Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Danno ambientale, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Pubblica amministrazione Numero: 56085 | Data di udienza: 18 Ottobre 2017

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Opera edilizia in zona paesaggistica – Art. 734 codice penale – Presupposti per la configurabilità – DANNO AMBIENTALE – Reato di danno – Effettiva compromissione delle bellezze protette – Art. 181 c.1 d.lgs n. 42/2004Art. 44 lett. e) d.P.R. n. 380/2001 DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di falso ideologico – Dirigente, committente, esecutore, progettista e direttore dei lavori – Discrezionalità tecnica e valutazione di compatibilità ambientale – Verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico ufficiale e limiti ai criteri discrezionali di valutazione – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Concessione delle attenuanti generiche – Limiti – Valutazione del giudice – Onere di motivazione per il diniego dell’attenuante – Richiamo all’assenza dagli atti di elementi positivi – Fattispecie – Nozione giuridica di "fatto nuovo" e "mutamento del fatto" – Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Dicembre 2017
Numero: 56085
Data di udienza: 18 Ottobre 2017
Presidente: DI NICOLA
Estensore: GAI


Premassima

BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Opera edilizia in zona paesaggistica – Art. 734 codice penale – Presupposti per la configurabilità – DANNO AMBIENTALE – Reato di danno – Effettiva compromissione delle bellezze protette – Art. 181 c.1 d.lgs n. 42/2004Art. 44 lett. e) d.P.R. n. 380/2001 DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di falso ideologico – Dirigente, committente, esecutore, progettista e direttore dei lavori – Discrezionalità tecnica e valutazione di compatibilità ambientale – Verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico ufficiale e limiti ai criteri discrezionali di valutazione – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Concessione delle attenuanti generiche – Limiti – Valutazione del giudice – Onere di motivazione per il diniego dell’attenuante – Richiamo all’assenza dagli atti di elementi positivi – Fattispecie – Nozione giuridica di "fatto nuovo" e "mutamento del fatto" – Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.



Massima

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 15/12/2017 (Ud. 18/10/2017) Sentenza n.56085

 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Opera edilizia in zona paesaggistica – Art. 734 codice penale – Presupposti per la configurabilità – Reato di danno – Effettiva compromissione delle bellezze protette – Art. 181 c.1 d.lgs n. 42/2004 – Art. 44 lett. e) d.P.R. n. 380/2001.
 
La contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen., stante la sua natura di reato di danno, è configurabile in presenza di un’effettiva compromissione delle bellezze protette, il cui accertamento è rimesso alla concreta valutazione del giudice penale, e prescinde sia dallo stato in cui si trovano i lavori sia dalla valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione.
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di falso ideologico – Dirigente, proprietario committente, esecutore, progettista e direttore dei lavori – Discrezionalità tecnica e valutazione di compatibilità ambientale – Verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico ufficiale e limiti ai criteri discrezionali di valutazione – Giurisprudenza.
 
E’ configurabile il reato di falso ideologico nella valutazione tecnica in un contesto implicante la valutazione e accettazione di parametri normativamente determinati (Sez. 3, n. 41373 del 17/07/2014, P. M. in proc. Pasteris e altri, non mass.; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso e altro). In altri termini, se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento, come è nel caso di specie, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, p.c. in proc. Platamone e altro; Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro). Nella specie, il rilascio del permesso a costruire e la valutazione di compatibilità ambientale espressa nell’autorizzazione paesaggistica dal dirigente erano fondate su presupposti urbanistici contrastanti con i parametri normativi, giacchè si rappresentava un intervento edilizio realizzato, previa cessione di cubatura in favore di un fondo agricolo su fascia costiera, illegittimo non essendo i fondi contigui e medesimo indice di fabbricabilità, parametri che vengono in rilievo sia ai fini del rispetto degli strumenti urbanistici ce ai fini ambientali e sul giudizio di valorizzazione del sito. Sia l’autorizzazione paesaggistica che il permesso a costruire erano, così, la diretta conseguenza dei falsi parametri contenuti nella relazione tecnica integrativa e paesaggistica redatta dal progettista e come tale anch’essa falsa. In altri termini, la discrezionalità tecnica è vincolata alla verifica della conformità della situazione fattuale alle previsioni normative con conseguente integrazione del reato di falso ideologico se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri normativi.
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Concessione delle attenuanti generiche – Limiti – Valutazione del giudice – Onere di motivazione per il diniego dell’attenuante – Richiamo all’assenza dagli atti di elementi positivi – Fattispecie.
 
La concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato. Ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposti alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza – l’onere di motivazione per il diniego dell’attenuante è soddisfatto con il richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero; Sez. 3, n. 44071, del 25/09/2014, Papini e altri), elementi rispetto ai quali il ricorso, che richiama la mera complessità della vicenda e delle questioni giuridiche, appare qenerico. (In specie, è stato ritenuto il dolo generico in capo al pubblico ufficiale e al progettista che, in ragione della perfetta conoscenza della normativa di riferimento, per essere tecnici e professionisti del settore, avevano consapevolmente e volontariamente ideologicamente falsificato il permesso a costruire e l’autorizzazione paesaggistica, sicchè era da escludersi qualsiasi leggerezza; l’autonomo "avvallo" della Sovraintendenza costituiva elemento probatorio avvalorante la "prassi" illecita di sistematica falsificazione dei permessi a costruire e delle autorizzazione paesaggistiche).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione giuridica di "fatto nuovo" e "mutamento del fatto" – Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
 
Per "fatto nuovo" si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo "thema decidendum", trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo. Inoltre, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione con conseguente reale pregiudizio dei diritti della difesa. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione radicale della fattispecie ritenuta in sentenza nel senso di una radicale trasformazione della fattispecie concreta rispetto a quella contestata. Solo qualora non si rivenga nella fattispecie ritenuta in sentenza un nucleo comune, identificativo della condotta capace di determinare uno stravolgimento dei termini dell’accusa, si determina la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e la conseguente nullità della sentenza. 


(riforma sentenza del 19/12/2016 CORTE D’APPELLO DI LECCE) Pres. DI NICOLA, Rel. GAI, Ric. Cassiano ed altri 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 15/12/2017 (Ud. 18/10/2017) Sentenza n.56085

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 15/12/2017 (Ud. 18/10/2017) Sentenza n.56085
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sui ricorsi proposti da:
 
1. Cassiano Francesco, nato a Castrignano del Capo il 14/12/1957;
 
2. Melcarne Luigi, nato a Gagliano del Capo il 26/07 /1957;
 
3. Marciano Vito, nato a Gagliano del Capo il 20/09/1959;
 
avverso la sentenza del 19/12/2016 della Corte d’appello di Lecce;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio limitatamente ai capi b) e e) essendo i reati estinti per prescrizione con eliminazione della relativa pena, inammissibilità nel resto dei ricorsi;
 
udito per l’imputato Melcarne l’avv. Labbruzzo in sost. Fabiano che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso in subordine la declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi b) e c).
 
udito per l’imputato Marciano l’avv. Labbruzzo che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso in subordine la declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi b) e c). 
 
udito per l’imputato Cassiano l’avv. Dionise Rosafio che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso in subordine la declaratoria di prescrizione dei reati.

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza in data 19 dicembre 2016, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, emessa in data 19/05/2015, previa riqualificazione del reato di cui al capo b) quale violazione dell’art. 181 comma 1 d.lgs n. 42 del 2004, e quello di cui al capo d) quale violazione degli artt. 110, 480 cod.pen., ha rideterminato la pena inflitta a Cassiano Francesco, Melcarne Luigi e Morciano Vito a mesi sei di reclusione, eliminando la condizione della demolizione e della rimessione in pristino apposta al beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a Melcarne e Morciano.
 
La medesima sentenza ha confermato la condanna di Cassiano Francesco, Melcarne Luigi e Morciano Vito in relazione al reato di cui all’art. 110 cod.pen. e 44 lett. e) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a), art. 181 del d.lgs n. 42 del 2004 (capo b), previa riqualificazione del fatto per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2016, e artt. 110, 734 cod.pen. (capo e) per avere nelle rispettive qualità di proprietario committente il Cassiano, progettista e direttore dei lavori il Melcarne e tecnico comunale, il Morciano, eseguito lavori finalizzati alla costruzione di una civile abitazione in zona agricola fascia costiera, sottoposta a vincolo paesaggistico in assenza di permesso di costruire e di idonea autorizzazione paesaggistica, dovendosi considerare illegittimi e pertanto inesistenti sia il permesso a costruire che l’autorizzazione paesaggistica, con deturpamento delle bellezze naturali, nonché di condanna dei medesimi per il reato di cui agli artt. 110, 480 cod.pen. in relazione al permesso a costruire e alla autorizzazione paesaggistica attestante la conformità alle norme urbanistiche e la compatibilità ambientale dell’intervento, rilasciati dal Marciano, fondati su falsi presupposti contenuti nella relazione tecnica, predisposta dal Melcarne, attestante le conformità urbanistiche e ambientali.
 
1.1. Secondo quanto accertato nel giudizio di merito, in area sottoposta a vincolo paesaggistico ex legge 1497/30, perché di notevole interesse pubblico, nonché sottoposto a tutela nel PUTT della Regione Puglia, erano state realizzate opere edili (casa di civile abitazione) in assenza di idoneo titolo autorizzativo e senza autorizzazione paesaggistica, in quanto quelli rilasciati dovevano essere considerati illeciti in quanto contrastanti con gli strumenti urbanistici e in violazione dei parametri, e fondati su falsi presupposti di conformità urbanistica e ambientale laddove si assentiva, attraverso il non consentito asservimento urbanistico e/o accorpamento di fondi, un aumento di volumetria in zona E3, verde agricolo fascia costiera per complessivi 128,10 mc., in luogo dei consentiti 8,15 mc., tenuto conto dell’indice di fabbricabilità mc/mq 0,01, aumento in conseguenza di cessione di cubatura tra fondi distanti, aventi diverso indice di edificabilità e in assenza di destinazione agricola dell’intervento edilizio. Da qui la responsabilità degli imputati per il reato edilizio di costruzione abusiva, quello paesaggistico e del reato di falso ideologico in autorizzazione amministrativa e del reato di deturpamento delle bellezze naturali.
 
