CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/06/2016 (Ud. 03/03/2016) Sentenza n.25802
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/06/2016 (Ud. 03/03/2016) Sentenza n.25802
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Perraillon Felicina, nata il 5 settembre 1951
Furfaro Rossella, nata il 22 gennaio 1985
avverso la sentenza del Tribunale di Aosta del 16 novembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Marilia Di Nardo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi l’avv. Roberta Gambelli, in sostituzione dell’avv. Laura Mangosio, per Perraillon, e l’avv. Antonio Cimino per Furfaro.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 16 novembre 2012, il Tribunale di Aosta ha condannato gli imputati alla pena di € 20.000,00 di ammenda ciascuno: Perraillon, in relazione al reato di cui all’
art. 256, comma 1 (così riqualificata l’originaria imputazione ex
art.256, comma 3), del d.lgs. n. 152 del 2006, per lo smaltimento non autorizzato di rifiuti consistenti in terre e rocce da scavo, effettuato nella sua qualità di presidente di un consorzio di miglioramento fondiario; Furfaro, in relazione al reato di cui agli artt.110 cod. pen. e
256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, perché, in concorso con altro soggetto giudicato separatamente, quale legale rappresentante di una società di trasporti, procedeva allo smaltimento non autorizzato di terre e rocce da scavo (nell’aprile del 2011, con condotte ancora in corso al momento della contestazione).
2. – Avverso la sentenza l’imputato Perraillon ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, in primo luogo, che la riqualificazione giuridica ex
art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, del fatto inizialmente contestato ai sensi del successivo comma 3 dello stesso articolo, operata direttamente in sentenza, non avrebbe consentito l’accesso dell’imputato all’oblazione, che sarebbe stato invece consentito se l’imputazione si fosse riferita fin dall’inizio alla fattispecie di cui al richiamato comma 1, punita con pena alternativa.
In secondo luogo si rilevano la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, nonché la violazione dell’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2007, secondo cui i materiali inerti da scavo non costituiscono rifiuti e non sono assoggettabili alle disposizioni di cui al
d.lgs. n. 152 del 2006 a determinate condizioni. Proprio in forza di tale normativa, l’imputato avrebbe colpevolmente confidato nella correttezza dell’operato del direttore dei lavori. Non si sarebbero considerati, inoltre, i documenti prodotti in giudizio, ovvero: gli estremi della concessione edilizia rilasciata al consorzio del quale l’imputato era legale rappresentante e le dichiarazioni dei direttori dei lavori dei cantieri conferenti la terra da scavo, che attestavano la salubrità del materiale conferito.
3. – La sentenza è stata impugnata, con ricorso per cassazione, anche dal difensore di Furfaro Rossella, il quale lamenta, in primo luogo, la mancata considerazione del fatto che la società dell’imputata aveva l’autorizzazione al trasporto di rifiuti quali terre e rocce da scavo. Non si sarebbe considerato, inoltre, che dell’istruzione dibattimentale era emerso che la società dell’imputata aveva dato in subappalto l’attività di trasporto ad altra società, senza specificare dove andasse trasportato il materiale. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe, poi, illogica e contraddittoria perché l’imputata sarebbe stata chiamata a rispondere del reato di smaltimento abusivo di rifiuti ma sarebbe stata effettivamente condannata per avere gestito l’attività di trasporto di rifiuti non pericolosi.
Si lamenta, inoltre, la mancata considerazione della doglianza difensiva secondo cui il trasporto di terre e rocce da scavo effettuato dagli imputati aveva portato ad un obiettivo miglioramento paesaggistico, secondo un progetto ambientalmente compatibile.
4. – La trattazione del presente procedimento, originariamente fissata per l’udienza del 20 marzo 2014, è stata rinviata a data successiva e poi all’udienza odierna, nell’attesa della pronuncia delle sezioni unite di questa Corte al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto sul diritto dell’imputato a fruire dell’oblazione nel caso di riqualificazione del reato operata nella sentenza che definisce il giudizio.
CONSIDERATOIN DIRITTO
5. – I ricorsi sono infondati.
5.1. – Il primo motivo del ricorso di Perraillon, con cui si lamenta il mancato accesso dell’imputato all’oblazione a seguito della riqualificazione del fatto, è infondato. Nel caso di specie era stato originariamente contestato il reato di cui all’
art. 256, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, per il quale non è consentita l’oblazione ex art. 162 bis cod. pen., essendo punito con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda. Con la sentenza di condanna si è però operata d’ufficio la riqualificazione del reato contestato ai sensi dell’
art. 256, comma 1, dello stesso decreto legislativo; fattispecie punita con pena alternativa, per la quale è invece consentito l’accesso all’oblazione ex art. 162 bis cod. pen. Non risulta, peraltro, che nel caso di specie l’imputato abbia sollecitato il giudice alla riqualificazione del fatto né che abbia comunque formulato istanza di oblazione. Deve dunque essere richiamato il principio, affermato dalle sezioni unite di questa Corte per risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto sul punto, secondo cui, in materia di oblazione, nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 cod. pen. né quella speciale prevista dall’art. 162-bis cod. pen., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex
art. 521 cod. proc, pen., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del beneficio (sez. un., 26 giugno 2014, n. 32351, rv.259925). Tale principio trova applicazione nel caso di specie, in cui – come appena visto – l’imputato non ha sollecitato il giudice alla riqualificazione del reato né ha formulato istanza di oblazione, con la conseguenza che egli non può dolersi della riqualificazione del reato in senso a lui più favorevole, essendo ormai precluso nei suoi confronti il diritto a fruire dell’oblazione stessa.
