Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 7038 |
Data di udienza: 9 Luglio 2018
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – La prescrizione nei reati edilizi – Inizio e decorso del termine di prescrizione – Onere della prova a carico dell’imputato – Principio del "favor rei" – Giurisprudenza – Reati in materia di abusi edilizi – Natura di reato permanente – Cessazione della permanenza della condotta illecita – Prescrizione del reato e principio del favore rei – Artt. 10, 17, 44 d.P.R. n.380/2001 – Interventi subordinati a permesso di costruire – Aumento della volumetria complessiva e carico urbanistico – Variante non sostanziale rispetto al progetto approvato – Permesso in variante – Interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A., ex D.I.A) – Realizzazione di una piscina posta al servizio di una residenza privata – Natura pertinenziale – Presupposti.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Febbraio 2019
Numero: 7038
Data di udienza: 9 Luglio 2018
Presidente: DI NICOLA
Estensore: GALTERIO
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – La prescrizione nei reati edilizi – Inizio e decorso del termine di prescrizione – Onere della prova a carico dell’imputato – Principio del "favor rei" – Giurisprudenza – Reati in materia di abusi edilizi – Natura di reato permanente – Cessazione della permanenza della condotta illecita – Prescrizione del reato e principio del favore rei – Artt. 10, 17, 44 d.P.R. n.380/2001 – Interventi subordinati a permesso di costruire – Aumento della volumetria complessiva e carico urbanistico – Variante non sostanziale rispetto al progetto approvato – Permesso in variante – Interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A., ex D.I.A) – Realizzazione di una piscina posta al servizio di una residenza privata – Natura pertinenziale – Presupposti.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 14/02/2019 (Ud. 09/07/2018), Sentenza n.7038
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – La prescrizione nei reati edilizi – Inizio e decorso del termine di prescrizione – Onere della prova a carico dell’imputato – Principio del "favor rei" – Giurisprudenza.
In tema di prescrizione, anche per i reati edilizi, grava sull’imputato che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti al fine di scardinare la prova su cui si fonda l’assunto dell’accusa, non essendo a tal fine sufficiente la mera affermazione da parte di costui a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio "in dubio pro reo": in base al principio generale per cui ciascuno deve dare la dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto con quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione. Pertanto, il principio del "favor rei", in base al quale, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato, opera solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione dei reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili. (Cass. Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017 – dep. 29/01/2018, Zizzi e altri che ha precisato che il giudice è tenuto a dar conto, in sede di motivazione, delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche sulla base di deduzioni logiche, ad una puntuale collocazione temporale dell’intervento abusivo).
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati in materia di abusi edilizi – Natura di reato permanente – Cessazione della permanenza della condotta illecita – Prescrizione del reato e principio del favore rei – Artt. 10, 17, 44 d.P.R. n.380/2001.
Il reato ex art. 44 DPR 380/2001 è per sua natura un reato permanente, ciò significa che il momento di cessazione della permanenza va individuata o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta "ex auctoritate", o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Interventi subordinati a permesso di costruire – Aumento della volumetria complessiva e carico urbanistico – Variante non sostanziale rispetto al progetto approvato – Permesso in variante – Interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A., ex D.I.A).
In materia urbanistica, rientra nella nozione di "nuova costruzione", comprensiva, secondo previsto dall’art. 10 lett. c DPR 380/2001, qualsiasi manufatto fuori terra o interrato che costituisca ampliamento all’esterno della sagoma dell’immobile preesistente, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nella fattispecie, anche a voler ritenere che si trattasse di una variante non sostanziale, nel cui ambito rientrano le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, la stessa è comunque soggette al rilascio di permesso in variante, complementario ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire, gli imputati erano perciò anche in tal caso onerati della richiesta della relativa variante, il conseguimento della quale soltanto gli avrebbe consentito di procedere ad una legittima modifica.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di una piscina posta al servizio di una residenza privata – Natura pertinenziale – Presupposti.
