Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 46656 | Data di udienza: 9 Novembre 2011

DIRITTO URBANISTICO – BENI AMBIENTALI E CULTURALI – Condanna per reato urbanistico o paesaggistico – Omessa demolizione o rimessione in pristino – Rimedi processuali – Competenza – Giudice della sentenza di condanna o dell’impugnazione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Demolizione e rimessione in pristino Sanzioni amministrative accessorie – Natura obbligatoria e predeterminata – Discrezionalità del giudice – Esclusione – Omissione – Procedura correttiva – Art. 130 c.p.p..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Dicembre 2011
Numero: 46656
Data di udienza: 9 Novembre 2011
Presidente: De Maio
Estensore: Ramacci


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – BENI AMBIENTALI E CULTURALI – Condanna per reato urbanistico o paesaggistico – Omessa demolizione o rimessione in pristino – Rimedi processuali – Competenza – Giudice della sentenza di condanna o dell’impugnazione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Demolizione e rimessione in pristino Sanzioni amministrative accessorie – Natura obbligatoria e predeterminata – Discrezionalità del giudice – Esclusione – Omissione – Procedura correttiva – Art. 130 c.p.p..



Massima

 

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 15/12/2011 (Cc. 9/11/2011) Sentenza n. 46656
 
DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Condanna per reato urbanistico o paesaggistico – Omessa demolizione o rimessione in pristino – Rimedi processuali – Competenza – Giudice della sentenza di condanna o dell’impugnazione – Art. 130 c.p.p..
 
La omessa statuizione nella sentenza di condanna per reato urbanistico o paesaggistico in ordine, rispettivamente, alla demolizione delle opere abusive o alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, può essere emendata attraverso il ricorso alla procedura correttiva di cui all’articolo 130 c.p.p., trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato e competente, al riguardo, è il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ovvero il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, e non anche il giudice della esecuzione, il quale non ha una competenza specifica in materia.
 
(annulla senza rinvio ordinanza n. 47/2006 TRIB.SEZ.DIST. di LENTINI, del 13/08/2010) Pres. De Maio, Est. Ramacci, Ric. D’Amato ed altro
 
 
DIRITTO URBANISTICO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Demolizione e rimessione in pristino Sanzioni amministrative accessorie – Natura obbligatoria e predeterminata – Discrezionalità del giudice – Esclusione – Omissione – Procedura correttiva – Art. 130 c.p.p..
 
L’utilizzazione della procedura correttiva disciplinata dall’articolo 130 C.P.P. anche alla omessa statuizione relativa a sanzioni amministrative accessorie di natura obbligatoria ed a contenuto predeterminato tra le quali rientrano, come si è già detto, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo e quello di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato i quali, in ragione della loro natura, escludono qualsivoglia margine di discrezionalità per il giudice. Pertanto, l’omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell’atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p.” (Cass. SS.UU. n. 7945, 31/01/2008; Cass. Sez. III n. 24087, 13/06/2008; Cass. Sez. III n. 24265, 20/06/2007; Cass. Sez. III n. 37120, 13/10/2005).
 
(annulla senza rinvio ordinanza n. 47/2006 TRIB.SEZ.DIST. di LENTINI, del 13/08/2010) Pres. De Maio, Est. Ramacci, Ric. D’Amato ed altro

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 15/12/2011 (Cc. 9/11/2011) Sentenza n. 46656

SENTENZA

 

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. GUIDO DE MAIO – Presidente
Dott. CIRO PETTI – Consigliere
Dott. MARIO GENTILE – Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI – Rel. Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da:
1) D’AMATO VITO N. IL 20/06/1948
2) TRAPANI MARIA NIVEA N. IL 03/08/1953
– avverso l’ordinanza n. 47/2006 TRIB.SEZ.DIST. di LENTINI, del 13/08/2010
– sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Luca Ramacci;
– lette le conclusioni del PG annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata …
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con ordinanza in data 13 agosto 2010, il Tribunale di Siracusa – Sezione Distaccata di Lentini disponeva, ai sensi degli articoli 127, 130 e 547 C.P.P., la correzione della sentenza emessa dal medesimo Tribunale in data 16 maggio 2007 e con la quale D’AMATO Vito e TRAPANI Maria Nieva erano stati condannati per violazione della disciplina urbanistica, stabilendo che nella menzionata decisione deve intendersi inserita la seguente disposizione “Visto l’articolo 31 D.p.r. 38012001, ordina la demolizione dell’immobile abusivo se non altrimenti eseguito”.
 