2. Avverso la sentenza gli imputati hanno presentato ricorsi per cassazione, a mezzo del loro difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, alcuni dei quali comuni a tutti gli imputati, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
 
2. Il ricorso nell’interesse di Cassiano Francesco è affidato a quattro motivi.
 
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 51 lett. g) della legge n. 56 del 1980 della Regione Puglia.
 
Lamenta il ricorrente la non corretta applicazione da parte della Corte d’appello della legge regionale n. 56 del 1980, la cui violazione, con riguardo alla disciplina dell’accorpamento di fondi, costituisce il presupposto del reato edilizio e paesaggistico, in quanto la stessa avrebbe cessato la sua efficacia a far data dall’emanazione del PUTT. In presenza di vuoto normativo, non potrebbe affermarsi l’illegittimità della cessione di cubatura tra terreni, come ritenuto nel caso in esame, affermazione cha sarebbe in contrasto con il principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. Dalla legittimità dell’accorpamento consegue la non integrazione dei reati contestati.
 
In ogni caso, secondo il ricorrente, il Piano di fabbricazione del Comune di Patù consentirebbe nella zona in questione la costruzione di case isolate per abitazione, di tal chè, non si potrebbe ritenere la non conformità con gli strumenti urbanistici.
 
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 181 d.lgs n. 42 del 2004 e art. 734 cod.pen. e il correlato vizio di motivazione.
 
La Corte d’appello avrebbe apoditticamente affermato la responsabilità penale per il reato paesaggistico con mero richiamo all’illegittimo accorpamento di fondi che avrebbe consentito l’edificazione di volumetrie superiori a quelle assentibili, motivazione illogica poiché avrebbe considerato solamente la violazione urbanistica, non potendosi, per ciò solo, dalla presunta violazione urbanistica inferire la mancanza di autorizzazione paesaggistica che esprime un giudizio di compatibilità ambientale di un intervento edilizio all’esito di una valutazione, fatta in un procedimento autonomo, diversa dalla conformità a meri parametri urbanistici.
 
Quanto poi all’affermazione della responsabilità penale per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod.pen., la Corte d’appello avrebbe omesso di motivare il profilo del danno cagionato, e ciò in quanto, per l’integrazione della contravvenzione in oggetto non è sufficiente la realizzazione di un’opera edilizia in zona paesaggistica richiedendo l’effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione.
 
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 480 cod.pen. In sintesi, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato di falso ideologico in autorizzazione amministrativa e ciò in assenza di qualsivoglia attestazione di conformità a strumenti urbanistici, in quanto il responsabile del settore urbanistico del Comune, non attesta alcunchè limitandosi a rilasciare il permesso a costruire, "visti" gli strumenti urbanistici, e, quanto all’autorizzazione paesaggistica, non sarebbe prospettabile alcuna falsa rappresentazione contenendo la stessa un giudizio di compatibilità ambientale frutto di valutazione discrezionale; in presenza di valutazione discrezionali non sarebbe prospettabile alcuna condotta di falso.
 
2.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato.
 
Premesso che il reato è punito a titolo di dolo generico, argomenta, il ricorrente, che la motivazione della sentenza sarebbe del tutto carente con riguardo alla posizione del Cassiano, proprietario e committente che si era avvalso dell’opera di professionisti e sul conseguente legittimo affidamento della regolarità della procedura amministrativa, oltre tutto in una situazione nella quale era stata accertata la "prassi" di consentire l’accorpamento dei fondi.
 
3. Il ricorso nell’interesse di Melcarne Luigi è affidato a sei motivi.
 
3.1. Deduce, con il primo motivo di ricorso, la violazione di legge processuale in relazione all’art. 585 cod.proc.pen. e art. 15 legge n. 67 del 2014. Premette il ricorrente di aver eccepito nei motivi d’appello la mancata notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, trattandosi di procedimento nel quale la sentenza di primo grado era stata emessa in data successiva all’entrata in vigore della legge numero 67 del 2014 e l’imputato era stato dichiarato contumace, notifica dell’estratto contumaciale dal quale iniziava a decorrere il termine di impugnazione, sicchè si sarebbe prodotto un vulnus nella difesa, sol che si consideri che Melcarne Luigi avrebbe potuto impugnare in proprio la sentenza di condanna emessa a suo carico dal tribunale di Lecce.
 
3.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 51 lett. g) della legge n. 56 del 1980 della Regione Puglia stante la sua inefficacia a far tempo dall’emanazione del PUTI (cfr. par. 2.1.)
 
