Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Associazioni e comitati, Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Legittimazione processuale, Pubblica amministrazione Numero: 31282 | Data di udienza: 24 Maggio 2017

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Esecuzione di un’opera – Doveri e responsabilità del committente e dell’esecutore – Artt. 29, 31 e 44 d.P.R. 380/01 – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Bellezze naturali e zone di “elevata naturalità” – Divieto di distruzione o di alterazione mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo – Riferimento alla “speciale protezione dell’autorità” – Piano Territoriale Paesistico Regionale – Natura dell’art. 734 c.p. – Artt.157 e 181 c.1 bis lett. A) e B) D.Lgs n.42/2004 – Concorso nel reato del progettista – Presupposti – Mera redazione del progetto – Nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso – Esclusione – TUTELA DELL’AMBIENTE – La materia urbanistica rientra nella tutela dell’ambiente – Ordinato sviluppo del territorio sotto il profilo urbanistico ed edilizio – Responsabilità per il reato urbanistico e per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Interessi delle associazioni di tutela ambientale in relazione a violazione edilizia e abuso di ufficio – Sussiste – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Non conformità dell’atto amministrativo alla normativa o conseguenza di attività criminosa – Rilevabilità – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo – Giudicato amministrativo – Effetti – Limiti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Giugno 2017
Numero: 31282
Data di udienza: 24 Maggio 2017
Presidente: FIALE
Estensore: RAMACCI


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Esecuzione di un’opera – Doveri e responsabilità del committente e dell’esecutore – Artt. 29, 31 e 44 d.P.R. 380/01 – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Bellezze naturali e zone di “elevata naturalità” – Divieto di distruzione o di alterazione mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo – Riferimento alla “speciale protezione dell’autorità” – Piano Territoriale Paesistico Regionale – Natura dell’art. 734 c.p. – Artt.157 e 181 c.1 bis lett. A) e B) D.Lgs n.42/2004 – Concorso nel reato del progettista – Presupposti – Mera redazione del progetto – Nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso – Esclusione – TUTELA DELL’AMBIENTE – La materia urbanistica rientra nella tutela dell’ambiente – Ordinato sviluppo del territorio sotto il profilo urbanistico ed edilizio – Responsabilità per il reato urbanistico e per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Interessi delle associazioni di tutela ambientale in relazione a violazione edilizia e abuso di ufficio – Sussiste – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Non conformità dell’atto amministrativo alla normativa o conseguenza di attività criminosa – Rilevabilità – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo – Giudicato amministrativo – Effetti – Limiti.



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/06/2017 (Ud. 24/05/2017) Sentenza n.31282

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Esecuzione di un’opera – Doveri e responsabilità del committente e dell’esecutore  – Artt. 29, 31 e 44 d.P.R. 380/01.
 
Ai sensi dell’art. 29 del d.P.R. 3801, vi è un dovere, per chi si appresta ad eseguire un’opera, di osservare, non solo quanto prescritto dal titolo abilitativo, ma anche quanto stabilito dalla normativa urbanistica e di piano e che detta norma ha posto delle specifiche posizioni di garanzia, di cui ha precisato anche il contenuto. Da ciò consegue, che il titolare del permesso di costruire, il committente e l’esecutore non possono considerarsi esenti da responsabilità per il semplice fatto di avere conseguito il titolo abilitativo se questo è stato rilasciato in contrasto con la legge o gli strumenti urbanistici, con l’ulteriore precisazione che non ogni vizio dell’atto amministrativo o civile potrà essere rilevato dal giudice penale, ma soltanto quello la cui presenza contribuisca a conferire al comportamento incriminato significato “lesivo” del bene giuridico tutelato, ovviamente evitando di costruire beni giuridici ad hoc al fine proprio di scardinare il principio di tassatività (Sez. 3, n. 27261 del 8/6/2010, P.M. in proc. Caleprico e altri. Conf. Sez. 3, n. 10106 del 21 /1 /2016, Terzini).
 
 
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Bellezze naturali e zone di “elevata naturalità” – Divieto di distruzione o di alterazione mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo – Riferimento alla “speciale protezione dell’autorità” – Piano Territoriale Paesistico Regionale – Natura dell’art. 734 c.p. – Artt.157 e 181 c.1 bis lett. A) e B) D.Lgs n.42/2004.
  
L’art. 734 c.p. non è norma penale in bianco. Il riferimento alla “speciale protezione dell’autorità” va interpretata nel senso che la stessa può essere attribuita attraverso un qualsiasi provvedimento che individui compiutamente il bene del quale si vuole assicurare la conservazione perché meritevole di tutela particolare e specifica. Tra detti provvedimenti può, dunque, rientrare anche il Piano Territoriale Paesistico Regionale, che comprende sia disposizioni di carattere generale ed astratte sia provvedimentali. Nel caso di specie, è stata ritenuta l’area sottoposta a particolare protezione in ragione dell’inclusione tra le zone di “elevata naturalità” di cui all’art. 17 delle Norme di Attuazione del PTPR.
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine giudiziale di demolizione – Natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio – Autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso.
 
L’ordine giudiziale di demolizione ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (Cass. Sez. 3, n. 37120 del 11/5/2005, Morelli).


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Concorso nel reato del progettista – Presupposti – Mera redazione del progetto – Nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso – Esclusione.
 
La sola veste di progettista non consente, di per se, di ravvisare il concorso nel reato, in quanto la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale, ed alla quale il progettista deve avere fornito un apporto concreto ed ulteriore rispetto alla mera redazione del progetto (Sez. 3, n. 8420 del 12/12/2002, Ridolfi, Rv. 224166. Conf. Sez. 3, n. 47271 del 22/9/2016, Ayma, non massimata).
 
 
TUTELA DELL’AMBIENTE – La materia urbanistica rientra nella tutela dell’ambiente – Ordinato sviluppo del territorio sotto il profilo urbanistico ed edilizio – Responsabilità per il reato urbanistico e per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Interessi delle associazioni di tutela ambientale in relazione a violazione edilizia e abuso di ufficio – Sussiste. 
 
L’ordinato sviluppo del territorio sotto il profilo urbanistico ed edilizio assume rilievo ai fini della tutela dell’ambiente e rientra pertanto tra gli interessi delle associazioni di tutela ambientale concretamente lesi da attività illecita. Sicché, il costante consumo di suolo, conseguenza di una non corretta gestione del territorio (anche da parte di chi è tenuto, per legge, a provvedervi), influisce negativamente sulle diverse componenti ambientali, sottraendo risorse ed agendo negativamente sulla fruibilità del bene nel suo complesso, peggiorando la qualità della vita ed aumentando rischi per la salute delle persone, poiché l’illecito edilizio non comporta, quale conseguenza, la sola presenza di nuovi volumi abusivamente realizzati, già di per se rilevante, ma anche una incidenza sul carico urbanistico produttiva di ulteriori effetti negativi. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il reato di abuso d’ufficio, in quanto la legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste deve riconoscersi anche con riferimento ai reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell’ambiente e del territorio (Sez. 5, n. 7015 del 17/11/2010 (dep. 2011 ), Associazione Legambiente Onlus e altri).
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Non conformità dell’atto amministrativo alla normativa o conseguenza di attività criminosa – Rilevabilità – Giurisprudenza.
 
La non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto sia illecito e, cioè, frutto di attività criminosa, ma anche nell’ipotesi in cui l’emanazione dell’atto medesimo sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge o nel caso di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere (Sez. 3, n. 37847 del 14/5/2013, Sorini; Sez. 3, n. 40425 del 28/9/2006, Consiglio). Inoltre, è  evidente che, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia palesemente illegittimo, non può che ritenersi sostanzialmente mancante, in quanto l’atto, in tali casi, è emanato in totale assenza dei presupposti di legge per la sua emissione. A maggior ragione, tale situazione si verifica quando detto titolo abilitativo sia conseguenza di attività criminosa da parte del soggetto pubblico che lo ha adottato o di quello privato che lo ha conseguito.
 
   
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico – Esclusione.
 
In materia urbanistica, deve essere escluso ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico, eliminando così il rischio, paventato nella prospettata questione di legittimità costituzionale, di una irragionevole equiparazione interpretativa “in malam partem” tra mancanza “ab origine” dell’atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata “ex post“, sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole (Cass. sentenza 7423/2015).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo – Giudicato amministrativo – Effetti – Limiti.
 
Non può ritenersi ostativo alla valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo presupposto del reato il giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta o che, comunque, si è fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o, addirittura, non rispondenti al vero. Inoltre, non può spiegare alcun effetto nel procedimento penale una valutazione effettuata dal giudice amministrativo con riferimento a situazioni che, sebbene analoghe, abbiano comunque riguardato soggetti e circostanze diverse (Sez. 3, n. 30171 del 04/06/2015, P.M. in proc. Serafini) ovvero che abbia riguardato la sospensione cautelare del provvedimento presupposto del reato (Sez. 3, n. 3538 del 18/11/2015 (dep. 2016), Morra). 
 
  
(riforma sentenza del 21/04/2016 della CORTE APPELLO di BRESCIA) Pres. FIALE, Rel. RAMACCI, Ric. PG in proc. Merelli ed altri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/06/2017 (Ud. 24/05/2017) Sentenza n.31282

SENTENZA

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/06/2017 (Ud. 24/05/2017) Sentenza n.31282


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sui ricorsi proposti da:
 
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA
 
nel procedimento a carico di:
 
MERELLI FELICITA nato il 01/06/1944 a VERTOVA 
VESCOVI CARLO nato il 23/03/1966 a GAZZANIGA
NORIS ROBERTO nato il 06/07/1970 a ALZANO LOMBARDO
VILLARBOITO MICHELE nato il 31/10/1969 a SAN GIOVANNI BIANCO 
W.W.F. ITALIA ONG ONLUS
 
nel procedimento a carico di questi ultimi
 
avverso la sentenza del 21/04/2016 della CORTE APPELLO di BRESCIA
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI
 
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore che ha concluso per D.N.M 
 
Il Proc. Gen. CONCLUDE ACCOGLIMENTO CON RINVIO IN ACCOGLIMENTO RICORSO DELLA PROCURA GENERALE E DICHIARARSI INAMISSIBILI O IN SUBORDINE RIGETTARSI QUELLO DELLA PARTE CIVILE E QUELLO DEGLI 
IMPUTATI.
 
Udito il difensore
 
IL DIFENSORE DI PARTE CIVILE PRESENTE AVV PETRETTI ALESSIO CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO, DEPOSITA CONCLUSIONI E RICHIESTA RISARCITORIA.
 
L’AVV TACCHINI ETTORE SI RIPORTA AI MOTIVI
L’ AVV ROTA FEDORA SI RIPORTA AI MOTIVI, SOTTOLINEANDO CHE IL REATO DI CUI ALL’ ART 734 E’ GIA’ PRESCRITTO
L’ AVV ANZALONE MATTEO, SI RIPORTA AI MOTIVI.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 21/4/2016 ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Bergamo in data 11/12/2014 impugnata dal Pubblico Ministero, da Anselmo Stefano DENTELLA, dalla parte civile W.W.F.- Italia o.n.l.u.s. e, in via incidentale, da Felicita MERELLI e Roberto NORIS, affermando la responsabilità penale di Felicita MERELLI, Carlo VESCOVI, Roberto NORIS e Michele VILLARBOITO per il reato di cui al capo 1) della rubrica, ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 44, lett. b) in relazione all’art. 31 d.P.R. 380\01 e per quello di cui al capo 3) (art. 734 cod. pen.), ritenendo il solo Michele VILLARBOITO responsabile anche del reato di cui al capo 5) (art. 323 cod. pen.).
 
