Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Aree protette, Diritto venatorio e della pesca
Numero: 13886 | Data di udienza: 24 Gennaio 2017
* DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Caccia – Tabelle di segnalazione – Carattere costitutivo del divieto di caccia – Esclusione – AREE PROTETTE – Attività venatoria nelle aree naturali protette regionali – Mancanza o inadeguatezza della tabellazione – Art. 21, c.1, lett. b), L. 157/92.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Marzo 2017
Numero: 13886
Data di udienza: 24 Gennaio 2017
Presidente: ROSI
Estensore: MACRI'
Premassima
* DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Caccia – Tabelle di segnalazione – Carattere costitutivo del divieto di caccia – Esclusione – AREE PROTETTE – Attività venatoria nelle aree naturali protette regionali – Mancanza o inadeguatezza della tabellazione – Art. 21, c.1, lett. b), L. 157/92.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/03/2017 (Ud. 24/01/2017), Sentenza n.13886
DIRITTO VENATORIO E DELLA PESCA – Caccia – Tabelle di segnalazione – Carattere costitutivo del divieto di caccia – Esclusione – AREE PROTETTE – Attività venatoria nelle aree naturali protette regionali – Mancanza o inadeguatezza della tabellazione – Art. 21, c.1, lett. b), L. 157/92.
In generale, le tabelle di segnalazione non hanno carattere costitutivo del divieto di caccia, che il divieto di esercizio dell’attività venatoria nelle aree naturali protette regionali si presume conosciuto se le aree sono perimetrate da regolare tabellazione in modo tale che il trasgressore, salvo casi eccezionali, non può invocare a propria discolpa l’ignoranza del divieto, e che la mancanza o inadeguatezza della tabellazione non determina l’automatica inconfigurabilità del reato di cui agli art. 21 e 30 L. 157/92, essendo onere dell’Accusa dimostrare la consapevolezza del divieto in capo al trasgressore. Nella specie, per i reati contravvenzionali contestati, era sufficiente la colpa dell’agente, che si desumeva da una pluralità di elementi indiziari, quali la residenza in prossimità dell’area, il fatto che l’imputato fosse un cacciatore, la preesistenza dei cartelli e la loro successiva rimozione o danneggiamento, le peculiari modalità dell’azione come ricostruita a seguito dell’istruttoria, dettagliatamente descritte nella sentenza impugnata, tra cui il fatto che l’imputato aveva con sé i cani da caccia muniti di segnalatori acustici; la circostanza che la Regione Puglia aveva messo a disposizione dell’utenza un portale con l’indicazione delle aree protette; che comunque v’erano dei paletti in disuso a comprova che si trattava di una ex oasi di protezione; che il confine del parco seguiva le aree boscate e la zona alberata delimitata dai muretti a secco, con esclusione dei terreni seminativi e delle strade d’accesso tra cui quella su cui era parcheggiata l’auto; che a maggiore tutela dei fermati erano stato effettuato nelle immediatezze il rilievo con il gps.
(riforma sentenza del 19.4.2016 CORTE D’APPELLO DI LECCE, sez. dist. di Taranto) Pres. ROSI, Rel. MACRI’, Ric. Laterza
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/03/2017 (Ud. 24/01/2017), Sentenza n.13886SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/03/2017 (Ud. 24/01/2017), Sentenza n.13886
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Laterza Angelo Salvatore, nato a Massafra, il 15/10/1952;
avverso la sentenza in data 19.4.2016 della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Mendicino Italia, sostituto processuale dell’avv. Putignano Pietro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19.4.2016 la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha riformato la sentenza in data 22.5.2014 del Tribunale di Taranto ed in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero ha dichiarato Laterza Angelo Salvatore colpevole dei reati ascrittigli in concorso formale tra loro e lo ha condannato alla pena di mesi 1 di arresto ed € 600,00 di ammenda, oltre alle spese per il doppio grado di giudizio ed alla confisca e distruzione di quanto in sequestro, a) per il reato di cui all’art. 21, comma 1, lett. b), L. 157/92 per aver esercitato l’attività venatoria in un’area ricadente nel perimetro del Parco regionale “Terra delle Gravine” istituito con L. R. 18/05 e b) per il reato di cui all’art. 11, comma 3, lett. t), L. 394/91 per aver introdotto armi all’interno della predetta area protetta in assenza di qualsivoglia autorizzazione, in Massafra, sequestro del 25.11.2012.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. in relazione alla Legge della Regione Puglia n.18/05 che aveva istituito il Parco naturale regionale Terre delle Gravine, prevedendo all’art. 1, comma 4, che “i confini saranno resi visibili mediante apposita tabellazione realizzata dall’ente di gestione con fondi propri e trasferiti dalla Regione Puglia”.