3.3. Con il terzo motivo deduce la violazione della legge processuale in relazione all’art. 429 comma 2 cod.pen.
 
Argomenta il ricorrente che la mancanza di norma che vieti la cessione di cubatura in terreni aventi la stessa destinazione urbanistica ed indici di fabbricabilità diversi, renderebbe nullo il decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza della norma violata di cui al comma 2 lett c). La questione già sollevata avanti alla corte territoriale non avrebbe trovato alcuna risposta.
 
3.4. Con il quarto motivo la violazione di legge in relazione agli artt. 181 d.lgs n.42 del 2004 e art. 734 cod.pen. e il vizio di motivazione.
 
La Corte d’appello avrebbe apoditticamente affermato la responsabilità penale per il reato paesaggistico con mero richiamo all’illegittimo accorpamento di fondi, non rivenendosi alcuna motivazione sul requisito dell’assenza di autorizzazione paesaggistica non potendo questa essere inferita dalla non conformità dell’opera agli strumenti urbanistici. Peraltro, sarebbe del tutto illogico ritenere che il semplice sviluppo di una volumetria superiore rispetto quella consentita implichi di per sé la incompatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio.
 
3.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge in relazione all’articolo 480 cod.pen. 
 
La Corte d’appello, pur in presenza di un’evidente insussistenza del delitto di falso, come riqualificato ai sensi dell’articolo 480 c.p., ha ritenuto sussistente un vero proprio accordo per seguire una procedura apparentemente conforme alla normativa urbanistica ed ambientale ma sostanzialmente rivolta la sua violazione fine alla creazione dei contestati falsi. Per come accertato il fatto non potrebbe integrare il delitto di falso ideologico in autorizzazioni amministrative potendosi, al più, ritenere il permesso di costruire illegittimo, perché in contrasto con gli strumenti urbanistici, mentre, quanto all’autorizzazione paesaggistica, il reato di falso sarebbe escluso dalla natura della stessa del provvedimento, implicante valutazione discrezionali di compatibilità ambientale e paesaggistica incompatibili con una condotta di falso.
 
3.6. Con il sesto motivo deduce la violazione di legge sotto il profilo della carenza di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato dovendosi ritenere la buona fede dell’imputato tenuto conto della prassi amministrativa e dell’affidamento che lo stesso ha riposto alla regolarità della procedura amministrativa.
 
4. Il ricorso nell’interesse di Marciano Vito è affidato a cinque motivi.
 
4.1. Con il primo motivo deduce la violazione della legge processuale in relazione all’art. 522 cod.proc.pen. e la nullità della sentenza di condanna in relazione all’art. 480 cod.pen. intervenuta per fatti nuovi o diversi.
 
Argomenta il ricorrente che a fronte della contestazione della mera falsificazione della relazione tecnica e della relazione paesaggistica, l’imputato sarebbe stato condannato per la falsificazione del permesso a costruire e dell’autorizzazione paesaggistica.
 
4.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 51 lett. g) della legge n. 56 del 1980 della Regione Puglia stante la sua inefficacia a far tempo dall’emanazione del PUTI ( cfr. par. 2.1. ).
 
4.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge penale in relazione all’art. 480 cod.pen., 181 d.lgs n. 42 del 2004, art. 44 lett c) d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 734 cod.pen. attesa la legittimità dell’accorpamento di fondi da cui conseguirebbe l’insussistenza dei reati contestati aventi come presupposto il ritenuto illegittimo accorpamento di fondi non contigui e con diversi indici di fabbricabilità. Quanto al primo profilo, la corte territoriale avrebbe illogicamente motivato il rispetto del requisito della contiguità nel senso della adiacenza e ciò in contrasto anche con i più recenti arresti della giurisprudenza amministrativa. Sotto altro profilo la motivazione della sentenza sarebbe censurabile laddove non avrebbe dato rigorosa dimostrazione della compatibilità paesaggistica dell’intervento, risultando unicamente il profilo dell’illegittimità dell’intervento rispetto ai parametri urbanistici, ma non anche della diversa compatibilità ambientale, essendo gli ambiti pacificamente diversi in quanto l’eventuale mancato rispetto degli standard urbanistici non precluderebbe in maniera automatica la compatibilità ambientale dell’opera edilizia, oltre tutto, rileva il ricorrente, la Sovraintendenza aveva avallato l’operato del tecnico comunale.
 
Quanto all’affermazione della responsabilità penale per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod.pen., la Corte d’appello avrebbe omesso di motivare il profilo del danno cagionato, e ciò in quanto, per l’integrazione della contravvenzione in oggetto non è sufficiente la realizzazione di un’opera edilizia in zona paesaggistica richiedendo l’effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione.
 
Infine, non sarebbe prospettabile il reato di falso con riguardo all’autorizzazione paesaggistica contenente un giudizio di "compatibilità ambientale" e "valorizzazione dell’assetto del sito", giudizi implicanti valutazione discrezionali incompatibili con una condotta di falso. Segnala anche, il ricorrente Marciano, che la Sovraintendenza, il cui giudizio è insindacabile in questa sede, avrebbe avvallato l’operato del Morciano.
 
