Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Rifiuti
Numero: 1570 |
Data di udienza: 5 Ottobre 2017
RIFIUTI – Rifiuti provenienti da lavori di ristrutturazione costituiti da asfalto e roccia da scavo – Illecita gestione e concorso nel reato – Responsabilità anche chi ha messo a disposizione il luogo in cui i rifiuti sono scaricati – Unitarietà del fatto collettivo – Contributo causale imprescindibile – Art.256, cc. 1 e 2 d. lgs. n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di cassazione – Preclusioni sull’indagine di legittimità e sul discorso giustificativo della decisione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 16 Gennaio 2018
Numero: 1570
Data di udienza: 5 Ottobre 2017
Presidente: SAVANI
Estensore: GALTERIO
Premassima
RIFIUTI – Rifiuti provenienti da lavori di ristrutturazione costituiti da asfalto e roccia da scavo – Illecita gestione e concorso nel reato – Responsabilità anche chi ha messo a disposizione il luogo in cui i rifiuti sono scaricati – Unitarietà del fatto collettivo – Contributo causale imprescindibile – Art.256, cc. 1 e 2 d. lgs. n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di cassazione – Preclusioni sull’indagine di legittimità e sul discorso giustificativo della decisione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 16/01/2018 (05/10/2017), Sentenza n.1570
RIFIUTI – Rifiuti provenienti da lavori di ristrutturazione costituiti da asfalto e roccia da scavo – Illecita gestione e concorso nel reato – Responsabilità anche chi ha messo a disposizione il luogo in cui i rifiuti sono scaricati – Unitarietà del fatto collettivo – Contributo causale imprescindibile – Art.256, cc. 1 e 2 d. lgs. n.152/2006.
Anche in materia di rifiuti, affinché si configuri il concorso nel reato è sufficiente rilevare l’unitarietà del fatto collettivo realizzato (nella specie, in violazione del precetto di cui all’art.256 d. lgs. 152/2006 in concorso con gli altri coimputati, concretizzatasi in un contributo causale imprescindibile alla realizzazione del fatto delittuoso finale, tale essendosi rivelata nell’economia dell’intera operazione la messa a disposizione del luogo in cui i rifiuti sono stati scaricati, legittimamente iscrivibile nello schema di cui agli artt.110 ss c.p.). (Fattispecie: trasporto ed abbandono abusivo all’interno di una cava dismessa di rifiuti provenienti da lavori di ristrutturazione costituiti da asfalto e roccia da scavo in concorso, quale figlio della proprietaria della cava ed esecutore dei lavori di messa in sicurezza delle scarpate, con il conducente dell’autocarro adibito al trasporto ed il proprietario di quest’ultimo, nonché titolare dell’omonima ditta).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di cassazione – Preclusioni sull’indagine di legittimità e sul discorso giustificativo della decisione.
In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Pertanto, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza in data 5.5.2016 – TRIBUNALE DI LECCE) Pres. SAVANI, Rel. GALTERIO, Ric. Brunetti
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 16/01/2018 (05/10/2017), Sentenza n.1570
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 16/01/2018 (05/10/2017), Sentenza n.1570
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da BRUNETTI ANTONIO, nato a San Cesario di Lecce il 16.1.1971;
avverso la sentenza in data 5.5.2016 del Tribunale di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Gianluigi Pratola, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 5.5.2016 il Tribunale di Lecce ha condannato Antonio Brunetti alla pena di € 3.000 di ammenda avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art.256, commi 1 e 2 d. lgs. 152/2006 per aver trasportato ed abbandonato abusivamente all’interno di una cava dismessa sita nell’agro di Lecce rifiuti provenienti da lavori di ristrutturazione costituiti da asfalto e roccia da scavo in concorso, quale figlio della proprietaria della cava ed esecutore dei lavori di messa in sicurezza delle scarpate, con il conducente dell’autocarro adibito al trasporto ed il proprietario di quest’ultimo, nonché titolare dell’omonima ditta.
Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. c.p.p .. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, che la responsabilità ascritta all’imputato, fondata sull’assunta disponibilità della cava da parte del medesimo in quanto indicato nella SCIA relativa alla messa in sicurezza delle scarpate quale esecutore materiale e sul consenso prestato alle operazioni di scarico, desunto dal fatto che il cancello della cava era chiuso con un lucchetto che il conducente del camion aveva aperto e subito dopo richiuso dietro di sé impedendo ai verbalizzanti di seguirlo, non trovava rispondenza nelle risultanze istruttorie: il teste Pellegrino, facente parte del Corpo Forestale aveva infatti sol riferito di aver visto il camion arrivare nei pressi di un cancello di accesso ad una cava dismessa che era chiuso, cava che aveva poi precisato non essere abbandonata, e di averlo aperto per poi richiuderlo dietro di sé senza fare menzione di alcun lucchetto né di utilizzo di chiavi di cui fosse in possesso, né era stato acquisito agli atti alcun documento neppure fotografico comprovante l’apposizione sul cancello del suddetto lucchetto.
