Anche in tema di gestione illecita di rifiuti, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art.131-bis cod. pen. non è applicabile ai reati necessariamente abituali, mentre per ciò che concerne i reati eventualmente abituali la disposizione non è applicabile solo nel caso in cui tali reati siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica. Pertanto, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto. Per l’applicazione dell’istituto, si richiede al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 cod. pen., sussiste l'<indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità. Fattispecie: in materia di attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi, consistenti, per lo più, in rottami ferrosi, in assenza del necessario titolo abilitativo.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16/11/2016 (Ud. 11/10/2016) Sentenza n.48318
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ASTI
nei confronti di: HALILOVIC MALINA nato il 28/11/1964
avverso la sentenza del 05/02/2016 del TRIBUNALE di ASTI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICAUDIENZA del 11/10/2016, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLOCANEVELLI che ha concluso per l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Asti, con sentenza del 5/2/2016 ha assolto Malina HALILOVICH, ritenendo sussistente la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., dal reato di cui all’
art. 256, comma 1 d.lgs. 152\06, che le era stato contestato per avere effettuato attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi, consistenti, per lo più, in rottami ferrosi, in assenza del necessario titolo abilitativo (fatti commessi dall’anno 2012 in poi).
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge osservando che, pur a voler considerare l’offesa del bene protetto come di modesta entità, la sentenza sarebbe errata laddove esclude l’abitualità della condotta, individuabile non tanto nei precedenti penali eterogenei rispetto all’oggetto dell’accusa, quanto, piuttosto, per la reiterazione della stessa condotta contestata.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Occorre preliminarmente rilevare che l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.131-bis cod. pen. all’esito del giudizio penale è espressamente ammessa dalla legge, come si ricava dal contenuto d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, il quale, pur non stabilendo specifiche procedure, ha comunque disposto, con l’art. 3, comma 1, lett. b), l’introduzione, nel codice di rito, dell’art. 651-bis, il quale riconosce l’efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno, richiamando espressamente “la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento”.
Va altresì ricordato come, per l’applicazione dell’istituto, si richieda al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 cod. pen., sussista l'<indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
2. Con specifico riferimento all’indice-criterio della non abitualità della condotta, questa Corte (Sez. 3, n. 29897 del 28/5/2015, Gau, Rv. 264034) ha già avuto modo di formulare alcune precisazioni che meritano di essere qui riportate.
Si è osservato, in particolare, che secondo la relazione illustrativa del d.lgs. 28/2015, il ricorso all’espressione «non abitualità del comportamento» per definire tale indice-criterio è il risultato della scrupolosa osservanza della legge delega da parte del legislatore delegato e si pone su un piano diverso rispetto alla «occasionalità» utilizzata dal d.P.R. 448/1988 e dal d.lgs. 274/2000, cosicché, pur lasciando all’interprete il compito di meglio delinearne i contenuti, si è ipotizzato che esso faccia sì «che la presenza di un precedente giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in presenza ovviamente degli altri presupposti».
Il riferimento al «comportamento», che deve risultare «non abituale», va poi posto o in relazione con quanto indicato nel terzo comma dell’art .. 131-bis cod. pen., il quale prende in considerazione alcune situazioni, che indica, premettendo l’espressione «il comportamento è abituale nel caso in cui …. ».
Sempre secondo la relazione, tale comma, aggiunto su sollecitazione espressa nel parere della Commissione giustizia della Camera dei deputati, descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di «abitualità», entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità.
In effetti, nel parere della Commissione giustizia risulta chiaro l’intento di prevedere una sorta di «presunzione di non abitualità» laddove, escludendo un contrasto con la legge delega, auspica l’inserimento di una disposizione la quale specifichi «che il comportamento è considerato non abituale nel caso in cui … » e, successivamente, nell’esprimere parere favorevole, indica nelle condizioni il testo del comma da inserire, il quale inizia con la frase «il comportamento risulta abituale nel caso in cui …. ».
Sempre con riferimento al terzo comma dell’art. 131-bis, va posto in evidenza che esso, per come è strutturato, sembra fare riferimento a tre distinte situazioni («il comportamento è abituale nel caso in cui { … ] ovvero {… ] nonché [ … ]»).