4.3. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge sotto il profilo della carenza di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato non potendosi ravvisare una "macroscopica violazione" essendo, al contrario, evidente la complessità normativa che per ciò solo escluderebbe il dolo del reato.
 
4.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen. fondato sulla mera assenza di elementi positivamente valutabili.
 
In data 19/09/2017, Melcarne Luigi ha depositato motivi nuovi. Con il primo motivo ha ribadito le argomentazioni in punto insussistenza del reato di falso e, con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione al diniego di concessione delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen. escluse sulla mera assenza di elementi positivi di valutazione.
 
5. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, l’annullamento senza rinvio limitatamente ai capi b) e c) essendo i reati estinti per prescrizione con eliminazione della relativa pena, inammissibilità nel resto dei ricorsi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. I ricorsi sono parzialmente fondati per quanto di seguito esposto.
 
2. Deve preliminarmente essere disatteso il motivo processuale sollevato nel ricorso di Melcarne Luigi (primo motivo) risultando dagli atti, a cui questa Corte ha accesso in presenza di un error in procedendo, la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza del Tribunale agli avvocati Fabbiano e Centonze (cfr. aff. 135 e 136), sicchè la violazione di cui agli artt. 585 cod.proc.pen. e art. 15 legge n. 67 del 2014 è manifestamente infondata.
 
3. Parimenti deve essere disattesa la censura di nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza ex art. 522 cod.proc.pen. devoluta nel primo motivo di ricorso di Marciano, per essere intervenuta condanna per il reato di cui all’art. 480 cod.pen. con riferimento alla falsità della relazione tecnica integrativa e della relazione paesaggistica non oggetto di contestazione, dunque, per essere intervenuta condanna per un fatto nuovo non contestato.
 
Deve rammentarsi che per "fatto nuovo" si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo "thema decidendum", trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 2, n. 18868 del 10/02/2012, Osmenaj, Rv. 252822).
 
Nel caso in esame, dalla contestazione mossa, e ritenuta provata in sentenza, il Marciano è stato ritenuto responsabile, in concorso con il progettista e direttore dei lavori, del reato di falso di autorizzazione amministrativa (sia del permesso a costruire che dell’autorizzazione paesaggistica) fondati su falsi presupposti di compatibilità urbanistica e ambientale dell’intervento edilizio in progetto, rappresentati nella relazione tecnica integrativa e nella relazione paesaggistica redatte dal concorrente Melcarne, progettista e direttore dei lavori, sicchè alcun elemento estraneo al thema decidendum è ravvisabile.
 
Non di meno alcuna condanna per fatto diverso da quello contestato è ravvisabile. Secondo quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, (Sez. U, n. 36551 del 15/07 /2010, Carelii, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619) per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione con conseguente reale pregiudizio dei diritti della difesa. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione radicale della fattispecie ritenuta in sentenza nel senso di una radicale trasformazione della fattispecie concreta rispetto a quella contestata.
 
Solo qualora non si rivenga nella fattispecie ritenuta in sentenza un nucleo comune, identificativo della condotta capace di determinare uno stravolgimento dei termini dell’accusa, si determina la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e la conseguente nullità della sentenza. Da qui la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
 
4. Passando all’esame dei motivi di merito, è fondato il vizio di motivazione con riguardo all’affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 181 d.lvo n. 42 del 2004 e la violazione di legge in relazione all’art. 734 cod.pen. e il correlato vizio di motivazione della sentenza impugnata (terzo motivo Melcarne, secondo motivo Marciano e Cassiano).
 
4.1. Sotto il primo profilo, come ha argomentato il Procuratore generale in udienza, la motivazione della corte territoriale è carente con riguardo alla violazione paesaggistica fondata con richiamo all’illegittimo accorpamento di fondi e alla violazione dei parametri urbanistici, ma non anche sotto il profilo della compatibilità ambientale, essendo gli ambiti pacificamente diversi.
 
4. 2. Quanto all’affermazione della responsabilità penale per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod.pen., la Corte d’appello ha omesso di motivare il profilo del danno cagionato, che costituisce, come ha ripetutamente affermato la giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 44012 del 24/09/2015, Buccarello, Rv. 265060; Sez. 3, n. 37472 del 06/05/2014, Coniglio, Rv. 259942), elemento costitutivo del reato e ciò in quanto, per l’integrazione della contravvenzione in oggetto non è sufficiente la realizzazione di un’opera edilizia in zona paesaggistica richiedendo l’effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione.
 
La contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen., stante la sua natura di reato di danno, è configurabile in presenza di un’effettiva compromissione delle bellezze protette, il cui accertamento è rimesso alla concreta valutazione del giudice penale, e prescinde sia dallo stato in cui si trovano i lavori sia dalla valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione.
 