La realizzazione di una piscina posta al servizio di una residenza privata non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire a condizione che se ne accerti la natura pertinenziale, la quale a sua volta postula che debba accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente, che presenti ridotte dimensioni anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con l’edificio principale e che non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati. Nel caso di specie, caratteristiche queste all’evidenza insussistenti tenuto conto che il manufatto principale risulta edificato in totale difformità dal permesso di costruire avente ad oggetto un manufatto con destinazione funzionale all’uso agricolo.
(dich. inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 29/11/2017 – CORTE DI APPELLO DI LECCE) Pres. DI NICOLA, Rel. GALTERIO, Ric. Hultstein e altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 14/02/2019 (Ud. 09/07/2018), Sentenza n.7038
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 14/02/2019 (Ud. 09/07/2018), Sentenza n.7038
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
HULSTEIN JAN WOUTER, nato in Olanda;
MARTUCCI EUGENIO, nato ad Ostuni;
avverso la sentenza in data 29.11.2017 della Corte di Appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Stefano Tocci, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Lorenzo Gina in sostituzione dell’avv. Vito Melpignano e dell’avv. D. I. Tanzarella
che si è riportato ai motivi del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 29.11.2017 la Corte di Appello di Lecce ha confermatola pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Brindisi, che ha ritenuto Jan Wouter Hulstein, in qualità di proprietario, ed Eugenio Martucci, in qualità di tecnico progettista e di direttore dei lavori anche di fatto, responsabili del reato di cui all’art. 44 lett b) d.P.R.380/2001 per aver, in concorso fra loro, realizzato in totale difformità del permesso di costruire rilasciato per la realizzazione di una casa rurale ed in assenza del medesimo, in zona produttiva per attività primarie di tipo agricolo una villa di 870 mc con piscina con destinazione residenziale, condannandoli alla pena, il primo di 8 mesi di arresto ed € 20.0000 di ammenda ed il secondo di un anno di arresto ed € 30.000 di ammenda.
2. Avverso il suddetto provvedimento ognuno degli imputati ha proposto, per il tramite del rispettivo difensore, ricorso per cassazione, dal contenuto perfettamente sovrapponibile, articolando otto motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce, in relazione al vizio motivazionale, l’intervenuta prescrizione del reato per essere stati i lavori ultimati in epoca non successiva al maggio 2012, e dunque con ampio margine di anticipo rispetto al sopralluogo eseguito in data 31.8.2012, come comprovato sia dal mancato rinvenimento in loco nei vari accessi eseguiti di persone od operai o di altre tracce che lasciassero desumere che l’esecuzione fosse ancora in corso, sia dalle fatture prodotte, dalle quali risultava che l’installazione degli infissi come la realizzazione degli intonaci e della pavimentazione, indici del completamento dei lavori di rifinitura, fossero ampiamente risalenti. Vengono contestate le conclusioni raggiunte dalla Corte di Appello che, senza aver dato corso alla richiesta di rinnovazione dibattimentale, aveva dato per scontato che i lavori fossero in corso al momento del sopralluogo e fossero proseguiti fino al sequestro conservativo, malgrado la relazione di verifica di conformità redatta dal funzionario all’esito del sopralluogo del 31.8.2012 ed i rilievi fotografici ad essa allegati dimostrassero che anche i lavori di finitura erano stati completamente ultimati, tanto è vero che stesso imputato aveva fatto istanza per essere nominato custode giudiziario con facoltà di utilizzare l’immobile durante i suoi periodi di permanenza in Italia. Conclude affermando che non solo non era stata fornita alcuna prova, gravante sull’accusa, della data di ultimazione dei lavori ma che in ogni caso che l’incertezza sull’inizio del termine di prescrizione imponeva l’applicazione della data più favorevole per l’imputato in applicazione del principio del favor rei.
2.2 Con il secondo motivo si eccepisce, in relazione al vizio di cui all’art. 606 lett d) cod. proc. pen., la mancata assunzione di prova decisiva costituita dall’assunzione delle deposizioni dei testi Putignano, Greco e Colucci ai fini dell’esatta individuazione della data di ultimazione dei lavori, prova che era stata richiesta solo con i motivi aggiunti di appello essendo la prescrizione del reato intervenuta dopo la sentenza di primo grado.
