Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 54523 | Data di udienza: 14 Giugno 2016

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Discarica in fase post operativa – Posizione del gestore della discarica – Responsabilità – Fattispecie: insudiciamento delle acque di un torrente paesaggisticamente tutelato attraverso i reiterati scarichi di percolato e fenomeni di ristagno e ruscellamento – Artt. 182, 183, 256 d.lgs n. 152/2006 – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Art. 181 c.1 d.lgs 42 del 2004 – Attività di gestione di una discarica – Comprende anche la fase post operativa – Responsabilità del soggetto gestore fino alla fase post operativa – Procedure di sorveglianza e di controllo – Obbligo generale di cautela e di prevenzione – Obbligo per il gestore di segnalare alle autorità eventuali effetti negativi sull’ambiente – Art. 13, c.6 D.lgs n. 36/2003 – Natura di reflui/rifiuti – Prelevamento di campioni – Non necessario – Identificazione anche attraverso altri mezzi di prova – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali – Proponibilità e limiti – Violazione di legge – Art. 325 c.p.p. – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Dicembre 2016
Numero: 54523
Data di udienza: 14 Giugno 2016
Presidente: ROSI
Estensore: GAI


Premassima

CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Discarica in fase post operativa – Posizione del gestore della discarica – Responsabilità – Fattispecie: insudiciamento delle acque di un torrente paesaggisticamente tutelato attraverso i reiterati scarichi di percolato e fenomeni di ristagno e ruscellamento – Artt. 182, 183, 256 d.lgs n. 152/2006 – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Art. 181 c.1 d.lgs 42 del 2004 – Attività di gestione di una discarica – Comprende anche la fase post operativa – Responsabilità del soggetto gestore fino alla fase post operativa – Procedure di sorveglianza e di controllo – Obbligo generale di cautela e di prevenzione – Obbligo per il gestore di segnalare alle autorità eventuali effetti negativi sull’ambiente – Art. 13, c.6 D.lgs n. 36/2003 – Natura di reflui/rifiuti – Prelevamento di campioni – Non necessario – Identificazione anche attraverso altri mezzi di prova – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali – Proponibilità e limiti – Violazione di legge – Art. 325 c.p.p. – Giurisprudenza.



Massima

 

 
 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/12/2016 (Ud. 14/06/2016) Sentenza n.54523



CODICE DELL’AMBIENTE – RIFIUTI – Discarica in fase post operativa – Posizione del gestore della discarica – Responsabilità – Fattispecie: insudiciamento delle acque di un torrente paesaggisticamente tutelato attraverso i reiterati scarichi di percolato e fenomeni di ristagno e ruscellamento – Artt. 182, 183, 256 d.lgs n. 152/2006 – Art. 181 c.1 d.lgs 42 del 2004.  
 
In tema di rifiuti, il “gestore” rimane tale fino al termine della vita della discarica, che coincide con il provvedimento di chiusura in seguito agli adempimenti previsti dalla legge. Pertanto, la nozione di gestore è necessariamente collegata all’articolata nozione di discarica che si lega, a sua volta, alla varie fasi fenomenologiche della stessa (conferimento, gestione, fase post operativa) si da rimanere in capo al soggetto anche nella fase post operativa e fino al termine della gestione stessa, ovvero fino alla procedura di chiusura con la comunicazione del provvedimento di approvazione.
 

RIFIUTI – Attività di gestione di una discarica – Comprende anche la fase post operativa – Responsabilità del soggetto gestore fino alla fase post operativa – Procedure di sorveglianza e di controllo – Obbligo generale di cautela e di prevenzione – Obbligo per il gestore di segnalare alle autorità eventuali effetti negativi sull’ambiente – Art. 13, c.6 D.lgs n. 36/2003.
 
