Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 6123 | Data di udienza: 21 Gennaio 2016

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Opere edilizie in zona sottoposta a vincolo – Reato permanente e di pericolo – Artt. 44, c.1, lett.e) 64, 65, 71 e 82, 83, 95, d.P.R. n.380/2001Artt. 167 e 181, c.1-bis, d. lgs. n.42/2004DIRITTO URBANISTICO – Consistenza ed incidenza sull’assetto urbanistico del territorio – Interventi minori – Valutazione postuma della compatibilità paesaggistica – Mini sanatoria – Presupposti – Art 167 d. lgs. n. 42/2004 – L. n. 308/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello – Istituto eccezionale – Poteri e limiti del Giudice – Rigetto della richiesta di rinnovazione con motivazione implicita – Mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello – Assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado – Error in procedendo – Valutazione circa la decisività della prova – Artt. 603, 606 c.p.p., c.1, lett. d), cod. proc. pen. – Vizi della motivazione e coerenza strutturale della decisione – Illogicità della motivazione – Requisiti – Controllo del Giudice di legittimità – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Febbraio 2016
Numero: 6123
Data di udienza: 21 Gennaio 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: Mengoni


Premassima

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Opere edilizie in zona sottoposta a vincolo – Reato permanente e di pericolo – Artt. 44, c.1, lett.e) 64, 65, 71 e 82, 83, 95, d.P.R. n.380/2001Artt. 167 e 181, c.1-bis, d. lgs. n.42/2004DIRITTO URBANISTICO – Consistenza ed incidenza sull’assetto urbanistico del territorio – Interventi minori – Valutazione postuma della compatibilità paesaggistica – Mini sanatoria – Presupposti – Art 167 d. lgs. n. 42/2004 – L. n. 308/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello – Istituto eccezionale – Poteri e limiti del Giudice – Rigetto della richiesta di rinnovazione con motivazione implicita – Mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello – Assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado – Error in procedendo – Valutazione circa la decisività della prova – Artt. 603, 606 c.p.p., c.1, lett. d), cod. proc. pen. – Vizi della motivazione e coerenza strutturale della decisione – Illogicità della motivazione – Requisiti – Controllo del Giudice di legittimità – Giurisprudenza.



Massima

 

 
 
 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/02/2016 (ud. 21/01/2016) Sentenza n. 6123
 

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Opere edilizie in zona sottoposta a vincolo – Reato permanente e di pericolo – Artt. 44, c.1, lett.e) 64, 65, 71 e 82, 83, 95, d.P.R. n.380/2001Artt. 167 e 181, c.1-bis, d. lgs. n.42/2004
 
Una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (Cass., Sez. 3, n. 24690 del 18/2/2015, Mancini; Sez. 3, n. 28934 del 26/3/2013, Bersani; Sez. 3, n. 16393 del 17/2/2010, Cavallo). Nella specie, non ha alcun rilievo l’asserìto intervenuto accertamento paesaggistico, atteso che questo non esclude la punibilità del reato di pericolo di cui all’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004; ciò in quanto il rilascio di tale provvedimento non implica “automaticamente” che l’opera realizzata possa ritenersi “ex ante” inoffensiva o inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato (Cass., Sez.3, n. 21029 del 3/2/2015, Dell’Utri).
 

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Consistenza ed incidenza sull’assetto urbanistico del territorio – Interventi minori – Valutazione postuma della compatibilità paesaggistica – Mini sanatoria – Presupposti – Art 167 d. lgs. n. 42/2004 L. n. 308/2004.
 
La L. n. 308 del 2004, art. unico, comma 36, con previsioni trasfuse nel d. lgs. n. 42 in esame, art. 181, commi 1-ter e 1- quater, e, succesivamente, nell’art. 167, commi 4 e 5, ha introdotto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori, all’esito della quale – pur restando ferma l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria di cui al d. lgs. n. 42 del 2004, art 167 – non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dallo stesso d. lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1. Si tratta, in particolare: – dei lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; – dell’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; – dei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi dell’art. 3 (T.U.). Questo istituto, per espressa previsione normativa può intervenire esclusivamente con riguardo ad opere minori e di scarso impatto sul bene tutelato (tra le altre, Sez. 3, n. 35965 del 05/02/2015, Seratoni; Sez. 3, n .. 15053 del 23/01/2007, Bugelli).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello – Istituto eccezionale – Poteri e limiti del Giudice – Rigetto della richiesta di rinnovazione con motivazione implicita. 
 
