Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 15/02/2016 (ud. 21/01/2016) Sentenza n. 6124
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da Mario Capobianchi, nato a Roma il ../../…
– avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma in data 11/7/2012;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
– sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
– udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’ll/7/2012, la Corte di appello di Roma, giudicando in sede di rinvio in esito alla pronuncia della Quarta Sezione di questa Corte in data
26/5/2006, riformava la decisione assunta dal Tribunale di Roma il 23/10/2002 e, per l’effetto, assolveva – ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. – Mario Capobianchi dalle imputazioni ascrittegli (disastro colposo ed omicidio colposo plurimo), perché il fatto non costituisce reato, e dichiarava non doversi procedere nei confronti di Vincenzo Mudanò – in ordine ai medesimi delitti – per intervenuta morte dello stesso; ai due imputati – amministratori della “San Paolo tipografia editoriale s.r.l.”, il primo dal 20/3/1997, l’altro fino a tale data – era contestato di aver cooperato colposamente al crollo di un immobile in Roma, alla via Vigna Jacobini n. 65, avvenuto il 16/12/1998 e causa del decesso di 27 persone.
2. Propone ricorso per cassazione il Capobianchi, a mezzo dei propri difensori, al fine di ottenere l’annullamento senza rinvio della pronuncia perché il fatto non sussiste, deducendo il seguente motivo:
– inosservanza dell’
art. 627, comma 3, cod. proc. pen.; mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza del nesso causale. La Corte di appello avrebbe palesemente ecceduto i limiti del giudizio di rinvio, provvedendo peraltro a confutare le argomentazioni di cui alle numerose consulenze e perizie in atti – compresa quella sollecitata dal Collegio medesimo – con affermazioni del tutto apodittiche e prive di qualsivoglia supporto scientifico. Ed invero, premesso che – per emergenza pacifica – il crollo dell’edificio doveva addebitarsi, in primo luogo, a gravissimo difetto strutturale, e che l’eventuale concausa riferibile ai ricorrenti era da limitare al decremento del tasso di umidità seguente ai lavori di ampliamento svolti nella tipografia, con conseguente “ritiro” del calcestruzzo; ciò premesso, il Collegio di appello non si sarebbe affatto adeguato al
dictum della Quarta Sezione di questa Corte, che aveva ritenuto necessario accertare quale fosse il tasso medesimo, all’interno dei locali, in epoca antecedente agli interventi eseguiti (edilizi e, conseguentemente, di ampliamento industriale, con aumento dei macchinari). In particolare, il Collegio di merito, pur prendendo atto dell’impossibilità di verificare questo dato e superando le conclusioni al riguardo espresse dai periti (che ne avevano comunque sostenuto la trascurabilità), avrebbe apoditticamente affermato che i lavori eseguiti avevano senza dubbio comportato un abbattimento dell’umidità, e che ciò era desumibile con certezza dalla stretta interdipendenza tra numero di macchine, relative emissioni di calore, innalzamento della temperatura e, per l’appunto, riduzione dell’umidità; in tal modo, però, la Corte avrebbe sviluppato un argomento autoreferenziale, dando per certa una presunta causa (la “stretta interdipendenza” citata) che, per contro, avrebbe dovuto costituire l’oggetto di un affidabile accertamento positivo, invero escluso dai periti. Di seguito, la sentenza avrebbe affrontato numerose e complicate questioni tecniche (in punto di effetti dell’umidità sul calcestruzzo; di qualità delle macerie; di incidenza dei lavori per l’ascensore esterno; di “microclima” interno ai locali della tipografia), pervenendo ancora a conclusioni palesemente apodittiche, prive di ogni fondamento tecnico od istruttorio e, anzi, contrastate dalle chiare conclusioni dei tecnici escussi. Sì da imporne l’annullamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
La sentenza qui gravata interviene, in sede di rinvio, a seguito dell’annullamento – ad opera della Quarta Sezione di questa Corte – della precedente pronuncia resa dal Collegio di appello di Roma, censurata sotto un duplice profilo, oggettivo (in ordine al nesso di causalità) e soggettivo (in ordine alla dedotta violazione di regola cautelare), ritenuto invero determinante.
Quanto al primo, il Giudice di legittimità aveva contestato le evidenti contraddizioni ed illogicità insite nella pronuncia di merito, laddove – nell’affermare che gli imputati avevano violato una regola di diligenza omettendo, prima di ampliare l’attività, di verificare le condizioni del fabbricato (risultato poi gravato da decisivi difetti strutturali) – aveva indebitamente posto a carico degli stessi un onere di controllo sulle strutture medesime, senza però neppure accennare al ragionevole affidamento circa la buona posa in opera dell’immobile tutto, che ben avrebbe potuto sorgere in capo ai medesimi soggetti atteso che – in circa 40 anni – l’intero stabile non aveva mai evidenziato alcuna crepa o fatto emergere qualsivoglia perplessità in ordine alla sua tenuta.
