DIRITTO VENATORIO – Confisca di armi detenute e portate legittimamente – Principio di specialità – Inapplicabilità dell’art. 240, c.2° cod. pen – Artt. 6, 13, 28 e 30 L. n.157/1992 – Esercizio della caccia – Licenza di porto di fucile per uso di caccia – Esigenze venatorie – Autorizzazione implicita all’uso di utensili – Machete usato per tagliare rovi e sterpaglie – Art. 13, c.6° L. n.157/1992.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Gennaio 2016
Numero: 2061
Data di udienza: 8 Ottobre 2015
Presidente: Fiale
Estensore: Andronio
Premassima
DIRITTO VENATORIO – Confisca di armi detenute e portate legittimamente – Principio di specialità – Inapplicabilità dell’art. 240, c.2° cod. pen – Artt. 6, 13, 28 e 30 L. n.157/1992 – Esercizio della caccia – Licenza di porto di fucile per uso di caccia – Esigenze venatorie – Autorizzazione implicita all’uso di utensili – Machete usato per tagliare rovi e sterpaglie – Art. 13, c.6° L. n.157/1992.
Massima
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 21/01/2016 (Ud. 8/10/2015) Sentenza n.2601SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 21/01/2016 (Ud. 8/10/2015) Sentenza n.2601
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da:
Aldo Fiale – Presidente
Vito Di Nicola
Luca Ramacci
Antonella Di Stasi
Alessandro M. Andronio – Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Bonassi Mario, nato il 30 maggio 1947
– Godizzi Giuseppe, nato il 4 luglio 1964
avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo dell’11 giugno 2014;
visti gli atti e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla confisca del fucile per Bonassi; per il rigetto del ricorso del ricorso di Godizzi;
udita l’avv. Biancalucina Trillò, in sostituzione dell’avv. Enzo Bosio, per entrambi gli imputati.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza dell’11 giugno 2014, il Tribunale di Cuneo ha – per quanto qui rileva – condannato l’imputato Bonassi alla pena di ( 800,00 di ammenda, oltre confisca del fucile da caccia, per avere esercitato la caccia con mezzi vietati e, in particolare, con un richiamo acustico di tipo elettromagnetico ed avere abbattuto uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita (art. 30, comma 1, lettera h, della legge n. 157 del 1992). Ha altresì condannato l’imputato Godizzi, per avere portato fuori dalla sua abitazione, senza giustificato motivo, un machete con lama lunga 33 cm, strumento atto ad offendere (art. 4, secondo comma, della legge n. 110 del 1975).
2. – Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione.
2.1. – Quanto alla posizione di Bonassi, data per pacifica la responsabilità penale, si contesta la disposta confisca del fucile da caccia, perché la stessa non sarebbe consentita in relazione alla contestata violazione di cui all’art. 30, comma 1, lettera h}, della legge n. 157 del 1992.
2.2. – Quanto alla posizione di Godizzi, si deducono l’erronea applicazione dell’art. 13, comma 6, della legge n. 157 del 1992 e la manifesta Illogicità della motivazione. Non si sarebbe tenuto conto, in particolare, della funzionalità prodromica del machete trovato in possesso dell’imputato, che veniva utilizzato esclusivamente per l’attività di caccia e al solo fine di tagliare i rovi e le sterpaglie sui sentieri, per
consentire il passaggio.
3. – I ricorsi sono fondati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.1. – Il primo motivo di doglianza – relativo alla confisca del fucile di Bonassi – è fondato.
