Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 17745 | Data di udienza: 14 Marzo 2018

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Protrazione dell’abuso edilizio mediante il completamento delle opere – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nuova volumetria – Sopraelevazione – Assenza di titolo edilizio – Artt. 10 e 44 DPR 380/01 – Art. 181 D. L.vo 42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Motivo di ricorso che si limita a reiterare il motivo d’appello – Inammissibilità – Determinazione della pena – Obbligo della motivazione il giudice di merito – Pena al di sotto della media edittale e irrogazione della pena base pari o superiore al medio edittale – Effetti – Art. 133 cod. pen.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 19 Aprile 2018
Numero: 17745
Data di udienza: 14 Marzo 2018
Presidente: SARNO
Estensore: SEMERARO


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Protrazione dell’abuso edilizio mediante il completamento delle opere – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nuova volumetria – Sopraelevazione – Assenza di titolo edilizio – Artt. 10 e 44 DPR 380/01 – Art. 181 D. L.vo 42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Motivo di ricorso che si limita a reiterare il motivo d’appello – Inammissibilità – Determinazione della pena – Obbligo della motivazione il giudice di merito – Pena al di sotto della media edittale e irrogazione della pena base pari o superiore al medio edittale – Effetti – Art. 133 cod. pen.



Massima

 




CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 19/04/2018 (Ud. 14/03/2018), Sentenza n.17745


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Protrazione dell’abuso edilizio mediante il completamento delle opere – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nuova volumetria – Sopraelevazione – Assenza di titolo edilizio – Artt. 10 e 44 DPR 380/01 – Art. 181 D. L.vo 42/2004. 
 
La protrazione di un abuso edilizio, mediante il completamento delle opere, costituisce il reato ex art. 44 d.p.r. 380/2001, dovendo tenersi conto delle opere complessivamente realizzate. Fattispecie: realizzazione, in assenza del titolo edilizio, di una sopraelevazione di 100 mq. collegata all’appartamento sottostante con relativa contravvenzione ex art. 181 comma 1 de D.Lgs. 42/2004.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Motivo di ricorso che si limita a reiterare il motivo d’appello – Inammissibilità.
 
E’ inammissibile il motivo di ricorso che si limita a reiterare il motivo d’appello perché da un lato ripropone le argomentazioni di merito e dall’altro non si confronta o si confronta solo genericamente con la motivazione della sentenza impugnata; il motivo di ricorso che è mera riproposizione grafica dell’appello non effettua alcuna specifica critica argomentata al provvedimento impugnato. 
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Determinazione della pena – Obbligo della motivazione il giudice di merito – Pena al di sotto della media edittale e irrogazione della pena base pari o superiore al medio edittale – Effetti – Art. 133 cod. pen.
 
Assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione il giudice di merito che enunci, anche sinteticamente, la valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen.; non è necessaria un’analitica esposizione dei criteri adottati, pur non potendosi far ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla entità del fatto e alla personalità dell’imputato. Tuttavia, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena. Al contrario, l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena.
 
 
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 28/11/2016 – CORTE DI APPELLO DI NAPOLI) Pres. SARNO, Rel. SEMERARO, Ric. Castellano

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 19/04/2018 (Ud. 14/03/2018), Sentenza n.17745

SENTENZA

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 19/04/2018 (Ud. 14/03/2018), Sentenza n.17745

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da Castellano Ciro, nato a Pozzuoli il 10.12.1954;
 
avverso la sentenza del 28 novembre 2016 della Corte di Appello di Napoli;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
 
udita la relazione svolta dal consigliere LUCA SEMERARO; 
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Piero Molino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; 

RITENUTO IN FATTO 
 
1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 28 novembre 2016, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli appellata da Castellano Ciro, qualificato il capo d) nella contravvenzione ex art. 181 comma 1 de D.Lgs. 42/2004, ha condannato l’imputato alla pena di mesi 9 di arresto ed € 38.000 di ammenda per avere realizzato una sopraelevazione di 100 mq. collegata all’appartamento sottostante. 
 
2. Il difensore di Castellano Ciro ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 28 novembre 2016 chiedendone l’annullamento. 
 
2.1. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto l’inosservanza o erronea applicazione del DPR 380/01 e del D. L.vo 42/2004 nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. 
 
Per la difesa «i giudici partenopei» hanno erroneamente ritenuto di nuova costruzione le opere edilizia eseguite dal ricorrente e quindi necessario il permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380. 
 
Afferma la difesa di aver dimostrato, con l’istruttoria di primo grado, che le opere non creano nuovo volume e nuova superficie, sono opere interne e per la loro realizzazione non occorre il permesso di costruire ma, al massimo, era necessaria – all’epoca – la presentazione di una denuncia d’inizio attività. 
 
Per la difesa, la realizzazione di opere nuove necessita del previo rilascio del permesso di costruire solo quando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, le opere siano tali da modificare l’assetto urbanistico del territorio (la difesa ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione, sez. 3, del 13 dicembre 2007, n. 4755). 
 
Per la difesa sono state realizzate opere modestissime interne rientranti nella tipologia edilizia della manutenzione ordinaria e straordinaria, prive di rilevanza penale ed interne all’edificio pertinenziale. 
 
La difesa ha richiamato la sentenza N. 361/2013 del T.A.R Umbria – Sezione Prima sulla necessità della sola d.i.a. 
 
Rileva la difesa che l’intervento non ha comportato alcuna sostanziale e/o significativa influenza e variazione dei caratteri paesaggistici ambientali esistenti. 
 