Con riguardo, poi, al nesso di causalità – e rilevato che erano stati eliminati, in appello, molti dei profili di colpa ascritti, residuando soltanto il decremento dell’umidità nei locali, con effetti sul “ritiro” del calcestruzzo- la Quarta Sezione aveva evidenziato la illogicità manifesta della sentenza, la quale aveva sì valorizzato il tasso riscontrato in esito ai lavori citati ( 46%), notevolmente inferiore a quello presente in Roma alla stessa ora, ma non aveva accertato quale fosse stata la percentuale di umidità nei medesimi locali in epoca precedente ai lavori; quel che risultava invero decisivo, dato che il profilo di colpa ascritto agli imputati originava proprio dagli interventi di ampliamento effettuati sulla tipografia a partire dagli anni ’90, non riguardando periodi precedenti, sì da rendere necessario il raffronto indicato. In particolare, come si legge nella sentenza qui impugnata, «secondo la Suprema Corte non è dato comprendere – tenuto conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza “Franzese” – in base a quale argomento sia possibile affermare che l’umidità pari al 46% determinata dall’incremento dell’attività della tipografia avrebbe contribuito in modo rilevante all’indebolimento dei pilastri dell’edificio e al progressivo sfaldamento strutturale del fabbricato, senza conoscere quale fosse il tasso di umidità nel periodo precedente a detto incremento; si tratta infatti di un elemento di raffronto essenziale per formulare quel giudizio controfattuale teso a verificare la sussistenza del nesso di causalità in termini dì alto od elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica». Giudizio davvero indispensabile, a parere della Corte Suprema, anche considerando che l’istruttoria aveva pacificamente dimostrato che: 1) l’attività tipografica era stata svolta per anni nel medesimo palazzo, sia pur con forme originariamente “artigianali”, senza destare alcun problema in punto di staticità dell’edificio; 2) anche successivamente ai lavori di ampliamento, non era emerso alcun segnale di pericolo in tal senso; 3) l’intero stabile – a causa dei rilevantissimi, originari, difetti strutturali, aggravatisi nel corso degli anni in modo del tutto silente – sarebbe comunque crollato, indipendentemente dagli interventi nella tipografia;
4) lo stesso edificio, per contro, non sarebbe collassato, pur con tali opere, se non avesse presentato le dette anomalie costruttive.
4. Ciò premesso, ritiene questa Corte che la nuova sentenza d’appello – che ha assolto il ricorrente (ex
art. 530, cpv. cod. proc. pen.) per difetto dell’elemento soggettivo – sia sul punto del tutto illogica e fondata su considerazioni palesemente apodittiche ed indimostrate, tali da imporne l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio. Innanzitutto, e con riguardo alla decisiva questione del tasso di umidità – si ribadisce, già riconosciuto dalla prima sentenza di appello quale unica concausa del crollo addebitabile agli imputati, attesa la sua incidenza sul degrado delle strutture, con esclusione quindi delle altre condotte ascritte (presunta rimozione dell’intonaco dai pilastri del seminterrato; presunte vibrazioni dei macchinari; presunto sovraccarico dei solai; incidenza della temperatura nel piano seminterrato) – la Corte di appello ha preso atto dell’impossibilità di eseguirne l’accertamento quanto al periodo antecedente ai lavori, ma è comunque pervenuta alla conclusione che il tasso medesimo era sicuramente diminuito, e proprio a causa della opere di cui trattasi e dell’ampliamento dell’attività tipografica. In particolare, il Collegio ha affermato che, «quanto all’accentuarsi del fenomeno dell’abbattimento del tasso di umidità relativa all’interno del piano seminterrato, si tratta di un dato che – pur nell’impossibilità di acquisire precisi elementi di riscontro circa il tasso nel periodo iniziale dell’attività della tipografia – è comunque desumibile con certezza dalla stretta interdipendenza tra numero di macchine stampanti, relative emissioni di calore, innalzamento della temperatura, abbattimento del tasso di umidità relativa».
Orbene, si tratta di un’affermazione meramente asserita e non dimostrata, di una palese illazione, specie a fronte di una premessa- l’impossibilità tecnica di verificare il dato, oggi – che risulta superabile soltanto a mezzo di differenti, specifiche ed oggettive risultanze istruttorie, nel caso di specie neppure dedotte nella sentenza.
5. Non solo. Come correttamente affermato nel ricorso, la Corte di appello “desume con certezza” l’abbattimento del tasso di umidità dalla citata “stretta interdipendenza” tra vari fattori, rappresentando quindi quest’ultima come dato ormai acquisito e pacifico; quel che, però, non si ricava affatto dalla pronuncia della Quarta Sezione, la cui motivazione si svolgeva in termini opposti. E cioè: in primo luogo occorre verificare quale fosse questo tasso prima dell’esecuzione dei lavori, quindi – ed in caso di apprezzabile differenza – accertarne la diretta riferibilità all’attività della tipografia per come “rafforzata” nel corso degli anni, ed infine l’incidenza causale sul crollo. Quel che, pertanto, non costituisce affatto un risultato acquisito al patrimonio dibattimentale, come invece la sentenza presuppone.