Agli imputati veniva riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena che, per la sola MERELLI, veniva subordinata alla demolizione delle opere abusive entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza.
 
Con riferimento al capo 3) della rubrica gli imputati venivano altresì condannati, in solido fra loro, al risarcimento del danno in favore della parte civile.
 
2. Le originarie imputazioni per i fatti per cui è intervenuta condanna, che pare indispensabile riprodurre integralmente, al fine di una migliore comprensione della vicenda processuale, sono le seguenti:
 
 
TUTTI Capo 1)
 
del reato previsto e punito dagli artt. 1 e 10 cod. pen. e art. 44 lett. B) e lett. C) D. P. R. 6 Giugno 2001 n. 380, in relazione all’art. 31 della medesima legge, perché, in concorso tra loro:
– Noris Eugenio e Merelli Felicitanella loro qualità di comproprietari di terreni siti nell’area censita ai mappali n. 1931 e nr. 3878 del catasto comunale di Aviatico (BG). frazione Ganda e committenti dei lavori;
– Vescovi Carlo in qualità di progettista e direttore dei lavori.
– Noris Roberto in qualità di titolare dell’impresa edile individuale omonima e di esecutore materiale dei lavori.
– Ferrari Giuseppe in qualità di segretario comunale e firmatario dei permessi di costruire
– Villarboito Michele in qualità di architetto libero professionista e consulente in materia urbanistica ed ambientale incaricato dal Comune di Aviatico per l’istruttoria delle pratiche
– Dentella Anselmo Stefano in qualità di Sindaco del Comune di Aviatico, realizzavano nr. 3 nuovi fabbricati ad uso residenziale (non ancora completati), in assenza di permesso di costruire, in quanto dapprima autorizzati con permesso nr. 3/201O del 15-01-2010 del Comune di Aviatico da ritenersi illegittimo e comunque inefficace, poiché rilasciato in violazione di specifiche disposizioni di legge, e comunque atto inefficace in seguito a rinuncia degli interessati e quindi successivamente autorizzati con nuovo permesso di costruire nr. 5/2011 del 10.06.2011 atto illegittimo in violazione di specifiche disposizioni di legge ed annullato dal TAR di Brescia con sentenza nr. 565/201 REG RIC. del 11.01.2012 ed in particolare:
– in violazione degli artt. 59 comma I e comma 2 e 60 comma I lett A) e lett. B) LR. nr. 12/05, essendo stato rilasciato il permesso di costruire su aree destinate all’agricoltura inserite nel P.R.G. vigente in zona urbanistica E2 “agricola montana”, con la finalità di effettuare interventi edilizi di cui all’art. 60 comma I lett. A) LR. nr. 12/05 in relazione a nuovi fabbricati “destinati alle residenze dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda”, in assenza della qualifica di “imprenditore agricolo professionale” in capo a NORIS Eugenio,titolare dell’omonima azienda agricola (qualifica non sussistente all’epoca della domanda ed acquisita da NORIS Eugenio solo successivamente al rilascio del permesso di costruire e precisamente rilasciata dalla Provincia in data 25.5.201 O), requisito necessario per l’ammissibilità di tali interventi, essendo altrimenti consentito di realizzare solo i diversi interventi di cui all’art. 60 comma,1 lett. B) “attrezzature ed infrastrutture produttive” ed “abitazioni per i salariati agricoli”, al presupposto che le abitazioni dovessero essere destinate a soddisfare le occasionali esigenze abitative dei quattro figli degli indagati(non coadiuvanti o dipendenti dell’azienda,né salariati agricoli) in considerazione delle utilitarie prestazioni lavorative effettuate dai predetti a favore dell’azienda agricola gestita dal padre NORIS Eugenio in alcuni periodi dell’anno;
– in violazione dell’art. 59 comma 2, essendo stato rilasciato il permesso di costruire, senza la preventiva valutazione da parte del Comune che le esigenze abitative dell’imprenditore agricolo e dei suoi familiari potessero essere altrimenti soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente, avendo l’Amministrazione completamente omesso tale valutazione e ritenuto sufficiente che una generica dichiarazione della parte richiedente venisse prodotta successivamente al rilascio del permesso, omettendo di considerare che gli indagati erano intestatari di altri immobili nel Comune di Aviatico e che le abitazioni erano destinate a soddisfare le saltuarie ed occasionali esigenze abitative dei quattro figli degli indagati (tre dei quali formalmente residenti ed effettivamente dimoranti in abitazioni in altri comuni e, la quarta, già residente e dimorante in Aviatico in altra abitazione di proprietà dei genitori);
– in violazione dell’art. 59 comma 3 lett. B) detta L. R. nr. 12/05 per avere previsto e consentito che le tre previste costruzioni avessero una volumetria complessiva di 1503,30 metri cubi, calcolata sull’intero intervento edilizio, composto da nr.3 autonomi fabbricati, in contrasto con la previsione normativa che prevede un indice di densità fondiaria di 0,01 metri cubi/metro quadro e pertanto un massimo di 500,00 (1 metro cubo per azienda,con possibilità di aumento ex art. 59 comma 4 bis della L.R. nr. 12105 e quindi fino ad una volumetria massima di 600,00 metri cubi “per azienda” e non per “fabbricato”);
– in assenza di “autorizzazione paesaggistica” o comunque di “preventivo esame paesistico del progetto”, in violazione delle Delibera del Consiglio Regionale nr. 197 del 6.3.2001 di approvazione del PT.PR. “Piano Territoriale Paesaggistico Regionale” che, all’art. 17 delle norme tecniche di attuazione, stabilisce che gli ambiti “alta naturalità” sono aree sottoposte a vincolo paesaggistico, atto normativo che confermava, con riferimento alla specifica individuazione delle aree di interesse ambientale ai sensi dell’art. 1 ter L. nr. 431 /85, le previsioni della Delibera della Giunta regionale nr. 3859 del 10.12.1985 che, per il Comune di Aviatico definiva quale area soggetta a vincolo paesaggistico la parte del territorio comunale posto in zona superiore ai 1000 metri slm, indicazione da ritenersi direttamente operativa e vincolante, non avendo il Comune di Aviatico adeguato e conformato il proprio PRG a tale previsione e pertanto oggetto di valutazione di compatibilità ambientale dell’intervento, da parte dello stesso ente competente al rilascio del titolo abilitativo edilizio.
In Aviatico (BG) dal 17 .3.2010 data di inizio dei lavori, accertato il 2 giugno 2010 ed in permanenza.
 
 
TUTTI Capo 2)
 
dei reati previsti e puniti dagli artt. 110 cod. pen. e art. 44 lett. B) e C) D.PR. 6 giugno 2001 n. 380, in relazione all’art. 31 della medesima legge, perché,
– NORIS Eugenio e MERELLI Felicita nella loro qualità di comproprietari dei terreni siti nell’area censita ai mappali n. 1931 e nr. 3878 del catasto comunale di Aviatico, frazione Ganda e committenti dei lavori,
– VESCOVI Carlo in qualità di progettista e direttore dei favori,
– NORIS Roberto in qualità di titolare dell’impresa edile individuale omonima e di esecutore materiale dei lavori,
– FERRARI Giuseppe in qualità di segretario comunale e firmatario dei permessi di costruire,
– VILLARBOITO Michele in qualità di architetto libero professionista e consulente in materia urbanistica ed ambientale incaricato dal Comune di Aviatico per l’istruttoria delle pratiche, -DENTELLAAnselmoStefanoin qualità di Sindaco del Comune di Aviatico dopo che era stata ordinata la sospensione dei lavori con ordinanza emessa dal TAR di Brescia nr. 387/1 O REG. ORD. SOSP emessa il 15 luglio 201 O proseguivano i lavori di completamento di nr. 3 fabbricati ad uso residenziale meglio indicati al capo che precede, eseguiti in assenza di permessi di costruire, in quanto dapprima autorizzati con permesso nr. 3/201O del 15.01.2010 del Comune di Aviatico da ritenersi illegittimo e comunque inefficace, poiché rilasciato in violazione di specifiche disposizioni di legge e comunque atto inefficace in seguito a rinuncia degli interessati e quindi successivamente autorizzati con nuovo permesso di costruire nr. 5/2011 del 10.06.2011 atto illegittimo in violazione di specifiche disposizioni di legge ed annullato dal TAR di Brescia con sentenza nr. 565/2016 REG RIC. del 11.01.2016 come meglio specificato nel capo che precede.
 
In Aviatico (BG) in epoca successiva al 15 luglio 2010 ed accertato l’8.2.2011 in permanenza.
 
 
TUTTI Capo 3)
 
del reato previsto e punito dagli artt. 110 e 734 cod. pen. per avere, in concorso tra loro: 
– NORIS Eugenio e MERELLI Felicita nella loro qualità di comproprietari dei terreni siti nell’area censita ai mappali n. 1931 e nr. 3878 del catasto comunale di Aviatico, frazione Gandae committenti dei lavori,
– VESCOVI Carlo in qualità di progettista e direttore dei favori,
– NORIS Roberto in qualità di titolare dell’impresa edile individuale omonima e di esecutore materiale dei lavori.
– FERRARI Giuseppe in qualità di segretario comunale e firmatario dei permessi di costruire.
– VILLARBOITO Michele in qualità di architetto libero professionista e consulente in materia urbanistica ed ambientale incaricato dal Comune di Aviatico per l’istruttoria delle pratiche.
– DENTELLA Anselmo Stefano in qualità di Sindaco del Comune di Aviatico mediante l’abusiva realizzazione delle opere specificate ai capi che precedono distrutto e alterato le bellezze naturali di luoghi oggetto di speciale protezione dell’autorità ed in particolare per avere effettuata un nuovo intervento edilizio in area di interesse paesaggistico tutelata per legge in quanto ambito “di elevata naturalità” ai sensi dell’art 17 del Piano paesaggistico regionale, atto normativo che confermava, con riferimento alla specifica individuazione delle aree di interesse ambientale ai sensi dell’art. 1 ter L nr. 431/85, le previsioni della Delibera della Giunta regionale nr. 3859 del 10.12.1985 che, per il Comune di Aviatico definiva quale area soggetta a vincolo paesaggistico la parte del territorio comunale posto in zona superiore ai 1000 siti, indicazione da ritenersi direttamente operativa e vincolante, non avendo il Comune di Aviatico adeguato e conformato il proprio PRG a tale previsione, trattandosi di nuovo intervento edilizio che ha comportato una sostanziale modifica dello stato dei luoghi.
 
In Aviatico (BG) accertato il 2 giugno 2010 ed in permanenza.
 
