Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Rifiuti
Numero: 6939 |
Data di udienza: 5 Dicembre 2017
* RIFIUTI – Veicoli fuori uso – Operazioni di messa in sicurezza – Cessazione della qualifica di rifiuti – Presupposti – Operazione di recupero – Art. 321 cod.proc.pen. – Artt.183, 184- ter, 256 e 259 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali – Nozione di "violazione di legge".
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Febbraio 2018
Numero: 6939
Data di udienza: 5 Dicembre 2017
Presidente: SAVANI
Estensore: GAI
Premassima
* RIFIUTI – Veicoli fuori uso – Operazioni di messa in sicurezza – Cessazione della qualifica di rifiuti – Presupposti – Operazione di recupero – Art. 321 cod.proc.pen. – Artt.183, 184- ter, 256 e 259 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali – Nozione di "violazione di legge".
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 13/02/2018 (Ud. 05/12/2017), Sentenza n.6939
RIFIUTI – Veicoli fuori uso – Operazioni di messa in sicurezza – Cessazione della qualifica di rifiuti – Presupposti – Operazione di recupero – Art. 321 cod.proc.pen. – Artt.183, 184- ter, 256 e 259 d.lgs n.152/2006.
A norma dell’art. 184- ter comma 1, del d.lgs n. 152 del 2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. Sempre il d.lgs n. 152 del 2006, art. 184- ter comma 4, richiama espressamente anche il D.Lgs. n. 209 del 2003. Secondo tale decreto, le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, provenienti dai centri di raccolta autorizzati di cui al d.lgs n. 209 del 2003, costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, suballegato 1-5. Ne consegue che le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e con il concorso delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184- ter cit., cessano di essere rifiuti.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali – Nozione di "violazione di legge".
In tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, gli "errores in iudicando" o "in procedendo", e anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice.
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 16/05/2017 – TRIBUNALE DI ROMA) Pres. SAVANI, Rel. GAI, Ric. Sharkas
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 13/02/2018 (Ud. 05/12/2017), Sentenza n.6939
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 13/02/2018 (Ud. 05/12/2017), Sentenza n.6939
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Sharkas Ossama Mohmaed, nato in Egitto il 16/04/1979;
avverso l’ordinanza del 16/05/2017 del Tribunale di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Simone Perelli che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. A. Trimboli che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 16/05/2017, il Tribunale del riesame di Roma ha respinto il ricorso, ex art. 322 cod.proc.pen., proposto da Sharkas Ossama Mohmaed e, per l’effetto, ha confermato il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia, in data 13 aprile 2017, relativo a n. 667 pezzi di autoricambi custoditi in un container che il predetto, titolare della ditta individuale Trucks di Ossama Sharkas, era in procinto di spedire in Sudan, in relazione al reato di cui all’art. 256 comma 1 del d.lgs n. 152 del 2006. Argomenta il Tribunale la sussistenza del fumus commissi delicti essendo – i pezzi di ricambio – «rifiuti» sul rilievo che le parti di autovetture indicate nel capo di incolpazione provvisoria, che comprendevano anche pezzi non attinenti alla sicurezza dei veicoli quali sportelli, non erano stati recuperati e messi in sicurezza e che la documentazione fiscale prodotta dall’indagato, attestante l’acquisto presso la Romana Demolizioni, per la genericità della fattura, non consentiva di provare che i beni sequestrati erano quelli oggetto della vendita, e del periculum in mora sussistendo il pericolo che la libera disponibilità, in capo al ricorrente, dei beni che stava spedendo in Sudan aggraverebbe le conseguenze del reato consentendo la reiterazione dello stesso.
2. Propone ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 321 cod.proc.pen., 183 comma 1 lett. a) e 259 del d.lg n. 152 del 2006.
Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine alla ritenuta natura dei rifiuti dei beni sequestrati, non potendo questa essere dedotta dalla mera mancanza di documentazione sulla commercializzazione, di tal chè la vicenda potrebbe essere ricondotta nell’alveo di applicazione dell’art. 259 del decreto medesimo. In definitiva il Tribunale non avrebbe rappresentato in modo logico e coerente le ragioni per le quale aveva ritenuto di ravvisare il reato contestato.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 321 e 324 comma 7 cod.pen. per non aver disposto la revoca parziale dei beni non costituenti rifiuto, sostenendo l’impossibilità di separare e distinguere i vari pezzi, sicchè con riferimento a questi non sarebbe prospettabile il periculum in mora.
