CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 15 aprile 2014 (C.C. 20/02/2014), Sentenza n. 16423
Affinché un rifiuto cessi di esser tale è necessario che sia sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i seguenti criteri specifici da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: 1) la sostanza o l’oggetto sia comunemente utilizzato per scopi specifici; 2) sussista un mercato e una domanda del materiale recuperato; 3) la sostanza o l’oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; 4) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non comporti impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Le evidenti novità rispetto alla precedente definizione consistono: 1) nella modifica della terminologia, non esistendo più le «materie prime secondarie» ma solo prodotti che cessano di essere rifiuti (cd. «end of waste»); 2) nella sufficienza della sola esistenza di un mercato e di una domanda per il prodotto, non essendo più ritenuto necessario anche il valore economico del prodotto; 3) nel fatto che l’operazione di recupero può consistere nel controllo dei rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. Non è venuta meno, però, la necessità che il rifiuto sia sottoposto ad operazione di recupero perché possa essere definitivamente sottratto alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti. Anche a seguito delle modifiche introdotte con il d.lgs. 205/2010, infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da una pregressa e necessaria attività di recupero.
(conferma ordinanza del 17/09/2013 del Tribunale di Napoli) Pres. Fiale, Est. Aceto, Ric. Di Procolo
RIFIUTI – Attività di recupero dei rifiuti – Autorizzazione – Disciplina vigente – Giurisprudenza – Artt. 208, 214, e 216, d.lgs. 152/2006.
L’attività di recupero, come definita dall’
art. 183, comma 1, lett. t), d.lgs. 152/2006 e come articolata nelle operazioni elencate, ancorché in modo dichiaratamente non esaustivo, dall’allegato C alla parte quarta del T.U. amb., nonché disciplinata, per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, dal D.M. 5 febbraio 1998, costituisce, a sua volta, una fase della gestione del rifiuto, che deve in ogni caso essere posta in essere da soggetto a ciò autorizzato (
artt. 208, 214, e 216, d.lgs. 152/2006). La necessità che risulti dimostrata la intervenuta effettuazione di attività di recupero (condotta nel rispetto di quanto previsto dai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 162 e 17 novembre 2005, n. 269) da parte di un soggetto autorizzato a compiere le relative operazioni, è stata più volte ribadita da questa Suprema Corte (Sez. 3, n. 17823 del 17/01/2012, Celano; Sez. 3, n. 25206 del 16/05/2012, Violato).
(conferma ordinanza del 17/09/2013 del Tribunale di Napoli) Pres. Fiale, Est. Aceto, Ric. Di Procolo
RIFIUTI – Operazione di recupero dei rifiuti – Criteri e presupposti – Fattispecie: qualifica di rifiuto e trasporto senza autorizzazione – Art. 184-ter, c.2, d.lgs. 152/2006.
L’
art. 184-ter, comma 2, d.lgs. 152/2006, estende l’operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicare nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione, si tratta pur sempre di operazione di «recupero» che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato. Nel caso di specie, non risultava che il materiale trasportato dal ricorrente fosse stato sottoposto a preventiva operazione di recupero, riciclaggio e preparazione per il suo utilizzo, tantomeno che ciò sia avvenuto ad opera di soggetto autorizzato. In mancanza di queste preliminari (e necessarie) operazioni il materiale trasportato dal ricorrente non ha mai cessato la sua qualifica di rifiuto (art. 184-ter, u.c., d.lgs. 152/2006), rendendo penalmente rilevante il suo trasporto senza autorizzazione.