4.3. Pertanto, la sentenza deve essere annullata in presenza di un rilevato vizio di motivazione, peraltro, come ha concluso il Procuratore generale, va disposto l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione, maturata nel corso del giudizio, dei reati di cui all’art. 181 d.lvo n. 42 del 2004 e del reato di cui all’art. 734 cod.pen. (prescrizione al 3 gennaio 2017 tenuto conto della sospensione dei termini di prescrizione per complessivi 581 giorni).
 
Il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell’imputato comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza stessa (Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016, Silva, Rv. 267844; Sez. 2, n. 32577 del 27/04/2010, Preti, Rv. 247973).
 
Per effetto della pronuncia di annullamento deve essere eliminata la pena per essi inflitta, come indicato nella sentenza. impugnata, pari a mesi uno e giorni 15 di reclusione per ciascuno.
 
5. Manifestamente infondata è la comune censura svolte dai ricorrenti (primo motivo Cassiano, secondo motivo Marciano e Melcarne) di violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 51 lett. g) della legge n. 56 del 1980 della Regione Puglia, da cui l’erronea pronuncia di condanna in relazione al reato edilizio. 
 
Secondo i ricorrenti la Corte d’appello avrebbe erroneamente fondato la responsabilità penale per il reato di costruzione abusiva sulla scorta di una non corretta applicazione della legge regionale n. 56 del 1980, nella parte in cui disciplina l’accorpamento di fondi e/o la cessione di cubatura che costituisce il presupposto del reato edilizio, in quanto la stessa avrebbe cessato la sua efficacia a far data dall’emanazione del PUTT. In presenza di vuoto normativo, non potrebbe affermarsi l’illegittimità della cessione di cubatura tra terreni, da qui la legittimità dell’accorpamento dei fondi e l’insussistenza del reato contestato.
 
5.1. Va anzitutto premesso che, nella specie, il reato edilizio è stato contestato ai ricorrenti sul presupposto dell’illegittimità del permesso a costruire n. 14/2009, in quanto contrastante con gli strumenti urbanistici giacchè avente ad oggetto la realizzazione, in zona E3 verde agricolo – fascia costiera, di una civile abitazione con volumetria (pari a mc. 128, 10) superiore a quella massima ammissibile (pari a mc. 8, 15), per effetto dell’illegittimo accorpamento di fondi non contigui, aventi diversa destinazione e diverso indice di fabbricabilità.
 
Orbene, la tesi difensiva che muove dall’assunto secondo cui con l’approvazione del PUTT, la legge Regione Puglia n. 56 del 1980 non sarebbe più efficace, non conduce al risultato prospettato. Non conduce affatto a ritenere legittimo l’intervento edilizio e insussistente il reato come argomentato nella sentenza impugnata.
 
Il tema della efficacia dell’art. 51 lett. g) della legge Regione Puglia n. 56 del 1980, è stato a lungo dibattuto ed ha originato un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità che ha trovato un componimento, da ultimo, con la recente sentenza di questa Corte (Sez. 3, n. 35166 del 28/0372017, Cazzato e altro, non mass.), che il Collegio condivide e da cui non intende discostarsi, secondo cui, essendo stato emanato con Delibera della Giunta regionale Puglia 15 dicembre 2000, n. 1748, il Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT), si è verificata la clausola risolutiva espressa dell’efficacia della predetta disposizione legislativa.
 
Ciò non toglie che, cessata l’efficacia di tale norma regionale, unicamente volta a suo tempo a disciplinare l’operatività dell’accorpamento dei fondi agricoli non confinanti, non vi sarebbero più limiti alla operatività della cessione di cubatura e che l’intervento de quo sia conforme agli strumenti urbanistici. La sentenza sul punto è chiara e la motivazione è corretta sul piano del diritto.
 
5.2. Deve rilevarsi che il capo di imputazione non configura alcuna violazione dell’art. 51 lett. g) della legge Regione Puglia n. 56 del 1980, bensì contesta l’illegittimità del permesso a costruire per la realizzazione di una casa di abitazione con una volumetria superiore a quella assentibile, secondo gli strumenti urbanistici per un intervento in zona verde agricolo di pregio, fascia costiera, fondato sull’illegittimo accorpamento di fondi non continui, non omogenei e aventi diverso indice di fabbricabilità, e che la sentenza impugnata poggia l’affermazione della responsabilità su un’ampia e articolata motivazione nella quale, dapprima sviluppa il tema dell’efficacia della legge regionale n. 56 del 1980, e poi, attraverso un solido apparato argomentativo, spiega le ragioni per le quali ha ritenuto illegittimo, nel caso in esame, l’accorpamento di fondi evidenziando la natura negoziale dell’istituto giuridico, riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa che ne ha chiarito i limiti di legittimità (Consiglio di Stato, Sez. 5, n. 3636 del 28 giugno 2000 e, da ultimo, nell’art. 5, comma 1 lett. c) della d.l. n. 70 del 2011, conv, nella legge n. 106 del 2011), e lo ha ritenuto illegittimo proprio alla luce degli arresti del giudice amministrativo e del giudice di legittimità (cfr. Sez. civ. 2 n. 20623), in assenza dei presupposti per la cessione di cubatura da questi giudici individuati, con conseguente illegittimità dell’intervento edilizio (casa di civile abitazione) con volumetria superiore a quella consentita nella zona qualificata agricola di pregio, assentito con il permesso di costruire.
 