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nel giudizio di appello, costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del Giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Cass., Sez. U. n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni). Orbene, atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del Giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. Sez. 6, n.32336 del 18/6/2003, Apruzzese; Sez. 4, n. 4981 del 5/12/2013, Ligresti). Infine, il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente, in presenza di un quadro probatorio definito certo e non bisognevole di approfondimenti indispensabili (per tutte, Cass. Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, Coppola).


DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello – Assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado – Error in procedendo – Valutazione circa la decisività della prova – Artt. 603, 606 c.p.p., c.1, lett. d), cod. proc. pen..
 
La mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello può costituire violazione dell’art.606 c.p.p., comma 1, lett. d), cod. proc. pen. soltanto qualora si invochi l’assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603 c.p.p., c.2) (Cass. Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013, Inguì; Sez. 5, n. 34643 dell’8/5/2008, n. 34643, De Carlo), mentre l’error in procedendo è configurabile e rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa (Sez. 4, n. 6783 del 23/1/2014, Di Meglio; Sez. 3, n. 27851 del 15/6/2010, M.; Sez. 6, n. 14916 del 25/3/2010, Brustenghi); in particolare, la valutazione circa la decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del Giudice di merito (Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008, Di Dio).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Vizi della motivazione e coerenza strutturale della decisione – Illogicità della motivazione – Requisiti – Controllo del Giudice di legittimità – Art. 606, comma 1, lette), cod. proc. pen.Giurisprudenza.
 
Il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110). Pertanto, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lette), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella). In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano).


(conferma sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Napoli in data 2/7/2014) Pres. RAMACCI, Rel. MENGONI, Ric. Raia ed altro
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/02/2016 (ud. 21/01/2016) Sentenza n. 6123

SENTENZA

 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta da
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sui ricorsi proposti da:
Raia Francesco, nato a Marigliano (Na) il 19/8/1953
Rega Maria Maddalena, nata a Palma Campania (Na) il 20/4/1955
– avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Napoli in data 2/7/2014;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
– sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza per prescrizione;
sentite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. Vittorio Corcione in sostituzione dell’Avv. Gennaro Pecoraro, e Avv. Vincenzo Vallone, che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 2/7/2014, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa il 28/5/2010 dal Tribunale di Torre Annunziata, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Francesco Raia e Maria Maddalena Rega in ordine ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. e) (capo Al), 64, 65, 71 e 82 (capo b), 83, 95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, perché estinti per prescrizione, e rideterminava la pena – quanto ai delitti di cui agli artt. 349 cod. pen., 181, comma 1-bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – in sette mesi di reclusione e 400,00 euro di multa ciascuno; agli stessi, in concorso, era contestata la realizzazione di un piano seminterrato ottenuto mediante svuotamento di un terrapieno, eseguito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale ed in assenza del permesso di costruire e della necessaria autorizzazione dell’autorità preposta al vincolo stesso.
 