Avverso il provvedimento i predetti proponevano ricorso per cassazione.
 
Con un unico motivo di ricorso deducevano la violazione degli articoli 130 e 676 C.P.P., in quanto la correzione dell’errore materiale, che nella fattispecie riguardava una sentenza già passata in giudicato, non può essere disposta dal giudice dell’esecuzione perché non rientrante tra le sue competenze.
 
Aggiungevano che la decisione non poteva essere corretta dallo stesso giudice che l’aveva emessa, ai sensi dell’articolo 130 C.P.P., ostandovi il passaggio in giudicato.
 
Precisavano, inoltre, che l’omessa disposizione dell’ordine di demolizione deve considerarsi quale vitium in iudicando e non anche quale errore materiale, con la conseguenza che lo stesso è rettificabile solo dal giudice dell’impugnazione in quanto specificamente investito da una parte processuale.
 
Rilevavano, poi, che una specifica competenza in capo al giudice dell’esecuzione a procedere ai sensi dell’articolo 130 C.P.P. non poteva ricavarsi in via interpretativa, poiché l’articolo 676 C.P.P., in quanto derogatorio al principio generale della irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali definitivi di cui all’articolo 648 C.P.P. (c.d. giudicato formale), è di stretta interpretazione e non può essere applicato al di fuori delle materie in esso specificamente previste.
 
Insistevano, pertanto, per l’accoglimento del ricorso
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
Il ricorso è fondato.
 
Occorre preliminarmente osservare che il provvedimento è comunque impugnabile, anche nel caso sia inquadrabile nell’ambito della procedura di correzione dell’errore materiale.
 
Il Collegio, in adesione alla più recente giurisprudenza di questa Corte (Sez. VI n. 13590, 5 aprile 2011; Sez. IV n. 41618, 24 novembre 2010; Sez. I n. 41571, 29 ottobre 2009; Sez. 1 29871, 17 luglio 2009; contra Sez. V n. 43989, 17 novembre 2009; Sez. I n. 26673, 12 luglio 2002; Sez. I n. 23176, 17 giugno 2002), propende per una soluzione affermativa, in considerazione del fatto che il richiamo effettuato dall’articolo 130 C.P.P. alla procedura camerale di cui all’articolo 127 C.P.P., il cui atto decisorio è espressamente ricorribile, non può intendersi effettuato con esclusivo riferimento alla procedura, nulla emergendo in tal senso dal tenore letterale della disposizione ed in quanto l’opzione ermeneutica appare in linea con la lettura che le osservazioni contenute in altra pronunzia delle Sezioni Unite (SS.UU. n. 17, 23 dicembre 1992, richiamata da Sez. I 29871\09 cit.) suggeriscono.
 
In tale pronuncia, infatti, si afferma che in un alcune disposizioni contenute nel codice di rito, tra le quali figura anche l’articolo 130, “…non è contemplato in modo espresso il ricorso per cassazione, la cui esperibilità, ineludibile per evidenti ragioni di garanzia, deve essere desunta dall’espressione usata “a norma dell’art. 127″ che è, di sicuro, diversa e più ampia, sotto il profilo lessicale, delle altre che in vario modo rinviano alle sole ‘forme” dello stesso articolo, così da comprendere anche il suddetto rimedio previsto dal settimo comma della citata disposizione…”
 
Ritenuta dunque la impugnabilità del provvedimento in esame, occorre rilevare se possa utilizzarsi la procedura di correzione dell’errore materiale quale rimedio all’omessa statuizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo.
 
Il Collegio propende per la decisione affermativa, con le precisazioni che seguono.
 