(conferma ordinanza del 17/09/2013 del Tribunale di Napoli) Pres. Fiale, Est. Aceto, Ric. Di Procolo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 15 aprile 2014 (C.C. 20/02/2014), Sentenza n. 16423
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da:
Aldo Fiale – Presidente
Vito Di Nicola – Consigliere
Chiara Graziosi – Consigliere
Gastone Andreazza – Consigliere
Aldo Aceto – Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da Di Procolo Luigi, nato a Pozzuoli il 24/01/1965;
– avverso l’ordinanza del 17/09/2013 del Tribunale di Napoli;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 17/09/2013 il Tribunale di Napoli ha rigettato l’istanza di riesame proposta dal sig. Di Procolo avverso il decreto del 31/05/2013 con il quale il Giudice per le indagini preliminari presso quello stesso Tribunale, ritenuta la sussistenza indiziaria del reato di recupero e trasporto illecito di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (ritenuto astrattamente configurabile sul rilievo che il Di Procolo stava trasportando mc. 3 di materiale ferroso e non ferroso, classificato come rifiuto speciale non pericoloso, e non aveva fornito alcun principio di prova in ordine alla diversa destinazione del materiale), considerato che la libera disponibilità del bene da parte dell’indagato potesse aggravare le conseguenze del reato stesso, aveva disposto il sequestro preventivo dell’autocarro Fiat Iveco, tg. BGB89243, di proprietà dell’odierno ricorrente, bene in ogni caso confiscabile a norma dell’
art. 259, d.lgs. 152/2006 cit..
2. Ricorre per Cassazione il Di Procolo Luigi chiedendo, per il tramite del difensore di fiducia, l’annullamento dell’ordinanza (con conseguente revoca del decreto di sequestro) e articolando, a sostegno, due motivi di doglianza.
Con il secondo motivo eccepisce mancanza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione del provvedimento impugnato.
Il ricorrente, alle luce di quanto stabilito dalla direttiva 2008/98/CE del 19/11/2008 (sui cui contenuti e finalità si sofferma a lungo) e delle conseguenti modifiche introdotte al
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 dal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, contesta l’erronea attribuzione della qualità di «rifiuto» alla merce trasportata, che, a suo giudizio, dovrebbe piuttosto essere qualificata come «materia prima secondaria» di cui all’art. 184-ter, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (norma appunto inserita dall’art. 12, d.lgs. 205/2010 cit.). Diversamente da come affermato dai primi giudici, infatti, non si trattava di generico ed indistinto materiale ferroso, bensì di rame e ferro, tra loro ben separati, selezionati ed esenti da materiali estranei, notoriamente oggetto di un mercato redditizio. Tale natura, soggiunge, non è sfuggita allo stesso tribunale che, cadendo in un lapsus freudiano, ha definito «beni» le cose sequestrate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Non è oggetto di contestazione, in fatto, che il ricorrente effettuasse attività di trasporto di materiale, ferroso e non ferroso (rame nello specifico), per una quantità pari a circa 3 mc.. Non è altresì in discussione che egli fosse privo di qualsiasi autorizzazione al recupero ed al trasporto di rifiuti.
E’ in contestazione, in diritto, la qualifica di “rifiuto” del materiale trasportato che il ricorrente ritiene essere “materia prima secondaria”.
Osserva la Corte quanto segue.
L’
art. 183, comma 1°, lett. q), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (nella versione vigente fino al 12 febbraio 2008), definiva «materia prima secondaria» la sostanza o la materia avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell’
articolo 181. L’art. 181, a sua volta, non forniva una definizione diretta di «materia prima secondaria» ma demandava a fonti di normazione secondaria il compito di individuare le procedure ed i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenerla, affermando che: «La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica – recitava il comma 12 – fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l’obbligo, di disfarsene». Il successivo comma 13 precisava: «La disciplina in materia di gestione dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti individuati ai sensi del presente articolo, a meno che il detentore se ne disfi o abbia deciso, o abbia l’obbligo, di disfarsene». Il comma 14°, così concludeva: «I soggetti che trasportano o utilizzano materie prime secondarie, combustibili o prodotti, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo, non sono sottoposti alla normativa sui rifiuti, a meno che se ne disfino o abbiano deciso, o abbiano l’obbligo, di disfarsene».
Nella more di adozione di futuri regolamenti, il comma 6 dell’articolo in questione affidava ai preesistenti, e già vigenti, decreti ministeriali 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002 il compito di indicare le caratteristiche, che attraverso specifici metodi di recupero, le materie prime secondarie avrebbero dovuto possedere per poter esser ritenute tali. Detti decreti individuavano (ed ancor oggi individuano) gli specifici rifiuti, non pericolosi (D.M. 5 febbraio 1998) e pericolosi (D.M. 12 giugno 2002, n. 161), che, in considerazione delle loro caratteristiche, della loro provenienza, e delle procedure di recupero previste per ciascuna tipologia, davano luogo alle materie prime descritte in base alle loro caratteristiche intrinseche.
