Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Danno ambientale, Diritto processuale penale, Legittimazione processuale, Rifiuti Numero: | Data di udienza:

* RIFIUTI – Programmata abrogazione  di una norma – Vigenza “provvisoria” – Effetti – Disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, c.5, c.p. – Retroattività della norma più favorevole – Limiti di applicazione – Fattispecie: rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo – Codice CER 170504 – D. n. 161/2012 – Artt. 184 bis, 186, 256, c.1, lett.a) e 311 d. Lgs. n. 152/2006DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Risarcimento del danno ambientale – Natura pubblica – Lo Stato soggetto legittimato – Risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale – Soggetti legittimati: singoli o associati, enti pubblici territoriali e  regioni – Art. 2043 c.c. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni delle parti – Omessa indicazione nell’intestazione della sentenza – Nullità della pronuncia – Esclusione. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Marzo 2013
Numero:
Data di udienza:
Presidente: Teresi
Estensore: Andreazza


Premassima

* RIFIUTI – Programmata abrogazione  di una norma – Vigenza “provvisoria” – Effetti – Disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, c.5, c.p. – Retroattività della norma più favorevole – Limiti di applicazione – Fattispecie: rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo – Codice CER 170504 – D. n. 161/2012 – Artt. 184 bis, 186, 256, c.1, lett.a) e 311 d. Lgs. n. 152/2006DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Risarcimento del danno ambientale – Natura pubblica – Lo Stato soggetto legittimato – Risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale – Soggetti legittimati: singoli o associati, enti pubblici territoriali e  regioni – Art. 2043 c.c. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni delle parti – Omessa indicazione nell’intestazione della sentenza – Nullità della pronuncia – Esclusione. 



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 15 Marzo 2013 (Ud. 28/02/2013) Sentenza n. 12295
 

RIFIUTI – Programmata abrogazione  di una norma – Vigenza “provvisoria” – Effetti – Disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, c.5, c.p. – Retroattività della norma più favorevole – Limiti di applicazione – Fattispecie: rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo – Codice CER 170504 – D. n. 161/2012 – Artt. 184 bis, 186, 256, c.1, lett.a) e 311 d. Lgs. n. 152/2006.
 
Stante la programmata abrogazione (attraverso l’entrata in vigore del decreto 10 agosto 2012 n. 161 del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 06/10/2012, abrogando dunque, per effetto dell’art. 39 cit. e fatte salve le norme transitorie di cui all’art.15 dello stesso decreto, l’art. 186, di tale ultima disciplina) a decorrere dalla adozione, in un momento successivo, del decreto citato dall’art. 184 bis comma 2, l’art. 186 ha assunto, per il periodo di sua “provvisoria” vigenza, la natura di norma temporanea, come tale sottratta alla disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, comma 5, c.p. e, in particolare, al regime di retroattività della norma più favorevole; di qui, dunque, l’applicabilità dello stesso ai fatti commessi in ogni caso durante la sua vigenza a prescindere dalla successiva intervenuta sua abrogazione (Cass. Sez. 3, n. 33577 del 04/07/2012, Di Gennaro).
 
(annulla con rinvio sentenza del Tribunale di Milano in data 23/05/2011) Pres. Teresi Est. Andreazza Ric. Salute ed altro
 
 
DANNO AMBIENTALE – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – RIFIUTI – Risarcimento del danno ambientale – Natura pubblica – Lo Stato soggetto legittimato – Risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale – Soggetti legittimati: singoli o associati, enti pubblici territoriali e  regioni – Art. 2043 c.c. – Art. 311 d. Lgs. n. 152/2006.
 
Il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall’art. 311 del d. Lgs. n. 152 del 2006, con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell’ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell’art. 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale (tra le tante in tal senso, Cass. Sez. 3, n. 19437 del 17/01/2012, Fundarò e altri; Cass. Sez. 3, n. 41015 del 21/10/2010, Gravina).
 
(annulla con rinvio sentenza del Tribunale di Milano in data 23/05/2011) Pres. Teresi Est. Andreazza Ric. Salute ed altro
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni delle parti – Omessa indicazione nell’intestazione della sentenza – Nullità della pronuncia – Esclusione. 
 
