Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 12735 |
Data di udienza: 21 Febbraio 2019
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opera abusiva e conseguenza dannosa dell’illecito edilizio – Persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato dalla norma – Demolizione e sospensione condizionale della pena – Funzione ripristinatoria del bene offeso – Amministrazione inerte e poteri del giudice di merito – Giurisprudenza – Art. 31, c.9 T.U. Edilizia.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Marzo 2019
Numero: 12735
Data di udienza: 21 Febbraio 2019
Presidente: LIBERATI
Estensore: GALTERIO
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opera abusiva e conseguenza dannosa dell’illecito edilizio – Persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato dalla norma – Demolizione e sospensione condizionale della pena – Funzione ripristinatoria del bene offeso – Amministrazione inerte e poteri del giudice di merito – Giurisprudenza – Art. 31, c.9 T.U. Edilizia.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 22/03/2019 (Ud. 21/02/2019), Sentenza n.12735
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opera abusiva e conseguenza dannosa dell’illecito edilizio – Persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato dalla norma – Demolizione e sospensione condizionale della pena – Funzione ripristinatoria del bene offeso – Amministrazione inerte e poteri del giudice di merito – Giurisprudenza – Art. 31, c.9 T.U. Edilizia.
In materia urbanistica, la presenza di un’opera abusiva costituisce una conseguenza dannosa dell’illecito edilizio alla cui eliminazione è sotteso l’ordine di demolizione pronunciato dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, 9 comma T.U. Edilizia contestualmente alla sentenza di condanna, ove non altrimenti eseguita. La facoltà rimessa al giudice di merito di subordinare, in presenza di illeciti edilizi, la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera abusiva, non esige alcuna specifica motivazione se non sulla scelta del rafforzamento così operato, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto (Sez. 3, n. 23189 del 29/03/2018 – dep. 23/05/2018, Ferrante). Infine, non sortisce alcun effetto l’eccepita riserva di legge in favore dell’autorità amministrativa, la quale non preclude al giudice di merito il potere di ordinare la demolizione delle opere abusive anche in presenza di un parallelo e concorrente ordine della P.A., di cui nella specie peraltro non vi è traccia, e comunque fino a quando l’Amministrazione rimanga inerte omettendo sia di ingiungere la demolizione, sia di procedere all’acquisizione dell’opera.
(dich. inammissibili i ricorsi avverso sentenza in data 4.7.2018 – CORTE DI APPELLO DI PALERMO) Pres. LIBERATI, Rel. GALTERIO, Ric. Vitale ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 22/03/2019 (Ud. 21/02/2019), Sentenza n.12735
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 22/03/2019 (Ud. 21/02/2019), Sentenza n.12735
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VITALE ENRICHETTA, nata a Palermo;
BONI’ ANTONINO, nato a Palermo;
avverso la sentenza in data 4.7.2018 della Corte di Appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Domenico Seccia, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 4.7.2018 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la penale responsabilità di Enrichetta Vitale ed Antonino Bonì per aver, in assenza del permesso di costruire ed in violazione della normativa antisismica e sul cemento armato, realizzato un manufatto a due piani fuori terra, ma a parziale riforma della pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale della stessa città appellata tanto dagli imputati quanto dal Procuratore Generale, ha ridotto la pena loro inflitta a cinque mesi di arresto ed € 15.000 di ammenda, subordinando la sospensione condizionale della stessa alla demolizione delle opere abusive.
2. Avverso il suddetto provvedimento entrambi gli imputati hanno congiuntamente proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo deducono, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 165 cod. pen. e al vizio motivazionale, che la discrezionalità rimessa al giudice di merito dal secondo comma della norma in contestazione non consentiva di ritenere integrata nessuna violazione da parte del Tribunale che non aveva inteso subordinare ad alcun adempimento la sospensione condizionale della pena dal medesimo riconosciuta ad entrambi gli imputati.
Sostengono pertanto che l’appello del procuratore Generale non potesse essere accolto stante la riserva di legge in favore dell’autorità amministrativa, deputata al governo del territorio, tanto più che la motivazione resa dalla Corte di Appello si presentava sul punto gravemente carente in quanto fondata su una non trascurabile trasgressione delle norme urbanistiche, ampiamente sconfessata dalle ridotte dimensioni del manufatto, avente una superficie di appena 64 mq, prima ed unica abitazione degli imputati.
2.2. Con il secondo motivo eccepiscono, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 157 cod. pen., la prescrizione dei reati in contestazione, non esaminata dai giudici di appello malgrado l’espressa contestazione sollevata in udienza.
2.3. Con il terzo motivo contestano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 62-bis e al vizio motivazionale, la mancata concessione delle attenuanti generiche, la cui richiesta, seppur formulata con i motivi di appello, non era stata presa in esame dalla Corte palermitana
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile.