 
TUTTI Capo 4)
 
del reato previsto e punito dagli arti. 110 cod. pen., 181 comma 1 bis lett. A) e B) del D.Lgs 22 -1-2004 nr 42 per avere, in concorso tra loro:
– NORIS Eugenio e MERELLI Felicita nella loro qualità di comproprietari dei terreni siti nell’area censita ai mappali n. 1931 e nr. 3878 del catasto comunale di Aviatico, frazione Ganda e committenti dei lavori,
– VESCOVI Carlo in qualità di progettista e direttore dei favori,
– NORIS Roberto in qualità di titolare dell’impresa edile individuale omonima e di esecutore materiale dei lavori,
– FERRARI Giuseppe in qualità di segretario comunale e firmatario dei permessi di costruire.
– VILLARBOITO Michele in qualità di architetto libero professionista e consulente in materia urbanistica ed ambientale incaricalo dal Comune di Aviatico per l’istruttoria delle pratiche,
– DENTELLA Anselmo Stefano in qualità di Sindaco del Comune di Aviatico,
senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, eseguiti i lavori di cui ai capi che precedono su beni “paesaggistici” ed in particolare per avere realizzato immobili con una volumetria superiore ai mille metri cubi su un’area inedificabile che, per le caratteristiche paesaggistiche è stata dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori e precisamente in area di interesse paesaggistico tutelata per legge in quanto ambito “di elevata naturalità” ai sensi dell’art. 17 del Piano paesaggistico regionale, atto normativo che confermava, con riferimento alla specifica individuazione delle aree di interesse ambientale ai sensi dell’art. 1 ter L nr. 431/85, le previsioni della Delibera della Giunta regionale nr. 3859 del 10.12.1985 che per il Comune di Aviatico definiva quale area soggetta a vincolo paesaggistico la parte del territorio comunale posto in zona superiore ai 1000 slm, indicazione da ritenersi direttamente operativa e vincolante, non avendo il Comune di Aviatico adeguato e conformato il proprio PRG a tale previsione.
 
In Aviatico (BG) in epoca successiva al 15 luglio 2010 ed accertato l’8.2.2011 in permanenza 
 
FERRARI Giuseppe. VILLARBOITO Michele. DENTELLA Anselmo Stefano
 
 
Capo 5)
 
del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv, 11 O e 323 cod. pen. perché , in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,nella loro qualità di pubblici uffciali, nello svolgimento delle loro funzioni:
– Ferrari Giuseppe in qualità di segretario comunale e firmatario dei permessi di costruire.
– Villarboito Michele in qualità di architetto libero professionista e consulente in materia urbanistica ed ambientale incaricato dal Comune di Aviatico per l’istruttoria delle pratiche.
– Dentella Anselmo Stefano in qualità di Sindaco del Comune di Aviatico (BG) istruivano le pratiche per il rilascio dei permessi di costruire nr. 3/2010 del 15.01.2010 e nr. 5/20 11 del 10.06.2011 rilasciati dal Comune di Aviatico ed effettivamente tutti apportavano un rilevante contributo causale al rilascio degli stessi, atti macroscopicamente illegittimi in violazione di norme di legge, come meglio specificato nei capi che precedono, con l’esclusivo ed intenzionale fine di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale ai beneficiari Noris Eugenio, Merelli Felicita,Noris Roberto, Noris Gianfranco e Noris Mara consistito nella realizzazione in area inedificabile e sottoposta a vincolo paesaggistico degli Immobili di cui ai capi che precedono, senza effettuare in occasione del rilascio del primo permesso un’adeguata istruttoria della pratica (in particolare modo in merito alla sussistenza della qualifica di imprenditore agricolo di Noris Eugenio, sulle caratteristiche dell’Impresa agricola, sull’effettività delle prestazioni lavorative effettuate dai quattro figli degli indagati, non coadiuvanti né dipendenti dell’azienda, a favore dell’azienda agricola, sull’impossibilità di soddisfare altrimenti le esigenze abitative, nonché sotto il profilo della necessità della valutazione paesaggistica) e quindi, in occasione del rilascio del secondo permesso, nel avere volutamente sanato i vizi del precedente permesso,solo implicitamente annullando il primo permesso ed effettuando una nuova e parimenti inadeguata istruttoria della pratica, (consentendola produzione di nuova documentazione attestante il sopravvento requisito di imprenditore agricolo successivamente acquisito, sulle caratteristiche dell’impresa agricola, sull’effettività delle prestazioni lavorative effettuate dai quattro figli degli indagati, non coadiuvanti né dipendenti dell’azienda,a favore dell’azienda agricola, sull’impossibilità di soddisfare altrimenti le esigenze abitative, sulla necessità della valutazione paesaggistica) cosi rilasciando di fatto “una concessione in sanatoria” illegittima ed in particolare l’architetto Villarboito rilasciava il parere 04.02.2011 avente palese contenuto tautologico ed attestante fatti difformi dal vero, nonché Dentella Anselmo ometteva di disporre alcun approfondimento istruttorio e di emettere ordinanze di provvisoria sospensione dei lavori. 
 
In Aviatico (BC) in epoca antecedente e prossima al 15.01.2010 e al 10.06.2011 ed in epoca successiva.
 
DENTELLA Anselmo Stefano
 
 
Capo 6)
 
del reato p. e p. dall’art. 328 Il comma cod. pen., in relazione art. 27 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 80, perché, nonostante la diffida scritta inviata in data 02.03.2012 dal WWF di Bergamo ed espressamente rivolta al Sindaco di Aviatico con la quale veniva richiesto di emettere ordinanza di sospensione dei lavori, in esecuzione della sentenza del TAR di Brescia nr. 565/201 REG RIC. del 11.01.2012, con la quale era stato dichiarato l’annullamento del permesso di costruire nr. 5/2011 del 10.06.2011, in relazione agli immobili di cui ai capi che precedono, non prowedeva in merito all’istanza entro trenta giorni dalla richiesta,né rispondeva per esporre le ragioni del ritardo.
 
Fatto accertato in Aviatico (BG) il 02.04.2012
 
 
3. Avverso la decisione della Corte di appello propongono dunque ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello, nonché la parte civile e gli imputati tramite i rispettivi difensori di fiducia (Felicita MERELLI e Roberto NORIS anche personalmente), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
 
 
4. Ricorso congiunto di Felicita MERELLI e Roberto NORIS a firma Avv. Fedora Rota
 
 
4.1 Con il primo motivo di ricorso deducono l’erronea applicazione della legge regionale della Lombardia n. 12\2005 (art. 59, commi 1 e 2) e l’eccesso di potere da parte della Corte territoriale, osservando che la liceità del permesso di costruire sarebbe stata definitivamente accertata dal giudice amministrativo, innanzi al quale tale questione era stata dedotta e decisa, con la conseguenza che al giudice penale sarebbe stata preclusa ogni diversa statuizione, sicché la Corte territoriale non avrebbe potuto valutare, come in effetti ha fatto, la legittimità del titolo abilitativo già riconosciuta dal giudicato amministrativo.
 
Osservano che il giudice amministrativo si sarebbe anche definitivamente pronunciato sulla questione concernente l’onere di riconversione degli edifici esistenti, che la Corte di appello ha preso in considerazione al fine di ritenere l’insussistenza del requisito della insufficienza del patrimonio edilizio esistente a soddisfare le esigenze abitative dei tre figli in relazione all’esistenza, nell’edificio e). di due appartamenti non ultimati, aventi, contrariamente a quanto rilevato nella sentenza impugnata, destinazione ricettizia e produttiva.
 
Aggiungono che i giudici dell’appello sarebbero incorsi nella violazione di legge denunciata anche in relazione alla valutazione del mancato rispetto dei limiti di edificabilità, relativamente: alla individuazione della normativa applicabile nella fattispecie; alla qualificazione della tipologia di coltivazione del terreno agricolo (prato permanente o prato-pascolo); alla superficie considerata ed alla valutazione del patrimonio edilizio esistente, prendendo in considerazione esclusivamente le argomentazioni sviluppate dal perito del Tribunale ed ignorando quelle dei consulenti tecnici di parte.
 
 
4.2 Con il secondo motivo di ricorso lamentano, sempre in relazione alla contestazione di cui al capo 1) della rubrica, la violazione dell’art. 44, lett. b) d.P.R. 380\01, poiché la Corte di appello avrebbe pronunciato condanna considerando l’assenza del permesso di costruire in ragione della ritenuta illegittimità dello stesso, mentre la violazione di una norma regolamentare comunale avrebbe invece imposto la collocazione della condotta entro la fattispecie astratta delineata dalle lettera a) del menzionato articolo 44.
 
Fanno anche rilevare, a tale proposito, la manifesta incongruenza tra l’affermazione della loro penale responsabilità per le violazioni edilizie in concorso con il pubblico ufficiale che aveva rilasciato il permesso ritenuto illegittimo escludendo, invece, il concorso nel reato di abuso d’ufficio a quest’ultimo contestato.
 
 
4.3 Con il terzo motivo di ricorso lamentano, sempre in relazione alla violazione edilizia, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, considerato l’affidamento incolpevole indotto dall’esistenza dell’atto amministrativo, del quale avrebbe dovuto presumersi la legittimità. 
 
Fanno inoltre presente di essersi affidati, per la definizione della pratica edilizia, a due professionisti del settore, un geometra ed un agronomo ed evidenziano l’estremo tecnicismo della materia specifica posto in luce anche dalle diverse interpretazioni della normativa applicata nel caso in esame emerse nel corso del giudizio.
 
 
4.4 Con il guarto motivo di ricorso lamentano la violazione dell’art. 734 cod. pen., ponendo in dubbio la correttezza delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici dell’appello in relazione all’esistenza del vincolo paesaggistico sull’area interessata dagli interventi edilizi e sulla qualificazione dell’area medesima come di notevole interesse pubblico, circostanza esclusa, invece, nel giudizio di primo grado e in un parere espresso dalla Regione Lombardia su richiesta dell’amministrazione comunale formulata prima del rilascio dei permessi di costruire.
 
 
4.5 Con il quinto motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione e l’inosservanza di norme processuali, rilevando come, nel giudizio di primo grado, tutti gli imputati erano stati assolti dal reato edilizio e da quello paesaggistico. La Corte di appello, considerata l’impugnazione del Pubblico Ministero, avrebbe però condannato per tali reati soltanto gli odierni ricorrenti, senza nulla disporre sulla posizione degli altri originari concorrenti (Giuseppe FERRARI, segretario comunale e Anselmo Stefano DENTELLA, Sindaco del Comune di Aviatico), rispetto ai quali dovrebbe ritenersi confermata l’assoluzione per insussistenza del fatto, come desumibile dalla formula di chiusura “conferma nel resto” presente nel dispositivo della sentenza di appello.
 
Tale evenienza, secondo i ricorrenti, evidenzierebbe la illogicità della motivazione.
 
 
4.6 Con il sesto motivo di ricorso lamentano, con riferimento alla posizione di Felicita MERELLI, la violazione dell’art. 163 cod. pen., facendo osservare che costei non aveva mai richiesto la sospensione condizionale della pena, per fruire della quale dovrebbe demolire i beni di sua proprietà, laddove ben potrebbe rinunciare al beneficio per fruire di una pena sostitutiva non detentiva.
 
 
5. Ricorso di Roberto NORIS
 
 
5.1. Il ricorso, presentato personalmente, propone, nei cinque motivi di impugnazione, le medesime argomentazioni sviluppate nei primi cinque motivi del ricorso proposto congiuntamente a Felicita MARELLI
 
 
6. Ricorso di Felicita MERELLI
 
 
6.1. Il ricorso, presentato personalmente, propone, nei sei motivi di impugnazione, le medesime argomentazioni sviluppate nei motivi del ricorso proposto congiuntamente a Roberto NORIS
 
 
7. Ricorso di Michele VILLARBOITO
 
 
7.1. Nel primo motivo di ricorso. concernente il capo 1) dell’imputazione, viene dedotto l’eccesso di potere e l’erronea applicazione dell’art. 59 della legge regionale 12/2005.
 