La legge n. 157 del 1992, art. 28, comma 2, prevede la confisca delle armi unicamente laddove ricorrano le ipotesi di cui all’art. 30, comma 1, lettere a), b}, e), d) ed e) mentre, con riguardo alla ipotesi di cui all’art. 30, comma 1, lettera h}, non compresa tra quelle appena indicate, la stessa lettera h) limita la confisca ai soli richiami vietati di cui all’art. 21, comma 1, lettera r). Facendo letterale applicazione di tale disposizione, questa Corte ha, dunque, escluso la possibilità che nelle altre ipotesi non considerate dal legislatore e, in particolare – per quanto riguarda la presente fattispecie – nell’ipotesi di esercizio della caccia di specie nei confronti delle quali non è consentita e con richiami vietati, sia consentito disporre la confisca del fucile utilizzato allo scopo (ex plurimis, sez. 3, 9 luglio 2015, n. 34944, rv. 264453; sez. 3, 7 gennaio 2015, n. 7390, rv. 262420; sez. 3, 14 febbraio 2013, n. 11407, rv. 254941; sez. 3, 14 gennaio 2009, n. 6228, rv. 242744; sez. 3, 16 ottobre 2008, n.43821, rv. 241680; sez. 3, 11 luglio 2007, n. 35637, rv. 237225). E in tali ipotesi non è possibile pervenire alla confisca del fucile da caccia facendo applicazione dell’art. 240, primo comma, cod, pen., che prevede la possibilità di confisca delle «cose che servirono o furono destinate a commettere il reato». Nelle pronunce più recenti, si è, infatti, specificato – definitivamente superando il contrario minoritario orientamento rappresentato da sez. 3, 3 marzo 2011, n. 26799, rv. 250599 – che l’art. 30, comma 3, della legge n. 157 del 1992, il quale stabilisce che «salvo quanto espressamente previsto dalla presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di legge e di regolamento in materia di armi», deve essere interpretato nel senso che che, in forza del principio di specialità, la sola norma applicabile, in materia di confisca di armi, le quali, legittimamente detenute e portate, siano state tuttavia utilizzate per commettere reati venatori, è quella costituita dal precedente art. 28, comma 2. Cosicché deve essere esclusa l’operatività del combinato disposto di cui all’art. 240, secondo comma, cod. pen. all’art. 6 della legge 22 maggio 1975, n. 152, in forza del quale potrebbe darsi luogo a confisca, quando trattasi di reati concernenti le armi, anche in assenza di una pronuncia di condanna.
Va quindi ribadito che l’unica disposizione operante in materia di confisca di armi detenute e portate legittimamente ma utilizzate per commettere reati venatori è quella di cui alla legge n. 157 del 1992, art. 28, comma 2, che ne impone l’applicazione solo in caso di condanna per le contravvenzioni dalla stessa espressamente indicate.
3.2. – Anche il secondo motivo di doglianza – relativo alla ritenuta responsabilità penale di Godizzi per il reato di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 110 del 1975 – è fondato. L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il machete che l’imputato aveva portato fuori della propria abitazione nella battuta di caccia non rientrerebbe fra gli strumenti da punta o taglio adatti alle esigenze venatorie risulta, infatti, in contrasto con quanto rilevato dallo stesso Tribunale circa il fatto che tale strumento è «elettivamente concepito per impieghi agricoli o boschivi». Lo strumento in questione era, in altri termini, utilizzato – come sostanzialmente dato per pacifico dallo stesso Tribunale – per tagliare i rovi e le sterpaglie che ostacolavano il percorso dei cacciatori, ovvero per un impiego “boschivo” strettamente legato alle esigenze venatorie; cosicché deve trovare applicazione l’art. 13, comma 6, della legge n. 157 del 1992, che autorizza il titolare della licenza di porto di fucile anche per uso di caccia – quale è l’imputato – a portare, per l’esercizio venatorio, oltre alle armi consentite, gli utensili da punta e da taglio atti alle esigenze venatorie.
4. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio nei confronti di Bonassi Mario, limitatamente alla confisca del fucile da caccia, che deve essere eliminata. La sentenza medesima deve essere annullata senza rinvio nei confronti di Godizzi Giuseppe, perché il fatto a lui contestato non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bonassi Mario, limitatamente alla confisca del fucile da caccia, che elimina.
Annulla senza rinvio la sentenza medesima nei confronti di Godizzi Giuseppe, perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, 1’8 ottobre 2015.