Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale Numero: 51581 | Data di udienza: 18 Settembre 2018

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela dei beni culturali – Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale – Obbligo in capo a chi ha la disponibilità dei beni della buona conservazione – Violazione dell’art. 733 cod. pen. – Natura di reato di danno a forma libera e permanente – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Differenza tra reato permanente a forma c.d «chiusa» e «aperta» – Momento della consumazione del reato – Cessazione della permanenza – Art. 516 cod. proc. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Novembre 2018
Numero: 51581
Data di udienza: 18 Settembre 2018
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: SEMERARO


Premassima

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela dei beni culturali – Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale – Obbligo in capo a chi ha la disponibilità dei beni della buona conservazione – Violazione dell’art. 733 cod. pen. – Natura di reato di danno a forma libera e permanente – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Differenza tra reato permanente a forma c.d «chiusa» e «aperta» – Momento della consumazione del reato – Cessazione della permanenza – Art. 516 cod. proc. pen..



Massima

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 15/11/2018 (Ud. 18/09/2018), Sentenza n.51581


BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Tutela dei beni culturali – Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale – Obbligo in capo a chi ha la disponibilità dei beni della buona conservazione – Violazione dell’art. 733 cod. pen. – Natura di reato di danno a forma libera e permanente.
 
In tema di tutela dei beni culturali, l’art. 733 cod. pen. prevede nella parte precettiva l’obbligo in capo a chi ha la disponibilità dei beni sia di prevenire ed evitare ogni forma di danneggiamento degli stessi, sia di fare tutto ciò che è opportuno per la buona conservazione del bene. La violazione di tale obbligo integra – sotto il profilo oggettivo – un reato di danno a forma libera e permanente. L’evento lesivo dell’oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto, istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni cautela da aggressioni umane (cosiddetto vandalismo), dai fattori naturali (insetti o agenti atmosferici) o da elementi chimico-fisici (i fattori inquinanti).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Differenza tra reato permanente a forma c.d «chiusa» e  «aperta» – Momento della consumazione del reato – Cessazione della permanenza – Art. 516 cod. proc. pen..
 
In materia processuale, nel caso di contestazione di un reato permanente nella forma cosiddetta «chiusa», con precisa indicazione della data di cessazione della condotta illecita, ad es. con la formula «accertato fino al. .. », il giudice può tener conto dell’eventuale protrarsi della consumazione soltanto se ciò sia oggetto di un’ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516 cod. proc. pen.; qualora invece il reato permanente sia stato contestato in forma c.d. «aperta», essendosi il pubblico ministero limitato ad indicare solo la data di inizio della consumazione, ovvero quella dell’accertamento, come nel caso in esame, il giudice può valutare, senza necessità di contestazioni suppletive, anche la condotta criminosa eventualmente posta in essere fino alla data della sentenza di primo grado (Cass. Sez. 2, n. 20798 del 20/04/2016, Zagaria).
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 14/02/2018 – CORTE APPELLO di PALERMO) Pres. LAPALORCIA, Rel. SEMERARO, Ric. Lasco
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 15/11/2018 (Ud. 18/09/2018), Sentenza n.51581

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 15/11/2018 (Ud. 18/09/2018), Sentenza n.51581
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE,
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da LASCO ELIA AMEDEO nato a MELITO DI PORTO SALVO
 
avverso la sentenza del 14/02/2018 della CORTE APPELLO di PALERMO
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere LUCA SEMERARO;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MARILIA DI NARDO,
 
udito il difensore, avv. Giuseppe Dacquì;
 
il p.g. conclude per l’annullamento senza rinvio per prescrizione per il capo b) relativo all’art. 733 cod. pen.; inammissibilità nel resto;
 
il difensore chiede l’accoglimento del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Il difensore di Elia Amedeo Lasco ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 14 febbraio 2018 che, in accoglimento del solo motivo sulla pena ed in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 11 maggio 2016, ha condannato il ricorrente alla pena di € 2.500 di ammenda, revocando altresì il beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. Elia Amedeo Lasco è stato condannato per i reati ex artt. 677 comma 3 e 733 cod. pen., con fatto accertato in Palermo il 4 ottobre 2012.
 
