 1998, n. 141 (Regolamento recante norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione dei rifiuti pericolosi smaltiti in discarica), rende chiaro l’intento del legislatore di porre a carico del gestore un generale obbligo di controllo, da assolversi con tutti i mezzi idonei, e non limitato al solo aspetto visivo. Ne consegue, che non è sufficiente il mero controllo visivo dei rifiuti configurandosi la sussistenza della responsabilità penale. Fattispecie: smaltimento, rifiuti speciali tossici e nocivi e stoccaggio dei rifiuti.
(riforma sentenza n. 1183/2008 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 20/05/2010) Pres. Petti, Est. Andronio, Ric. Bonato
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 12/10/2011 (Ud. 14/06/2011) Sentenza n. 36818
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRO PETTI – Presidente
Dott. CLAUDIA SQUASSONI – Consigliere
Dott. MARIO GENTILE – Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da:
1) PROVINCIA DI TREVISO
2) DITTA F.lli BONATO DI SONATO ENZO E C. SNC
3) BONATO ENZO N. IL 15/11/1956 * C/
– Avverso la sentenza n. 1183/2008 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 20/05/2010
– Visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– Udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/06/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
– Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Tindari Baglione che ha concluso per i rigetto dei ricorsi dell’imputato e del responsabile civile; Rigetto del ricorso della parte civile, salvo che sul punto della correzione dell’errore materiale.
– Udito, per la parte civile, l’Avv. S.T.
– Udito il difensore Avv. M. L., per l’imputato e il responsabile civile
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 25 maggio 2010, la Corte d’appello di Venezia, su ricorso della parte civile, ha riformato la sentenza del tribunale di Treviso del 5 aprile 2006 – con la quale l’imputato era stato assolto perché il fatto non costituisce reato – riconoscendo sussistente la responsabilità dell’imputato stesso per il fatto illecito del reato e condannandolo, unitamente al responsabile civile, al risarcimento dei danni provocati alla parte civile, da quantificarsi da parte del giudice competente.
Il reato ascritto all’imputato (articolo 51, comma 4, in relazione al comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997) – «accertato in Roncade fine giugno inizio luglio 2002» – consiste nell’avere, nella sua qualità di socio e legale responsabile di una società autorizzata all’esercizio di una discarica di rifiuti speciali inerti non pericolosi, violato le prescrizioni impartite nel provvedimento autorizzatorio, in particolare accettando che venissero recapitati, ai fini dello smaltimento, rifiuti speciali tossici e nocivi (tali essendo sulla base delle concentrazioni del parametro di arsenico verificate in sede di analisi) e numerosi rifiuti non rispondenti alla definizione di rifiuto inerte indicata nel provvedimento autorizzatorio, e, altresì, nel non avere provveduto a delimitare la zona adibita allo stoccaggio dei rifiuti contenenti amianto.
Con la sentenza qui impugnata, oltre a riconoscere la responsabilità dell’imputato e del responsabile civile condannandoli al risarcimento dei danni provocati alla parte civile, la Corte d’appello ha assegnato una provvisionale di € 200.000,00 «tenuto conto delle spese che la provincia ha già affrontato e dovrà affrontare per la bonifica della discarica, presumendosi che una cospicua parte delle risorse finanziarie dovranno essere destinati a tale scopo»; ha poi condannato l’imputato e il responsabile civile alla rifusione delle spese di rappresentanza ed assistenza della parte civile, oltre che al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
2. – Avverso tale provvedimento, l’imputato e il responsabile civile hanno proposto, tramite i difensori, ricorsi per cassazione contenenti analoghi motivi di doglianza.