L’omessa indicazione nell’intestazione della sentenza delle conclusioni delle parti non costituisce motivo di nullità della pronuncia (Cass., Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, Borella).
 
(annulla con rinvio sentenza del Tribunale di Milano in data 23/05/2011) Pres. Teresi Est. Andreazza Ric. Salute ed altro
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 15 Marzo 2013 (Ud. 28/02/2013) Sentenza n. 12295

SENTENZA

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE  
 
Composta da 
 
Alfredo Teresi – Presidente
Aldo Fiale – Consigliere Rel. 
Luca Ramacci – Consigliere
Chiara Graziosi – Consigliere
Gastone Andreazza – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da 
1) Bianchi Vincenzo, n. a Milano il 08/05/1972;
2) Salute Giuseppe, n. a Samo il 22/08/1949
avverso la sentenza del Tribunale di Milano in data 23/05/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S. Spinaci, che ha concluso per l’annullamento con rinvio; 
udite le conclusioni degli Avv.ti Cammarata e Giovanelli, rispettivamente difensori di Bianchi Vincenzo e Salute Giuseppe, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;  
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 05/12/2011 il Tribunale di Milano ha condannato Bianchi Vincenzo e Salute Giuseppe alla pena di euro 22.000,00 di ammenda ciascuno per il reato previsto dagli artt. 81 c.p. 256, comma 1, lett. a) del d. Lgs. n. 152 del 2006 per avere gestito, il primo/cedendo ed il secondo ricevendo, in assenza di autorizzazione, iscrizione e comunicazione di legge, una quantità di circa kg. 2.474,550 di rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo – codice CER 170504. 
 
Il Tribunale ha in particolare disatteso la tesi difensiva volta a sostenere la natura di sottoprodotto del materiale in quanto “suolo escavato non contaminato”, non essendo ancora applicabile l’art. 185, comma 4 (e conseguentemente, l’art. 184 bis) del d. Lgs. n. 152 del 2006 come modificato dal d. Lgs. n. 205 del 2010, posto che l’art. 39 di tale ultimo decreto stabilisce che solo dall’entrata in vigore del d.m. previsto dall’art. 184 bis, e non ancora emanato, venga abrogato l’art. 186.
 
2. Bianchi Vincenzo ha interposto ricorso per cassazione.
 
Con un primo motivo, volto a invocare violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero dai documenti acquisiti nel dibattimento, assume che nella fattispecie in esame, caratterizzata dal trasporto di terre e rocce da scavo senza le preventive autorizzazioni dal sito di Milano area Garibaldi al sito di Comazzo, sarebbe applicabile l’art. 185, comma 4, del d. Lgs. n. 152 del 2006, potendo il materiale essere classificato come “suolo escavato non contaminato”, con conseguente riconducibilità nella categoria di sottoprodotto. 
 
Contesta la ritenuta non applicabilità dell’art. 184 bis cit., in realtà nel suo comma primo già entrato in vigore al momento del fatto, così come la ritenuta non applicabilità dell’art. 185 in relazione al suolo escavato non contaminato, già escluso compiutamente dalla disciplina dei rifiuti, salvo che il produttore intenda disfarsene. A conferma di ciò richiama il d.l. n. 2 del 25/01/2012. Di qui, in conclusione, la non necessità di comunicare agli enti i siti di destino del materiale, viceversa richiesta dall’art. 186.
 
Con un secondo motivo lamenta la nullità della sentenza per erronea applicazione dell’art. 162 bis c.p. nonché per mancanza di motivazione. 
 
Premette che l’istanza di oblazione avanzata in via preliminare era stata respinta sul presupposto della permanenza di conseguenze dannose del reato e che era stata respinta anche la reiterazione avanzata all’esito del dibattimento ritenendosi che continuassero a permanere tali conseguenze e che l’offerta reale di somma di denaro equivalente all’importo necessario per la rimozione del materiale trasportato non fosse sufficiente. 
 
