Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Rifiuti
Numero: 52829 |
Data di udienza: 22 Marzo 2016
CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi – Sfabbricidi – Mancanza della prescritta autorizzazione – Natura del reato di illecita gestione – Qualifica rivestita dall’agente – Art. 256 c.1, dlgs n. 152/2006 – Deposito temporaneo – Requisiti – Gestione illecita dei rifiuti – Art. 183 d.L.vo n. 152/2006.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Dicembre 2016
Numero: 52829
Data di udienza: 22 Marzo 2016
Presidente: FIALE
Estensore: Gentili
Premassima
CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi – Sfabbricidi – Mancanza della prescritta autorizzazione – Natura del reato di illecita gestione – Qualifica rivestita dall’agente – Art. 256 c.1, dlgs n. 152/2006 – Deposito temporaneo – Requisiti – Gestione illecita dei rifiuti – Art. 183 d.L.vo n. 152/2006.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n. 52829
CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi – Sfabbricidi – Mancanza della prescritta autorizzazione – Natura del reato di illecita gestione – Qualifica rivestita dall’agente – Art. 256 c.1, dlgs n. 152/2006.
La configurabilità della violazione dell’art. 256, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006, prescinde dalla qualifica rivestita dall’agente, non trattandosi di un reato cosiddetto proprio, essendo invece un reato comune, che può pertanto, essere commesso anche da chi si trovi a realizzare la condotta incriminata non nello svolgimento di un’attività primaria ma in maniera occasionale e consequenziale ad altra attività principale (Corte di cassazione, Sez.III penale, 9/07/2013, n. 29077).
RIFIUTI – Deposito temporaneo – Requisiti – Gestione illecita dei rifiuti – Art. 183 d.L.vo n. 152/2006.
In tema di gestione dei rifiuti, deve intendersi per deposito temporaneo ogni raggruppamento di rifiuti, e tali sono senza dubbio gli “sfabbricidi”, effettuato prima della raccolta nel luogo in cui gli stessi sono stati prodotti e nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 183 del dlgs n. 152 del 2006; laddove difetti anche uno dei requisiti richiesti il deposito, non potendosi questo ritenere temporaneo, esso può essere di volta in volta qualificato come preliminare, se prodromico ad una successiva operazione di smaltimento, può integrare gli estremi della messa in riserva, se il materiale depositato è in attesa di operazioni di recupero, ovvero dell’abbandono, laddove non sia prevista alcuna successiva operazione, o, infine, può essere considerato come attività di gestione, ove il deposito sia stato reiterato nel tempo ed abbia acquisito, perciò, una significativa rilevanza sia in relazione alla entità dello spazio occupato dai rifiuti che con riferimento alla quantità di questi ultimi (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23/09/2014, n. 38676), dovendosi, propendere per la rilevanza penale del fatto, fra gli altri indici rilevatori, laddove la attività di abbandono di rifiuti sia caratterizzata da una certa sistematicità, desumibile ad esempio dalla significativa quantità di rifiuti depositati in un’unica porzione di terreno nonché dalla inerenza della tipologia del rifiuto rispetto alla attività ordinariamente svolta dal soggetto depositante (Corte di cassazione, Sezione III penale, 15/07/2014, n.3910).
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza n. 66513 del TRIBUNALE DI SASSARI del 15 marzo 2013) Pres. FIALE, Rel. GENTILI, Ric. Sechi e altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n. 52829
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 14/12/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n. 52829
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
SECHI Piero Giuseppe, nato a Sorso (Ss) il 23 agosto 1944;
SECHI Giuseppe, nato a Sorso (Ss) il 23 febbraio 1976;
DE ROSAS Giuseppino, nato a Sorso (Ss) il 31 agosto 1966;
avverso la sentenza n. 665\13 del Tribunale di Sassari del 15 marzo 2013;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola FILIPPI, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 marzo 2013 il Tribunale di Sassari, ritenuta la penale responsabilità di Sechi Piero Giuseppe, Sechi Giuseppe e di Derosas Giuseppino in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 1, del dlgs n. 152 del
2006, per avere costoro effettuato attività di raccolta e smaltimento di rifiuti non pericolosi – costituiti da sfabbricidi – in mancanza della prescritta autorizzazione, li ha condannati alla pena di giustizia.
Hanno proposto ricorso per cassazione i tre imputati, assistiti dal comune difensore di fiducia, deducendo con identiche argomentazioni: la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della impugnata sentenza con riferimento all’accertamento in capo ai predetti della condotta rilevante ai fini della commissione del reato.