L’opera non è valutabile in termini di volume e di superficie ed è conforme alle norme vigenti sul territorio; l’opera non determina modifiche di vedute panoramiche e dello skyline dello stato dei luoghi e si pone, nel rispetto del contesto paesistico – ambientale, in sintonia con il Piano Territoriale Paesistico vigente. 
 
Nello specifico l’intervento non costituisce assolutamente volumetria (non viola gli artt. 11 e 13 del P.T.P.), non costituisce detrattore ambientale (non viola l’art. 6 n.t.a. del PTP). 
 
La difesa ha poi richiamato la normativa e la giurisprudenza sulle pertinenze e sulle opere di manutenzione straordinarra- ed ha quindi affermato ,che le opere contestate costituiscono senz’altro un intervento di manutenzione straordinaria, consistente in manutenzione di opere accessorie e pertinenziali al servizio di edifici preesistenti, che non sono soggetti a permesso di costruire. 
 
2.1. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. e l’omessa e/o insufficiente motivazione sulla determinazione della pena. 
 
Rileva la difesa che con atto di appello, la difesa aveva rilevato un vizio della sentenza di primo grado perché la motivazione sulla determinazione della pena si discosta dal minimo edittale con l’apodittica affermazione: alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. 
 
La difesa ha richiamato l’obbligo di motivazione sulla pena quanto il Giudice ritenga di discostarsi dal minimo edittale previsto per il reato ed ha richiamato le massime di alcune sentenze della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 2, 5 gennaio 1993, n. 15, Elleboro; Cass. Sez. 3, 28 novembre 1995, n. 11513, Merra). Rileva la difesa che il motivo di appello non è stato valutato. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. 
 
1.1. Deve affermarsi che la mera riproduzione grafica del motivo d’appello determina l’inammissibilità del motivo di ricorso. 
 
I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella motivazione della sentenza n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268822, Galtelli).  
 
La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. 
 
Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso che si limita a reiterare il motivo d’appello perché da un lato ripropone le argomentazioni di merito e dall’altro non si confronta o si confronta solo genericamente con la motivazione della sentenza impugnata; il motivo di ricorso che è mera riproposizione grafica dell’appello non effettua alcuna specifica critica argomentata al provvedimento impugnato. 
 
1.2. Il primo motivo è la riproduzione integrale dell’appello, salvo l’incipit e le conclusioni, senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza impugnata. 
 
La Corte di appello di Napoli ha respinto con una motivazione articolata il motivo di appello rappresentando che le opere realizzate costituissero una nuova costruzione, trattandosi di una nuova volumetria, una sopraelevazione di 100 mq. collegata all’appartamento sottostante, realizzate in assenza di qualunque titolo edilizio. 
 
La Corte di appello ha correttamente specificato che la protrazione di un abuso edilizio, mediante il completamento delle opere, costituisce il reato ex art. 44 d.p.r. 380/2001, dovendo tenersi conto delle opere complessivamente realizzate. 
 
Con tale motivazione il ricorso per cassazione non si è minimamente confrontato, perché la difesa si è limitata a riproporre lo stesso testo dell’atto di appello, con la sua integrale riproduzione. 
 
2. Il secondo motivo è inammissibile. 
 
2.1. Oltre a rilevarsi che il motivo di appello sulla pena è stato accolto, in quanto la pena è stata rideterminata, va rilevato che la Corte di appello di Napoli ha esplicitamente motivato sulla quantificazione della pena base, fondando la sua decisione sull’entità delle opere abusive realizzate e sulla pervicacia con la quale l’imputato ha negli anni proseguito nella realizzazione delle opere abusive. 
 
Con tale motivazione il motivo non si confronta, difettando di conseguenza del requisito della specificità estrinseca. 
 
2.2. Inoltre, è manifestamente infondato il motivo laddove lamenta la violazione di legge perché la Corte di appello ha fatto corretta applicazione delle norme e dei principi elaborati dalla giurisprudenza sulla determinazione della pena. 
 
Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione, assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione il giudice di merito che enunci, anche sinteticamente, la valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen.; non è necessaria un’analitica esposizione dei criteri adottati, pur non potendosi far ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla entità del fatto e alla personalità dell’imputato (Cass., Sez. 6, 18/11/1999 – 9/03/2000, n. 2925). 
 
Però, il dovere per il giudice di una specifica motivazione è stato ancorato allo scostamento dal minimo edittale. È stato ritenuto che l’uso del potere discrezionale del – giudice, – nella graduazione della pena, è insindacabile nei casi in cui la pena, anche ‘in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, essendo sufficiente in tali casi richiamare criteri di adeguatezza, congruità, non eccessività, di equità e simili. 
 
Ciò dimostra che il giudice ha considerato, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 46412 del 05/11/2015 rv. 265283, Scaramozzino: In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.). 
 
Di recente, la sentenza della sez. 3 della Corte di Cassazione n. 38251 del 2016 (Rv. 267949 Rignanese e altro) ha affermato che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena. 
 
Al contrario, l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Cass. Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013 Rv. 255153 Monterosso). 
 
Ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). 
 
2.3. La Corte di appello di Napoli ha applicato una pena detentiva decisamente inferiore al medio edittale ed una pena pecuniaria prossima al minimo edittale. 
 
Dunque, la motivazione della Corte di appello di Napoli ha correttamente giustificato l’entità della pena inflitta facendo riferimento concreto ai parametri ex art. 133 cod. pen. della gravità del reato (l’entità della costruzione) e dell’intensità del dolo (la pervicacia nel portare a termine l’opera abusiva). 
 
3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 
 
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si  condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. 
 
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende. 
 
P.Q.M. 
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende. 
 
Così deciso il 14/03/2018. 

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