I ricorrenti lamentano, in primo luogo, la violazione dell’art. 591, comma 1, lettera a), c.p.p., in relazione agli artt. 523 e 82, comma 2, dello stesso codice, premettendo che la Corte d’appello ha respinto la loro eccezione di inammissibilità dell’impugnazione della parte civile per carenza di legittimazione, perché ha ritenuto che non si fosse verificata la revoca tacita della costituzione di parte civile per mancata presentazione delle conclusioni in primo grado. Secondo quanto ricordato dai ricorrenti, nel giudizio di primo grado, la provincia di Treviso si era costituita prima con il ministero di due difensori muniti di procura speciale (avvocati Botteon e Tonon) e, poi, con il ministero del solo avv. Botteon, al quale era stata conferita procura speciale rilasciata in calce all’atto di costituzione datato 26 maggio 2005. Allo svolgimento del dibattimento aveva partecipato, però, come sostituto processuale del difensore, il solo avv. Tonon, il quale aveva depositato conclusioni scritte sottoscritte esclusivamente da lui e non dal procuratore speciale avv. Botteon. Ne deriverebbe l’invalidità delle conclusioni presentate in primo grado, perché sottoscritte dal- solo sostituto processuale, con la conseguenza della revoca tacita della costituzione di parte civile, ai sensi dell’articolo 82, comma 2, c.p. e della inammissibilità dell’impugnazione; inammissibilità riscontrabile in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell’articolo 591, comma 4, c.p.p..
Con un secondo motivo di ricorso, le difese dell’imputato e del responsabile civile denunciano la manifesta illogicità della motivazione, nonché l’inosservanza ed erronea applicazione: dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 11 marzo 1998, n. 141 (Regolamento recante norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione dei rifiuti pericolosi smaltiti in discarica), dell’articolo 51, comma 4, del decreto legislativo n. 22 del 1997, nonché degli articoli 42 e 43 c.p. Si lamenta, in particolare, che la Corte d’appello ha affermato che le modalità di accettazione dei rifiuti poste in essere dai dipendenti della società ricevente non erano idonee ad assolvere agli obblighi imposti dal decreto ministeriale citato, richiamato nell’autorizzazione provinciale della discarica. Tale decreto avrebbe dovuto essere interpretato – a detta dei ricorrenti – nel senso che sarebbe stato sufficiente il controllo visivo del rifiuto effettuato all’atto del conferimento in discarica; controllo che era sempre regolarmente avvenuto.
Si deduce, in terzo luogo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in merito alla colpevolezza dell’imputato, perché la sentenza impugnata, senza analizzare approfonditamente il materiale probatorio, avrebbe travisato la portata delle dichiarazioni testimoniali dei dipendenti della società Pinello e Guiotto, omettendo altresì di considerare altri elementi rilevanti, come la deposizione del dott. Faraon, consulente tecnico della difesa.
Le difese lamentano, in quarto luogo, la manifesta illogicità della motivazione e l’inosservanza degli artt. 192, 530, comma 2, e 533, comma 1, c.p.p., perché la sentenza impugnata avrebbe fondato l’affermazione della responsabilità dell’imputato esclusivamente su due elementi indiziari: la presenza di odore chimico dei rifiuti e i risultati di una relazione tecnica sull’area di discarica, successiva di quasi un anno ai fatti.
Si deducono, in quinto luogo, la violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione a quanto stabilito nel decreto provinciale n. 604 del 2001 per il conferimento dei rifiuti di amianto. Secondo la difesa, infatti, la sentenza impugnata riterrebbe erroneamente sintomatica della colpevolezza dell’imputato la circostanza che nella zona destinata allo stoccaggio dei rifiuti di amianto in matrice cementizia – che a parere della Corte distrettuale doveva ritenersi esclusiva – si fossero poi trovati anche altri rifiuti. In realtà – sempre secondo la difesa – il decreto di autorizzazione al ricevimento dell’amianto in matrice cementizia non prescriveva che la porzione di discarica destinata all’eternit fosse esclusiva. Né, in generale, vi sarebbe alcuna disposizione che prescrive che l’area per lo stoccaggio dell’amianto abbia una destinazione esclusiva; tanto che – osserva la difesa – all’imputato non è stato contestato di avere scaricato rifiuti inerti nella zona destinata ai rifiuti di amianto, ma soltanto di non avere provveduto alla delimitazione della zona, violazione da cui è stato assolto dal Tribunale con sentenza il cui capo non è stato impugnato dalla parte civile.
