Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Danno ambientale, Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 43721 | Data di udienza: 27 Aprile 2016
* DIRITTO URBANISTICO – Abusi edilizi sui prospetti esterni del fabbricato condominiale – Risarcimento del danno nei confronti della parte civile – Deprezzamento dell’appartamento contiguo ai lavori – Artt. 44, c.1 lett.b, 64, 71, 93, 94, 95 del d.P.R. n. 380/2001.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Ottobre 2016
Numero: 43721
Data di udienza: 27 Aprile 2016
Presidente: Fiale
Estensore: ANDRONIO
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – Abusi edilizi sui prospetti esterni del fabbricato condominiale – Risarcimento del danno nei confronti della parte civile – Deprezzamento dell’appartamento contiguo ai lavori – Artt. 44, c.1 lett.b, 64, 71, 93, 94, 95 del d.P.R. n. 380/2001.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/10/2016 (ud. 27/04/2016) Sentenza n.43721
DIRITTO URBANISTICO – Abusi edilizi sui prospetti esterni del fabbricato condominiale – Risarcimento del danno nei confronti della parte civile – Deprezzamento dell’appartamento contiguo ai lavori – Artt. 44, c.1 lett.b, 64, 71, 93, 94, 95 del d.P.R. n. 380/2001.
E’ ammessa la costituzione quale parte civile del terzo proprietario, quando quest’ultimo abbia lamentato la lesione del diritto, civilisticamente tutelato, all’integrità dei prospetti esterni del fabbricato condominiale (lesione la cui sussistenza deve essere dimostrata in giudizio). Nella specie, nell’atto di costituzione di parte civile si legge che lo stesso è rivolto a chiedere il risarcimento dei «danni materiali, esistenziali e morali, giacché gli illeciti contestati sono contigui all’abitazione della parte civile e creano un danno all’estetica e al decoro dei luoghi, con sensibile deprezzamento dell’appartamento di cui è proprietario».
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI del 19/06/2015) Pres. FIALE, Rel. ANDRONIO, Ric. Del Prete
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/10/2016 (ud. 27/04/2016) Sentenza n.43721SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/10/2016 (ud. 27/04/2016) Sentenza n.43721
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Del Prete Franco, nato a Frattamaggiore il 2 settembre 1951 nei confronti di Capasso Emilio, nato a Frattamaggiore il 4 settembre 1969 (parte civile);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 19 giugno 2015; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Marilia Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’avv. Andrea Scardamaglio, per la parte civile, il quale ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito l’avv. Pasquale Tremiterra, per l’imputato.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 19 giugno 2015, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli del 23 giugno 2014, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di otto mesi di arresto ed euro 16.000,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, realizzato opere edilizie, quale proprietario di un appartamento, in mancanza di permesso di costruire e senza gli adempimenti previsti per la realizzazione di opere in cemento armato e in zona sismica (artt. 81, secondo comma, cod. pen., 44, comma 1, lettera b, 64, 71, 93, 94, 95 del d.P.R. n. 380 del 2001; nell’aprile 2010).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la violazione degli artt. 420 ter e 484 cod. proc. pen., nonché del diritto di difesa, per il mancato avviso all’imputato dello spostamento della sede giudiziaria nella quale si teneva il processo. La difesa afferma che vi era stata una comunicazione di rinvio dell’udienza al 26 maggio 2014, da tenersi presso la sede centrale del Tribunale di Napoli. Tale udienza non si era celebrata il procedimento era stato rinviato alla successiva udienza del 23 giugno 2014, la quale era stata celebrata presso la sezione distaccata di Casoria, con discussione e decisione della causa. La Corte d’appello afferma che la comunicazione del rinvio al 26 maggio 2014 era stata fatta in udienza al difensore dell’imputato e che non vi era la necessità di effettuare alcuna comunicazione all’imputato contumace, secondo quanto affermato da Cass., sez. 3, 30 aprile 2015, n. 23274. Secondo la prospettazione difensiva tale precedente di legittimità si riferisce ad un caso diverso rispetto a quello in esame. Nel caso di specie il rinvio dell’udienza alla successiva udienza del 10 marzo 2014 era stato comunicato all’imputato, mentre l’udienza del 23 giugno 2014 si era tenuta nonostante l’imputato non avesse ricevuto alcun avviso. E del resto questo risultava assistito dal difensore d’ufficio.
Con un secondo motivo di doglianza, si formula una censura analoga a quella formulata con il primo motivo, sotto il profilo della mancanza di motivazione in relazione all’omesso esame delle ordinanze del giudizio di primo grado che disponevano di dare avviso all’imputato del rinvio del mutamento di sede per la trattazione del procedimento.