2. Propongono autonomo ricorso per cassazione i due imputati, deducendo i seguenti motivi, così sintetizzati:
 
Rega e Raia:
Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello non avrebbe prosciolto gli imputati quanto agli abusi ex capo Al, per intervenuto condono, sul presupposto che non vi sarebbe prova che questo abbia sanato l’opera con riguardo anche ai volumi (oltre che, pacificamente, alle superfici); ancora, il Collegio non avrebbe accolto la richiesta di nuova escussione del teste Zarrella, responsabile dell’ufficio tecnico comunale, sostenendo che questi non avrebbe potuto offrire certezze al riguardo. Orbene, tale motivazione sarebbe palesemente illogica e contraddittoria, sia perché la stessa Corte evidenzia – contrariamente a quanto appena affermato – che la nuova escussione sarebbe stata invero necessaria proprio al fine di chiarire l’esatta portata del condono (peraltro, accertabile con semplice calcolo matematico), sia perché, comunque, la riferibilità di questo anche ai volumi sarebbe stata già sostenuta e documentata dallo stesso Zarrella (che avrebbe espresso incertezze solo quanto alla sagoma) e dai numerosi atti acquisiti al fascicolo; il quale, peraltro, avrebbe concluso per un condono rilasciato per una superficie addirittura superiore a quella abusivamente realizzata. Ancora sul punto, la Corte avrebbe negato la piena efficacia del provvedimento in forza di un elemento – il volume – del tutto estraneo agli artt. 34 e 35, I. n. 47 del 1985, sui quali il condono medesimo è fondato; elemento, ancora, non indicato nel capo di imputazione, la cui assoluta indeterminatezza sul punto avrebbe generato la questione in esame, peraltro estranea alla comune modulistica impiegata per richiedere la misura;
 
Rega: 
Erronea applicazione dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004. La violazione di cui al capo Al, poi inserita anche nel capo d), sarebbe stata accertata 1’8/4/2004, quindi in epoca precedente all’inserimento – nell’art. 181, cit. – del contestato comma 1-bis, avvenuta soltanto a partire dal 15/12/2004; la norma, pertanto, non potrebbe essere contestata alla Rega con riguardo all’intervento in esame, potendo al più essere riferita a successive “opere funzionali” estranee alla contestazione, accertate il 13/9/2005. E con la precisazione, peraltro, che – nelle more tra i due accertamenti – sarebbe intervenuto anche il parere favorevole della Soprintendenza ex art. 167, d. lgs. n. 42 del 2004, tale da sanare la violazione relativa proprio al seminterrato; Erronea applicazione di legge penale. Il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica impedirebbe l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, invero confermato dalla Corte di appello;
Erronea applicazione dell’art. 159 cod. pen.. La Corte avrebbe escluso l’intervenuta prescrizione richiamando due periodi di sospensione (12/7/2007-10/4/2008 e 24/10/2008-2/7/2009) non applicabili o per l’intero (il primo, relativo ad astensione dalle udienze, quindi da limitare a 60 giorni) od in nessuna misura (il secondo, riferibile alla necessità – propria del Giudice – di trattare altri processi in via prioritaria). Il piano seminterrato, in ogni caso, sarebbe stato realizzato negli anni ’80, sì da essere ampiamente prescritto anche sub capo d) (Raia);
Difetto motivazionale quanto al delitto di cui all’art. 349 cod. pen. Gli argomenti sul punto risulterebbero viziati, atteso che l’istruttoria ben avrebbe provato che tutti i lavori – e l’eventuale violazione dei sigilli – erano avvenuti prima dell’accesso del 13/9/2005.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. I ricorsi risultano manifestamente infondati.
 
Con riguardo al primo motivo, riportato in modo diffuso in entrambi gli atti di gravame, osserva preliminarmente il Collegio che, per consolidato indirizzo, la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del Giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (per tutte, Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203974). Orbene, atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del Giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 6, n.32336 del 18/6/2003, Apruzzese, Rv. 226309; Sez. 4, n. 4981 del 5/12/2013, Ligresti, Rv. 229666), deve sottolinearsi che la sentenza impugnata dà conto, in modo non inequivoco, delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di rinnovazione parziale, ritenendo che gli elementi probatori disponibili risultassero completi e concludenti per la formazione del convincimento; la pronuncia, pertanto, ha fatto buon governo del principio per cui il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente, in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non bisognevole di approfondimenti indispensabili (per tutte, Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, Coppola, Rv. 259893).
 