Richiamato l’iter amministrativo che aveva preceduto il rilascio dei permessi di costruire, rileva come la legittimità di tali atti amministrativi sarebbe stata definitivamente accertata dal giudice amministrativo senza che, tuttavia, la Corte territoriale ne tenesse conto, eccedendo, così, dal proprio potere di accertamento e fondando la propria valutazione di illegittimità sulla base di una relazione 4 febbraio 2011, relativa al patrimonio edilizio esistente che egli aveva redatto e che il giudice amministrativo aveva ritenuto idonea a dimostrare il requisito oggettivo della insufficienza del patrimonio suddetto a soddisfare le esigenze abitative.
 
Ciò posto, esamina nel dettaglio le affermazioni della Corte di appello in ordine alla capacità edificatoria del terreno e sull’omesso esame di impatto paesistico che i giudici del gravame avrebbero effettuato sulla base delle conclusioni formulate dal perito di ufficio, che il Tribunale aveva sostanzialmente disatteso, senza porsi il problema della effettiva competenza dello stesso in materia agro-silvo-pastorale.
 
Aggiunge che egli era comunque estraneo alla Commissione comunale, rispetto alla quale aveva solo l’onere di trasmettere il documento predisposto dal progettista, senza alcun dovere di esprimersi nel merito dell’esame paesistico.
 
Fa inoltre presente che, eventualmente, l’affermazione di responsabilità per il reato urbanistico avrebbe dovuto riguardare la violazione della lettera a) dell’art. 44 d.PR. 380\01, trattandosi non tanto di mancanza di titolo abilitativo, quanto, piuttosto, di violazione degli strumenti urbanistici.
 
 
7.2. Con il secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione e la erronea applicazione dell’art. 15 delle Norme tecniche di Attuazione, nonché degli articoli 59 e 60 in relazione all’art. 61, comma 1-bis della legge regionale 12/2005, che analizza nel dettaglio, censurando le conclusioni cui era pervenuto il perito di ufficio.
 
 
7.3 Con il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 734 cod. pen., rilevando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza del vincolo paesaggistico ed il riconoscimento di notevole interesse pubblico dell’area ove insistono le opere oggetto di contestazione.
 
A tale proposito richiama le osservazioni riportate nella consulenza tecnica ed il parere espresso sul tema dalla Regione Lombardia e pone in rilevo la singolarità del fatto che egli, mero consulente dell’amministrazione comunale, sia stato condannato, mentre dagli stessi reati sono stati assolti il sindaco ed i segretario comunale, cui andavano invece riferiti gli atti e le valutazioni che i giudici dell’appello hanno ritenuto meritevoli di censura.
 
 
7.4. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 323 cod. pen., in relazione al capo 5) dell’imputazione, ponendo in dubbio la propria qualifica di pubblico ufficiale, ed evidenziando come le palesi illegittimità dell’atto concessorio ritenute dalla Corte di appello sarebbero state invece escluse dal giudice amministrativo e sarebbero inesistenti sulla base della diversa interpretazione dell’art. 15 delle NTA prospettata in ricorso. 
 
 
8. Ricorso di Carlo VESCOVI
 
 
8.1. Con l’unico motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione, osservando come la sua posizione è quella di mero progettista, incaricato di redigere un progetto, effettuando una valutazione sulla fattibilità dell’opera non vincolante per la pubblica amministrazione che può accogliere o respingere il progetto.
 
Tale valutazione, osserva, attiene peraltro a questioni controverse, sulle quali i consulenti intervenuti nel processo hanno espresso teorie del tutto opposte e che avevano indotto l’amministrazione comunale a richiedere un parere giuridico ad un avvocato esperto del settore, il quale aveva concluso per la sussistenza dei presupposti per il rilascio del titolo abilitativo, determinando anche un articolato contenzioso in sede amministrativa.
 
 
9. Ricorso della parte civile WWF-Italia
 
 
9.1. Con un unico motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 185, comma 2 cod. pen. per avere la Corte di appello limitato il risarcimento del danno al reato di cui al capo 3 della rubrica, senza considerare che l’associazione, a mente dell’art. 4 del suo statuto, persegue, tra l’altro, “fa lotta all’inquinamento, allo spreco ed all’uso irrazionale delle risorse naturali, del territorio e dell’energia”.
 
Osserva, a tale proposito, che il procedimento penale aveva tratto origine proprio dagli esposti presentati da presidente del comitato “WWF Bergamo” e che i reati contestati agli imputati avrebbero non solo causato un danno al territorio ed all’ambiente, ma anche vanificato l’azione di tutela ambientale svolta dal WWF-Italia e dalle sue articolazioni locali.
 
Rileva, poi, che anche le violazioni edilizie possono arrecare pregiudizio all’ambiente e che il diritto al risarcimento del danno deriverebbe anche da reati commessi in occasione o con la finalità di violare norme preordinate alla tutela dell’ambiente o del territorio. 
 
 
10. Ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello
 
 
10.1 Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 31 d.P.R. 380\01 per non avere la Corte di appello disposto la demolizione delle opere edilizie abusive come stabilito dal comma 9 della citata disposizione.
 
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. I ricorsi degli imputati Felicita MERELLI e Roberto NORIS sono infondati;
 
sono inammissibili quelli degli altri imputati.
 
Risultano invece meritevoli di accoglimento, perché fondati, quelli della parte civile e del Procuratore Generale presso la Corte di appello.
 
 
2. Va premesso che, all’odierna udienza alcuni difensori facevano pervenire dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze proclamata dall’Unione camere penali e che il Collegio, rilevato che per le violazioni di natura contravvenzionale oggetto di contestazione il termine massimo di prescrizione, considerati i periodi di sospensione, andrebbe a maturare entro i novanta giorni dalla data dell’udienza, considerato quanto disposto dall’art. 4 del codice di autoregolamentazione, ha disposto la trattazione del procedimento.
 
Va altresì premesso che al fine di una ordinata analisi dei motivi di ricorso, pare opportuno procedere ad esaminare le singole impugnazioni e, al fine di evitare inutili ripetizioni, le questioni già trattate in precedenza verranno semplicemente richiamate.
 
 
3. Ricorsi di Felicita MERELLI e Roberto NORIS
 
Stante la sostanziale identità di contenuti, possono essere presi in esame unitariamente tanto il ricorso proposto congiuntamente, a firma Avv. Fedora Rota, quanto i due ricorsi presentati personalmente dagli imputati.
 
 
3.1 Nel primo motivo di ricorso vengono prospettate, preliminarmente, due questioni di diritto che assumono determinante rilievo ai fini della presente decisione e che attengono ai limiti del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo illegittimo e sui limiti che a tale sindacato oppone il giudicato amministrativo.
 
Nella fattispecie in esame, infatti, è contestata la illiceità dell’intervento edilizio perché eseguito sulla base di un titolo abilitativo ritenuto illegittimo ed inefficace in ragione di quanto dettagliatamente descritto nel capo di imputazione riprodotto in premessa, ma l’intervento del giudice amministrativo, con la pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 5941 del 23/11 /2012), avrebbe definitivamente riconosciuto, secondo l’assunto difensivo, la legittimità del titolo conseguito per l’esecuzione delle opere, sottraendo conseguentemente al giudice penale ogni ulteriore valutazione.
 
Di ciò, sempre secondo i ricorrenti, non avrebbero tenuto conto i giudici del gravame, incorrendo così nella violazione di legge denunciata.
 
 
3.2 Date tali premesse, osserva il Collegio che la questione del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo è stata oggetto, nel corso degli anni, di plurime pronunce di questa Corte, delle quali danno diffusamente atto anche i ricorrenti e la Corte territoriale nella sentenza impugnata.
 
La questione è stata peraltro presa in esame anche recentemente da questa Corte (Sez. 3, n. 12389 del 21 /2/2017, Minasi, non ancora massimata) con argomentazioni che appare opportuno riproporre pressoché testualmente anche in questa occasione perché ritenute esaustive ai fini della presente decisione.
 
La menzionata decisione ha, in primo luogo, ricordato come, in passato, l’argomento sia stato affrontato, in due diverse occasioni, dal le Sezioni Unite, con le note sentenze “Giordano” (Sez. U, n. 3 del 31 /1 /1987, Giordano, Rv. 17511501) e “Borqia” (Sez. U, n. 11635 del 12/11 /1993, P.M. in proc. Borgia ed altri, Rv. 19535901), delle quali viene fatta menzione anche nella decisione impugnata e in ricorso.
 
Ricorda poi la sentenza “Minosi” come, con la prima pronuncia, le Sezioni Unite avessero escluso che il giudice penale abbia, in base a quanto disposto dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che non comportano una lesione dei diritti soggettivi, ma rinnovano un ostacolo al loro libero esercizio (nulla osta, autorizzazioni) o addirittura li costituiscono, a meno che tale potere non trovi fondamento e giustificazione o in una esplicita previsione legislativa, ovvero, nell’ambito dell’interpretazione della norma penale qualora l’illegittimità dell’atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa, giungendo, così, alla conclusione che il reato di costruzione in assenza della concessione (nel caso esaminato, quello allora sanzionato dall’art. 17 lett. 8 della legge 28 gennaio 1977 n. 10) non sia configurabile nel caso di illegittima concessione rilasciata prima dello inizio dei lavori e rilevando che si verterebbe, invece, in ipotesi di assenza dell’atto non solo quando l’atto in questione sia stato emesso da organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non sia riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri.
 
La seconda pronuncia delle Sezioni Unite – la quale faceva seguito ad una diversa presa di posizione, giustificata dalla necessità di una nuova valutazione della questione alla luce della legge 47\1985 (Sez. 3, n. 2766 del 9/1/1989, Bisceglia, Rv. 18241101) e ad una pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost. ord. 288 del 14/611990), che invece ribadiva quanto affermato dalle Sezioni Unite “Giordano” – chiariva che il reato di cui all’art. 20, comma primo, lett. a) dell’allora vigente legge 28 febbraio 1985, n. 47, era configurabile nel caso di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia, costituito dalle prescrizioni della concessione edilizia, richiamata dalla norma penale ad integrazione descrittiva della fattispecie penale, nonché dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, ed, in quanto applicabili, da quelle della stessa legge. 
 
Date tali premesse, le SS.UU. escludevano che sussistendo difformità dell’opera edilizia rispetto agli strumenti normativi urbanistici, ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, il giudice penale dovrebbe comunque concludere per la mancanza di illiceità penale nel caso in cui sia stata rilasciata la concessione edilizia, osservando che la concessione non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato, con la conseguenza che, in tali ipotesi, non si configura una non consentita “disapplicazione” da parte del giudice penale dell’atto amministrativo concessorio, bensì l’esercizio, da parte del giudice penale, della potestà, attribuitagli dalla legge, di procedere ad un’identificazione in concreto della fattispecie sanzionata.
 
Sulla scia della sentenza “Borqia”, dunque, la giurisprudenza di questa Corte è successivamente giunta alla condivisibile conclusione che l’attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell’elemento normativo della fatti specie e non nel disapplicare l’atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A..
 
