Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 48300 | Data di udienza: 20 Settembre 2016

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Tettoia – Mancanza di una propria individualità fisica e strutturale – Necessità del permesso di costruire – Nozione tecnico-giuridica di pertinenza – Esclusione – Artt. 44 lett. e), 64, 71, 65, 72, 95 d.P.R. n. 380/2001Art. 181, c.1 bis, d.lgs. n. 42/2004.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 16 Novembre 2016
Numero: 48300
Data di udienza: 20 Settembre 2016
Presidente: ROSI
Estensore: Andreazza


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Tettoia – Mancanza di una propria individualità fisica e strutturale – Necessità del permesso di costruire – Nozione tecnico-giuridica di pertinenza – Esclusione – Artt. 44 lett. e), 64, 71, 65, 72, 95 d.P.R. n. 380/2001Art. 181, c.1 bis, d.lgs. n. 42/2004.



Massima

 

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/11/2016 (Ud. 20/09/2016) Sentenza n.48300


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Tettoia – Mancanza di una propria individualità fisica e strutturale – Necessità del permesso di costruire – Nozione tecnico-giuridica di pertinenza  – Esclusione –Artt. 44 lett. e), 64 e 71, 65 e 72, 95 del d.P.R. n. 380/2001Art. 181, c.1 bis, d.lgs. n. 42/2004.
 
In materia edilizia, una tettoia non rientra nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, e costituendo dunque parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata, per la edificazione della stessa è necessario il permesso a costruire (Cass., Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e altro). 
 

(Annulla senza rinvio sentenza della Corte d’Appello di Napoli in data 14/03/2014) Pres. ROSI, Rel. ANDREAZZA, Ric. Impagliazzo
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/11/2016 (Ud. 20/09/2016) Sentenza n.48300

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/11/2016 (Ud. 20/09/2016) Sentenza n.48300

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
Sul ricorso proposto da Impagliazzo Leonardo, n. a Forio il 29/.09/1966;
 
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli in data 14/03/2014;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
 
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S. Tocci, che ha concluso per l’ìnamissibilità; 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Impagliazzo Leonardo ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 14/03/2014 che ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli per i reati di cui agli artt. 44 lett. e), 64 e 71, 65 e 72, 95 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, comma 1 bis, del d.lgs. n. 42 del 2004.
 
2. Con un unico motivo lamenta la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione deducendo, da un lato, che per l’opera (tettoia a pertinenza dell’immobile) sarebbe stata necessaria la d.i.a. e dall’altro la mancanza dell’elemento psicologico del reato derivata dalla erronea indicazione della p.a. sulla natura del titolo necessario per la realizzazione dell’opera, tanto più in relazione al delitto contestato di cui all’art. 181 cit. per la sussistenza del quale è necessario il dolo.
 
CONSIDERATOIN DIRITTO
 
3. Il ricorso, come proposto, e fatto salvo quanto oltre, è manifestamente infondato.
 
Quanto in primo luogo alla pretesa sufficienza, quale titolo abilitativo alla realizzazione del manufatto, della d.i.a., va infatti ribadito che, non rientrando la tettoia nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una propria individualità fisica e strutturale, e costituendo dunque parte integrante dell’edificio sul quale viene realizzata, per la edificazione della stessa è necessario il permesso a costruire (tra le altre, da ultimo, Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e altro, Rv. 257290); e ciò tanto più considerando che la sentenza impugnata ha posto in evidenza che il manufatto cui tale tettoia accedeva era già ab origine abusivo. Né, già solo in ragione di tale ultimo dato, può farsi alcuna seria questione di buona fede del ricorrente in relazione alla previsione del regolamento comunale che la d.i.a. prevederebbe.
 
4. Ciò posto, va però preso atto, ex art. 129 c.p.p., e pur in presenza di ricorso inammissibile (cfr. Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207), della circostanza sopravvenuta, la cui efficacia certamente coinvolge anche i fatti posti in essere antecedentemente ad essa, rappresentata dalla sentenza della Corte cost. n. 56 del 11/01/2016, pubblicata sulla G.U. del 30/03/2016, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1 bis, cit. nella parte in cui lo stesso prevede : «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».
 
Con tale pronuncia, infatti, la Corte ha ritenuto che la differenziazione normativa delle due ipotesi rispettivamente ascrivibili al comma 1 e al comma 1 bis dell’art. 181, sia il frutto di una disciplina irragionevole resa manifesta “dalla rilevantissima disparità tanto nella configurazione dei reati (nell’un caso delitto, nell’altro contravvenzione), quanto nel trattamento sanzionatorio, in relazione sia all’entità della pena che alla disciplina delle cause di non punibilità ed estinzione del reato”; di qui la necessità, sempre secondo la Corte costituzionale, della “riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1 bis”.
 