L’attività di gestione di una discarica deve essere unitariamente considerata e comprende anche la fase post operativa, rispetto alla quale è configurabile la responsabilità del soggetto gestore fino alla fase post operativa, e la non autorizzata o irregolare gestione riguardante la fase post-operativa di una discarica cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area (Cass. Sez. 3, n. 46931 del 09/10/2014, Cifaldi). Sicché, l’art. 13, comma 6 del D.lgs n. 36 del 2003 che fa obbligo al gestore di segnalare alle autorità “eventuali significativi effetti negativi sull’ambiente riscontrati a seguito delle procedure di sorveglianza e di controllo”. Si è in presenza di un obbligo che prescinde dalla precisa individuazione di livelli di inquinamento e rafforza quanto affermato sopra secondo cui il gestore è tenuto ad un obbligo generale di cautela e di prevenzione che ha riguardo all’effettiva tutela dei beni ambiente e salute che possono risultare messi in pericolo o offesi anche nella ipotesi che siano state rispettate tutte le prescrizioni e poste in essere tutte le condotte richieste dalle autorità e dunque l’obbligo persiste per tutta la durata del ciclo della discarica (Cass. Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007, Schembri).
 
 
RIFIUTI – Natura di reflui/rifiuti – Prelevamento di campioni – Non necessario – Identificazione anche attraverso altri mezzi di prova.
 
La natura di reflui e/rifiuti, non deve essere necessariamente accertata tramite prelevamento di campioni, ben potendo il giudice pervenire alla loro identificazione anche a mezzo di altri mezzi di prova (Cass. n. 37575/2006) e, con riguardo al caso specifico, la natura del reflui e la provenienza dalla discarica (circostanza non contestata dal ricorrente) derivava dal “colore e odore” attestato nel verbale di trasmissione risultanze esame organolettico, che era indicato come caratteristica del percolato. 
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali – Proponibilità e limiti – Violazione di legge – Art. 325 c.p.p. – Giurisprudenza.
 
Il ricorso avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali è proponibile, secondo il preciso dettato al riguardo dell’art. 325 c.p.p. unicamente per violazione di legge, potendo solo in tale ambito, in particolare venendosi a prospettare la violazione dell’art.125 c.p.p., dedursi la totale assenza o l’apparenza della motivazione perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l”‘iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (tra le tante, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele) con esclusione della deducibilità dei vizi della motivazione sotto il profilo dell’illogicità, contraddittorietà, insufficienza della stessa (Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012 Chiesi; Sez. 6, n. 24250 del 04/04/2003, P.M. in proc. De Palo). 
 

(conferma ordinanza del 10/02/2016 TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO) Pres. ROSI, Rel. GAI, Ric. Marinelli

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/12/2016 (Ud. 14/06/2016) Sentenza n.54523

SENTENZA

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/12/2016 (Ud. 14/06/2016) Sentenza n.54523
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da Marinelli Sante, nato a Ascoli Piceno il 11/01/1968;
avverso l’ordinanza del 10/02/2016 del Tribunale di Ascoli Piceno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Massimo Galli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza del 10 febbraio 2016, il Tribunale del riesame di Ascoli Piceno, rigettava la richiesta di riesame, ex art. 324 cod.proc.pen., e, per l’effetto confermava, il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I. P. avente ad oggetto “la discarica I.P.G.I. sita in Loc. Vignola – Alto Bretta di Ascoli Piceno”.
 
A Sante Marinelli è contestato, quale legale rappresentate di I.P.G.I. srl, il reato di cui all’art. 256 comma 2 d.lgs 3 aprile 2006, n. 152 per l’abbandono e smaltimento incontrollato e reiterato di rifiuti liquidi consistenti in percolato proveniente dalla discarica creando fenomeni di ristagno e ruscellamento che interessavano il vicino Torrente Bretta, nonché il reato di cui all’art. 181 comma 1 del d.lgs 42 del 2004, per aver compromesso il valore paesaggistico del bene tutelato torrente Bretta mediante insudiciamento delle proprie acque attraverso i reiterati scarichi di percolato.
 