6. Ma vi è di più. La Corte di merito è pervenuta alla conclusione suddetta anche superando gli argomenti spesi sul punto dal collegio di periti (nominati dallo stesso Giudice), a giudizio dei quali la differenza del tasso di umidità tra il “prima” ed il “dopo” i lavori nella tipografia doveva, comunque, ritenersi trascurabile; del pari, il denunciato ritiro del calcestruzzo doveva giudicarsi ininfluente, «poiché libero e non contrastato, non inducendo quindi quelle autotensioni di trazione e conseguenti fessurazioni che si verificano invece negli elementi non liberi di contrarsi». Tanto da concludere – gli stessi periti, come riportato nella sentenza – «che le correnti regole della buona tecnica non richiedevano – in relazione a tale trasformazione e con riguardo a edifici similari – una previa verifica specifica della compatibilità della struttura edilizia con l’ampliamento dell’attività produttiva».
Ciò premesso, osserva questa Corte che il diverso avviso espresso dal Collegio di appello risulta sostenuto da considerazioni delle quali è taciuto ogni fondamento o riscontro scientifico, facendosi cioè riferimento soltanto al «peculiare microclima venutosi a creare nel piano seminterrato con la progressiva trasformazione da artigianale ad industriale dell’attività tipografica»; un’affermazione palesemente apodittica (e, peraltro, reiteratamente inserita nella motivazione), come tale inidonea a confutare – con carattere motivato – le difformi conclusioni raggiunte dai periti nominati.
7. Osserva il Collegio, di seguito, che risultano del pari meramente assertivi anche gli ulteriori argomenti spesi dalla Corte per confermare l’esistenza del nesso (con) causale tra i lavori nella tipografia ed il crollo dell’edificio. In particolare, la sentenza ha richiamato 1) lo sfarinamento dei conglomerati cementizi (riscontrato solo nelle maceria del seminterrato occupato dall’attività, non nei piani più alti); 2) l’installazione di un nuovo impianto di areazione negli stessi ambienti (nel corso della quale si era verificata, quanto ad una trave del soffitto, la totale inconsistenza della muratura); 3) l’installazione dell’ascensore esterno all’immobile (ancorato alla struttura, evidentemente solida, a differenza del piano seminterrato); 4) l’installazione dell’impianto dei compressori, che aveva per certo aumentato la temperatura interna alla tipografia e, per l’effetto, abbattuto il tasso di umidità relativa. Orbene, con riguardo ai primi tre profili, la Corte di appello non ha indicato alcun riferimento cronologico che possa legare il presunto sfaldamento del (solo) piano seminterrato, non già del resto dell’edificio, ad un’epoca successiva all’esecuzione dei lavori in oggetto: quel che, per contro, riveste un carattere determinante, atteso che – come già indicato – l’imputazione ascritta al ricorrente (ed al defunto Mudanò) si fonda proprio, ed esclusivamente, sui medesimi interventi sui locali, senza alcuna “proiezione” ad un’epoca precedente gli stessi. Quanto, poi, all’installazione dei compressori, la sentenza ha superato gli argomenti contrari contenuti nella perizia (in forza dei quali tale intervento non avrebbe avuto alcuna incidenza sul tasso di umidità), ma a tal fine ha utilizzato ancora un ragionamento del tutto apodittico e privo di espresso fondamento scientifico: la Corte, infatti, ha affermato che «se si tiene contro dell’accennata “fragilità” originaria delle strutture cementizie dello stabile e della loro ontologica predisposizione a fenomeni da fessurazione e microfratture da ritiro, è agevole convenire circa la sicura incidenza su detti fenomeni di quella vera e propria “bomba” microclimatica costituita dal macchinario dei compressori, atteso il livello torrido delle temperature da essi sprigionate ed il conseguente brusco abbassamento del tasso di umidità negli spazi del seminterrato circostante».
Argomenti, quindi, tali da riscontrare la manifesta illogicità della sentenza impugnata, la quale ha risposto all’unico, decisivo quesito che aveva giustificato l’annullamento della precedente pronuncia di appello (la verifica del tasso di umidità nei locali della tipografia, antecedentemente ai lavori) con asserzioni apodittiche, sprovviste di ogni riferimento scientifico od istruttorio e volte a confutare soltanto in questi termini le difformi conclusioni riportate dai periti sulle medesime questioni. Asserzioni, quindi, del tutto inidonee a riconoscere quel nesso di causalità necessario per confermare la sentenza di condanna e, in particolare, a fare buon governo dei principi di cui alla citata sentenza Franzese (Sez. u, n. 30328 del 10/7/2002, Rv. 222138); in forza della quale – come noto – nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente dì probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Quel che la sentenza non ha dimostrato, proponendo una motivazione viziata nei termini indicati.
Se ne impone, pertanto, l’annullamento con rinvio ad altra sezione della
Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte di appello di Roma, altra sezione.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2016