Sicché, rientrando oggi nel comma 1 bis, a seguito dell’intervento appena ricordato, unicamente i lavori “che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi”, la condotta contestata nella specie viene a ricadere all’interno del comma 1, quale norma che, per la sua generale e onnicomprensiva formulazione, è destinata ad “accogliere” tutte quelle condotte che, ad esclusione di quelle appena ricordate, concernono i lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.
 
Ne consegue che, dovendo considerarsi non più il termine di prescrizione di sei anni prolungabile, per effetto della interruzione, sino ad anni sette e mesi sei, proprio del delitto, bensì quello di quattro anni prolungabile sino a cinque proprio della contravvenzione, la prescrizione relativa al reato ex art. 181, comma 1, cit., in tal senso riqualificato il delitto contestato, è maturata, tenuto conto della sospensione per complessivi giorni cinquantadue (giorni otto per rinvio dell’udienza in data 14/10/2010 per contestuale impegno professionale del difensore e giorni quarantaquattro per rinvio dell’udienza in data 29/01/2014 per legittimo impedimento del difensore), in data 05/04/2014. 
 
5. Della prescrizione maturata in tale data, e dunque successivamente alla sentenza impugnata pronunciata in data 14/03/2014, non può invece tenersi conto con riguardo agli altri reati ascritti. Infatti, come da notizia di decisione apposita, questa Corte a Sezioni Unite, pronunciando in data 27/05/2016, sul ricorso r.g.n. 39909/2015 rie. Aiello, e risolvendo il contrasto che si era in precedenza formato, ha statuito nel senso che l’autonomia della statuizione di inammissibilità del ricorso per cassazione in relazione ad un capo di imputazione impedisce la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato con esso contestato, pur in presenza di motivi ammissibili con riferimento agli altri addebiti. L’indirizzo al quale le Sezioni Unite hanno mostrato di aderire ha infatti ritenuto che se più, ed autonome tra loro, sono le regiudicande, tante quanti sono i capi di imputazione, plurimi sono anche i “rapporti di impugnazione” che si costituiscono, ovvero uno per ciascun capo/reato, ed ognuno di essi rimane soggetto alla regola di ammissibilità della doglianza corrispondente, indispensabile a costituire il singolo rapporto (processuale) di impugnazione con la necessaria sistematica conseguenza che l’inammissibilità del motivo di ricorso non consente, secondo quanto affermato da Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266, il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., tra cui la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata; e l’occasionale trattazione congiunta delle diverse regiudicande non può stravolgere, si è aggiunto, l’applicazione di tali principi, mancando alcuna ragione sistematica, tanto meno meritevole di tutela riconducibile ai principi costituzionali in materia di processo penale ed allo stesso diritto di difesa, che giustifichi la “contaminazione positiva” tra regiudicande autonome. In altri termini, dunque, ciascun capo di sentenza, proprio in ragione della autonomia dei rapporti processuali, malgrado la trattazione unitaria del processo, mantiene una autonoma attitudine al giudicato, a prescindere dalla sorte delle altre imputazioni; né potrebbe ritenersi che il diritto dell’imputato alla prescrizione, da più parti rivendicato in termini di prerogativa costituzionalmente protetta, possa imporre una soluzione interpretativa diversa giacché, laddove l’estinzione sia maturata nelle more tra la sentenza di secondo grado e il giudizio di cassazione, il decorso del tempo acquisisce rilievo solo in presenza di una ragione, prospettata e prospettabile in termini tali da poter far ritenere validamente incardinato il rapporto processuale sotteso al controllo di legittimità mediante la indicazione di motivi consentiti ex art. 606, comma 1, c.p.p., o non
 manifestamente infondati (vedi, precedentemente alla decisione delle Sezioni Unite, tra le altre, Sez. 5, n.15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119; Sez. 4, n. 51744 del 13/11/2014, Campagnaro, Rv. 261576; Sez. 6, n. 33030 del 29/05/2014, A., Rv. 259860; Sez. 6, n.50334 del 02/10/2013, La Chimia e altri, Rv. 257846; Sez. 6, n. 6924 del 20/10/2011, Fantauzza e altri, Rv. 256556).
 
Ed allora, essendo, come detto in principio, inammissibili i motivi di ricorso relativi al restante reato edilizio (nessuna doglianza è stata peraltro posta con riguardo ai reati di cui agli artt. 64 e 71, 65 e 72, 95 del d.P.R. n. 380 del 2001), la prescrizione maturata successivamente al ricorso può rilevare solo con riguardo al reato paesaggistico.
 
6. Ne deriva in definitiva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto al reato di cui all’art. 181 cit. per estinzione dello stesso dovendo, quanto ai restanti reati, rinviarsi ad altre sezione della Corte d’Appello di Napoli per la rideterminazione della pena non operabile nella presente sede.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo d), riqualificata l’imputazione sub art. 181, comma 1 del d.lgs. n. 42 del 2004, perché estinto per prescrizione e, quanto ai residui reati, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per la rideterminazione della pena; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
 
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016
 
 
 

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