In data 5 dicembre 2017, il difensore del ricorrente ha depositato motivi nuovi, ex art. 311 comma 4 cod.proc.pen., con cui ha sviluppato le censure al provvedimento impugnato già svolte con il ricorso, approfondendo il profilo, prettamente attinente al fumus del reato, sulla cessazione della qualità di rifiuto delle parti di autovettura che vengono recuperate a seguito di messa in sicurezza da parte di soggetto a ciò autorizzato, ed ha insistito nell’accoglimento dello stesso .
3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di un motivo manifestamente infondato (primo motivo) e generico (secondo motivo).
In via preliminare, questa Corte osserva che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, gli "errores in iudicando" o "in procedendo", e anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093). Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
5. Tenuto conto dell’ambito cognitivo, il primo motivo di ricorso sollecita alla Corte una nuova e diversa valutazione degli stessi elementi in fatto già valutati dal Tribunale del riesame, in relazione alla natura di rifiuto delle parti di ricambi di autoveicoli, invocandone una lettura alternativa e più favorevole in punto di fumus commissi delicti. Tale valutazione non è, però, consentita in questa sede in presenza di una motivazione del Tribunale congrua e corretta in diritto e, dunque, tutt’altro che apparente.
Infatti, la doglianza deve essere disattesa alla luce della motivazione con cui Tribunale del Riesame ha ritenuto sussistente il fumus del reato di cui all’art. 256 d.lgs n. 152 del 2006, sul rilievo che i n. 667 pezzi di autoveicoli non erano stati recuperati e messi in sicurezza, che erano anche presenti motori non bonificati, risultando così la loro natura di rifiuti la cui gestione illecita (deposito in vista della spedizione) integra il reato di cui all’incolpazione provvisoria.
A fronte di siffatta motivazione, il ricorrente non ha fornito la documentazione attestante l’assolvimento delle prescrizioni imposte dalla legge per il commercio di parti di ricambio.
Deve rammentarsi, a tal riguardo, che i veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce "16 01" dell’allegato D alla parte quarta del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, richiamato dall’art. 184, comma 5, stesso Decreto.
A norma dell’art. 184- ter comma 1, del d.lgs n. 152 del 2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. Sempre il d.lgs n. 152 del 2006, art. 184- ter comma 4, richiama espressamente anche il D.Lgs. n. 209 del 2003. Secondo tale decreto, le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, provenienti dai centri di raccolta autorizzati di cui al d.lgs n. 209 del 2003, costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, sub allegato 1-5. Ne consegue che le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e con il concorso delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184- ter cit., cessano di essere rifiuti.
Tutto ciò premesso, il ricorrente non ha assolto all’onere probatorio non avendo dimostrato di aver assolto alle operazioni di recupero che comportano la cessazione della qualità di "rifiuto", risultando, al contrario, l’esatto opposto per l’accertata presenza nel container di motori non bonificati.
Allo stesso modo, il Tribunale ha ritenuto sussistente il periculum in mora con motivazione logica, coerente alle emergenze processuali e dotata del carattere di autonomia e della completezza avendo rilevato che la libera disponibilità dei beni che il ricorrente era in procinto di spedire in Sudan, comporterebbe la reiterazione del reato, a nulla rilevando il profilo della confiscabilità essendo stato emesso il sequestro preventivo ai sensi del comma 1 dell’art. 321 cod.proc.pen. La motivazione non è solo presente ma è anche autonoma e puntuale.
6. Di carattere generico appare il secondo motivo di ricorso con cui l’indagato si duole del rigetto della richiesta di revoca parziale del sequestro con restituzione dei beni per i quali non ricorrerebbe la qualità di rifiuto, non avendo indicato quali beni potrebbero essere restituiti per mancanza dei presupposti per il mantenimento del vincolo cautelare.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 05/12/2017