2.3 Con il terzo motivo si deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 17 lett. a) d.P.R. 380/2001 e 9 L. reg. Puglia 6/1979 e al vizio motivazionale, che la Corte di Appello aveva integralmente tralasciato le eccezioni difensive con cui era stato evidenziato che le norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico del Comune ammettono interventi edilizi in zona agricola funzionali alla conduzione del fondo per la realizzazione della residenza familiare, senza necessità che il richiedente rivesta la qualifica di imprenditore agricolo o coltivatore o bracciante, né che il manufatto presenti gli standard tipicci dell’edilizia economica e popolare: in forza delle stesse era stato infatti richiesto ed ottenuto dall’imputato il permesso di costruire per la realizzazione di una residenza con annesso deposito in zona agricola a titolo oneroso, senza che alcuna modifica fosse stata di fatto realizzata rispetto al titolo conseguito, non legittimando le rifiniture eseguite, proprie di un immobile di tipo residenziale, la contestazione relativa all’esecuzione di una prestigiosa
villa in luogo di una casa rurale.
2.4 Con il quarto motivo si deduce, invocando il vizio motivazionale, che l’istruttoria espletata non aveva offerto elementi che consentissero di ritenere l’opera in totale difformità rispetto al titolo conseguito, senza che la Corte di Appello si fosse espressa sul punto.
2.5. Con il quinto motivo si contesta che deduce che erroneamente la Corte di Appello aveva affermato che il piano interrato fosse stato realizzato in assenza di permesso di costruire, posto che non solo non era necessario un nuovo permesso di costruire essendo sufficiente una semplice SCIA, ma al contrario il Comune e gli altri enti preposti si erano espressi favorevolmente sulla variante presentata in corso d’opera concernente la suddetta volumetria.
2.6. Con il sesto motivo si lamenta l’ulteriore errore in cui era incorsa la Corte di Appello nel ritenere che la volumetria dell’immobile realizzato fosse pari a 630 mc, a fronte dei soli 274 mc assentiti, laddove invece il volume occupato dalla costruzione autorizzata era di 474 mc, di cui 247 soggetti ad asservimento volumetrico, onde il volume in eccesso era di appena 155 mc, circoscritto alla superficie accessoria del frangisole in legno, anch’essa assentita dal permesso di costruire. Erronea sarebbe secondo la difesa anche l’affermata difformità della sagoma dell’opera, a forma rettangolare e non di "C" che invece il funzionario comunale aveva dichiarato conforme a quella autorizzata.
2.7. Con il settimo motivo deduce il carattere pertinenziale della piscina rispetto all’abitazione cui è asservita, trattandosi di pertinenza ampiamente consentita dal regolamento comunale anche in zone classificate come "agricole" dallo strumento urbanistico, e che costituendo un manufatto completamente interrato, non incide né sulle volumetrie né sulle superfici.
2.8. Con l’ottavo motivo deduce che la contestazione del reato di cui all’art. 44 lett. b) presuppone la difformità totale del manufatto dalla concessione edilizia, ovverosia l’alterazione del progetto originario nelle sue caratteristiche essenziali di struttura, aspetto estetico e destinazione, ovvero la realizzazione di volume oltre i limiti assentiti costituenti organismi a se stanti, mentre nel caso di specie, in cui al fabbricato non è stata conferita alcuna diversa destinazione d’uso né sono state realizzate modifiche planimetriche o di perimetro e che comunque l’opera è comunque riferibile al permesso di costruire e relativa variante, non sussistono i presupposti per la configurabilità del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Il primo motivo risulta inammissibile per la manifesta infondatezza delle contestazioni svolte.
Il presupposto da cui muove la sentenza impugnata è che il reato ex art. 44 DPR 380/2001, per sua natura permanente, non si fosse al momento dell’eseguito sopralluogo, risalente al 31.8.2012, consumato, essendo ancora in corso l’esecuzione dei lavori di finitura relativi all’opera contestata, conclusione cui perviene sulla scorta del rilievo che l’immobile, radicalmente difforme dal manufatto assentito, si presentasse comunque diverso anche dal progetto finale così come descritto nella stessa consulenza della deposizione della difesa.