In secondo luogo i ricorrenti hanno contestato la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione della legge penale atteso che il reato loro contestato avrebbe presupposto il compimento di un’attività di carattere stabile mentre a carico dei prevenuti è stato contestato un solo episodio isolato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per come proposto, è inammissibile.
Con riferimento, infatti, al primo motivo di impugnazione, si osserva che lo stesso è integralmente volto a ricostruire i fatti per cui è causa in termini storicamente difformi rispetto a quelli accertati dal giudice del merito, attribuendo ai singoli attori della vicenda oggetto di contestazione ruoli e azioni sostanzialmente diverse da quelle ritenute dal Tribunale di Sassari.
E’ evidente – al di là della assai dubbia verosimiglianza della ricostruzione dei fatti operata dai ricorrenti – la impraticabilità di tale linea difensiva in questa sede di legittimità, essendo essa indirizzata non a segnalare eventuali vizi logici o giuridici della sentenza censurata, ma semplicemente a tentare di attribuire una diversa lettura, peraltro non suffragata da riscontri probatori, ai fatti di causa alternativa a quella operata in sede di giudizio.
Una tale operazione, coinvolgendo ovviamente apprezzamenti di fatto, è chiaramente inammissibile di fronte al giudice della legittimità.
Manifestamente infondato è il secondo motivo di impugnazione.
Come, infatti, questa Corte ha in diverse occasioni avuto l’opportunità di precisare, in tema di gestione dei rifiuti, deve intendersi per deposito temporaneo ogni raggruppamento di rifiuti, e tali sono senza dubbio gli “sfabbricidi”, effettuato prima della raccolta nel luogo in cui gli stessi sono stati prodotti e nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 183 del dlgs n. 152 del 2006; laddove difetti anche uno dei requisiti richiesti il deposito, non potendosi questo ritenere temporaneo, esso può essere di volta in volta qualificato come preliminare, se prodromico ad una successiva operazione di smaltimento, può integrare gli estremi della messa in riserva, se il materiale depositato è in attesa di operazioni di recupero, ovvero dell’abbandono, laddove non sia prevista alcuna successiva operazione, o, infine, può essere considerato come attività di gestione, ove il deposito sia stato reiterato nel tempo ed abbia acquisito, perciò, una significativa rilevanza sia in relazione alla entità dello spazio occupato dai rifiuti che con riferimento alla quantità di questi ultimi (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 settembre 2014, n. 38676), dovendosi, propendere per la rilevanza penale del fatto, fra gli altri indici rilevatori, laddove la attività di abbandono di rifiuti sia caratterizzata da una certa sistematicità, desumibile ad esempio dalla significativa quantità di rifiuti depositati in un’unica porzione di terreno nonché dalla inerenza della tipologia del rifiuto rispetto alla attività ordinariamente svolta dal soggetto depositante (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 luglio 2014, n.3910).
Nel caso in questione, si osserva, la quantità di rifiuti depositati presso il terreno in questione – riconducibile a Sechi Piero Giuseppe in quanto egli ne possedeva le chiavi del cancello di accesso – era certamente frutto di reiterati conferimenti (l’ultimo dei quali risultava essere in corso al momento dell’intervento degli agenti operanti, avendo costoro ivi rinvenuto Sechi Giuseppe alla guida di un camion carico di sfabbricidi), atteso che la stessa occupava un’area di circa 350 mq, ed essi erano, verosimilmente, originati dalla attività svolta da Sechi Giuseppe, soggetto operante nell’ambito dei lavori edili, sicché, alla luce dei criteri dianzi riportati, possono dirsi compiutamente integrati gli estremi oggettivi del reato in contestazione.
Neppure può aderirsi alla tesi, sostenuta dai ricorrenti nella parte finale della loro impugnazione, secondo la quale non svolgendo costoro stabilmente un’attività connessa alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti, non era possibile configurare nella loro condotta il reato loro contestato; infatti, anche sul punto la tesi difensiva è chiaramente infondata considerato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la configurabilità della violazione dell’art. 256, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006, prescinde dalla qualifica rivestita dall’agente, non trattandosi di un reato cosiddetto proprio, essendo invece un reato comune, che può pertanto, essere commesso anche da chi si trovi a realizzare la condotta incriminata non nello svolgimento di un’attività primaria ma in maniera occasionale e consequenziale ad altra attività principale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 luglio 2013, n. 29077).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., oltre alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, quella al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro 1500,00 per ciascuno di essi.
PQM
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2016