Non solo. Costituisce ulteriore, consolidato principio di questa Corte quello per cui la mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello può costituire violazione dell’art.606 c.p.p., comma 1, lett. d), cod. proc. pen. soltanto qualora si invochi l’assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603 c.p.p., comma 2) (Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013, Inguì, Rv. 259136; Sez. 5, n. 34643 dell’8 maggio 2008, n. 34643, De Carlo, Rv. 240995), mentre l’error in procedendo è configurabile e rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa (Sez. 4, n. 6783 del 23/1/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez. 3, n. 27851 del 15/6/2010, M., Rv. 248105; Sez. 6, n. 14916 del 25/3/2010, Brustenghi, Rv. 246667); in particolare, la valutazione circa la decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del Giudice di merito (ex plurimis, Sez. 4, n. 23505 del 14 marzo 2008, Di Dio, Rv. 240839).
 
4. Orbene, come emerge dalla sentenza impugnata, la rinnovazione invocata dai ricorrenti non rivestiva tale carattere, atteso che – e dato per pacifico il mancato riferimento ai volumi condonati, invero necessario a prescindere dalla modulistica impiegata (trattandosi di condono, non già di sanatoria ex artt. 34 e 35, L. n. 47 del 1985) – la stessa carenza istruttoria non sarebbe stata suscettibile di integrazione a mezzo di una nuova escussione del teste Zarrella; ed invero – come affermato dalla Corte – questi, per un verso, aveva già reso ampia ed esaustiva deposizione in primo grado (integrata da una nota a data 5/4/2011) e, per altro verso, aveva di fatto sostenuto che «non era possibile affermare senz’altro che il manufatto realizzato mediante svuotamento fosse corrispondente a quello condonato quanto a volumetria» (mentre lo era per certo quanto a superfici). Quel che, peraltro, non risultava neppure dalla documentazione prodotta al fascicolo, ed in particolare dai grafici allegati all’istanza di condono e dalle fatture.
 
In forza di ciò, dunque, il Collegio di merito – con affermazione non viziata ed insuscettibile di censura in questa sede – ha concluso per la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato sub al (e, di riflesso, sub b e e), non risultando evidente – ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. – l’intervenuto, integrale condono delle opere in oggetto. E senza che, peraltro, possa ravvisarsi il vizio motivazionale dedotto con i ricorsi, non emergendo alcuna contraddizione sul punto; ed invero, ben è possibile affermare – quanto alla deposizione Zarrella – che la stessa risulta ampia e completa, e, al contempo, sostenere che però non consente di accertare un determinato profilo, rimasto oscuro anche alla luce della documentazione prodotta.
 
Documentazione sulla quale, peraltro, questa Corte non può procedere a nuova e diversa valutazione, al pari delle risultanze testimoniali, come invece invocano i ricorrenti con riguardo alla deposizione Zarrella. Al riguardo, infatti, occorre i ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lette), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
 
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv. 251760).
 
Quel che si ravvisa nella sentenza impugnata, come da considerazioni che precedono.
 
5. Del tutto infondato, di seguito, è il motivo proposto dalla Rega in ordine all’art. 181, comma 1-bis ed alla sua contestabilità nel caso di specie.
 
Ed invero, il Giudice di appello – aderendo al costante indirizzo di questa Corte – ha sottolineato che il delitto in oggetto, qualora realizzato attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (tra le altre, Sez. 3, n. 24690 del 18/2/2015, Mancini, Rv. 263926; Sez. 3, n. 28934 del 26/3/2013, Bersani, Rv. 256897; Sez. 3, n. 16393 del 17/2/2010, Cavallo, Rv. 246758); ne consegue che l’abuso – contestato alla data 13/9/2005 – ricade per certo (anche) sotto la disciplina dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004, in quanto introdotto con la L. 15 dicembre 2004, n. 308. E senza che, al riguardo, abbia rilievo l'(asserìto) intervenuto accertamento paesaggistico, atteso che – ancora per constante orientamento di legittimità – questo non esclude la punibilità del reato di pericolo di cui all’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004; ciò in quanto il rilascio di tale provvedimento non implica “automaticamente” che l’opera realizzata possa ritenersi “ex ante” inoffensiva o inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato (per tutte, Sez. 3, n. 21029 del 3/2/2015, Dell’Utri, Rv. 263978).
 