Inoltre, il riferimento all’ipotesi del soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, come chiaramente emerge dal tenore letterale della disposizione, si riferisce a condizioni specifiche di pericolosità criminale che presuppongono un accertamento da parte del giudice (come, del resto, in caso di recidiva – reiterata o specifica – anch’essa ostativa, diversamente da quella semplice, presupponendo la commissione di più reati o di altro reato della stessa indole), mentre altrettanto non può dirsi per ciò che concerne le ulteriori ipotesi, riferite al soggetto che abbia «commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».
In tali ipotesi, infatti, non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell’ulteriore richiamo alle «condotte plurime, abituali e reiterate».
3. Sulla base di tali argomentazioni si è, conseguentemente, considerato operante lo sbarramento del terzo comma dell’art. 131-bis cod. pen. anche nel caso di reati avvinti dal vincolo della continuazione ed il principio è stato successivamente ribadito (Sez. 3, n. 43816 del 1/7/2015, Amodeo, Rv. 265084, ma v. anche, in relazione alla “non abitualità”, quanto osservato in Sez. 3, n. 47039 del 8/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265449; Sez. 4, n. 7905 del 7/1/2016, Vinci, Rv. 266065).
4. Tali principi, che il Collegio condivide, possono essere utilizzati anche per definire la vicenda in esame, caratterizzata, come emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso del Pubblico Ministero, da una condotta concretatasi in quattro diversi conferimenti di rifiuti nel periodo compreso tra il 25/2/2012 ed il 23/6/2012, per un quantitativo complessivo pari a 7.793 Kg.
Non si tratta, quindi, di un episodio isolato, bensì di comportamenti reiterati nel tempo, il che alla luce di quanto in precedenza richiamato, porta ad escludere il necessario requisito della non abitualità della condotta.
5. Va peraltro osservato che, come pure ha ricordato il ricorrente, il reato contestato all’imputata è stato considerato da questa Corte come reato eventualmente abituale, il che costituisce, a determinate condizioni, come si dirà, un ulteriore ostacolo all’applicazione della causa di non punibilità.
Si è infatti affermato, con riferimento alla disciplina previgente, che la raccolta ed il trasporto di rifiuti in difetto di autorizzazione ha, di regola, natura di reato istantaneo, perché si perfeziona nel luogo e nel momento in cui si realizzano le singole condotte tipiche, salvo il caso in cui, stante la ripetitività della condotta, si configuri quale reato eventualmente abituale (Sez. 3, n. 13456 del 30/11/2006 (dep. 2007), Gritti e altro, Rv. 236326; conf., anche con riferimento alla disciplina emergenziale, Sez. 3, n. 45306 del 17/10/2013, Carlino, Rv. 257631, non massimata sul punto).
Se, dunque, il reato necessariamente abituale che, come ricorda una non recente decisione (Sez. 1, n. 1430 del 9/3/1998, Confl. comp. in proc. Berisa Rama, Rv. 210201) per la sua stessa configurazione giuridica, postula una ripetizione di condotte analoghe, distinte tra loro, ma sorrette da un unico ed unitario elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato, si pone chiaramente in antitesi con il richiamo alla «non abitualità del comportamento» effettuata dall’art.131-bis cod. pen., quello eventualmente abituale – caratterizzato, sempre secondo la richiamata decisione, dal fatto che può anche realizzarsi ed è già “perfetto”, anche solo con l’attuazione di una singola e specifica condotta, ma che può configurarsi anche come ripetizione nel tempo di distinte, ma analoghe, condotte – versa in tale condizione solo nel caso in cui sia posto in essere mediante reiterazione della condotta tipica.
Tale ultima evenienza risulta essersi verificata nel caso in esame, ove, come si è già detto, le attività di gestione illecita sono state ripetute nel tempo.
6. La sentenza impugnata presenta, peraltro, un evidente cedimento logico, non rilevato dal Pubblico Ministero ricorrente, ma che merita di essere segnalato, laddove il giudice, dapprima, dopo aver dato atto della quantità dei rifiuti conferiti, definisce la stessa come “significativa”, osservando che quanto accertato “depone nel senso di un’abitualità dell’attività” mentre, successivamente, esclude l’abitualità (richiamando il comma 3 dell’art. 131-bis cod. pen.) sulla base della sola irrilevanza a tal fine dei precedenti penali.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Torino.
Così deciso in data 11.10.2016