Nella citata sentenza “Minosi” si ricorda anche come, nelle successive pronunce. il principio da ultimo affermato dalle Sezioni Unite sia stato oggetto di ulteriori puntualizzazioni.
 
Viene infatti rilevato che esso è stato ribadito dalle stesse Sezioni Unite con riferimento alla lottizzazione abusiva (Sez. U, n. 5115 del 28/11 /2001 (dep.2002), Salvini, Rv. 22070801) e che, successivamente, si è chiarito, ad esempio. dopo un’accurata disamina della evoluzione giurisprudenziale sul tema, che la “macroscopica illegittimità” del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un’ipotesi di reato ex art. 44 d.P.R. 380\01, mentre, a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell’amministrazione, l’accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all’apprezzamento della colpa (Sez. 3, n. 21487 del 21 /3/2006, P.M. in proc. Tantillo e altro, Rv. 23446901 ), 
specificando pure che la non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell’amministrazione, ma anche nelle ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge, o in quella di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere (Sez. 3, n. 40425 del 28/9/2006, Consiglio, Rv. 23703801).
 
Ricordando, poi, come anche le pronunce successive siano pervenute a conclusioni analoghe (v., ad es., Sez. 3, n. 41620 del 2/10/2007, Emelino, Rv. 23799501; Sez. 3, n. 28225 del 09/05/2008, Di Stefano, non massimata; Sez. 3, n. 35389 del 27/06/2008, Gallo, non massimata; Sez. 3, n. 9177 del 13/01 /2009, Corvino, non massimata; Sez. 3, n. 14504 del 20/1/2009, Sansebastiano e altri, Rv. 24347401, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 34809 del 2/7 /2009, Giombini e altro, non massimata; Sez. 3, n. 35391 del 14/7 /201 O, Di Domenico, non massimata; Sez. 3, n. 28545 del 16/2/2012, Cinti, non massimata; Sez. 3, n. 37847 del 14/5/2013, Sorini, Rv. 25697101; Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Faiola, Rv. 26503401) si fa rilevare che altre successive decisioni (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014 (dep. 2015), Cervino e altri, Rv. 26391601, richiamata anche da Sez. 3, n. 52861 del 14/07 /2016, Gnudi, non massimata) solo apparentemente sembrano discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale richiamato.
 
La sentenza 7423\2015, prendendo in esame le censure di costituzionalità della fattispecie penale ipotizzata per asserito contrasto con l’art. 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost., le ha disattese sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni applicate e, richiamando parte delle pronunce succedutesi nel tempo in materia di illegittimità del permesso di costruire ed abuso edilizio, è giunta alla conclusione che, ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in “assenza” di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o  viziato da illegittimità macroscopica, tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante.
 
Precisa a tale proposito la più volte citata sentenza “Minasi” che tali affermazioni, per come formulate, potrebbero prestarsi ad una lettura ritenuta indicativa di una inversione dell’ormai lineare percorso interpretativo tracciato dalla giurisprudenza nel corso degli anni, ma che così certamente non può essere, perché, altrimenti, la suddetta decisione non avrebbe potuto fare a meno di prendere esplicitamente le distanze dai principi affermati con la sentenza “Borqia” delle Sezioni Unite, successivamente ribaditi nella sentenza “Salvini”, nonché dalle pronunce che ai medesimi principi hanno dato ulteriore continuità.
 
Ciò che invece si comprende chiaramente nella sentenza 7423/2015, aggiunge, è che si è voluto escludere ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico, eliminando così il rischio, paventato nella prospettata questione di legittimità costituzionale, di una irragionevole equiparazione interpretativa “in malam partem” tra mancanza “ab origine” dell’atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata “ex post”, sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole.
 
Viene inoltre dato atto che anche la successiva sentenza “Gnudi”, ove, dopo un richiamo al principio affermato, si è rinvenuta la macroscopica illegittimità di un articolo delle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico, rilevante nella definizione del caso preso in esame, sembra orientata nello stesso senso.
 
La sentenza “Minasi” rileva, quindi, che le pronunce che si richiamano alla sentenza “Borqia” e le stesse Sezioni Unite non hanno mai dato adito ad equivoche amplificazioni degli effetti dei principi affermati ed asserisce come, nell’individuare le situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non possa non farsi riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente.
 
Ne consegue che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato.
 
Ricorda, infine, la richiamata sentenza, che a conclusioni analoghe la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta anche per ciò che concerne i provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, osservando come il mancato effetto estintivo non sia riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 23080 del 16/04/2008, Proietti, non massimata; conf. Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Papa, Rv. 24072801; Sez. 3, n. 12869 del 5/2/2009, Fulginiti, non massimata; Sez. 3, n. 27948 del 10/6/2009, Sabbatini, non massimata; Sez. III n. 31479, 29 luglio 2008).
 
I principi sopra richiamati, da ultimo riproposti nella sentenza “Minosi” sono ovviamente pienamente condivisi dal Collegio perché delineano in modo chiaro l’ambito il potere del giudice penale rispetto al provvedimento amministrativo.
 
 
3.3 Un ulteriore limite, che i ricorrenti pongono maggiormente in evidenza e che la Corte di appello, come si dirà, non ha mancato di considerare, è quello posto dal giudicato amministrativo.
 
Questa Corte ha, infatti, affermato che al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale solo nel caso in cui sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo e che tale preclusione non si estende, però, ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 1, n. 11596 del 11/1/2011, P.G. in proc. Keller, Rv. 249871).
 
Si osservava infatti in quell’occasione che, sebbene le pronunce definitive del giudice amministrativo costituiscano un limite al potere del giudice penale di valutare la legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale (si richiamava, a tale proposito, Sez. 3, n. 54 del 11/1/1996, Ciaburri, Rv. 204622, ma si vedano anche Sez. 3, n. 1894 del 14/12/2006 (dep.2007), P.M. in proc. Bruno e altro, Rv. 23564401, che a sua volta richiama Sez. 3, n. 39707 del 5/6/2003, Lubrano di Scorpianello, Rv. 22659201, nonché Sez. 2, n. 50189 del 9/12/2015, Comune Di Golfo Aranci e altri, Rv. 26541601 ), deve comunque considerarsi l’autonomia della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa e la assoluta rilevanza ed inderogabilità del potere del giudice ordinario dell’atto amministrativo illegittimo, con la conseguenza che l’effetto preclusivo resta confinato ai casi in cui un provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo passato in giudicato abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell’atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale, richiamando, per le diverse ipotesi, quanto già affermato in materia di processo esecutivo, sulla esclusiva rilevanza del giudicato amministrativo rispetto alle questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche a quelle deducibili (richiamandosi, su tale specifico punto, Sez. 1, n. 30496 del 3/6/2010, Nicolini, Rv. 248319).
 
Tali conclusioni sono state ribadite in una successiva pronuncia (Sez. 4, n. 46471 del 20/9/2012, P.M. in proc. Valentini e altro, Rv. 253919), dando atto di un orientamento, ritenuto ormai consolidato, il quale considera la vincolatività solo tendenziale del giudicato amministrativo nel processo penale, come peraltro ribadito in una ancor più recente decisione di questa Sezione (Sez. 3, n. 44077 del 18/7/2014, Scotto Di Clemente, Rv. 260612).
 
Successivamente, i principi affermati nelle pronunce appena ricordate sono stati nuovamente affermati, ponendo in evidenza come non possa spiegare alcun effetto nel procedimento penale una valutazione effettuata dal giudice amministrativo con riferimento a situazioni che, sebbene analoghe, abbiano comunque riguardato soggetti e circostanze diverse (Sez. 3, n. 30171 del 04/06/2015, P.M. in proc. Serafini, Rv. 26439301, non massimata sul punto) ovvero che abbia riguardato la sospensione cautelare del provvedimento presupposto del reato (Sez. 3, n. 3538 del 18/11/2015 (dep. 2016), Morra, Rv. 26608301). 
 
 
3.4 Anche tali principi sono condivisi dal Collegio e degli stessi risulta aver debitamente tenuto conto la Corte territoriale nell’assumere la decisione impugnata.
 
In particolare, i giudici dell’appello hanno preso in esame i contenuti della sentenza 5941/2012 del Consiglio di Stato e, alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, hanno ritenuto sottratta alla propria valutazione la questione concernente la qualifica di imprenditore agricolo in capo a Eugenio NORIS di cui al capo 1 dell’imputazione, mentre hanno valutato come non toccate dal giudicato quelle riguardanti l’indice di densità fondiaria applicato nel calcolo della volumetria edificabile (capo 1, punto 3 dell’imputazione) in quanto non dedotta innanzi al giudice amministrativo e quella relativa alla sufficienza o meno del patrimonio edilizio esistente.
 
Tale ultimo aspetto è quello che viene indicato in ricorso quale indicativo della dedotta violazione, da parte dei giudici dell’appello, dei limiti imposti dal giudicato amministrativo.
 
La Corte di appello ha però correttamente indicato le ragioni per le quali la preclusione non doveva ritenersi operante.
 
In particolare, nella sentenza impugnata viene fatto presente che la decisione del giudice amministrativo era fondata su una documentazione grafica e fotografica incompleta, prodotta dalle parti, che non rappresentava compiutamente la reale consistenza del patrimonio edilizio esistente nell’azienda agricola, circostanza emersa solo in occasione del processo penale.
 
Sulla base di tale presupposto di fatto, la Corte territoriale ha ritenuto che non le fosse precluso l’esame della questione.
 
 
3.5 Ritiene il Collegio che quanto affermato dai giudici del merito sia corretto, perché non può considerarsi ostativo alla valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo presupposto del reato il giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta o che, comunque, si è fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o, addirittura, non rispondenti al vero. 
 
Se, infatti, ciò che rileva, sulla base dei principi dianzi richiamati, è la piena cognizione della questione trattata da parte del giudice amministrativo e la effettiva decisione sulla legittimità dell’atto amministrativo presupposto del reato, tali evenienze non possono ritenersi verificate quando la decisione sia stata assunta disponendo di dati inesatti o incompleti.
 
Ciò, ovviamente, quando la situazione che libera il giudice penale dall’ostacolo opposto dal giudicato amministrativo non sia conseguenza di mere valutazioni personali ma risulti da un dato obiettivo preesistente e sconosciuto al giudice amministrativo o sopravvenuto.
 
Ritenendo, invece, che il giudice penale sia in ogni caso vincolato dal giudicato amministrativo, si perverrebbe alla singolare situazione per cui, pur nella consapevolezza che la ritenuta legittimità del provvedimento amministrativo sia da escludere sulla base di elementi fattuali obiettivamente significativi, egli debba comunque ritenere insussistente un reato che nel processo penale risulta pacificamente accertato.
 
 
3.6 Nel caso di specie, il giudice amministrativo ha ritenuto valida, a differenza del TAR che l’aveva qualificata come generica ed apodittica, una relazione tecnica datata 4 febbraio 2011, che faceva rinvio a quanto rappresentato dai richiedenti attraverso la documentazione grafica e fotografica allegata al progetto.
 