Si deducono, in sesto luogo, l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986, nonché la carenza di motivazione in ordine alle statuizioni in favore della parte civile. Secondo la difesa non sussisterebbe danno ambientale, perché la discarica è di per sé un luogo inquinato e perché non risultano specifici danni a falde acquifere o ad altri fattori ambientali. Ne conseguirebbe l’illegittimità della pronuncia di condanna generica al risarcimento di tale danno nonché della liquidazione della relativa provvisionale. Tale liquidazione sarebbe, in ogni caso, rispondente a criteri errati, anche perché del tutto disancorata dalla prova dell’ammontare del danno, essendo stata illegittimamente collegata ai costi di bonifica; costi che, invece, sarebbero stati sostenuti esclusivamente dalla società responsabile civile per la caratterizzazione della parziale rimozione dei rifiuti.
3. – La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche dalla parte civile Provincia di Treviso, la quale deduce: a) l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 17 e 28 del d.lgs. n. 22 del 1997, dell’art. 10 del decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471, e dell’art. 7 della legge della regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perché la corte d’appello di Venezia avrebbe illegittimamente imputato la somma riconosciuta in via di provvisionale alle spese di bonifica; b) l’inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 18 della legge n. 349 del 1986, nonché dell’art. 539 c.p.p. e dell’art. 1226 c.c., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla quantificazione della provvisionale nella misura di C 200.000,00 anziché nella misura maggiore richiesta in sede di conclusioni, perché il danno liquidato sarebbe stato limitato al solo profilo patrimoniale, senza alcuna considerazione dei profili propriamente ambientali né del danno all’immagine e da sviamento di funzione; c) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché la violazione dell’articolo 1, cap. II, del d.m. 8 aprile 2004, n. 127, perché la Corte d’appello avrebbe liquidato, a titolo di spese legali, una somma ingiustificatamente inferiore rispetto a quella richiesta, senza fornire sul punto alcuna motivazione; d) l’errore materiale o, in ogni caso il vizio, consistente nella mancata indicazione nel dispositivo del responsabile civile quale soggetto condannato anch’egli al pagamento della somma riconosciuta a titolo di provvisionale.
4. – In prossimità dell’udienza le difese dell’imputato e del responsabile civile hanno presentato memorie, di analogo contenuto, contenenti motivi nuovi.
I ricorrenti lamentano, in primo luogo, che, in forza degli
articoli 300 303 e 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificati dall’articolo 5-bis del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 166 del 2009, avrebbero dovuto trovare applicazione i nuovi criteri sulla quantificazione e le modalità di risarcimento del danno ambientale, trattandosi di disposizioni retroattive. Rilevano le difese che, a norma delle nuove disposizioni, il criterio principale è quello ripristinatorio, mentre quello risarcitorio resta applicabile solo come criterio residuale; con la conseguenza che la provvisionale disposta sarebbe illegittima, in mancanza di motivazione sull’impossibilità del ripristino in forma specifica.
Si ribadiscono, in secondo luogo, i motivi già proposti, contestando la fondatezza delle censure della parte civile.
La difesa della parte civile ha depositato in udienza conclusioni scritte, nota spese e una memoria, chiedendo il rigetto dei ricorsi delle controparti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. – I ricorsi dell’imputato e del responsabile civile sono infondati quanto all’accertata responsabilità civile; sono invece fondati limitatamente alla statuizione relativa alla disposta provvisionale.
5.1. – Con il primo motivo di impugnazione si prospetta l’invalidità delle conclusioni presentate dalla parte civile in primo grado, perché sottoscritte dal solo sostituto processuale, con la conseguenza della revoca tacita della costituzione di parte civile, ai sensi dell’articolo 82, comma 2, c.p. e della inammissibilità dell’impugnazione; inammissibilità riscontrabile in ogni Stato e grado del procedimento ai sensi dell’articolo 591, comma 4, c.p.p. E ciò, sul rilevo che allo svolgimento del dibattimento aveva partecipato, come sostituto processuale del difensore, il solo avv. Tonon, il quale aveva depositato conclusioni scritte sottoscritte esclusivamente da lui e non dal procuratore speciale avv. Botteon.
Il motivo è infondato.