Occorre premettere che, in argomento, risulta segnalato un contrasto di giurisprudenza (Ufficio del massimario, Rel. 3\11 del 27 gennaio 2011), mentre è pacifica la natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio dell’ordine giudiziale di demolizione dell’immobile abusivo del quale deve pure escludersi la natura discrezionale (Sez. III n. 24087, 13 giugno 2008; Sez. III n. 24265, 20 giugno 2007; Sez. III n. 37120, 13 ottobre 2005).
 
A tale proposito va osservato che l’ambito di applicabilità della procedura di correzione dell’errore materiale, originariamente limitato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ai soli casi di errori emendabili che non determinino una modificazione sostanziale della precedente decisione (SS.UU. n. 16102, 27 marzo 2002; n. 19, 9 ottobre 1996; n. 8, 18 maggio 1994), può dirsi successivamente ampliato, essendosi affermato che “la omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell’atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p.” (SS.UU. n. 7945, 31 gennaio 2008).
 
Un primo orientamento, che ritiene emendabile attraverso la procedura disciplinata dall’articolo 130 C.P.F. l’omessa statuizione dell’ordine giudiziale di demolizione, ne riconosceva l’applicabilità con riferimento alle sentenze di “patteggiamento” ai sensi dell’articolo 444 C.P.P. (Sez. 111 n. 3752, 8 novembre 1995; Sez. III n. 1530, 28 marzo 1996) e veniva successivamente confermato (Sez. III n. 758, 24 febbraio 1999).
 
Più recentemente, un’altra articolata pronuncia (Sez. III n. 10067, 2 dicembre 2009) ha preso in esame la questione, in un caso in cui l’omissione del giudice riguardava l’ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, alla luce del principio nel frattempo espresso dalle Sezioni Unite (SS.UU. 7945\2009, cit.), condividendo il quale veniva ammessa, in via generale, la possibilità di una integrazione successiva di statuizioni omesse nel caso in cui abbiano natura obbligatoria e contenuto predeterminato, individuando la competenza tanto del giudice che ha emesso il provvedimento, quanto di quello della impugnazione, nonché del giudice dell’esecuzione ma solo nel caso in cui questi abbia una specifica competenza in ordine alla statuizione omessa osservando, tuttavia, che il divieto di interpretazione analogica impedisce che rientrino tra le competenze del giudice dell’esecuzione quelle relative a sanzioni amministrative accessorie, quali l’ordine di demolizione delle opere abusive o l’ordine di remissione in pristino.
 
Riconoscendo dunque la possibilità di ricorrere alla procedura di correzione dell’errore materiale, la richiamata decisione escludeva il ricorso ad una interpretazione analogica dell’articolo 676 C.P.P. e, conseguentemente, la competenza del giudice dell’esecuzione ad ordinare, in caso di omessa statuizione nella sentenza di condanna, la demolizione del manufatto abusivo o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato.
 
Alle medesime conclusioni perveniva altra successiva pronuncia (Sez. III n.32953, 28 aprile 2010).
 
Il difforme orientamento trae invece origine da una prima decisione (Sez. III n.6301, 14 aprile 1992) che riconosceva all’ordine giudiziale di demolizione un’incidenza sulla sfera giuridico-patrimoniale del condannato e ne evidenziava la eventualità dell’applicazione in quanto conseguente all’inerzia della pubblica amministrazione, ritenendo così che la relativa omissione in sentenza, incidendo sul nucleo essenziale della decisione, si risolvesse in un “vitium in iudicando”, come tale non rettificabile.
 
Ad analoghe conclusioni perveniva una successiva decisione (Sez. I n. 4455, 21 settembre 1998), mentre altrettanto non può dirsi con riferimento ad altra pronuncia (Sez. III n. 21022, 24 febbraio 2004) nella quale il ricorso alla procedura in esame veniva ritenuta inapplicabile in quanto, nel caso concreto, il giudice di primo grado aveva espressamente escluso l’ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi con una specifica motivazione (ritenuta, peraltro, palesemente errata in fatto e in diritto) cosicché il ricorso all’articolo 130 C.P.F. avrebbe comportato, attraverso la correzione, una modificazione essenziale del provvedimento.
 