Essendo l’accertamento dell’ultimazione dell’opera rimesso alla valutazione esclusiva del giudice di merito, pienamente coerente risulta la motivazione con cui la Corte distrettuale disattende le contestazioni difensive, dirette a sostenere che l’opera sarebbe stata completata nel precedente mese di maggio, non attribuendo alcun valore dirimente alla circostanza, del tutto contingente, che al momento del sopralluogo non vi fossero lavori in corso, ed escludendo che le fatture prodotte, relative all’installazione di infissi, all’apposizione della pavimentazione e all’esecuzione dell’intonacatura, potessero attestare l’avvenuta ultimazione della costruzione nel suo complesso e non già in relazione a singole parti, evincendosi dalle stesse, al più, che i lavori fossero in fase di completamento.
In conformità all’univoco indirizzo giurisprudenziale in materia di abusi edilizi secondo il quale il momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta "ex auctoritate", o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001 – dep. 24/10/2001, Triassi P, Rv. 220351; Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014 – dep. 09/07/2014, PM in proc. Sullo, Rv. 260498), la Corte distrettuale risulta aver correttamente fatto riferimento ai fini della cessazione della permanenza della condotta illecita, in difetto di alcuna evidenza a supporto della pregressa consumazione dell’illecito, alla data del sequestro disposto il successivo 17.12.2013.
Occorre al riguardo ribadire che in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti al fine di scardinare la prova su cui si fonda l’assunto dell’accusa (Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 – dep. 23/06/2014, Laiso, Rv. 259181), non essendo a tal fine sufficiente la mera affermazione da parte di costui a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio "in dubio pro reo": in base al principio generale per cui ciascuno deve dare la dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto con quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione (Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009 – dep. 07/05/2009, Cusati, Rv. 243765; Cass. 10652 del 2000; n. 11221 del 1997). Invero, il principio del "favor rei", in base al quale, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato, opera solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione dei reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili (Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017 – dep. 29/01/2018, Zizzi e altri, Rv. 272076 che ha precisato che il giudice è tenuto a dar conto, in sede di motivazione, delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche sulla base di deduzioni logiche, ad una puntuale collocazione temporale dell’intervento abusivo).
Dovendo conseguentemente farsi riferimento ai fini del decorso dei termini di cui agli artt. 157 ss. cod. pen. alla data del 17.12.2013, il reato non poteva ritenersi prescritto, anche senza tener conto delle sospensioni intervenute nel corso del giudizio, alla data della pronuncia impugnata.
2. Quanto alla mancata assunzione della prova testimoniale dei tre testi indicati dalla difesa, non risulta che la stessa abbia costituito oggetto di richiesta ad opera della difesa articolata ai sensi dell’art.493 cod. proc. pen., una volta aperto il dibattimento. Così come univocamente affermato da questa Corte il motivo di ricorso per cassazione consistente nella deduzione della mancata assunzione di una prova decisiva può essere proposto solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’assunzione a norma dell’art. 495, comma secondo, cod. proc. pen.; diversamente la mancata assunzione di una prova non precedentemente richiesta può costituire violazione dell’art. 606 , comma primo, lett. d) cod.proc.pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013 – dep. 29/01/2014, Inguì, Rv. 259136; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008 – dep. 04/09/2008, P.G. e De Carlo e altri, Rv. 240995). E poiché rientrano nella previsione di cui all’art. 603, secondo comma cod. proc. pen. solo le prove che presentino il carattere della novità ovverosia quelle che sopraggiungano autonomamente, senza alcuno svolgimento di un’attività di indagine, o quelle reperite dopo l’espletamento di un’opera di ricerca che dia i suoi frutti in un momento successivo alla decisione, nessuna delle suddette caratteristiche è rinvenibile nella richiesta di escussione dei tre testi indicati, dovendo la rinnovazione discendere dall’impossibilità di una precedente articolazione della prova e non già dalla sua rilevanza intervenuta successivamente alla sentenza di primo grado per la maturazione della prescrizione, facendo l’accertamento della cessazione della permanenza del reato già parte dell’originario tema decidendum.