La Corte di appello, richiamando non soltanto le considerazioni del perito che aveva esaminato i luoghi in contraddittorio con i consulenti di parte, ma anche fotografie e dichiarazioni testimoniali, ha ritenuto accertata la presenza, all’interno dell’azienda dei ricorrenti, di locali per complessivi 572,81 metri cubi, costituiti da due alloggi al rustico con destinazione residenziale, non indicati nella relazione redatta da un agronomo, su incarico della famiglia NORIS MERELLI, per fornire precisazioni sulla dotazione immobiliare della famiglia in relazione al punto relativo al patrimonio edilizio richiamato dall’art. 59, comma 2 della legge regionale 12/2005, né, tanto meno, nella relazione del tecnico VILLARBOITO, che i ricorrenti individuano (pag. 11 del ricorso a firma Avv. Fedora Rota) come quella ritenuta “pienamente esaustiva” dal Consiglio di Stato. 
 
La questione assumeva rilevanza in quanto la richiamata disposizione regionale consente la costruzione di nuovi edifici residenziali di cui al comma 1 (residenze dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda) qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente.
 
In sostanza, la Corte territoriale ha ritenuto, sulla base di tale dato fattuale, sconosciuto al giudice amministrativo, che tali manufatti preesistenti potessero sopperire alle esigenze abitative dell’azienda, ponendo peraltro diffusamente in evidenza le ragioni del proprio convincimento con riferimenti specifici alle emergenze processuali, dando infine esplicitamente atto che al giudice amministrativo era stata sottoposta una falsa rappresentazione dei luoghi, emersa solo nel corso del processo penale.
 
A fronte di ciò, i ricorrenti oppongono una lettura alternativa di tali emergenze processuali che non può però trovare ingresso in questa sede di legittimità.
 
 
3.7 Altrettanto avviene con riferimento alla seconda questione presa in esame dalla sentenza impugnata e relativa alla valutazione del rispetto dei limiti di edificabilità.
 
Va detto, a tale proposito, che sul punto la Corte territoriale si diffonde in una complessa analisi, ancora una volta sulla base delle risultanze processuali, tenendo conto degli esiti della perizia di ufficio disposta dal primo giudice e delle osservazioni dei consulenti di parte.
 
Osserva a tale proposito, come il primo giudice abbia del tutto omesso di pronunciarsi sugli esiti di tale accertamento peritale, limitandosi a dare atto del contrasto, peraltro fisiologico, tra le opinioni dei diversi tecnici intervenuti.
 
La prima censura che muovono i ricorrenti alle conclusioni dei giudici dell’appello riguarda la interpretazione dell’art. 59 della legge regionale 12/2005 in relazione alla individuazione degli indici di densità fondiaria.
 
L’articolo in questione stabilisce, per quel che qui rileva, che “I relativi indici di densità fondiaria per le abitazioni dell’imprenditore agricolo non possono superare i seguenti limiti: 
a) 0,06 metri cubi per metro quadrato su terreni a coltura orto-floro-vivaistica specializzata;
b) 0,01 metri cubi per metro quadrato, per un massimo di cinquecento metri cubi per azienda, su terreni a bosco, a coltivazione industriale del legno, a pascolo o a prato-pascolo permanente;
c) 0,03 metri cubi per metro quadrato sugli altri terreni agricoli (comma 3)
 
Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma 1, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici; esse comunque non possono superare il rapporto di copertura del 10 per cento dell’intera superficie aziendale, salvo che per le aziende orto-floro- vivaistiche per le quali tale rapporto non può superare il 20 per cento e per le serre fisse per le quali tale rapporto non può superare il 40 per cento della predetta superficie; le tipologie costruttive devono essere congruenti al paesaggio rurale (comma 4).
 
Per le aziende esistenti alla data di prima approvazione del PGT, i parametri di cui ai commi 3 e 4 sono incrementati del 20 per cento (comma 4-bis).
 
Al fine di tale computo è ammessa l’utilizzazione di tutti gli appezzamenti, anche non contigui, componenti l’azienda, compresi quelli esistenti su terreni di comuni contermini (comma 5)”
 
L’articolo 61 della medesima legge stabilisce, poi, che “le disposizioni degli articoli 59 e 60 sono immediatamente prevalenti sulle norme e sulle previsioni del PGT e dei regolamenti edifizi e di igiene comunali che risultino in contrasto con le stesse”.
 
Secondo quanto condivisibilmente osservato dalla giurisprudenza amministrativa, senza peraltro ritenere significativa o meno la preesistenza dello strumento urbanistico rispetto alla legge regionale, l’art. 61, impedisce alle norme di piano di consentire in area agricola anche l’edificazione di manufatti extra agricoli (o di superare i limiti di densità fondiaria previsti dall’art. 59, co. 3, 1.r. 12/05), ma non impedisce alle norme di piano di prevedere limiti (di tipologia o di cubatura) anche all’edificazione di manufatti destinati all’esercizio dell’attività agricola (così T.A.R. Lombardia (Brescia), Sez. I, n. 1171 del 4/6/2009. Conf. TAR Lombardia (Milano) Sez. Il n.4749 del 29/9/2009, citata anche nella sentenza impugnata; TAR Lombardia (Brescia) Sez. I n. 1 del 8/1 /2009).
 
 
3.8 Risulta dunque corretta la lettura effettuata dalla Corte territoriale laddove riconosce l’applicabilità del limite di densità pari a 0,01 metri cubi per metro quadrato imposto dall’art. 15 delle NTA del PRG del Comune di Aviatico (peraltro corrispondente a quello indicato nell’art. 59, comma 3, lett. b) della l.r. 12\2005), perché maggiorente aderente al tenore letterale delle richiamate disposizioni regionali.
 
Tale questione, tuttavia, assume, alla luce delle ulteriori considerazioni sviluppate nella sentenza impugnata, scarsa rilevanza, poiché, ancora una volta sulla base delle emergenze processuali, i giudici del gravame hanno posto in evidenza, come, anche applicando il diverso indice di densità fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadrato, tale limite risulterebbe superato nel caso in esame.
 
Il diverso indice applicabile dipende, come risulta dal richiamato art. 59, comma 3, dalla tipologia dell’area, riguardando la lettera b) – che stabilisce, come si è detto, l’indice di 0,01 metri cubi per metro quadrato – i terreni a bosco, a coltivazione industriale del legno, a pascolo o a prato-pascolo permanente, mentre la lettera e), che fissa il diverso indice di 0,03 metri cubi per metro quadrato, riguarda tutti gli altri terreni agricoli, ponendosi quindi la questione della collocazione dei terreni su cui insistono le opere ritenute abusive all’una o all’altra categoria.
 
Le argomentazioni sviluppate sul punto nei ricorsi appaiono, pertanto, prive di consistenza ed, in ogni caso, articolate in fatto, così come quelle con le quali si censura la valutazione del patrimonio edilizio esistente ai fini del secondo comma dell’art. 59 l.r. 12\2005, il quale stabilisce che la costruzione di nuovi edifici residenziali è ammessa qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente.
 
Anche in questo caso la Corte di appello sviluppa un articolato ragionamento, con puntuali richiami agli atti del processo, che non presenta alcun cedimento logico o manifesta contraddizione e che, pertanto, non può essere censurato in sede di legittimità, tanto più sulla base della già rilevata proposizione di una lettura alternativa delle emergenze processuali.
 
 
4. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato.
 
Va, a tale proposito, ribadito quanto già ricordato in precedenza e, cioè, che la non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto sia illecito e, cioè, frutto di attività criminosa, ma anche nell’ipotesi in cui l’emanazione dell’atto medesimo sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge o nel caso di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere (Sez. 3, n. 37847 del 14/5/2013, Sorini, Rv. 25697101, cit.; Sez. 3, n. 40425 del 28/9/2006, Consiglio, Rv. 23703801, cit.).
 
E’ dunque evidente che, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia palesemente illegittimo, non può che ritenersi sostanzialmente mancante, in quanto l’atto, in tali casi, è emanato in totale assenza dei presupposti di legge per la sua emissione. A maggior ragione, tale situazione si verifica quando detto titolo abilitativo sia conseguenza di attività criminosa da parte del soggetto pubblico che lo ha adottato o di quello privato che lo ha conseguito.
 
Appare dunque corretta la contestazione dell’art. 44, lett. b) d.P.R. 380\01, risultando invece non applicabile la residuale ipotesi di cui alla lettera a) del medesimo articolo, cui fanno riferimento i ricorrenti.
 
Non si rileva inoltre alcuna incongruenza nell’imputazione, che, evidentemente, tiene conto di quanto accertato nel corso delle indagini preliminari riguardo all’apporto causale fornito da ciascun soggetto in ordine alla commissione dei singoli reati, poiché il Pubblico Ministero contesta i fatti rispetto ai quali ritiene di poter validamente sostenere l’accusa in giudizio.
 
Neppure i giudici del gravame hanno rilevato incongruenze ed hanno compiutamente analizzato le posizioni dei soggetti coinvolti, dando conto delle singole condotte poste in essere rispetto alle quali hanno motivatamente ritenuto o escluso la responsabilità penale. 
 
 
5. Tale ultimo aspetto risulta ulteriormente chiarito dalle conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, oggetto di censure formulate nel terzo motivo di ricorso.
 
I ricorrenti fondano però tali censure sulla base di presupposti che risultano smentiti dalla ricostruzione della vicenda effettuata dai giudici del merito, sviluppando le loro argomentazioni, ancora una volta, sulla base di una personale visione della vicenda processuale, secondo la quale il titolo abilitativo sarebbe pienamente legittimo, perché tale legittimità è stata definitivamente attestata al giudice amministrativo, inducendoli, così ad un incolpevole affidamento sulla regolarità dell’operato della pubblica amministrazione che lo aveva rilasciato, dopo che gli stessi si erano rivolti a tecnici del settore, mentre l’amministrazione comunale aveva istruito la pratica sulla scorta di pareri legali rilasciati da un avvocato amministrativista, senza contare la complessità della materia che aveva dato luogo, in sede di giudizio, a contrastanti opinioni dei tecnici interpellati.
 
Affermando ciò, tuttavia, i ricorrenti non si confrontano, se non parzialmente, con i dati fattuali, in parte ricordati anche in precedenza, che la Corte di appello ha, invece, evidenziato e, cioè, che il Consiglio di Stato aveva assunto la sua decisione sulla base di una falsa rappresentazione dei luoghi, che uno dei tecnici (Carlo VESCOVI, coimputato) aveva predisposto il progetto edilizio elaborando i calcoli relativi agli indici fondiari e la valutazione del patrimonio edilizio esistente con le modalità dettagliatamente indicate dai giudici del gravame, mentre l’altro (l’agronomo D’ADDA), aveva redatto, secondo i giudici, una relazione sulla dotazione immobiliare della famiglia dei ricorrenti in riferimento al patrimonio edilizio di cui all’art. 59 l.r. 12\2005, omettendo, però, di menzionare uno degli edifici (nella sentenza, dato atto anche delle dichiarazioni rese dall’agronomo quale testimone, l’omessa indicazione del manufatto viene definita “davvero ‘singolare’, a tacer d’altro”).
 
Quanto al legale interpellato dal comune, osserva la Corte del merito che lo stesso aveva definito la documentazione allegata alla richiesta di titolo abilitativo “scarna e succinta”, rilevando che essa “dava per scontata la conoscenza dell’effettività della situazione da parte dell’amministrazione comunale”. Inoltre, con riferimento alla consistenza del patrimonio edilizio esistente, aveva evidenziato la necessità di integrare i documenti trasmessi con una “relazione che escluda la possibilità di ricavare nuove residenze negli edifici esistenti”.
 