In terzo luogo, si deduce l’inammissibilità della costituzione di parte civile, perché questa non avrebbe indicato in modo specifico le ragioni che giustificavano la sua domanda. E, anzi, dagli atti risultava la mancata modificazione dei prospetti esterni del fabbricato dell’imputato; con la conseguenza che nessun danno avrebbe potuto essere riconosciuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Il primo e il secondo motivo di doglianza – che possono essere trattati congiuntamente perché attengono entrambi al mancato avviso all’imputato dello spostamento della sede della trattazione del procedimento – sono manifestamenti infondate. Correttamente la Corte d’appello ha richiamato sul punto il precedente specifico di legittimità rappresentato dalla sentenza Cass., sez. 3, 30 aprile 2015, n. 23274, la quale afferma che non è necessario che sia comunicato personalmente all’imputato, che sia stato ritualmente dichiarato contumace, l’avviso di rinvio del processo con indicazione della data e del luogo di presentazione per il giudizio, neanche quando quest’ultimo si trasferisce dalla sede distaccata a quella centrale del Tribunale, se l’ordinanza che dispone il rinvio è stata letta in udienza, in quanto l’imputato contumace è rappresentato dal difensore ad ogni effetto di legge. E, del resto, la ragione per la quale nessuna norma dell’ordinamento – neanche prima dell’abolizione del giudizio in contumacia ad opera della legge n. 67 del 2014 – prevedeva la necessità di comunicare il rinvio dell’udienza all’imputato contumace risiede nel fatto che il difensore presente, sia questo di fiducia o di ufficio, rappresenta l’imputato; con la conseguenza che quest’ultimo può ben rivolgersi a lui per conoscere le vicende del processo, ivi compresi la data e luogo dell’udienza di rinvio. E, come rilevato dalla Corte d’appello, con il decreto di citazione a giudizio, la celebrazione del processo era fissata presso la sezione distaccata di Frattamaggiore del Tribunale di Napoli, dove venivano effettivamente celebrate le prime tre udienze. A seguito del decreto del 24 luglio 2013 del Presidente del Tribunale, il giudice, all’udienza del 10 marzo 2014, nel disporre il rinvio del processo alla successiva udienza del 26 maggio 2014 da tenersi presso la sede della ex sezione distaccata di Casoria, aveva ordinato alla cancelleria di comunicare la relativa ordinanza all’imputato contumace, al difensore e alla parte civile e tali adempimenti erano stati effettivamente curati, nel rispetto dei principi enunciati dalla richiamata sentenza di questa sezione.
3.2. – Inammissibile per genericità è il terzo motivo di ricorso, relativo alla costituzione di parte civile. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, i giudici di primo e secondo grado hanno correttamente ammesso la costituzione quale parte civile del terzo proprietario, avendo quest’ultimo lamentato la lesione del diritto, civilisticamente tutelato, all’integrità dei prospetti esterni del fabbricato condominiale; lesione la cui sussistenza è stata dimostrata in giudizio. Del resto, nell’atto di costituzione di parte civile si legge che lo stesso è rivolto a chiedere il risarcimento dei «danni materiali, esistenziali e morali, giacché gli illeciti contestati sono contigui all’abitazione della parte civile e creano un danno all’estetica e al decoro dei luoghi, con sensibile deprezzamento dell’appartamento di cui è proprietario». Né la difesa, con il ricorso per cassazione, ha contestato la motivazione della sentenza circa la responsabilità penale, dalla quale emergono la natura e l’ampiezza dell’abuso edilizio perpetrato.
4. – Deve infine rilevarsi che le violazioni, contestate come commesse nell’aprile 2010 (ovvero, per il principio del favor rei, il 1 ° aprile 2010), non sono a tutt’oggi prescritte, perché al termine complessivo quinquennale applicabile ai reati contravvenzionali, devono essere sommati un anno, un mese e tre giorni di sospensione del corso della prescrizione (dal 22 novembre 2012 al 23 maggio 2013, per adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata da un organismo di categoria; dal 23 maggio 2013 al 10 luglio 2013, per richiesta difensiva; dal 10 luglio 2013 al 16 gennaio 2014, per adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata da un organismo di categoria), giungendosi così alla data del 4 maggio 2016, successiva la pronuncia della presente sentenza.
5. – Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00. L’imputato deve essere anche condannato al rimborso delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile, da liquidarsi in euro 2500,00, oltre spese generali e accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile CapassoEmilio, che liquida in euro 2500,00, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.