Censura tale motivazione laddove da un lato ha fatto riferimento a documentazione dell’Ente parco, che in realtà ha unicamente richiamato un aspetto non ambientale ma paesaggistico inoltre riferibile al solo coimputato Salute, e dall’altro ha trascurato le emergenze dell’istruttoria dibattimentale (dichiarazioni testimoniali ed analisi dei materiali trasportati) da cui è risultata mancare del tutto la prova di un danno per l’ambiente. Né il Tribunale ha motivato sulla eliminabilità delle conseguenze dannose o pericolose del reato da parte dell’imputato, eliminabilità, nella specie, in ogni caso non sussistente.
 
Con un terzo motivo deduce la nullità della sentenza in ordine alle statuizioni civili per inosservanza dell’art. 311, comma 1, del D. Lgs. n. 152 del 2006, giacché, spettando solo allo Stato la legittimazione risarcitoria con riguardo al danno ambientale, Regione, Provincia e Comune avrebbero dovuto dare prova di un danno concreto ed ulteriore da essi sofferto; il Tribunale ha quindi erroneamente da un lato riconosciuto un danno ambientale alla Regione e dall’altro riconosciuto un danno all’immagine alla Provincia e al Comune.
 
3. Salute Giuseppe ha interposto appello, trasmesso a questa Corte stante l’inappellabilità della sentenza.
 
Con un primo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancata indicazione delle conclusioni rassegnate dal Difensore all’udienza dell’11/11/2011.
 
Con un secondo motivo, in relazione alla contestazione mossagli, rileva che l’art. 186, comma 1, prima dell’integrazione ad opera del d. Lgs. n. 4 del 2008, stabiliva che le rocce e terre da scavo sono escluse dall’ambito di applicazione della parte quarta del d.Lgs. n. 152 del 2006 e che, comunque, una volta adottato il d.m. previsto dall’art. 49 del d.l. n. 1 del 2012, non sussisterebbe più alcun reato. Censura inoltre la motivazione relativa alla propria specifica responsabilità, insita nell’avere egli ricevuto terre da sbancamento prive di autorizzazione, in quanto basata su un mero procedimento deduttivo ed in assenza di riscontri materiali.
 
Con un terzo motivo deduce in ogni caso, attraverso l’invocata illogicità, mancanza o contraddittorietà della motivazione, la mancanza di prove in ordine sempre all’affermata responsabilità non avendo egli mai gestito, raccolto, trasportato, smaltito, conferito rifiuti né adibito l’area di proprietà per ricevere gli stessi. In particolare lamenta che i sopralluoghi, controlli e rilievi svolti non abbiano in alcun modo accertato alcun innalzamento del piano del terreno che, invece, necessariamente, avrebbe dovuto essere effettuato onde potere depositare, su un terreno di superficie di soli mq. 686,00, ben 2.474.550 chili di rifiuti corrispondenti a 1.414,000 metri cubi.
 
Con un quarto motivo chiede la riforma del capo relativo alla condanna sulle questioni civili non essendo addebitabile appunto al ricorrente alcuna responsabilità penale.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Va anzitutto premesso che l’appello svolto da Salute Giuseppe deve essere convertito in ricorso stante l’inappellabilità della sentenza impugnata; occorre al riguardo ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite che, con la sentenza n. 45371 del 2001, Bonaventura, hanno sostenuto che in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, come verificatosi del resto nella specie, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una “voluntas impugnationis”, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente. Con la stessa decisione si è aggiunto che condizione necessaria ed insieme sufficiente perché il giudice possa compiere la operazione di qualificazione è la esistenza giuridica di un atto – cioè di una manifestazione di volontà avente i caratteri minimi necessari per essere riconoscibile come atto giuridico di un determinato tipo – e non anche la sua validità; ciò che conta è inoltre la volontà oggettiva dell’impugnante – quella cioè di sottoporre a sindacato la decisione impugnata -, senza che sia possibile attribuire alcun rilievo all’errore che potrebbe verificarsi nel momento della manifestazione di volontà o anche alla deliberata scelta di proporre un mezzo di gravame diverso da quello prescritto.
 
5. Ciò posto, il primo motivo del ricorso di Bianchi Vincenzo ed il secondo motivo del ricorso di Salute Giuseppe sono infondati.
 