Viene inoltre dato atto, in sentenza, di come l’amministrazione comunale, e, segnatamente, il VILLARBOITO, avesse disatteso quanto suggerito dal consulente legale.
 
 
5. 1 È dunque sulla base di tale situazione di fatto che la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, richiamando opportunamente la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha avuto modo di affermare, riferendosi al contenuto dell’art. 6 dell’ormai abrogata legge 47\ 1985, riprodotto nell’art. 29 del d.P.R. 380\01, che vi è un dovere, per chi si appresta ad eseguire un’opera, di osservare, non solo quanto prescritto dal titolo abilitativo, ma anche quanto stabilito dalla normativa urbanistica e di piano e che detta norma ha posto delle specifiche posizioni di garanzia, di cui ha precisato anche il contenuto.
Da ciò consegue, secondo detta giurisprudenza, che il titolare del permesso di costruire, il committente e l’esecutore non possono considerarsi esenti da responsabilità per il semplice fatto di avere conseguito il titolo abilitativo se questo è stato rilasciato in contrasto con la legge o gli strumenti urbanistici, con l’ulteriore precisazione che non ogni vizio dell’atto amministrativo o civile potrà essere rilevato dal giudice penale, ma soltanto quello la cui presenza contribuisca a conferire al comportamento incriminato significato “lesivo” del bene giuridico tutelato, ovviamente evitando di costruire beni giuridici ad hoc al fine proprio di scardinare il principio di tassatività (Sez. 3, n. 27261 del 8/6/201 O, P.M. in proc. Caleprico e altri, Rv. 24807001. Conf. Sez. 3, n. 10106 del 21 /1 /2016, Terzini, Rv. 26629101 ).
 
Si tratta, anche in questo caso, di principi che il Collegio condivide e che evidenziano, alla luce dei dati fattuali valorizzati dai giudici del merito, la infondatezza del motivo di ricorso.
 
 
6. A conclusioni non diverse deve pervenirsi per ciò che concerne il quarto motivo di ricorso, afferente al reato di cui all’art. 734 cod. pen. 
 
Sono corrette le argomentazioni sviluppate nella sentenza impugnata in ordine alla natura del reato ed ai requisiti oggettivi e soggettivi della condotta in genere, con adeguati richiami alla giurisprudenza di questa Corte ed a dati fattuali congruamente valutati e può anche essere condivisa l’affermazione secondo la quale l’area ove insistono gli interventi edilizi debba considerarsi come “oggetto di speciale protezione dell’autorità”, come richiesto dalla disposizione codicistica.
 
La correttezza di tale affermazione viene posta in dubbio dai ricorrenti, i quali evidenziano il fatto che il riferimento contenuto nell’articolo 734 cod. pen. riguardi esclusivamente le zone vincolate ai sensi della vigente legislazione sul paesaggio.
 
Va a tale proposito osservato che il riferimento, operato dal legislatore, alla “speciale protezione” è stato invero interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, in varie occasioni ed anche con la decisione citata in ricorso (Sez. 3, n. 19207 del 27/3/2008, Scalzo, Rv. 23987701) nel senso che lo stesso presuppone la preventiva apposizione di un vincolo, citando espressamente quelli imposti con provvedimento specifico o individuati per legge ed ai quali vanno aggiunti quelli oggetto di atti e provvedimenti indicati nell’articolo 157 d.lgs. 42\2004 e quelli individuati dal piano paesaggistico ai sensi dell’articolo 143, comma primo, lettera d).
 
Nel caso in esame la Corte territoriale, all’esito di un articolato ragionamento, fondato anche su valutazioni meramente fattuali, quali quelli concernenti l’esatta individuazione dell’area, le sue caratteristiche e la sua ubicazione, ha espressamente escluso la sua sottoposizione a vincolo paesaggistico (evidentemente anche in base alla pianificazione), ritenendo, tuttavia, che il sito interessato dai lavori fosse stato riconosciuto di “notevole interesse pubblico” in quanto la zona era stata dichiarata “ambito di elevata naturalità” nel Piano Territoriale Paesistico Regionale.
 
Si pone pertanto la questione relativa alla possibilità di considerare come soggette a speciale protezione dell’autorità anche quelle aree non sottoposte a vincolo, ma rispetto alle quali tale protezione trae altrove la sua origine.
 
La soluzione affermativa al quesito può ricavarsi dalla assenza di riferimenti specifici a vincoli particolari da parte del legislatore e dalla genericità dell’espressione utilizzata, come rilevato anche in dottrina, nonché dal fatto che la norma codicistica è antecedente alle norme di tutela del paesaggio attualmente vigenti e che sono state precedute, nel tempo, da altre disposizioni che tale tutela hanno assicurato con sostanziale continuità ma con modalità differenti.
 
Tra queste, l’unica preesistente all’art. 734 cod. pen. era la legge 11 giugno 1922, n. 778 “per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico” (c.d. legge Croce) la quale dichiarava soggette “a speciale protezione” le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico, assicurando protezione anche alle bellezze panoramiche, prevedendo una specifica dichiarazione, da notificare ai soggetti interessati ed altre norme di salvaguardia.
 
Non è dato però rinvenire alcun riferimento specifico a tale legge nella norma codicistica in esame, se non nell’utilizzo dell’espressione “speciale protezione”.
 
Il richiamo ai “luoghi soggetti a Speciale protezione dell’autorità” è, dunque, da ritenersi aspecifico ed in alcun modo riconducibile, per le ragioni anzidette, ad una particolare tipologia di vincolo, ben potendosi invece considerare come riferito a provvedimenti tanto di natura amministrativa che legislativa (comunitaria, statale o regionale), tenendo conto anche della successiva evoluzione normativa caratterizzata da una sempre maggiore attenzione alle esigenze di protezione delle bellezze naturali.
 
Né pare al Collegio ostativa a tale conclusione la natura di norma penale in bianco generalmente riconosciuta alla disposizione in esame (il cui contenuto precettivo sarebbe, per tale ragione, integrato dai soli vincoli imposti da fonti normative statali), dovendosi condividere quanto rilevato da quella parte della dottrina che tale natura esclude, richiamando l’attenzione sulla sufficiente individuazione del precetto tanto nella condotta quanto nell’evento naturalistico (tali osservazioni, peraltro, tengono conto, in alcuni casi, di quanto osservato dalla Corte costituzionale nella sent. 210\1972, rilevando una contraddizione tra la generica adesione all’orientamento tradizionale e la soluzione adottata in concreto).
 
Ed invero, nell’art. 734 cod. pen. il precetto risulta compiutamente enunciato se si considerano l’oggetto della tutela e lo specifico riferimento operato dal legislatore al divieto di distruzione o di alterazione delle bellezze naturali mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, sicché può condividersi l’osservazione secondo la quale la disposizione in esame focalizza il disvalore nell’evento causato dalla condotta dell’agente e non anche sulla violazione di un precetto individuabile altrove, con la conseguenza che il riferimento alla speciale protezione dell’autorità delimita esclusivamente l’oggetto dell’azione, nel senso che il reato può configurarsi solo con riferimento a determinati luoghi.
 
Ritiene pertanto il Collegio che il riferimento alla “speciale protezione dell’autorità” vada interpretato nel senso che la stessa può essere dedotta da un qualsiasi provvedimento, sia legislativo, sia amministrativo, che individui il bene del quale si vuole assicurare la conservazione perché meritevole di tutela particolare e specifica (nel senso dianzi indicato).
 
Tra detti provvedimenti può dunque rientrare anche il Piano Territoriale Paesistico Regionale, che comprende sia disposizioni di carattere generale ed astratte sia provvedimentali.
 
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha, dunque, correttamente ritenuto l’area sottoposta a particolare protezione in ragione dell’inclusione tra le zone di “elevata naturalità” di cui all’art. 17 delle Norme di Attuazione del PTPR.
 
 
7. Quanto al quinto motivo di ricorso, va rilevato che la sentenza impugnata è suddivisa in paragrafi, in ognuno dei quali viene trattata una specifica questione.
 
Nel paragrafo dedicato all’individuazione dei soggetti responsabili per la contravvenzione edilizia contestata al capo 1 dell’imputazione, la Corte territoriale indica nominativamente quelli, tra gli imputati, che intende condannare (MERELLI, NORIS, VESCOVI e VILLARBOITO) specificando che sono costoro che debbono rispondere del reato contestato, procedendo poi ad indicare le singole, specifiche condotte.
 
E’ dunque evidente che l’aver taciuto i nomi degli altri soggetti originariamente imputati ed assolti in primo grado non abbia rilevanza alcuna, avendo la Corte implicitamente escluso la loro responsabilità che, al contrario, ha espressamente attribuito agli altri. 
 
Parimenti, nel riferirsi al capo 3) dell’imputazione, i giudici dell’appello si limitano a richiamare, nel paragrafo dedicato ai soggetti responsabili, quanto in precedenza affermato con riferimento al capo 1).
 
 
8. Quanto al sesto motivo di ricorso, va rilevato che lo stesso riguarda la sola Felicita MERELLI, la quale contesta la decisione del giudice dell’appello per avergli questi concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, peraltro subordinato alla demolizione delle opere abusive, senza che fosse stato richiesto.
 
Occorre osservare, a tale proposito, che la ricorrente non censura la motivazione posta dal giudice a sostegno della propria pronuncia, né contesta la correttezza della subordinazione del beneficio o la sussistenza dei presupposti di legge, limitandosi ad osservare che la decisione, così come assunta, la costringerebbe a demolire beni di sua proprietà ” … laddove ben potrebbe rinunciare alla sospensione condizionale della pena fruendo di pena sostitutiva non detentiva”.
 
Ciò posto, va ricordato che che al giudice penale è certamente consentito di concedere d’ufficio la sospensione condizionale della pena, esercitando il potere discrezionale riconosciutogli dall’art. 163 cod. pen. e che all’imputato è senz’altro consentito di esercitare il diritto alla rinuncia del beneficio personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
 
Nel caso di specie, tuttavia, tale rinuncia non è affatto intervenuta, essendosi la ricorrente limitata, in via del tutto astratta ed ipotetica, ad indicare la possibilità di una tale evenienza, il che evidenzia l’infondatezza anche di quest’ultimo motivo di ricorso.
 
 
9. Tutti i ricorsi di Felicita MERELLI e di Roberto NORIS, conseguentemente, devono essere rigettati, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
 
 
10. Ricorso di Michele VILLARBOITO
 
 
10.1 Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso possono essere unitariamente trattati, in quanto propongono le medesime questioni di diritto già affrontate nell’esaminare il primo, secondo e quarto motivo di ricorso di Felicita MERELLI e Roberto NORIS, sicché va semplicemente richiamato quanto osservato dal Collegio in precedenza.
 
Occorre peraltro ribadire, con specifico riferimento alla relazione sul patrimonio edilizio corrente redatta dal ricorrente e che lo stesso indica come ritenuta dal giudice amministrativo idonea e sufficiente, che la Corte di appello ha compiutamente indicato, laddove ha trattato della falsa rappresentazione dei luoghi sottoposta al Consiglio di Stato, le ragioni per le quali detta relazione doveva ritenersi non rispondente alla realtà dei fatti, specificando che al ricorrente era nota la consistenza delle proprietà dei NORIS e che egli disponeva di tutte le informazioni contenute nelle varie pratiche edilizie, sottolineando anche la singolarità del fatto che egli, nonostante l’espletamento di un accurato sopralluogo, non si fosse avveduto dell’esistenza dell’edificio non indicato.
 