Altre decisioni si ponevano successivamente nella stessa posizione, richiamando i principi in precedenza menzionati (Sez. 111 n. 33939, 4 luglio 2006; Sez. III n.17380, 22 marzo 2007; Sez. III 21894, 22 marzo 2007; Sez. III n. 4751, 13 dicembre 2007; Sez. III n. 17858, 25 marzo 2008) i quali, peraltro, erano stati efficacemente confutati dalle già citate decisioni di segno opposto richiamando l’obbligatorietà del provvedimento e la possibilità di risolvere in sede esecutiva eventuali incompatibilità con la situazione di fatto, ovvero con determinazioni assunte dalla autorità. amministrativa ed osservando come la ritenuta incidenza dell’ordine di demolizione sulla sfera patrimoniale del condannato non possa assumere rilievo a fronte della doverosità dell’intervento ripristinatorio, correlata alla permanente tutela dell’assetto del territorio in conformità alla normazione ed alla pianificazione urbanistiche, riconoscendo, poi, la compatibilità della procedura correttiva (cosi Sez. III 1530\96, cit.).
 
Va peraltro rilevato che la quasi totalità delle decisioni appena menzionate risultano antecedenti alla pronuncia delle Sezioni Unite (n. 7945\08, cit.) che ha formulato i principi in base ai quali le più recenti pronunce di segno opposto ammettono il ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale.
 
Delle due sentenze successive all’intervento del supremo organo nomofilattico una (n. 17858\08) tiene conto di quanto affermato in precedenza con altra decisione (n.33939\06, cit.) riguardante il medesimo fatto e si sofferma sulla tassatività dell’elencazione delle “altre competenze” attribuite al giudice dell’esecuzione, mentre l’altra (n.40861\10, cit.) si produce nel mero richiamo ad alcuni precedenti, rilevando peraltro un vizio ulteriore della decisione impugnata nella circostanza che, pur qualificandosi il provvedimento come correzione di errore materiale, non era stato assunto all’esito del prescritto rito camerale, bensì adottato de plano.
 
Alla luce delle considerazioni dianzi esposte, deve rilevarsi come la questione sollevata non possa essere valutata prescindendo dal considerare il condivisibile indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nella più volte menzionata sentenza n. 7945\08 ed opportunamente valorizzato, con articolate e puntuali argomentazioni, dalle decisioni n.10067\09 e 32953\10, anch’esse in precedenza ricordate.
 
La scelta interpretativa effettuata dalle citate sentenze, che appare peraltro connotata da maggiore ragionevolezza, pare superare il denunciato contrasto e deve essere preferita.
 
La menzionata decisione delle Sezioni Unite, infatti, dopo attenta analisi della dottrina e giurisprudenza in tema di correzione dell’errore materiale – individuando, come tale, quello caratterizzato da una divergenza, evidente e occasionale, tra la volontà del giudice e la sua estrinsecazione nel provvedimento emendabile attraverso un’operazione di meccanico adeguamento sostitutivo o integrativo che prescinde da qualsivoglia verifica o interpretazione del processo formativo della volontà del giudice medesimo – riconosce l’applicabilità della speciale procedura anche ai casi si errore omissivo caratterizzato da una divergenza “tra l’espressione usata dal giudice e quanto egli, pur nell’assenza di dirette risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto univocamente esprimere in, forza di un obbligo normativo”, giustificando tale assunto in base al fatto che l’articolo 130 C.P.P. non impone che il risultato della correzione da effettuare debba essere stato imprescindibilmente oggetto della effettiva volontà cosciente del giudice essendo richiesto, esclusivamente, che dall’errore non derivi la nullità dell’atto e che la sua rimozione non ne determini una modificazione essenziale, con la conseguenza che non può ritenersi inibita la correzione comportante l’applicazione automatica di quanto imposto dall’ordinamento, sempreché l’omissione non sia conseguenza di specifica deliberazione da parte del giudice.
 
Le considerazioni svolte dalla Sezioni Unite giustificano, pertanto, l’utilizzazione della procedura correttiva disciplinata dall’articolo 130 C.P.P. anche alla omessa statuizione relativa a sanzioni amministrative accessorie di natura obbligatoria ed a contenuto predeterminato tra le quali rientrano, come si è già detto, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo e quello di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato i quali, in ragione della loro natura, escludono qualsivoglia margine di discrezionalità per il giudice.
 