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. VI, 2 febbraio 2010, n. 15229), con riguardo all’esercizio dell’azione civile nel processo penale, occorre distinguere la legitimatio ad causam, che si identifica normalmente con la titolarità del diritto sostanziale in capo alla persona alla quale il reato ha cagionato un danno, e che è il presupposto per l’esercizio dell’azione civile, dalla “rappresentanza processuale”, in virtù della quale la parte civile non può difendersi da sola, ma deve intervenire in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale (Sez. VI, 8 marzo 1994, n. 6332). La costituzione di parte civile ad opera del soggetto legittimato ad causam può avvenire personalmente o a mezzo di procuratore speciale, mediante conferimento a quest’ultimo del potere di promuovere l’azione risarcitoria in nome e per conto del danneggiato. È questa la “procura speciale” alla quale si riferiscono gli artt. 76 e 122 c.p.p. Diversa, invece, è la procura speciale rilasciata ai sensi dell’art. 100 c.p.p., con la quale si affida il mandato difensivo. Ovviamente, è possibile conferire con un unico atto alla stessa persona sia la procura sostanziale che quella difensiva, investendola contemporaneamente sia della legitimatio ad causam che della rappresentanza processuale; ma, anche in tale ipotesi, le due procure rimangono distinte tra loro. Ciò posto, si osserva che il soggetto al quale il danneggiato dal reato abbia conferito procura speciale per la costituzione di parte civile non può delegare tale attività, salvo che la procura preveda espressamente una simile facoltà (Sez. V, 6 febbraio 2005, n. 11954). Al contrario, il difensore della parte civile, investito della rappresentanza tecnica, può nominare un sostituto anche se la procura alle liti rilasciatagli non contenga alcuna previsione al riguardo, derivandogli il relativo potere direttamente dall’art. 102 c.p.p.; e il sostituto ha facoltà di svolgere in dibattimento ogni attività e, quindi, anche di presentare le conclusioni, in luogo del sostituito, a prescindere dal fatto che questi si sia costituito anche parte civile come procuratore speciale della persona offesa (Sez. V, 7 marzo 1995, n. 3769).
Tali principi trovano evidentemente applicazione anche nel caso di specie, in cui il procuratore speciale e difensore della parte civile è stato sostituito in udienza, quale difensore, da altro avvocato, che ha presentato le conclusioni scritte a norma dell’art. 523, comma 2, c.p.p.
Ne deriva che la costituzione di parte civile della Provincia di Treviso non può intendersi revocata, con la conseguenza che le impugnazioni da essa proposte devono essere ritenute ammissibili.
5.2. – Il secondo motivo di ricorso – con cui si deduce, in sostanza, che la normativa vigente avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che sarebbe stato sufficiente il controllo visivo del rifiuto effettuato all’atto del conferimento in discarica; controllo che era sempre regolarmente avvenuto – è del pari infondato.
Il decreto ministeriale 11 marzo 1998, n. 141 (Regolamento recante norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione dei rifiuti pericolosi smaltiti in discarica) – richiamato dai ricorrenti a sostegno della loro tesi e vigente all’epoca dei fatti – prevede, all’art. 1, comma 3, che «Il gestore della discarica è tenuto ad accertare che i rifiuti siano accompagnati dal formulario di identificazione di cui al comma 1, nonché a verificare: a) che in base alle caratteristiche indicate nel formulario di identificazione il rifiuto può essere conferito in discarica; b) che le caratteristiche dei rifiuti conferiti corrispondono a quelle riportate nel formulario di identificazione».
Tale disposizione deve interpretarsi – sia sul piano letterale che su quello teleologico – nel senso che non è sufficiente che il gestore della discarica svolga un mero controllo visivo di corrispondenza fra il rifiuto effettivamente conferito e la tipologia risultante dal formulario.
Sotto il profilo letterale, infatti, l’uso del verbo «verificare» rende chiaro l’intento del legislatore di porre a carico del gestore un generale obbligo di controllo, da assolversi con tutti i mezzi idonei, e non limitato al solo aspetto visivo.