Il motivo è pertanto inammissibile.
3. Il terzo motivo risulta generico costituendo la pedissequa riproduzione delle doglianze svolte con i motivi di appello, puntualmente disattese dalla sentenza impugnata, senza che le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione risultino correlate con quanto argomentato dalla decisione impugnata con conseguente vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007 – dep. 10/09/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 4, n.18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012 -, Pezzo Rv. 253849).
La Corte leccese evidenzia chiaramente come in forza della pianificazione urbanistica il permesso di costruire rilasciato alla dante causa dell’imputato il quale aveva nel corso dei lavori acquistato l’immobile- permesso riferito alla realizzazione di un fabbricato ad uso abitazione con annesso deposito di attrezzi agricoli -, riguardi un’area a destinazione essenzialmente agricola (definita nel Piano Regolatore come "zona produttiva per aree primarie —agricola di tipo B2") dove la realizzazione di un immobile era consentita in presenza di determinate condizioni di natura tanto oggettiva (realizzazione del manufatto secondo gli standard dell’edilizia economica e popolare e destinazione dello stesso alle necessità agricole del fondo o alla realizzazione di un piano di sviluppo aziendale) quanto soggettiva (qualifica di imprenditore agricolo professionale o di bracciante
agricolo o di coltivatore diretto rivestita dal titolare del permesso). La difesa si limita a negare la necessità dei suddetti requisiti in ragione della natura onerosa della concessione avendo l’Hulstein versato il contributo richiestogli tanto per gli oneri di urbanizzazione quanto per il costo di costruzione, senza tener conto che il contributo sopperisce alla sola mancanza delle caratteristiche soggettive, mentre l’insussistenza di quelle di natura oggettive incide sulla stessa possibilità di edificare. Inoltre del tutto contraddittoriamente ne sostiene la legittimità in forza delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale del Comune di interventi edilizi in zona agricola "funzionali alla conduzione del fondo" posto che né evidenzia quali fossero gli elementi che in concreto consentissero di ritenere rispettato l’asservimento dell’immobile alla suddetta finalità, di certo non assolta dalla presenza di un uliveto nell’area esterna privo di relazione con la costruzione, né si confronta con la sentenza impugnata che, al contrario, esclude che gli attributi del manufatto da costui realizzato presentassero alcuna vocazione agricola in ragione tanto delle sua rilevante consistenza volumetrica in rapporto all’estensione dell’area strettamente riservata all’attività agricola quanto degli annessi, quali la piscina, del tutto avulsi dalla destinazione consentita dal piano urbanistico.
Inconferenti risultano infine le disquisizioni della difesa in ordine alla circostanza che le norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico del Comune ammettano interventi edilizi in zona agricola senza richiedere la qualifica di imprenditore o bracciante agricolo o coltivatore diretto in capo all’interessato, né che la costruzione presenti gli standard tipici dell’edilizia economica e popolare atteso che il reato contestato è solo quello di cui all’art. 44 lett. b), così essendo stato riqualificato già dal primo giudice il fatto, originariamente contestato anche ai sensi della lettera c).
4. Il quarto motivo è all’evidenza generico risolvendosi in contestazioni di natura indeterminata ed astratta sulla insussistenza dei requisiti oggettivi relativi alla rilevata difformità dell’opera rispetto al titolo abilitativo conseguito, laddove la sentenza impugnata spende copiosa motivazione individuando le specifiche caratteristiche dell’immobile in totale divergenza da quelle prescritte dal permesso di costruire (la pianta, il numero dei vani, l’altezza del piano terra, la volumetria e la superficie), con le quali la difesa non si confronta.
5. Il quinto motivo è manifestamente infondato. La prospettazione difensiva, secondo cui l’immobile sarebbe conforme al progetto di variante relativa alla realizzazione del piano seminterrato in forza di pretesi pareri di favorevoli da parte degli organi deputati, si rivela in sé inconsistente: la relativa doglianza resta priva di contenuto a fronte del dirimente rilievo della Corte territoriale che ha accertato che tale variante, seppur presentata dalla dante causa dell’imputato, non è stata mai approvata dal Comune essendo stata disposta la sospensione dei lavori subito dopo il deposito della richiesta presso gli uffici competenti.