Parimenti condivisibili paiono, peraltro, al Collegio, le successive valutazioni formulate, stante il silenzio delle Sezioni Unite sul punto, su una eventuale competenza del giudice dell’esecuzione nella materia in esame e che la escludono rilevando come l’art. 676 C.P.P., in quanto derogatorio al principio generale della irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali definitivi di cui all’articolo 648 C.F.P. sia di stretta interpretazione e non possa essere applicato al di fuori delle materie in esso specificamente previste (Sez. III nn. 10067\09 e 32953\10, cit.)
 
Va conseguentemente ribadito il principio secondo il quale la omessa statuizione nella sentenza di condanna per reato urbanistico o paesaggistico in ordine, rispettivamente, alla demolizione delle opere abusive o alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, può essere emendata attraverso il ricorso alla procedura correttiva di cui all’articolo 130 C.P.P., trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato e competente, al riguardo, è il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ovvero il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, e non anche il giudice della esecuzione, il quale non ha una competenza specifica in materia.
 
Ciò posto resta da individuare la reale natura del provvedimento impugnato e, a tale scopo, è necessario chiarire lo svolgimento della vicenda processuale.
 
Il Tribunale, come pure illustrato in ricorso, è stato investito dalla difesa dei ricorrenti della decisione in merito al dissequestro dell’immobile con istanza in data 4 maggio 2010 (allegata al ricorso), nella quale si evidenziava che la restituzione del bene era giustificata dalla definizione del relativo procedimento conseguente al passaggio in giudicato, in data 11 ottobre 2007, della sentenza con la quale i ricorrenti erano stati condannati per violazione delle disposizioni del T.U. dell’edilizia.
 
Il giudice, rilevata l’omessa disposizione della demolizione dei manufatti abusivi, rigettava l’istanza e, ritenuta applicabile la procedura di correzione dell’errore materiale di cui all’articolo 130 C.P.P., fissava altra udienza per la trattazione in camera di consiglio, disponendo gli avvisi di rito.
 
All’esito dell’udienza camerale, il giudice riservava la decisione emettendo successivamente il provvedimento ora impugnato nel quale, richiamati i principi generali e la giurisprudenza di questa Corte in materia di correzione dell’errore materiale, affermava la propria competenza sul presupposto che la sentenza era stata emessa dal medesimo giudice, non era stata impugnata e non rilevava la sopravvenuta esecutività del provvedimento da correggere.
 
Il giudice, dunque, non ha inteso assumere espressamente le proprie determinazioni con riferimento alle disposizioni in materia di esecuzione, come emerge non solo dalla totale assenza di riferimenti alle disposizioni di cui agli articoli 648 e ss. C.P.P., ma anche dal tenore del provvedimento impugnato, né riferimenti di tal genere figurano nell’istanza di dissequestro.
 
Egli ha inoltre formalmente distinto il procedimento conseguente alla istanza di dissequestro, che ha motivatamente rigettato, dal successivo procedimento ex articolo 130 C.P.P., per il quale ha fissato separata udienza in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 127 C.P.P. pur provvedendo, in quella sede, alla restituzione dei beni sequestrati decidendo su una ulteriore richiesta formulata con memoria difensiva.
 
Considerato il descritto iter procedimentale, obiettivamente poco lineare, occorre tuttavia rilevare che, nonostante la qualificazione attribuita al provvedimento dal giudice, dal testo emerge chiaramente che egli è stato investito della questione concernente la restituzione dei beni in sequestro quale giudice dell’esecuzione ed in tale veste ha sostanzialmente agito decidendo anche sulla restituzione.
 
Ne consegue che non avrebbe potuto, per le ragioni dianzi esposte, ordinare la demolizione del manufatto abusivo riparando alla omissione intervenuta in sede di cognizione poiché tale attività non rientra tra le competenze specifiche e tassativamente individuate del giudice dell’esecuzione.
 
Ti provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato limitatamente all’ordine di demolizione che elimina..
 
Così deciso in Roma il 19 novembre 2011

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