Sul piano teleologico-sistematico, va rilevato, poi, che la disposizione si inserisce nel più ampio quadro della normativa all’epoca vigente in materia di tutela dell’ambiente dai rifiuti, perché rappresenta, secondo quanto risulta dal preambolo dello stesso d.m., diretta attuazione del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), ed in particolare dell’art. 18, commi 2, lettera a ), e 4, e dell’art. 28. Essa contiene, cioè, le norme tecniche e regolamentari relative alle discariche, adottate in attuazione delle finalità di tutela individuate nel decreto legislativo. Tali finalità, a norma dell’art. 2 dello stesso d.lgs., sono quella di «assicurare un’elevata protezione dell’ambiente» e quella di realizzare lo smaltimento dei rifiuti «senza pericolo per la salute dell’uomo» e senza pregiudizio per l’ambiente. Finalità la cui attuazione presuppone, evidentemente, un’interpretazione non restrittiva delle disposizioni che pongono obblighi a carico dei soggetti gestori delle discariche.
Ne deriva che la Corte d’appello, nel ritenere non sufficiente il mero controllo visivo dei rifiuti e nel farvi conseguire la sussistenza della responsabilità penale dell’imputato, ha ben interpretato la normativa, seguendo un iter motivazionale coerente e corretto.
5.3. – Il terzo motivo di censura – con cui si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in merito alla colpevolezza dell’imputato perché la sentenza impugnata, senza analizzare approfonditamente il materiale probatorio, avrebbe travisato la portata delle dichiarazioni testimoniali dei dipendenti della società Pinello e Guiotto, omettendo altresì di considerare altri elementi rilevanti, come la deposizione del dott. Faraon, consulente tecnico della difesa – può essere trattato congiuntamente con il quarto motivo, con cui si lamenta che la sentenza impugnata avrebbe fondato l’affermazione della responsabilità penale esclusivamente su due elementi indiziari: la presenza di odore chimico dei rifiuti e i risultati di una relazione tecnica sull’area di discarica, successiva di quasi un anno ai fatti.
Entrambi i motivi attengono, infatti, alla motivazione della sentenza in punto di responsabilità penale dell’imputato.
Deve rilevarsi che la pronuncia censurata contiene, sul punto, una motivazione pienamente esauriente e logicamente coerente, laddove specifica che: a) i soggetti addetti alla verifica della natura dei rifiuti conferiti si limitavano a un controllo cartolare e visivo; b) l’imputato avrebbe dovuto disporre precisi protocolli di controllo documentale e fare svolgere verifiche analitiche della conformità dei rifiuti ai criteri di ammissibilità.
Tali elementi non sono, nella sostanza, contestati neanche dai ricorrenti, perché essi si limitano a censurare la motivazione della sentenza sotto profili marginali, che non ne intaccano il nucleo essenziale. In particolare: a) il fatto se l’addetto alla verifica dei rifiuti – si limitasse a visionare la sommità del carico o visionasse anche il materiale scaricato è irrilevante, perché dagli atti risulta che egli svolgeva un controllo soltanto visivo degli stessi, per ciò solo insufficiente; b) il fatto se i rifiuti fossero accompagnati da certificazioni di analisi predisposte dai conferenti è anch’esso irrilevante, perché non fa venire meno l’obbligo del gestore della discarica di effettuare autonomamente verifiche analitiche della conformità dei rifiuti ai criteri di ammissibilità; e) la circostanza – desumibile fra l’altro dalla deposizione del teste Faraon – che alcuni dei rifiuti presentassero caratteristiche estrinseche compatibili con il tipo di discarica nulla prova circa la natura intrinseca di tali rifiuti.
I rilievi dei ricorrenti si risolvono, dunque, in un tentativo di proporre una valutazione del compendio probatorio alternativa rispetto a quella della sentenza impugnata.
Ne deriva l’inammissibilità del terzo e del quarto motivo di ricorso.
5.4. – Il quinto motivo di gravame è manifestamente infondato.
I ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata riterrebbe erroneamente sintomatica della colpevolezza dell’imputato la circostanza che nella zona destinata allo stoccaggio dei rifiuti di amianto in matrice cementizia – che a parere della Corte distrettuale doveva ritenersi esclusiva – si fossero poi trovati anche altri rifiuti. In realtà – sempre secondo la difesa – il decreto di autorizzazione al ricevimento dell’amianto in matrice cementizia non prescriveva che la porzione di discarica destinata all’eternit fosse esclusiva.