Con il primo motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge con riferimento all’art. 733 cod. pen. Per la difesa, soggetto attivo del reato può essere solo il proprietario privato dei beni di pregio artistico, storico o archeologico, laddove il ricorrente era all’epoca dei fatti il direttore dell’agenzia del demanio di Palermo, ente proprietario dell’immobile.
 
In secondo luogo, la difesa ha dedotto il vizio della motivazione perché la Corte di appello di Palermo non ha motivato sull’esistenza del pregiudizio di rilievo nazionale; rileva la difesa che il bene non è stato perduto e che non è stato procurato alcun nocumento al patrimonio storico artistico della nazione, quale condizione obiettiva di punibilità o elemento costitutivo.
 
 
2. Con il secondo motivo, relativo al reato ex art. 677 cod. pen., la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione; ha rilevato la difesa che nel capo di imputazione è indicato che l’omissione avrebbe cagionato la rovina delle strutture dell’immobile e delle sue pertinenze.
 
La difesa ha dedotto la mancanza di motivazione sulla sussistenza di tale ‘ rovina ed il travisamento della prova, rilevando che la motivazione si incentra sul peggioramento delle condizioni del fabbricato ma non ha tenuto conto delle testimonianze di Lina Bellanca e Lo Giudice (udienza del 17 febbraio 2016, riportate nel ricorso) dalle quali, in sintesi, non emergono problemi strutturali per l’edificio.
 
 
3. Con il terzo motivo la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione rilevando di aver eccepito dinanzi alla Corte di appello di Palermo l’estinzione dei reati per prescrizione.
 
Rileva la difesa che la Corte di appello di Palermo ha rigettato la richiesta della difesa solo con riferimento al reato sub a) ex art. 677 cod. pen. ma non con riferimento al reato sub b) ex art. 733 cod. pen., di cui la difesa assume la natura istantanea e non permanente. 
 
Quanto al reato ex art. 677 cod. pen., la difesa ha dedotto l’erronea applicazione della norma sulla prescrizione, perché la Corte di appello di Palermo non ha tenuto conto della incidenza del sequestro preventivo sulla interruzione della permanenza.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il primo ed il secondo motivo, con il quale la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge, sono inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., trattandosi di violazione di legge non dedotta con l’appello, incentrato esclusivamente sul merito.
 
 
1.1. Il primo motivo, con il quale la difesa ha dedotto la mancanza di motivazione sull’esistenza del pregiudizio di rilievo nazionale ed il secondo motivo, con il quale la difesa ha dedotto il vizio della motivazione per il travisamento della prova, sono inammissibili ai sensi degli artt. 609 e 606 comma 3 cod. proc. pen., trattandosi di questione non dedotta con l’appello.
 
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606 comma 3 cod. proc. pen. impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale (in tal senso cfr. Cass. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794, Spina).
 
 
1.2. Inoltre, il travisamento della prova, se ritenuto commesso dal giudice di primo grado, deve essere dedotto al giudice dell’appello: in mancanza, la proposizione del vizio è preclusa nel giudizio di legittimità (Sez. 5,. Sentenza n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438). Secondo l’orientamento che si condivide, il vizio di travisamento della prova può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado. In presenza di una c.d. doppia conforme il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. in tal senso Cass Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217).
 
 
1.3. Deve poi rilevarsi che la Corte di appello di Palermo ha esplicitamente motivato sulla sussistenza del pericolo per l’incolumità pubblica, nelle pagine 5 e ss.: il motivo di ricorso non si confronta in alcun modo con tale motivazione, con conseguente inammissibilità del motivo per il difetto di specificità estrinseca.
 