A seguito delle modifiche introdotte con d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, l’art. 183, comma 1°, lett. q), nel definire le materie prime secondarie ha rimandato all’
art. 181-bis, di nuova introduzione, che, a sua volta, ha così diversamente disciplinato la materia: «Non rientrano nella definizione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), le materie, le sostanze e i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 2, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni: a) siano prodotti da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre; c) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse; d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario; e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato. 2. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari devono garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008. 3. Sino all’emanazione del decreto di cui al comma 2 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269».
L’art. 181-bis è stato successivamente abrogato dal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 che ha, altresì, definitivamente espunto dall’ambito definitorio dell’art. 183 le materie prime secondarie ed ha introdotto, nel
d.lgs. 152/2006, il nuovo
art. 184-ter, intitolato «cessazione della qualifica di rifiuto>>, che così recita: «1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. 2. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’ articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto. 3. Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e I’ art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione. 4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti. 5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto».
In parziale attuazione della norma è stato emesso il Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell’
articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, di cui al decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22. Per le altre tipologie di rifiuto restano in vigore, e continuano ad applicarsi, i precedenti decreti ministeriali sopra citati.
Perché dunque un rifiuto cessi di esser tale è necessario che sia sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i seguenti criteri specifici da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: 1) la sostanza o l’oggetto sia comunemente utilizzato per scopi specifici; 2) sussista un mercato e una domanda del materiale recuperato; 3) la sostanza o l’oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; 4) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non comporti impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
Le evidenti novità rispetto alla precedente definizione consistono: 1) nella modifica della terminologia, non esistendo più le «materie prime secondarie» ma solo prodotti che cessano di essere rifiuti (cd. «end of waste»); 2) nella sufficienza della sola esistenza di un mercato e di una domanda per il prodotto, non essendo più ritenuto necessario anche il valore economico del prodotto; 3) nel fatto che l’operazione di recupero può consistere nel controllo dei rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.
Non è venuta meno, però, la necessità che il rifiuto sia sottoposto ad operazione di recupero perché possa essere definitivamente sottratto alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti. Anche a seguito delle modifiche introdotte con il d.lgs. 205/2010, infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da una pregressa e necessaria attività di recupero. E’ una costante che percorre, trasversalmente, tutte le definizioni e modifiche legislative sopra riportate.
L’attività di recupero, come definita dall’
art. 183, comma 1, lett. t), d.lgs. 152/2006 e come articolata nelle operazioni elencate, ancorché in modo dichiaratamente non esaustivo, dall’allegato C alla parte quarta del T.U. amb., nonché disciplinata, per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, dal D.M. 5 febbraio 1998, costituisce, a sua volta, una fase della gestione del rifiuto, che deve in ogni caso essere posta in essere da soggetto a ciò autorizzato (
artt. 208, 214, e 216, d.lgs. 152/2006). La necessità che risulti dimostrata la intervenuta effettuazione di attività di recupero (condotta nel rispetto di quanto previsto dai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 162 e 17 novembre 2005, n. 269) da parte di un soggetto autorizzato a compiere le relative operazioni, è stata più volte ribadita da questa Suprema Corte (Sez. 3, n. 17823 del 17/01/2012, Celano; Sez. 3, n. 25206 del 16/05/2012, Violato).
E’ vero che l’art. 184-ter, comma 2, d.lgs. 152/2006, estende l’operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicare nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione (questione priva di rilevanza nel caso concreto), si tratta pur sempre di operazione di «recupero» che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato.
Nel caso di specie, come incontestabilmente (ed esattamente) affermato dal tribunale del riesame, non risulta che il materiale trasportato dal ricorrente fosse stato sottoposto a preventiva operazione di recupero, riciclaggio e preparazione per il suo utilizzo, tantomeno che ciò sia avvenuto ad opera di soggetto autorizzato.
In mancanza di queste preliminari (e necessarie) operazioni il materiale trasportato dal ricorrente non ha mai cessato la sua qualifica di rifiuto (art. 184-ter, u.c., cit.), rendendo penalmente rilevante il suo trasporto senza autorizzazione.
Il ricorso deve, dunque, essere respinto ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/02/2014