Né maggior fondamento rivestono le contestazioni secondo le quali si tratterebbe di opera non richiedente necessariamente un permesso di costruire, potendo essere invece realizzata con la procedura semplificata che richiedeva soltanto una S.C.I.A. in variante al permesso di costruire. Al contrario, il piano interrato avendo comportato un aumento della volumetria complessiva di quest’ultimo ed avendo di conseguenza inciso sul carico urbanistico, rientra nella nozione di "nuova costruzione", comprensiva, secondo previsto dall’art. 10 lett. c DPR 380/2001, di qualsiasi manufatto, fuori terra o interrato che costituisca ampliamento all’esterno della sagoma dell’immobile preesistente, con conseguente integrabilità, in difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire, del reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 24464 del 10/05/2007 – dep. 21/06/2007, Iacobone ed altro, Rv. 236885; Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010 – dep. 04/06/2010, Savino, Rv. 247628). Invero, gli interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A., ex D.I.A), che i ricorrenti ritengono sufficiente ad escludere la configurabilità del reato contestatogli, sono solo quelli concernenti gli interventi edilizi non assoggettati a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 DPR 380/2001, nei quali è, invece, per le sue stesse caratteristiche ricompreso il suddetto piano interrato, trattandosi di una superficie di ben 68 mq con un’altezza di mt. 2,5 comportanti sia una modifica della sagoma dell’edificio preesistente che l’ampliamento della sua volumetria. In ogni caso anche a voler ritenere che si trattasse di una variante non sostanziale, nel cui ambito rientrano le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, la stessa è comunque soggette al rilascio di permesso in variante, complementario ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire (Sez. 3, n. 24236 del 24/03/2010 – dep. 24/06/2010, Muoio e altro, Rv. 247686): gli imputati erano perciò anche in tal caso onerati della richiesta della relativa variante, il conseguimento della quale soltanto gli avrebbe consentito di procedere ad una legittima modifica.
6. Il sesto motivo che si compendia di censure di natura esclusivamente fattuale, quali il confronto tra la volumetria assentita e quella concretamente realizzata o la forma della pianta dell’immobile, è inammissibile essendone l’esame precluso a questa Corte in difetto di qualsivoglia illogicità manifesta evincibile dallo stesso provvedimento impugnato o da altri atti processuali, nella specie mai richiamati, nel quale si esaurisce il vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità.
7. Il settimo motivo è manifestamente infondato. Le doglianze articolate con il settimo motivo che si appuntano sulla realizzabilità di piscine pertinenziali anche in zone con destinazione agricola, non si confrontano con la sentenza impugnata che rileva l’illegittimità del manufatto in assenza del necessario titolo abilitativo. Va al riguardo rilevato che secondo quanto già affermato da questa Corte la realizzazione di una piscina posta al servizio di una residenza privata non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire a condizione che se ne accerti la natura pertinenziale, la quale a sua volta postula che debba accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente, che presenti ridotte dimensioni anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con l’edificio principale e che non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati (Sez. 3, n.39067 del 21.5.2009, Vitti, non mass.): caratteristiche queste all’evidenza insussistenti nel caso di specie tenuto conto che il manufatto principale risulta edificato in totale difformità dal permesso di costruire avente ad oggetto un manufatto con destinazione funzionale all’uso agricolo.
8. La stessa sorte segue anche l’ottavo motivo. Al riguardo è sufficiente rilevare che non essendo l’immobile, di natura residenziale, conforme alla destinazione della zona su cui insiste, avente vocazione essenzialmente agricola, il titolo abilitativo conseguito è del tutto inefficace.
In conclusione i ricorsi devono essere dichiarato inammissibili, con conseguente preclusione, in difetto di un valido rapporto di impugnazione, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. maturate successivamente alla sentenza impugnata. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata come da dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 2.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 9.7.2013.