Del tutto generica risulta la contestazione relativa alla concessione della sospensione condizionale della pena subordinatamente alla demolizione dell’opera, venendo con essa lamentata l’infondatezza del motivo di appello articolato dal PG, invece accolto, e la motivazione resa sul punto in forma meramente apparente dalla Corte territoriale stante il vago, come tale definito dalla difesa, riferimento alla non trascurabile trasgressione delle norme urbanistiche.
Premesso che la presenza di un’opera abusiva costituisce una conseguenza dannosa dell’illecito edilizio alla cui eliminazione è sotteso l’ordine di demolizione pronunciato dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, 9 comma T.U. Edilizia contestualmente alla sentenza di condanna, ove non altrimenti eseguita, va rilevato che la questione della sua anteponibilità sottoforma di condizione al beneficio della sospensione condizionale della pena è stata risolta positivamente già sotto la vigenza della pregressa normativa in materia urbanistica (art. 7 ult. comma L. n. 47 del 1985), superando un preesistente contrasto giurisprudenziale, da una risalente pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite ) in ragione della sua funzione ripristinatoria del bene offeso, nella specie costituito dall’integrità del territorio, inteso come riorsa inserita a pieno titolo nella programmazione economica e territoriale pure per il suo recupero e valorizzazione rispetto a fenomeni di illegalità, e dunque della sua intrinseca connessione all’interesse sotteso all’esercizio dell’azione penale (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 – dep. 03/02/1997, Luongo, Rv. 206659 che ha chiarito che il presupposto su cui si fonda la statuizione accessoria è costituito dall’accertamento, in applicazione dell’art. 165 cod. pen., della persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato dalla norma). Né alcun fondamento riveste l’eccepita riserva di legge in favore dell’autorità amministrativa, la quale non preclude al giudice di merito il potere di ordinare la demolizione delle opere abusive anche in presenza di un parallelo e concorrente ordine della P.A., di cui nella specie peraltro non vi è traccia, e comunque fino a quando l’Amministrazione rimanga inerte omettendo sia di ingiungere la demolizione, sia di procedere all’acquisizione dell’opera. Del resto la facoltà rimessa al giudice di merito di subordinare, in presenza di illeciti edilizi, la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera abusiva, non esige alcuna specifica motivazione se non sulla scelta del rafforzamento così operato, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto (Sez. 3, n. 23189 del 29/03/2018 – dep. 23/05/2018, Ferrante, Rv. 272820).
A tali criteri risulta essersi correttamente uniformata la sentenza impugnata stante il riferimento unitamente alla, persistente offensività dell’opera edilizia abusiva, alla sua non trascurabilità) in ragione della natura sismica del suolo e delle dimensioni del manufatto realizzato, elementi pienamente conferenti ai fini della legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena all’obbligo di demolizione e con i quali la difesa neppure si confronta i limitandosi ad eccepire la destinazione del suddetto immobile ad abitazione degli imputati, in tal modo peraltro avvalorando il carattere abusivo della costruzione.
2. Seguendo l’ordine logico e sistematico derivante dalla struttura dell’impugnazione in sede di legittimità, dev’essere prioritariamente esaminata la questione di cui al terzo motivo afferente al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
La censura risulta inammissibile, avuto riguardo alla genericità del motivo svolto con l’atto di appello con cui si lamentava il mancato contenimento della pena nel minimo edittale per effetto del diniego delle attenuanti generiche, senza null’altro aggiungere. Non può infatti essere censurata l’omessa risposta da parte dei giudici del gravame tenuto conto che la doglianza non poteva essere nè apprezzata in termini di contestazione delle conclusioni raggiunte dal Tribunale, cui non era stata rivolta alcuna richiesta ex art. 62 bis cod. pen., né come sollecitazione ai giudici di appello, innanzi ai quali l’istanza è stata formulata per la prima volta, in ragione della sua indeterminatezza, non essendo stato l’invocato beneficio accompagnato dall’indicazione di alcun elemento di segno positivo che imponesse una valutazione al riguardo.
3. Il secondo motivo risulta manifestamente infondato. Al riguardo è sufficiente rilevare che avuto riguardo ai termini di cui agli artt. 157 ss. cod. pen. con riferimento alla data di consumazione del reato, accertato in data 7 febbraio 2013, la prescrizione, tenuto conto dell’intervenuta sospensione, pari a 231 giorni (stante il rinvio disposto dal 21.3 al 7.11.2017), non era affatto maturata alla data della pronuncia impugnata.
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, con conseguente preclusione alla rilevabilità di ufficio delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione maturata successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, non essendo ricorso idoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266). Segue a tale esito la condanna dei ricorrenti, non sussistendo elementi per ritenere che abbiano proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 2.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21.2.2019