Con il secondo motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione agli atti del procedimento, perché in relazione alla tabellazione, il teste Notarnicola aveva affermato che i verbalizzanti ed il Laterza erano entrati nella zona di caccia da parti diverse, circostanza confermata anche dal teste Chiarelli, il quale aveva dichiarato di essersi recato in compagnia del Laterza e del Morgese presso il comando della forestale di Martina Franca con l’auto del Morgese potendo così constatare il punto di ingresso sprovvisto di tabelle, che, per giunta, erano assenti nell’intera area. Tale circostanza contrastava con l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui dalle fotografie prodotte in giudizio si vedevano i paletti divelti, perché i verbalizzanti avevano dichiarato di non averli visti. Di qui la buona fede di esso imputato, peraltro sorpreso con il fucile scarico e senza prede. In ogni caso, lamenta la differenza di trattamento processuale rispetto al suo compagno, Morgese Francesco, fermato insieme a lui il 25.11.2012 per il quale il GIP aveva disposto l’archiviazione: la Corte d’Appello aveva lapidariamente dichiarato di dissentire da tale archiviazione.
Con il terzo motivo di ricorso, eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 163 c.p., perché la Corte d’Appello aveva ritenuto di non concedere i benefici dì legge senza motivare sul punto; precisa che era gravato da un unico precedente penale datato nel tempo per lesioni personali colpose, che aveva 64 anni e che non aveva mai subito altre condanne o procedimenti penali. La Corte d’Appello aveva parlato di significativa offensività della violazione, quando in realtà era stato trovato con l’arma scarica e senza prede, sicché non condivideva lo scostamento dal minimo edittale applicato oltre alla mancata concessione del beneficio di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato quanto ai primi due motivi perché la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità del prevenuto sulla base di una motivazione dettagliata, logica, coerente ed immune da censure. Dopo aver precisato che le tabelle di segnalazione non hanno carattere costitutivo del divieto di caccia, che il divieto di esercizio dell’attività venatoria nelle aree naturali protette regionali si presume conosciuto se le aree sono perimetrate da regolare tabellazione in modo tale che il trasgressore, salvo casi eccezionali, non può invocare a propria discolpa l’ignoranza del divieto, e che la mancanza o inadeguatezza della tabellazione non determina l’automatica inconfigurabilità del reato di cui agli art. 21 e 30 L. 157/92, essendo onere dell’Accusa dimostrare la consapevolezza del divieto in capo al trasgressore, i Giudici d’Appello hanno censurato la sentenza di assoluzione del Giudice di primo grado, considerando che per i reati contravvenzionali era sufficiente la colpa dell’agente, che, nella fattispecie, si desumeva da una pluralità di elementi indiziari, quali la residenza in prossimità dell’area, il fatto che l’imputato fosse un cacciatore, la preesistenza dei cartelli e la loro successiva rimozione o danneggiamento, le peculiari modalità dell’azione come ricostruita a seguito dell’istruttoria, dettagliatamente descritte nella sentenza impugnata, tra cui il fatto che l’imputato aveva con sé i cani da caccia muniti di segnalatori acustici; la circostanza che la Regione Puglia aveva messo a disposizione dell’utenza un portale con l’indicazione delle aree protette; che comunque v’erano dei paletti in disuso a comprova che si trattava di una ex oasi di protezione; che il confine del parco seguiva le aree boscate e la zona alberata delimitata dai muretti a secco, con esclusione dei terreni seminativi e delle strade d’accesso tra cui quella su cui era parcheggiata l’auto; che a maggiore tutela dei fermati erano stato effettuato nelle immediatezze il rilievo con il gps.
Il terzo motivo di ricorso è invece fondato nei limiti che seguono: mentre lo scostamento della pena dal minimo edittale è stato giustificato dalla significativa offensività della violazione, dalle modalità della condotta e dal precedente, non v’è alcuna motivazione sulla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Con riferimento a quest’unico profilo, si reputa di disporre l’annullamento con rinvio affinché si valuti la sussistenza o meno dei presupposti per la concessione del beneficio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla concedibilità della sospensione condizionale della pena con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso, il 24 gennaio 2017.