I motivi di ricorso, inoltre, contengono ripetuti richiami a dati fattuali e ad atti del processo la cui disamina, come pure si è in precedenza ricordato, non è consentita al giudice di legittimità.
 
Tale richiamo viene effettuato, in particolare, per porre in dubbio le conclusioni del perito di ufficio nominato nel giudizio di primo grado valorizzate dalla Corte territoriale, oggetto di censura per aver acriticamente fatto proprie tali conclusioni senza nemmeno porsi il problema della effettiva competenza del tecnico.
 
Va osservato, a tale proposito, che tale affermazione risulta, dalla semplice lettura della sentenza impugnata, del tutto destituita di fondamento, avendo i giudici dell’appello diffusamente spiegato, come si è rilevato in precedenza, le ragioni delle diverse conclusioni cui sono pervenuti, tenendo conto, nel valutare gli esiti della perizia, anche delle diverse argomentazioni sviluppate dai consulenti di parte, oltre che delle emergenze processuali e dei dati documentali a disposizione.
 
Si tratta, dunque, di una motivazione giuridicamente corretta ed esaustiva, che risponde perfettamente al principio affermato da questa Corte, secondo il quale i I giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente la dimostrazione del fatto che le conclusioni peritali siano state valutate in termini di affidabilità e completezza e che non siano state ignorate le argomentazioni del consulente (così, Sez. 6, n. 5749 del 9/1 /2014, Homm, Rv. 25863001).
 
 
10.2 Resta da osservare che le osservazioni formulate nell’ultima parte del terzo motivo di ricorso e concernenti l’affermazione di responsabilità per il reato urbanistico e per la contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. oltre ad essere connotate da estrema genericità, si risolvono nell’esprimere sorpresa per l’assoluzione di altri coimputati (il sindaco ed il segretario comunale) e nel lamentare “il tono quasi irridente” che sarebbe stato utilizzato, nei confronti del ricorrente, dal perito di ufficio.
 
Si tratta di censure palesemente inammissibili, che consentono di limitarsi a richiamare l’attenzione sul fatto che la Corte territoriale ha chiaramente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di affermare la penale responsabilità dell’imputato, dando atto della mancanza di una adeguata istruttoria, che sarebbe stata determinante per le scelte dell’organo comunale e della già ricordata piena conoscenza della situazione edilizia dei NORIS.
 
Anche le perplessità manifestate per la concomitante esclusione di responsabilità del sindaco e del segretario comunale trovano adeguata risposta nella sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale ha chiarito le singole posizioni, con le modalità indicate in precedenza nell’esaminare il ricorso dei ricorrenti MERELLI e NORIS.
 
 
11. Risulta poi evidente l’inammissibilità del quarto motivo di ricorso.
 
Anche in relazione al contestato reato di abuso di ufficio la sentenza impugnata risulta estremamente puntuale ed analizza la posizione dell’imputato con argomentazioni coerenti, accompagnate da pertinenti richiami alla giurisprudenza di questa Corte. 
 
L’affermazione di responsabilità viene poi giustificata attraverso il riferimento alla specifica condotta dell’imputato, stigmatizzando, ancora una volta, l’inadeguatezza dell’istruttoria espletata nella trattazione della pratica edilizia e la piena conoscenza del patrimonio edilizio della famiglia NORIS, rilevando come tale situazione abbia consentito il rilascio di un titolo abilitativo illegittimo, con conseguente vantaggio di coloro che lo avevano richiesto.
 
A fronte di ciò, il motivo di ricorso si sostanzia, ancora una volta, in manifestazioni di stupore per la condanna, apodittiche affermazioni, domande retoriche e, ancora una volta, gratuite critiche alla perizia di ufficio, definita “tanto saccente quanto soggettiva”.
 
Manca, però, un effettivo e concreto confronto con le diffuse argomentazioni poste a sostegno del provvedimento impugnato e tale difetto pone chiaramente in luce la genericità del motivo e la sua conseguente inammissibilità.
 
 
12. Il ricorso di Michele VILLARBOITO, dunque, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
 
 
13. Ricorso di Carlo VESCOVI
 
 
13.1 Nell’unico motivo di ricorso il ricorrente osserva, sostanzialmente, che la sua posizione di mero progettista avrebbe dovuto indurre la Corte di appello ad escludere ogni responsabilità per i reati contestati, essendosi egli limitato alla redazione di un elaborato progettuale contenente una valutazione sulla fattibilità dell’opera, rispetto alla quale l’ultima decisione è rimessa alla competente amministrazione comunale.
 
Va rilevato, a tale proposito, come questa Corte abbia già avuto modo di osservare che la sola veste di progettista non consente, di per se, di ravvisare il concorso nel reato, in quanto la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale, ed alla quale il progettista deve avere fornito un apporto concreto ed ulteriore rispetto alla mera redazione del progetto (Sez. 3, n. 8420 del 12/12/2002, Ridolfi, Rv. 224166. Conf. Sez. 3, n. 47271 del 22/9/2016, Ayma, non massimata).
 
Si tratta, ad avviso del Collegio, di un principio pienamente condivisibile, rispetto al quale le conclusioni della Corte di appello non si pongono in contrasto, avendo i giudici del gravame chiaramente specificato che il ricorrente, oltre alla mera redazione del progetto, aveva interloquito con il tecnico comunale, aveva elaborato i calcoli relativi agli indici fondiari, effettuato la valutazione relativa all’impatto paesistico e quella riguardante il patrimonio edilizio esistente, riconoscendo in ciò un decisivo contributo causale al rilascio del titolo edilizio.
 
Per il resto, il motivo di ricorso si risolve in argomentazioni in fatto e richiami ad atti processuali non valutabili in questa sede.
 
 
14. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
 
 
15. Ricorso della parte civile WWF-Italia
 
 
Il ricorso è fondato, nei termini di seguito specificati.
 
 
15.1 La Corte territoriale ha limitato il risarcimento del danno in favore dell’associazione di tutela ambientale con esclusivo riferimento alla contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen., ritenendo il deturpamento delle bellezze naturali come lesivo di un interesse primariamente tutelato dalla parte civile.
 
Nel far ciò, la Corte di appello ha implicitamente escluso il diritto al risarcimento del danno per i residui reati per i quali è intervenuta condanna degli imputati e, segnatamente, la violazione edilizia e l’abuso di ufficio.
 
In motivazione la Corte territoriale non spiega le ragioni della sua decisione, che vanno tuttavia desunte da quanto indicato in motivazione, dovendosi quindi ritenere che sia stato escluso l’interesse al risarcimento per i residui reati in quanto non afferenti ad interessi tutelati dall’associazione.
 
Tale assunto, tuttavia, è errato.
 
Prescindendo infatti dal valutare i contenuti dello statuto dell’associazione riportati in ricorso, ove si legge che, tra le finalità associative, è compresa anche la lotta allo spreco ed alle risorse naturali, del territorio e dell’energia, va rilevato che, in ogni caso, sarebbe del tutto irrazionale considerare la materia urbanistica come estranea alla tutela dell’ambiente.
 
Sebbene, in alcune occasioni, l’urbanistica, così come la protezione dei beni culturali e del paesaggio, siano state considerate come materie diverse rispetto alla tutela dell’ambiente inteso come ecosistema, ovvero detta tutela sia stata considerata come riferita esclusivamente alle matrici ambientali (acqua, aria, suolo), tale affermazione non può assolutamente essere condivisa, dovendo la nozione di “ambiente” contemplare tale elemento tanto nella sua connotazione originaria e prettamente naturalistica, quanto come risultato delle trasformazioni operate dall’uomo, sicché devono essere ritenute meritevoli di particolare salvaguardia non solo la sua conservazione ma anche la sua concreta utilizzazione.
 
Del resto non vi è chi non veda come il costante consumo di suolo, conseguenza di una non corretta gestione del territorio (anche da parte di chi è tenuto, per legge, a provvedervi), influisca negativamente sulle diverse componenti ambientali, sottraendo risorse ed agendo negativamente sulla fruibilità del bene nel suo complesso, peggiorando la qualità della vita ed aumentando rischi per la salute delle persone, poiché l’illecito edilizio non comporta, quale conseguenza, la sola presenza di nuovi volumi abusivamente realizzati, già di per se rilevante, ma anche una incidenza sul carico urbanistico produttiva di ulteriori effetti negativi.
 
15.2 Deve conseguentemente affermarsi che l’ordinato sviluppo del territorio sotto il profilo urbanistico ed edilizio assume rilievo ai fini della tutela dell’ambiente e rientra pertanto tra gli interessi delle associazioni di tutela ambientale concretamente lesi da attività illecita.
 
 
16. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il reato di abuso d’ufficio, ritenendo il Collegio di dover assicurare continuità al già affermato principio, ricordato anche dall’associazione ricorrente, secondo il quale la legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste deve riconoscersi anche con riferimento ai reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell’ambiente e del territorio (Sez. 5, n. 7015 del 17/11/2010 (dep. 2011 ), Associazione Legambiente Onlus e altri, Rv. 24982801).
 
 
17. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata sul punto, con le conseguenziali statuizioni indicate in dispositivo.
 
 
18. Ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello
 
 
Il ricorso è fondato.
 
 
18.1 La Corte territoriale, pur subordinando la sospensione condizionale della pena nei confronti di Felicita MERELLI alla demolizione dell’intervento abusivo, ha comunque omesso di ordinare la demolizione delle opere medesime come stabilito dalla legge.
 
L’articolo 31 d.P.R. 380\01 prevede, al nono comma, che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordini la demolizione delle opere se ancora non sia stata altrimenti eseguita. Si tratta della medesima disposizione già contenuta nell’art. 7 della legge n. 47 del 1985, rispetto alla quale va riconosciuta piena continuità normativa.
 
L’ordine giudiziale di demolizione ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (così, Sez. 3, n. 37120 del 11 /5/2005, Morelli, Rv. 232172).
 
 
18.2 All’omissione può direttamente porsi rimedio in questa sede di legittimità, emettendo direttamente il provvedimento dovuto in quanto obbligatorio ex lege ed estraneo alla discrezionalità del giudice di merito (v., ex pl., Sez. 3, n. 35386 del 24/5/2007, Sannino, Rv. 237536; Sez. 3, Sentenza n. 3467 del 8/11/1999, Santori, Rv. 216378; Sez. 3, Sentenza n. 768 del 24/2/1999, Scognamiglio, Rv. 213669).
 
Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio sul punto con riferimento all’omesso ordine di demolizione delle opere abusive, impartendo l’ordine medesimo.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’omesso ordine di demolizione delle opere abusive, ordine che impartisce.
 
Annulla la sentenza impugnata, quanto alle statuizioni civili e rinvia, sul punto, al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche per le spese relative al giudizio di legittimità.
 
Rigetta i ricorsi di MERELLI Felicita e NORIS Roberto e li condanna al pagamento delle spese processuali.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi di VESCOVI Carlo e VILLARBOITO Michele, che condanna la pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in data 24.5.2017
 
 
 
 
 
 
 
 

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