La ratio decidendi è corretta e congruamente motivata, la violazione di legge, pur riconosciuta, è recessiva rispetto alla motivazione dell’affermazione della responsabilità che non è censurata ed è sorretta da argomenti immuni da rilievi sindacabili in questa sede ed è corretta in diritto.
 
Il riferimento alla legge regionale sulla disciplina dell’accorpamento di fondi non sorregge la motivazione dell’affermazione della responsabilità ma la affianca, restando questa ancorata al dato fattuale dell’illegittimità, nel caso in esame, dell’accorpamento di fondi secondo gli arresti della giurisprudenza amministrativa, avallati dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2015, P.M. in proc. Manzo), sulla scorta del quale è stato rilasciato un permesso a costruire che consentiva un intervento edilizio di volumetria superiore a quella consentita per la zona. Infine, proprio ai requisitivi individuati dalla giurisprudenza amministrativa e di legittimità (Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2015, P.M. in proc. Manzo) fa ampio richiamo, la sentenza, per argomentare, nel caso in esame, l’assenza dei presupposti (fondi contigui, aree omogene e medesima densità di fabbricazione) per ritenere legittimo l’accorpamento di terreni agricoli non confinanti con diverso indice di fabbricabilità.
 
Non di meno, appare priva di pregio la censura svolta nei motivi dai ricorrenti di pretesa assenza di disciplina normativa (vuoto normativo) che consentirebbe l’indiscriminato accorpamento di fondi a fini di trasferire le cubature a fondi diversi.
 
Parimenti priva di fondamento è l’assunto della difesa di Cassiano Francesco secondo cui l’intervento edilizio sarebbe comunque compatibile alla luce del Piano di fabbricazione del Comune di Patù che prevede, in zona E3 verde agricolo fascia costiera, anche "case isolate per abitazione" con indice di fabbricabilità non superiore a 0,01 mc/mq, in quanto, pur ammessa la tipologia costruttiva la legittimità è esclusa attesa la volumetria che si prevedeva di realizzare, per effetto dell’accorpamenti di fondi, pari a mc. 128, 10 in luogo di mc. 8, 15, volumetria espressa in conseguenza della maggiore estensione dei fondi per effetto della cessione di cubatura.
 
Le su esposte considerazione conducono, anche, alla manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso di Melcarne Luigi con cui si censura l’indeterminatezza del capo di imputazione in conseguenza del ritenuto vuoto normativo per effetto della cessazione dell’efficacia della legge regionale.
 
6. Anche i comuni motivi di ricorso in relazione all’affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 480 cod.pen. non superano il vaglio di ammissibilità.
 
Va innanzitutto premesso che il reato di falso ideologico ex art. 480 cod.pen., come diversamente qualificata l’originaria imputazione, è stato ritenuto sussistente dai giudici del merito in relazione al permesso a costruire e alla autorizzazione paesaggistica, rilasciati dal Morciano, tecnico comunale, laddove ha attestato la conformità agli strumenti urbanistici e la compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio, descritto nella relazione tecnica integrativa e la relazione paesaggistica, allegata all’istanza redatta dal tecnico Melcarne, avente ad oggetto la realizzazione, in zona E3 verde agricolo – fascia costiera di pregio, di una civile abitazione con volumetria (pari a mc. 128,10) superiore a quella massima ammissibile (pari a mc. 8,15), per effetto dell’illegittimo accorpamento di fondi non contigui, aventi diversa destinazione e diverso indice di fabbricabilità e, dunque, atti ideologicamente falsi perché fondati su falsi presupposti per la sua emanazione.
 
Tutto ciò premesso, la ratio decidendi è corretta e alcuna violazione di legge e correlato vizio di motivazione è sussistente.
 
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte di legittimità secondo cui è configurabile il reato di falso ideologico nella valutazione tecnica in un contesto implicante la valutazione e accettazione di parametri normativamente determinati (Sez. 3, n. 41373 del 17/07/2014, P. M. in proc. Pasteris e altri, non mass.; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso e altro, Rv. 257895). In altri termini, se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento, come è nel caso di specie, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, p.c. in proc. Platamone e altro, Rv. 254305; si vedano anche Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 249858).
 
E’ evidente che il rilascio del permesso a costruire e la valutazione di compatibilità ambientale espressa nell’autorizzazione paesaggistica dal Marciano erano fondate su presupposti urbanistici contrastanti con i parametri normativi, giacchè si rappresentava un intervento edilizio realizzato, previa cessione di cubatura in favore di un fondo agricolo su fascia costiera, illegittimo non essendo i fondi contigui e medesimo indice di fabbricabilità, parametri che vengono in rilievo sia ai fini del rispetto degli strumenti urbanistici ce ai fini ambientali e sul giudizio di valorizzazione del sito. Sia l’autorizzazione paesaggistica che il permesso a costruire erano, così, la diretta conseguenza dei falsi parametri contenuti nella relazione tecnica integrativa e paesaggistica redatta dal Melcarne e come tale anch’essa falsa.
 