Aggiunge inoltre il ricorrente che era stata del tutto travisata la sua condotta nell’immediatezza dei fatti consistita nell’essersi spontaneamente presentato, una volta venuto a conoscenza del sequestro del camion, al Corpo Forestale, la quale era stata interpretata dal Tribunale quale conferma della sua implicazione nella vicenda quando invece il suo intento era stato solo quello di attestare la sua estraneità ai fatti, senza contare che quand’anche avesse dato l’autorizzazione al deposito del materiale al conducente del camion e al titolare della ditta, nulla autorizzava a ritenere che egli fosse stato reso edotto della tipologia del materiale da scaricarvi.
2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, che nessuna dimostrazione era stata fornita in ordine al proprio contributo causale, anche soltanto in termini di agevolazione, all’azione delittuosa posto che in difetto di prova certa dell’esistenza di un lucchetto e del possesso delle relative chiavi da parte del conducente del camion, l’azione delittuosa non poteva che essere ascritta all’iniziativa esclusiva di quest’ultimo, che comunque aveva agito in concorso con l’altro coimputato, titolare della ditta. E ciò anche in relazione all’elemento soggettivo non essendo egli stato neppure messo a conoscenza della natura del materiale da scaricare nella cava.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, indipendentemente dalla qualificazione giuridica datagli dal ricorrente, non evidenzia alcuna violazione di legge, ma si articola in censure volte a contestare l’apparato motivazionale della sentenza impugnata, di natura esclusivamente fattuale (dalla questione relativa alla chiusura del cancello con un lucchetto, alle condizioni di dismissione della cava, fino alla censura svolta all’inibizione da parte del coimputato D’Adamo all’ingresso dei verbalizzanti all’interno della stessa cava) che si risolvono nel tentativo di coinvolgere questa Corte Suprema in una operazione di rivalutazione degli elementi di fatto emersi nel corso dell’istruttoria, così pretendendo di sostituire il giudizio di legittimità a quello, esclusivamente di merito, del giudice che ha emesso l’impugnata sentenza, operazione come è noto del tutto inibita in questa sede. Deve qui essere nuovamente ricordato che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo: Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482). Deve, ancora una volta, cioè sottolinearsi il principio, in relazione ai poteri cognitivi spettanti a questa Corte, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (per tutte, v.: Sez. u, n. 24 del 24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794).
In ogni caso nessuna frattura argomentativa o incongruenza espositiva viene evidenziata dal ricorrente, risultando per contro la ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale leccese rispondere pienamente ai requisiti di logicità, esaustività e coerenza necessari a rendere il provvedimento immune da censure sul piano motivazionale. Il coinvolgimento del prevenuto nell’azione delittuosa ascrittagli in concorso con il titolare della ditta incaricata del rifacimento di un tratto di strada nel Comune pugliese di Lequile e con l’autista, suo dipendente, alla guida del camion che aveva trasportato e riversato i rifiuti provenienti dal cantiere, risulta essere stato argomentato con motivazione plausibile e priva di incongruenze: la circostanza che egli fosse il figlio della proprietaria e comunque colui che aveva la gestione materiale della cava, come logicamente arguito dall’intestazione a suo nome di una S.C.l.A. per la messa in sicurezza dei luoghi, ha indotto il Tribunale con deduzione coerente ed avvalorata dalla circostanza che si fosse presentato spontaneamente, senza essere stato mai convocato, presso gli uffici del Corpo Forestale proprio mentre gli agenti stavano compiendo gli accertamenti sull’autocarro facente capo alla Fanuli s.r.l., a ritenere che fosse perciò colui che ne aveva consentito l’accesso, inibito al pubblico stante la chiusura del cancello con una catena ed un lucchetto, al conducente del camion contenente i rifiuti da scaricarvi, fatto del quale non poteva non essere consapevole alla luce delle ingenti quantità di materiali di risulta di natura edilizia ivi già accatastati, rinvenuti dai verbalizzanti al momento del sopralluogo. Invero il possesso da parte dell’autista delle chiavi del lucchetto con cui cancello era chiuso, desunto dal fatto che sia stato visto dagli agenti, appostati nei pressi, prima entrare e poi uscirne chiudendo il lucchetto, implicava non solo la loro consegna, ma altresì il consenso dell’imputato all’intera operazione di riversamento del materiale di scarto del cantiere nella cava, cui era finalizzato l’ingresso del camion.
2. La stessa sorte segue, a cascata, il secondo motivo. Le doglianze svolte con le quali il ricorrente si limita a richiamare i principi fissati dalla giurisprudenza in materia di concorso del reato e a mettere in dubbio l’esistenza degli elementi fattuali su cui il Tribunale ha articolato il giudizio di responsabilità nei suoi confronti, sono all’evidenza generiche venendo posti in dubbio gli elementi su cui i giudici di merito hanno fondato la sua dichiarazione di responsabilità, già articolati ed esaminati con il precedente motivo. E’ dunque sufficiente rilevare che l’unitarietà del fatto collettivo realizzato dal ricorrente in violazione del precetto di cui all’art.256 d. lgs. 152/2006 in concorso con gli altri due coimputati rende la condotta del ricorrente, concretizzatasi in un contributo causale imprescindibile alla realizzazione del fatto delittuoso, tale essendosi rivelata nell’economia dell’intera operazione la messa a disposizione del luogo in cui i rifiuti sono stati scaricati, legittimamente iscrivibile nello schema di cui agli artt.110 ss c.p..
Il ricorso deve essere, in conclusione, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5.10.2017