Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 6122 |
Data di udienza: 21 Gennaio 2016
* DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi in zona sottoposta a vincolo – Totale difformità dal nulla osta ambientale e dal permesso di costruire – Natura sismica della zona – Assenza del preventivo avviso al sindaco ed all’Ufficio del genio civile – Artt.44, lett. e), 93, 94 e 95, d.P.R. n.380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di appello – Rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. – Giudice di legittimità e vizi della motivazione – Sindacato demandato alla Corte di cassazione – Limiti – Giurisprudenza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Febbraio 2016
Numero: 6122
Data di udienza: 21 Gennaio 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: Mengoni
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi in zona sottoposta a vincolo – Totale difformità dal nulla osta ambientale e dal permesso di costruire – Natura sismica della zona – Assenza del preventivo avviso al sindaco ed all’Ufficio del genio civile – Artt.44, lett. e), 93, 94 e 95, d.P.R. n.380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di appello – Rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. – Giudice di legittimità e vizi della motivazione – Sindacato demandato alla Corte di cassazione – Limiti – Giurisprudenza.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/02/2016 (ud. 21/01/2016) Sentenza n.6122
DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi in zona sottoposta a vincolo – Totale difformità dal nulla osta ambientale e dal permesso di costruire – Natura sismica della zona – Assenza del preventivo avviso al sindaco ed all’Ufficio del genio civile – Artt.44, lett. e), 93, 94 e 95, d.P.R. n.380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di appello – Rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen.
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Nel giudizio di appello la rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. costituisce un istituto eccezionale, fondato sulla presunzione che l’indagine probatoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del Giudice di disporre la rinnovazione stessa è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (per tutte, Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni). Orbene, atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del Giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 6, n. 32336 del 18/6/2003, Apruzzese; Sez. 4, n. 4981 del 5/12/2013, Ligresti).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità e vizi della motivazione – Sindacato demandato alla Corte di cassazione – Limiti – Giurisprudenza.
Il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110). L’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella). In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano).
(conferma sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Potenza in data 9/5/2014) Pres. RAMACCI, Rel. MENGONI, Ric. Capobianco
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/02/2016 (ud. 21/01/2016) Sentenza n.6122
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da Capobianco Gaetano, nato in Venezuela il 9/11/1964;
– avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Potenza in data 9/5/2014;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9/5/2014, la Corte di appello di Potenza confermava la pronuncia emessa il 22/5/2013 dal Tribunale di Lagonegro, con la quale Gaetano Capobianco era stato riconosciuto colpevole delle contravvenzioni di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen.,
44, lett. e), 93, 94 e 95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e condannato alla pena di 15 giorni di arresto e 22 mila euro di ammenda; allo stesso- nella qualità di committente – era contestato di aver eseguito opere, in zona sottoposta a vincolo, in totale difformità dal nulla osta ambientale n.217/2003 e dal permesso di costruire n. 20/2005, nonché senza preventivo avviso al sindaco ed all’Ufficio del genio civile, necessario attesa la natura sismica della zona. Con accertamento al 22/4/2008.
2. Propone ricorso per cassazione il Capobianco, a mezzo del proprio difensore, deducendo due motivi:
– violazione degli
artt. 603, 605 cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe rigettato l’impugnazione dell’ordinanza istruttoria del Tribunale a data 13/2/2013, nonché la richiesta di rinnovazione ex art. 603 cod. proc. pen., con motivazione assente, apodittica ed erronea. In particolare, il Collegio non avrebbe considerato che i testi indotti dalla difesa erano stati revocati soltanto perché ripetutamente assenti, sia pur sempre citati, senza quindi alcuna considerazione in ordine alla loro rilevanza; rilevanza, che, peraltro, sarebbe palese, atteso che questi soggetti avrebbero interessato la posizione del Capobianco (a differenza di tutti quelli escussi fino a quel momento, coinvolgenti altri imputati), dimostrando che questi, già nel 2006, aveva incaricato due tecnici di verificare lo stato dei lavori e la corrispondenza degli stessi ad atti processuali e normativa tutta vigente. Una prova, quindi, decisiva;
– violazione degli
artt. 192, 125 cod. proc. pen., 27 Cost.; difetto motivazionale. La Corte di appello avrebbe affermato la responsabilità del ricorrente in forza di presunzioni illogiche ed all’esito di un’istruttoria che non avrebbe consentito di appurare alcun concorso del Capobianco negli abusi; in ordine ai quali, peraltro, lo stesso non aveva alcun interesse, come evidenziato nel primo gravame con considerazioni neppure valutate dal Giudice.