 
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato per le seguenti ragioni.
 
 
3.1. In sede di formulazione delle conclusioni dinanzi alla Corte di appello di Palermo, il procuratore generale e la difesa dell’imputato hanno chiesto di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione.
 
 
3.2. La Corte di appello di Palermo ha esplicitamente rigettato l’eccezione di prescrizione solo con riferimento al capo a) ex art. 677 comma 3 cod. pen., individuando la cessazione della permanenza per tale reato al marzo del 2014.
 
 
3.3. La Corte di appello di Palermo ha anche chiaramente indicato sia perché il sequestro preventivo dell’immobile non abbia determinato la cessazione della permanenza sia perché il reato si sia protratto fino al marzo del 2014, epoca in cui furono poste in essere lavori atti a garantire la sicurezza delle persone, ad impedire che taluno potesse essere attinto da distacchi di intonaci e pezzi in muratura del manufatto, come già accaduto.
 
Va ricordato che nel caso di contestazione di un reato permanente nella forma cosiddetta «chiusa», con precisa indicazione della data di cessazione della condotta illecita, ad es. con la formula «accertato fino al. .. », il giudice può tener conto dell’eventuale protrarsi della consumazione soltanto se ciò sia oggetto di un’ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516 cod. proc. pen.; qualora invece il reato permanente sia stato contestato in forma c.d. «aperta», essendosi il pubblico ministero limitato ad indicare solo la data di inizio della consumazione, ovvero quella dell’accertamento, come nel caso in esame, il giudice può valutare, senza necessità di contestazioni suppletive, anche la condotta criminosa eventualmente posta in essere fino alla data della sentenza di primo grado (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, n. 20798 del 20/04/2016, Zagaria, Rv.
267085).
 
Dunque, la motivazione della sentenza della Corte di appello di Palermo è corretta in diritto ed è immune da vizi.
 
 
3.4. Quanto al reato sub b) ex art. 733 cod. pen., deve rilevarsi che la Corte di appello di Palermo ha correttamente ritenuto il reato permanente e di conseguenza ha escluso l’estinzione del reato per prescrizione.
 
La tesi difensiva, infatti, è manifestamente infondata in diritto, in relazione alla fattispecie concreta descritta nella sentenza della Corte di appello di Palermo.
 
Va ribadito il principio di diritto espresso da Cass. Sez. 3, n. 6199 del 12/05/1993, Cinelli, Rv. 195115 secondo il quale l’art. 733 cod. pen. prevede nella parte precettiva l’obbligo in capo a chi ha la disponibilità dei beni sia di prevenire ed evitare ogni forma di danneggiamento degli stessi, sia di fare tutto ciò che è opportuno per la buona conservazione del bene. La violazione di tale obbligo integra – sotto il profilo oggettivo – un reato di danno a forma libera e permanente. L’evento lesivo dell’oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto, istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni cautela da aggressioni umane (cosiddetto vandalismo), dai fattori naturali (insetti o agenti atmosferici) o da elementi chimico-fisici (i fattori inquinanti).
 
La Corte di appello di Palermo infatti ha descritto una condotta attuata mediante un comportamento continuo e prolungato, cessato solo nel marzo del 2004, riconoscendo la natura permanente del reato contestato ex art. 733 cod. pen.
 
 
3.5. Come già indicato, la Corte di appello di Palermo ha indicato con riferimento al capo a), la cessazione della permanenza al marzo del 2014; tenuto conto della motivazione della sentenza di primo grado, che fa riferimento anche per il reato ex art. 733 cod. pen., ai lavori eseguiti nel marzo del 2014, può ritenersi anche per il capo b) cessata la permanenza in tale epoca.
 
Pertanto, il termine di prescrizione complessivo di cinque anni applicabile alle contravvenzioni non è decorso.
 
 
4. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
 
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
 
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso il 18/09/2018.
 

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