Il d. Lgs. 3 dicembre 2010, di “disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”, operando alcune rilevanti modifiche al D. Lgs. n. 152 del 2006, ha, tra l’altro : 1) introdotto, all’art. 12, l’art. 184 bis dello stesso decreto dedicato alla individuazione dei requisiti del “sottoprodotto”; 2) modificato, all’art.13, l’art. 185 introducendo, tra l’altro, il comma 4 secondo cui “il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184 bis e 184 ter “; 3) disposto, all’art. 39, l’abrogazione dell’art. 186 “a decorrere dalla entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’art. 184 bis, comma 2”.
 
Ne consegue che, al momento di svolgimento del processo di primo grado, la disciplina vigente relativa alla movimentazione delle terre e rocce da scavo era disciplinata, congiuntamente, dall’art. 186 cit., non essendo ancora stato adottato il decreto ministeriale alla cui emanazione, come detto, era condizionata l’abrogazione di detta norma, nonché, per effetto del richiamo operato dall’art. 185 comma 4, dall’art. 184 bis, comma 1; in altri termini, va ritenuto che in tale momento la disciplina del sottoprodotto (di cui appunto all’art. 184 bis) convivesse con quella delle terre e rocce da scavo (di cui appunto all’art. 186). Se è vero dunque, che, come sostenuto dai ricorrenti, vigevano già, in linea di principio, i requisiti di individuazione del sottoprodotto, è anche vero che in tanto era possibile escludere, ai sensi dell’art. 186, l’applicabilità della disciplina sui rifiuti in quanto sussistessero, oltre a detti requisiti, anche gli ulteriori requisiti elencati dalla lettera a) alla lettera g) dall’art. 186, comma 1, e non ancora venuti meno (vedi art. 186, comma 1 : “le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, e rilevati purché : a)….).
 
Correttamente dunque il giudice dell’impugnata sentenza, nel valutare la riconducibilità delle condotte ascritte agli imputati nel novero di quelle dell’art. 256, comma 1, lett. a), ha tenuto conto in particolare della mancata inclusione dei requisiti di cui all’art. 186, comma 1 nel progetto in particolare di cui al comma 4 e altrettanto correttamente ha considerato la mancanza delle comunicazioni di legge e dei formulari.
 
Né potrebbe ritenersi che oggi, entrato in vigore, in data 06/10/2012, il decreto 10 agosto 2012 n. 161 del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ed abrogato dunque, per effetto dell’art. 39 cit. e fatte salve le norme transitorie di cui all’art.15 dello stesso decreto, l’art. 186, di tale ultima disciplina non possa tenersi conto in applicazione dell’art. 2 c.p. sul presupposto della ritenuta natura più favorevole dell’attuale, complessiva, disciplina rispetto alla precedente; va infatti precisato che, stante la programmata abrogazione di detta norma a decorrere dalla adozione, in un momento successivo, del decreto citato dall’art. 184 bis comma 2, l’art. 186 ha assunto, per il periodo di sua “provvisoria” vigenza, la natura di norma temporanea, come tale sottratta alla disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, comma 5, c.p. e, in particolare, al regime di retroattività della norma più favorevole; di qui, dunque, l’applicabilità dello stesso ai fatti commessi in ogni caso durante la sua vigenza a prescindere dalla successiva intervenuta sua abrogazione (cfr. Sez. 3, n. 33577 del 04/07/2012, Di Gennaro, Rv. 253662).
 