In altri termini, la discrezionalità tecnica è vincolata alla verifica della conformità della situazione fattuale alle previsioni normative con conseguente integrazione del reato di falso ideologico se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri normativi.
 
Ne consegue che è privo di pregio il profilo di censura, svolta dai ricorrenti, laddove contestano la ravvisabilità del delitto di falso in presenza di violazione delle norme sulla cessione di cubatura, che attengono ai profili urbanistici non essendo, invece, normativamente prefissata la valutazione della compatibilità ambientale, valutazione questa che al più potrebbe essere illegittima, ma non falsa. La maggior volumetria del manufatto da realizzare in zona agricola fascia costiera e di pregio, per effetto dell’illegittimo accorpamento di fondi non confinanti, l’assenza di un intervento volto alla realizzazione di aziende agricole e finalizzato allo sviluppo e al recupero del patrimonio produttivo, la previsione, come da progetto, di una realizzazione di una abitazione ad uso esclusivo residenziale, costituiscono i dati maggiormente significativi sulla scorta dei quali deve essere formulato il giudizio di compatibilità ambientale, di tal chè deve ritenersi falsa l’autorizzazione paesaggistica che si esprime su tali basi in contrasto con i parametri normativi.
 
7. Del pari scevra da profili di illogicità e corretta è la motivazione della sentenza impugnata con riferimento al dolo del reato, oggetto di censura dei ricorrenti, dolo generico ritenuto in capo al pubblico ufficiale Marciano e nel progettista Melcarne che, in ragione della perfetta conoscenza della normativa di riferimento, per essere tecnico del settore e professionista del settore, hanno consapevolmente e volontariamente ideologicamente falsificato il permesso a costruire e l’autorizzazione paesaggistica nei termini sopra descritti (par. 8), sicchè era da escludersi qualsiasi leggerezza (pag. 14), esclusa altresì dal rilievo che erano state accertate numerose pratiche edilizie aventi gli stessi connotati di falsità, nonché rilevanza all’autonomo "avvallo" della Sovraintendenza dedotto dal ricorrente Marciano (peraltro riferito alla posizione di "Renna" e dunque ad altro processo), semmai elemento probatorio che avvalora la "prassi" illecita di sistematica falsificazione dei permessi a costruire e delle autorizzazione paesaggistiche, di cui la sentenza impugnata dà conto.
 
Del pari, è stato ritenuto sussistente e congruamente motivato, il dolo in capo al Cassiano, privato committente delle opere edilizie abusive e beneficiario dell’autorizzazione paesaggistica e del permesso a costruire (pag. 16), privato che doveva affrontare le spese necessarie per realizzare lo strumento tecnico prescelto, basti pensare all’acquisito dei terreni da accorpare, sicchè la corte territoriale ha congruamente argomentato che non poteva seriamente dubitarsi che costui avesse agito in concorso con il progettista, suo professionista e il tecnico comunale, per la realizzazione del fine perseguito. Da qui la manifesta infondatezza del quarto motivo di Marciano e del sesto motivo di Melcarne (e primo motivo aggiunto) e sesto motivo di Cassiano.
 
8. Di carattere generico è il devoluto vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche oggetto del quinto motivo di ricorso di Marciano.
 
Rileva il Collegio che il giudice dell’impugnazione ha motivato la mancata concessione in ragione dell’assenza di elementi da valorizzare, non considerando, i giudici del merito, il carattere complesso della vicenda e delle questioni giuridiche sottese.
 
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte d’appello si è attenuta al principio di diritto secondo il quale la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato. Ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposti alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza – l’onere di motivazione per il diniego dell’attenuante è soddisfatto con il richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero, Rv. 266460; Sez. 3, n. 44071, del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610), elementi rispetto ai quali il ricorso, che richiama la mera complessità della vicenda e delle questioni giuridiche, appare qenerico.
 
Invece, l’analogo motivo di ricorso di Melcarne, dedotto nel secondo dei motivi nuovi ex art. 585 comma 4 cod.proc.pen., è inammissibile perché non devoluto nei motivi principali.
 
I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., nel senso di statuizioni suscettibili di autonoma considerazione.
 
Ne consegue che costituisce motivo nuovo non ammissibile la censura sul diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen. non devoluta nei motivi principali (Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980; Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, Giannetti, Rv. 262180).
 
9. Conclusivamente la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi b) e e) perché estinti per prescrizione ed eliminata la pena per essi inflitta ai ricorrenti di mesi uno e giorni 15 di reclusione, nel resto i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi b) e e) perché estinti per prescrizione ed elimina la pena per essi inflitta di mesi uno e giorni 15 di reclusione. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
 
Così deciso il 18/10/2017
 

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