Va rilevato che la censura dei ricorrenti si appunta su un profilo del tutto marginale della motivazione. Infatti – come visto al punto 5.3. – la Corte d’appello ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell’imputato sulla base di elementi che nulla hanno a che vedere con lo stoccaggio dei rifiuti di amianto e ha fatto riferimento alle modalità di conferimento di tale categoria di rifiuti solo allo scopo di confermare quanto già accertato. La Corte territoriale non ha, in altri termini, affermato nulla circa l’obbligatorietà di partizioni interne alla discarica, limitandosi ad osservare – con motivazione comunque corretta sul piano logico – che il conferimento in discarica avveniva disordinatamente e che tale disordine era sintomatico dell’insufficienza del solo esame visivo per verificare la natura dei rifiuti conferiti.
5.5. – Il sesto motivo di ricorso presenta due distinti profili di doglianza.
5.5.1. – Viene in rilievo, in primo luogo, la censura secondo cui non sussisterebbe danno ambientale, perché la discarica è di per sé un luogo inquinato e perché non risultano specifici pregiudizi a falde acquifere o ad altri fattori ambientali; ne conseguirebbe l’illegittimità della pronuncia di condanna generica al risarcimento di tale danno nonché della liquidazione della relativa provvisionale.
La censura è infondata.
Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, l’accertata presenza in discarica di rifiuti di tipologia diversa e maggiormente inquinante rispetto a quella per la quale la discarica era stata autorizzata è di per sé sufficiente a configurare un danno ambientale, a prescindere dal fatto che la discarica sia di per sé un luogo inquinato.
Trova, infatti, applicazione alla fattispecie in esame l’
art. 300, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, che configura quale danno ambientale, il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato «al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente».
Ciò che rileva ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale è, dunque, non il livello di inquinamento in senso assoluto, ma l’incremento dell’inquinamento rispetto alle condizioni originarie; incremento che nel caso in esame si è certamente verificato, per la presenza in discarica di rifiuti maggiormente inquinanti rispetto a quelli che la discarica, in base alle sue caratteristiche costruttive e operative, è in grado di accogliere.
5.5.2. – Quanto al secondo profilo di censura – relativo all’erroneità dei criteri applicati per la liquidazione della provvisionale – va rilevato che esso è strettamente connesso con il motivo contenuto nella memoria depositata dalle stesse difese in prossimità dell’udienza, secondo cui, in forza degli
articoli 300 303 e 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificati dall’articolo 5-bis del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009, il criterio principale di risarcimento del danno ambientale è quello ripristinatorio, mentre quello risarcitorio resta come criterio residuale; con la conseguenza che la provvisionale disposta sarebbe illegittima, in mancanza di motivazione sull’impossibilità del ripristino in forma specifica.
Tali motivi saranno trattati al punto 6.1.2., congiuntamente a quelli proposti dalla parte civile e sopra riportati al punto 3, lettere a) e b), perché attinenti alla motivazione sulla disposta provvisionale.
6. – Il ricorso della parte civile è fondato, nei limiti delle considerazioni che seguono.
6.1. – Quanto al risarcimento del danno provocato alla parte civile, la Corte d’appello ha pronunciato condanna generica a carico dell’imputato e del responsabile civile, rimettendo la relativa quantificazione al giudice civile. Oltre a tale statuizione – che deve essere confermata in forza di quanto osservato ai punti 5.2., 5.3., 5.4. e 5.5.1. – la Corte di secondo grado ha condannato «il Bonato al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile pari ad € 200.000,00».
6.1.1. – Con riferimento a quest’ultimo specifico profilo, la parte civile ha – con il motivo sub d) – rilevato l’errore materiale o, in ogni caso il vizio, consistente nella mancata indicazione nel dispositivo del responsabile civile quale soggetto condannato anch’egli al pagamento della somma riconosciuta a titolo di provvisionale.
Il motivo è fondato.
Nella motivazione della sentenza, si riconosce la sussistenza della responsabilità civile dell’imputato e del responsabile civile per il reato contestato e si pronuncia, di conseguenza, la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, al pagamento della provvisionale, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte. Dal tenore della motivazione della sentenza impugnata, si desume, dunque, che il giudice ha inteso condannare entrambi i soggetti anche al pagamento della provvisionale; statuizione non riportata nel dispositivo, per mero errore materiale.