6. Con riguardo, poi, alla contestazione di cui all’art. 349 cod. pen., osserva la Corte che il motivo di gravame proposto da entrambi i ricorrenti tende, nuovamente, ad ottenere una diversa valutazione del materiale istruttorio già esaminato dai Giudici di merito; ed invero, rispondendo alla medesima doglianza in punto di richiesta “retrodatazione”, la Corte di appello ha evidenziato che «è emerso nel corso del processo che i lavori erano ancora in corso alla data del sopralluogo (cfr. deposizione Cacace), con ciò non potendo senz’altro farsi risalire ad epoca prossima alla avvenuta apposizione dei sigilli (aprile 2004) la violazione degli stessi». Ancora sul punto, ed ancora con motivazione adeguata e priva di illogicità, la sentenza ha sottolineato che la prospettazione difensiva non poteva essere accolta neppure in forza della documentazione prodotta (fatture di acquisto materiali) o della deposizione a discarico, specie con riguardo al teste Romano, il quale aveva dichiarato di essersi recato sul cantiere, per l’ultima volta, soltanto nel 2004. 
 
7. Di seguito, con riguardo al dedotto accertamento di compatibilità paesaggistica ed ai suoi effetti sull’ordine di rimessione in pristino, osserva la Corte che lo stesso non può produrre effetti nel caso di specie.
 
Al riguardo, occorre premettere che la L. n. 308 del 2004, art. unico, comma 36, con previsioni trasfuse nel d. lgs. n. 42 in esame, art. 181, commi 1-ter e 1- quater, e, succesivamente, nell’art. 167, commi 4 e 5, ha introdotto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori, all’esito della quale – pur restando ferma l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria di cui al d. lgs. n. 42 del 2004, art 167 – non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dallo stesso d. lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1. Si tratta, in particolare:
– dei lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
– dell’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; – dei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi dell’art. 3 (T.U.). 
 
Questo istituto, dunque, per espressa previsione normativa può intervenire esclusivamente con riguardo ad opere minori e di scarso impatto sul bene tutelato (tra le altre, Sez. 3, n. 35965 del 05/02/2015, Seratoni Rv. 264875; Sez. 3, n .. 15053 del 23/01/2007, Bugelli, Rv. 236337); opere, quindi, ben difformi da quelle ravvisate dalla Corte di merito nel caso di specie, che si evidenziano- giusta sentenza impugnata – per la loro consistenza ed incidenza sull’assetto urbanistico del territorio in questione, sì da imporre la conferma dell’ordine di riduzione in pristino.
 
8. Da ultimo, la prescrizione; orbene, rileva il Collegio che – contrariamente all’assunto difensivo – la stessa non era decorsa alla data della pronuncia di secondo grado, sì che anche questa doglianza risulta manifestamente infondata. Ed invero, al termine ordinario di 7 anni e 6 mesi, corrente dal 13/9/2005, debbono aggiungersi due periodi di sospensione, dal 12/7/2007 al 10/4/2008 e dal 24/10/2008 al 2/7/2009, con scadenza del termine medesimo, quindi, al 19/8/2014; periodi da computarsi interamente, malgrado il diverso tenore del ricorso, atteso che il primo si riferisce ad un rinvio dell’udienza per adesione del difensore all’astensione della categoria (per tutte, Sez. 3, n. 11671 del 24/2/2015, Spignoli, Rv. 263052) ed il secondo ad un rinvio per trattazione prioritaria di altri processi ex art. 132-bis disp. att. cod. proc. pen. (v. Sez. 2, n. 44806 del 6/11/2012, Ndiaye, Rv. 253649, a mente della quale è legittimamente disposta la sospensione del corso della prescrizione anche quando il rinvio del dibattimento sia stato determinato dalla necessità di trattazione prioritaria dei processi rientranti nella categoria di cui all’art. 132 bis disp. att. cod. proc. pen.).
 
I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016
 
 

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