Questi motivi sono stati poi ribaditi con memoria difensiva depositata il 13/1/2016.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Osserva preliminarmente il Collegio che, per consolidato indirizzo di legittimità, nel giudizio di appello la rinnovazione dell’istruttoria ex
art. 603 cod. proc. pen. costituisce un istituto eccezionale, fondato sulla presunzione che l’indagine probatoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del Giudice di disporre la rinnovazione stessa è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (per tutte, Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203974). Orbene, atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del Giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 6, n. 32336 del 18/6/2003, Apruzzese, Rv. 226309; Sez. 4, n. 4981 del 5/12/2013, Ligresti, Rv. 229666), deve sottolinearsi che l’argomento speso al riguardo dal Collegio di Potenza risulta invero sintetico, ma essenziale; in particolare, la Corte ha affermato che «la rinnovazione parziale del dibattimento in appello è disciplinata rigidamente dall’
art. 603 cod. proc. pen, del quale non ritiene sussistere i presupposti». Orbene, in tal modo il Collegio ha riconosciuto l’esaustività dell’istruttoria compiuta in primo grado e, al contempo, ha implicitamente confermato l’ordinanza emessa al riguardo dal primo Giudice, che aveva revocato il precedente provvedimento ammissivo dei testi con motivazione del tutto adeguata, logica e non censurabile; in particolare, all’udienza del 13/2/2013, il Giudice – premesso che, contrariamente a quanto assunto in questa sede, i testimoni della difesa non erano stati citati per tutte le precedenti udienze – aveva rilevato che gli ultimi due testi indotti dal Capobianco erano stati chiamati a deporre «su capitoli da un lato estremamente generici, dall’altro completamente ultronei rispetto all’accertamento dei fatti per cui è causa, perché relativi ad ipotetici e non meglio specificati rilievi dello stato dei lavori»
Non solo.
Lo stesso Tribunale di Lagonegro aveva ulteriormente motivato sul punto nel corpo della sentenza, ancora con riguardo al medesimo capitolo di prova, specificando che l’oggetto di questo – l’accertamento dello stato dei luoghi e di quanto realizzato – «non è assolutamente in discussione: lo stesso Capobianco non obietta al fatto che le difformità realizzate esistono veramente (anche se sostiene di non esse responsabile per le stesse) e quindi anche da tale punto di vista va ribadita l’ultroneità della prova in questione».
Una motivazione – si ribadisce – non manifestamente illogica e, pertanto, non censurabile da questa Corte.
Il primo motivo, pertanto, risulta palesemente infondato.
4. Con riguardo, poi, al secondo, in punto di responsabilità, osserva il Collegio che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv.226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate; ed invero, dietro la parvenza di una violazione di legge e di un difetto motivazionale, lo stesso di fatto invoca una nuova ed alternativa lettura delle risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
Il ricorso, inoltre, oblitera del tutto la motivazione stesa sul punto dalla Corte di merito, la quale – rispondendo alla medesima doglianza – ha evidenziato che la responsabilità degli abusi doveva esser per certo riferita al proprietario committente (il Capobianco), unico interessato, «che, per altro, li ha realizzati con un semplice operaio, diverso e non collegato alla ditta esecutrice dei lavori». Ancora, la sentenza ha sottolineato che il direttore di questi ultimi, Maurizio Greco, si era dimesso «proprio in occasione delle prime manifestazioni di difformità» rispetto ai titoli urbanistici in possesso del ricorrente; in tal modo, quindi, la Corte di appello si è legata in un continuum motivazionale alla prima pronuncia (ammissibile, alla luce della cd. doppia conforme), che aveva anche sottolineato che lo stesso Greco, prima di esonerarsi dall’incarico, «aveva effettuato un “ordine di servizio” per ridurre le maggiori ed abusive altezze effettuate».
Orbene, a fronte di questa motivazione – adeguata, priva di illogicità manifeste e non contraddittoria – il ricorso si muove su linee meramente fattuali, richiamando argomenti che non possono trovare ingresso in sede di legittimità (l’indicazione dell’impresa che avrebbe effettuato i lavori; i rapporti tra Capobianco e Greco; l’asserita assenza di interesse alla realizzazione degli abusi, peraltro senza indicazione di eventuali altri interessati) e che, pertanto, impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’
art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016