Il dispositivo della sentenza deve essere, dunque, corretto nel senso richiesto dalla parte
civile.
6.1.2. – Venendo ora alla trattazione dei motivi relativi alla disposta provvisionale, va premesso che la sentenza censurata contiene, sul punto, la seguente motivazione: «Si ritiene di assegnare fin d’ora una provvisionale di € 200.000,00, tenuto conto delle spese che la Provincia ha già affrontato e dovrà affrontare per la bonifica della discarica, presumendosi che una cospicua parte delle risorse finanziarie dovranno essere destinate a tale scopo».
6.1.2.1. – A fronte di tale motivazione, il gravame proposto dall’imputato e dal responsabile civile e relativo – come visto – all’erronea applicazione degli
articoli 300 303 e 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificati dall’articolo 5-bis del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009, appare fondato.
Le disposizioni richiamate, infatti, stabiliscono che, ai giudizi di danno ambientale in corso, si applica retroattivamente (art. 303, comma 1, lettera j) il principio secondo cui il responsabile «è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva» (art. 311, comma 2). Il criterio di riparazione del danno preferito dal legislatore è, dunque, quello ripristinatorio e non quello risarcitorio, da considerarsi residuale. A norma dello stesso art. 311, comma 2, infatti, nel solo caso in cui «l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale».
Ne consegue – con riferimento al caso in esame – che la Corte d’appello ha fornito una motivazione insufficiente a sostegno della provvisionale liquidata, essendosi limitata ad un generico riferimento alle spese di bonifica della discarica, senza quantificare, neanche in via provvisoria e indicativa, tali spese e senza fare alcuno specifico riferimento alle concrete modalità di bonifica.
6.1.2.2. – Per ragioni analoghe, devono essere accolti anche i motivi di impugnazione proposti dalla parte civile sub a) e b) e relativi all’insufficienza della motivazione circa l’imputazione della somma riconosciuta in via di provvisionale alle spese di bonifica e alla mancata considerazione di altri profili propriamente ambientali o del danno all’immagine e da sviamento di funzione, pure oggetto di domanda risarcitoria della stessa parte civile.
Infatti, la decisione impugnata non ha – come appena visto – tenuto conto neanche di tali
profili.
Né all’accoglimento di tali motivi può ostare – come eccepito dall’imputato e dal responsabile civile – la circostanza che la parte civile abbia richiamato, a fondamento delle sue pretese, l’art. 18 della legge n. 348 del 1986, non più applicabile ratione temporis. Le censure della parte civile appaiono, infatti, sufficientemente chiare e circostanziate in relazione ai dedotti vizi motivazionali, indipendentemente dalla correttezza dei richiami normativi effettuati.
6.1.3. – Ne consegue che la sentenza deve essere annullata, limitatamente alla statuizione relativa alla disposta provvisionale, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in sede civile, a norma dell’art. 622 c.p.p., trattandosi di annullamento ai soli effetti civili.
Nello statuire sulla provvisionale – con libertà di giudizio – la Corte d’appello dovrà fornire una specifica motivazione, in relazione: a) alle concrete modalità di bonifica della discarica e all’eventuale partecipazione diretta dell’imputato e del responsabile civile a tale attività, nonché all’indicazione approssimativa dell’ordine di grandezza delle relative spese; b) alla sussistenza di altri autonomi profili di danno ambientale o di ulteriori autonome voci di danno risarcibili alla parte civile.
6.2. – Quanto, infine, al motivo di censura proposto dalla parte civile sub c) – con cui si deduce che la Corte d’appello avrebbe liquidato, a titolo di spese legali, una somma ingiustificatamente inferiore rispetto a quella richiesta, senza fornire sul punto alcuna motivazione – va rilevato che, in conseguenza del parziale annullamento con rinvio della sentenza censurata, la liquidazione delle spese della parte civile deve essere rimessa al giudice del rinvio, all’esito di tale giudizio.
P.Q.M.
Dispone la correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata, laddove omette di porre la provvisionale anche a carico del responsabile civile.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione relativa alla disposta provvisionale, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in sede civile.
Rimette ala giudice civile la liquidazione delle spese della parte civile.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.