5.2. – Il secondo motivo del ricorso di Perraillon risulta formulato in modo del tutto generico quanto alla mancanza dell’elemento soggettivo, a fronte della prova della piena e consapevole partecipazione dell’imputato all’attività abusiva di smaltimento di terre e rocce da scavo, nella sua veste di presidente del consorzio di miglioramento fondiario; egli ha anzi consapevolmente consentito l’accumulo di tali materiali nell’ottica di una loro utilizzazione finale per il livellamento di terreni (pagine 3-5 della sentenza impugnata).
Quanto all’esclusione dei materiali oggetto di smaltimento dal novero dei rifiuti, deve preliminarmente richiamarsi il principio generale secondo cui, in tema di gestione dei rifiuti, l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo (
art. 186, del d.lgs. n. 152 del 2006), nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (ex multis, sez. 3, 10 marzo 2015, n. 16078, rv. 263336; sez. 3, 12 febbraio 2013, n. 28771). Tali principi si attagliano pienamente alla fattispecie in esame, in cui la difesa aveva invocato in primo grado l’applicazione del decreto ministeriale 10 agosto 2012, n. 161, che esclude che possono considerarsi rifiuti quei materiali per i quali sia stato presentato e approvato il piano di utilizzo di cui all’art. 5 dello stesso regolamento, ovvero, per gli interventi in essere, quei materiali per cui è stato presentato un piano di utilizzo nel termine stabilito dal successivo art. 15 del regolamento. Come correttamente osservato dal Tribunale, nessuno degli adempimenti richiamati risulta assolto nel caso in esame né, del resto, il ricorrente ha prospettato alcunché in tal senso. Analoghe considerazioni valgono in relazione all’art. 14 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 2007, la cui applicabilità alla fattispecie in esame è stata invocata di fronte a questa Corte. Infatti, la disposizione in questione, lungi dal depenalizzare la gestione delle terre e rocce da scavo o dall’escluderle in via generale dal novero dei rifiuti, si limita a prevedere che i materiali inerti da scavo non costituiscono rifiuti e non sono assoggettabili alle disposizioni di cui al
d.lgs. n. 152 del 2006, qualora siano derivanti esclusivamente da suoli naturali, da versanti di frana o conseguenti ad attività di sistemazione idraulica e manutenzione di alvei di fiumi e di torrenti, la cui qualità ambientale risulti essere corrispondente almeno allo stato chimico di buono, come definito dall
‘art. 74, comma 2, lettera z), del d.lgs. n. 152 del 2006. E anche con riferimento alla sussistenza dei presupposti richiesti a tale disposizione il ricorrente nulla prospetta neanche con il ricorso per cassazione.
Del tutto inconferente è, infine, il richiamo ai documenti prodotti in giudizio, che risultano del tutto privi di rilevanza ai fini della valutazione della sussistenza della fattispecie in esame. Si tratta, infatti, degli estremi della concessione edilizia rilasciata al consorzio del quale l’imputato era legale rappresentante, da cui si desume che i materiali avrebbero dovuto essere utilizzati per il livellamento del terreno, nonché delle dichiarazioni dei direttori dei lavori dei cantieri conferenti la terra da scavo, che attestavano la salubrità del materiale conferito. Ed è evidente che la futura utilizzazione a fini edilizi di un rifiuto abusivamente smaltito non fa venir meno l’illiceità dello smaltimento; così come la semplice attestazione di salubrità dei materiali non implica che gli stessi possano essere perciò solo esclusi dal novero dei rifiuti.
6. – Infondata è anche la prima delle doglianze proposte nell’interesse di Furfaro Rossella, con la quale si lamenta la mancata considerazione del fatto che la società dell’imputata aveva l’autorizzazione al trasporto di rifiuti quali terre e rocce da scavo.
Deve infatti osservarsi che l’esistenza di un provvedimento autorizzatorio in tal senso potrebbe assumere rilevanza se oggetto della contestazione all’imputata fosse il trasporto non autorizzato delle terre e rocce da scavo. L’imputazione e la sentenza di condanna si riferiscono, però – contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa – alla diversa condotta dell’abusivo smaltimento di tali materiali, ovvero di una condotta che può essere posta in essere anche da un soggetto che sia, per ipotesi, autorizzato al loro trasporto. Né può assumere alcun rilievo la prospettazione difensiva secondo cui la società dell’imputata aveva dato in subappalto l’attività di trasporto ad altra società, senza specificare dove andasse trasportato il materiale, perché dall’istruttoria è risultato che i trasporti e i successivi smaltimenti abusivi avvenivano con autocarri della società dell’imputata.
Quanto, poi, all’affermazione della difesa secondo cui il trasporto di terre e rocce da scavo effettuato dagli imputati aveva portato ad un obiettivo miglioramento paesaggistico, secondo un progetto ambientalmente compatibile, la stessa risulta genericamente formulata, in mancanza di puntuali riferimenti agli atti di causa. E ciò, a prescindere dall’assorbente considerazione che la futura utilizzazione a fini di miglioramento fondiario di rifiuti abusivamente smaltiti non fa comunque venire il reato di abusivo smaltimento.
7. – I ricorsi devono essere pertanto rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2016.