6. I restanti motivi del ricorso di Salute Giuseppe sono inammissibili.
 
Invero, mentre il primo motivo è manifestamente infondato, posto che questa Corte ha più volte precisato che l’omessa indicazione nell’intestazione della sentenza delle conclusioni delle parti non costituisce motivo di nullità della pronuncia (da ultimo, Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, Borella, Rv. 252404), il terzo (cui, come oltre si dirà, è collegato il quarto) introduce, in realtà, a dispetto dell’apparente riferimento al vizio di motivazione, censure di mero fatto, volte a pretendere una diversa lettura rispetto a quella operata dal giudice di primo grado basata in particolare sulla prospettazione, di natura ipotetica, che ove l’accettazione del materiale in oggetto fosse effettivamente avvenuta si sarebbe dovuto registrare (essendo invece mancato, nella specie, un tale evento) un innalzamento del piano del terreno. Va infatti osservato che la sentenza impugnata ha richiamato segnatamente le prove orali (dichiarazioni in particolare dei testi Petrucci e De Podestà del Corpo forestale dello Stato) e documentali (in particolare fotografie relative alla destinazione finale al sito di Comazzo) dei trasporti effettuati, tanto bastando al fine di ritenere logica e motivata l’affermazione di responsabilità, neppure specificamente aggredita, sul punto, dal ricorrente.
 
Consegue infine, alla manifesta infondatezza del terzo motivo, anche la manifesta infondatezza del quarto, essendosi in esso il ricorrente limitato ad invocare l’insussistenza di responsabilità civile in esclusiva discendenza dalla inesistenza di responsabilità penale.
 
7. Sono invece fondati il secondo e terzo motivo di ricorso di Bianchi Vincenzo. Con riguardo al secondo, va rilevato che, reiterata l’istanza di ammissione all’oblazione, già proposta in limine e disattesa, il Tribunale ha rigettato la nuova richiesta sul presupposto, in primis, della esistenza di conseguenze dannose emergenti da documentazione proveniente dell’Ente parco dell’Adda Sud, senza tuttavia che da tale motivazione, ove non è menzionato il contenuto di detta documentazione, risulti quali sarebbero tali conseguenze e perché, in necessaria relazione al dettato dell’art. 186 bis, comma 2, c.p., le stesse sarebbero state eliminabili da parte del contravventore.
 
Con riguardo infine al terzo motivo, che, giacché non fondato su motivi esclusivamente personali, deve ritenersi giovare anche a Salute Giuseppe ex art. 587 c.p.p., va precisato che in sede di conclusioni le difese degli imputati avevano chiesto il rigetto delle richieste di risarcimento dei danni avanzate dalle parti civili. All’esito del giudizio il Tribunale ha disposto la condanna degli imputati al risarcimento dei danni cagionati alle costituite parti civili Provincia e Comune di Milano (per quanto concernente il danno morale o all’immagine) e Regione Lombardia (per quanto concernente il danno ambientale). Tuttavia, da un lato, e con riferimento ai danni liquidati in favore di Provincia e Comune, difetta qualsiasi motivazione circa la sussistenza del danno morale subito dai due enti, tanto più considerando, in particolare con riguardo al Comune di Milano, che, come invocato in ricorso, i rifiuti in oggetto sarebbero stati conferiti in luogo sito nel Comune di Lomazzo e non di Milano appunto, e, dall’altro, quanto al danno ambientale arrecato alla Regione Lombardia, non viene specificato, limitandosi la motivazione a menzionare genericamente il “danno ambientale”, se lo stesso sia consistito in un danno diverso dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente, solo in tal caso, infatti, essendo legittima la relativa condanna. Va al riguardo ricordato, infatti, che il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall’art. 311 cit., con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell’ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell’art. 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale (tra le tante in tal senso, Sez. 3, n. 19437 del 17/01/2012, Fundarò e altri, Rv. 252907; Sez. 3, n. 41015 del 21/10/2010, Gravina, Rv. 248707).
 
8. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio in ordine alla decisione di ammissione all’oblazione speciale, limitatamente al solo Bianchi Vincenzo, e in ordine alla decisione sulle statuizioni civili suddette, con riferimento, invece, ad entrambi gli imputati, precisandosi essere in ogni caso ormai intervenuto il definitivo accertamento della responsabilità penale con riguardo alla posizione di Salute Giuseppe. Detto rinvio va effettuato in toto al Tribunale di Milano stante l’annullamento comunque coinvolgente, anche se solo per uno dei due imputati, la statuizione penale, con conseguente inapplicabilità nella specie del disposto dell’art. 622 c.p.p.
 
P.Q.M.
 
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Milano limitatamente alla richiesta di oblazione e alle statuizioni civili.
 
Rigetta nel resto. Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2013
 
 

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