2. Ha proposto ricorso per cassazione Sante Marinelli, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
 
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 256 comma 2, d.lgs 152 del 2006, per aver il Tribunale ritenuto sussistenti i presupposti del sequestro preventivo di una discarica non più operante, atteso che l’attività di discarica era cessata nell’anno 1992 e, come disposto dalla delibera n. 1800 dell’8 giugno 1992, era stabilito l’onere di gestione del percolato per sette anni dalla data di cessazione dell’attività, sicché per la proprietaria dell’area società IPGI srl dal 30 giugno 1999 era cessato l’onere della gestione del percolato. Il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto configurabile in capo al ricorrente, legale rappresentante della società IPGI srl, proprietaria della discarica, l’ipotesi punita dal comma 2 dell’articolo 256 del d.lgs 152 del 2006, in assenza dei presupposti soggettivi di titolarità di impresa o di esercizio, anche di fatto, di attività economica, essendo rimasta unicamente proprietaria dell’area su cui insiste la discarica.
 
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli art. 223 disp.attu.cpp e 360 cod.proc.pen., art. 24 e 111 Cost. non essendo state osservate le prescrizioni dettate per il prelevamento e campionamento ed analisi; non essendo, in particolare, stato rispettato il disposto di cui all’art. 223 disp.attu., e neppure l’art. 360 cod.proc.pen. che prevede che, qualora il Pubblico Ministero debba procedere ad accertamenti tecnici irripetibili, come quelli in esame, egli debba dare avviso alla persona sottoposta ad indagini e al suo difensore del giorno, ora e luogo fissati per il conferimento dell’incarico peritale si da garantire il diritto di nominare consulenti tecnici e così esercitare il diritto di difesa. Il Tribunale del riesame, dopo aver riconosciuto la fondatezza della tesi difensiva, avrebbe ritenuto non necessario per la prova dei reflui e/o rifiuti l’accertamento mediante prelevamento dei campioni di acque, potendo il Giudice pervenire alla loro identificazione anche attraverso altri mezzi di prova come, nel caso in esame, dal univoco colore e odore, motivazione non sostenibile in assenza di qualunque riferimento a tali specifiche caratteristiche dal decreto di sequestro.
 
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) proc. pen., in relazione agli art. 181 d.lgs 42 del 2004 per avere il Tribunale ritenuto sussistente la compromissione del valore paesaggistico del torrente Bretta, senza accertamenti e analisi dei campioni delle acque, risultando, al contrario, dai campioni di acque prelevate a monte e a valle della discarica, la stessa concentrazione di PH.
 
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in relazione all’omesso esame del profilo sollevato circa il fatto che il provvedimento di sequestro era stato emesso dal Giudice delle indagini preliminari a distanza di circa due mesi e mezzo dal sopralluogo degli agenti di P.G., ed eseguito senza la preventiva verifica della rimozione della cause dell’inquinamento come intimato alla società in data 30 ottobre 2015.
 
In data 14/06/2016 sono stati depositati motivi nuovi ex art. 325 e 311 cod.proc.pen. con i quali è stata dedotta la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. per omessa/errata applicazione degli artt. 13 e 17 comma 3 legge 13 gennaio n. 36 nonché dell’art. 15 della direttiva UE 75/442.
 
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Il ricorso è infondato.
 
5. Va premesso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il ricorso avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali è proponibile, secondo il preciso dettato al riguardo dell’art. 325 c.p.p. unicamente per violazione di legge, potendo solo in tale ambito, in particolare venendosi a prospettare la violazione dell’art.125 c.p.p., dedursi la totale assenza o l’apparenza della motivazione perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l”‘iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (tra le tante, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893) con esclusione della deducibilità dei vizi della motivazione sotto il profilo dell’illogicità, contraddittorietà, insufficienza della stessa ( Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012 Chiesi, Rv. 252430; Sez. 6, n. 24250 del 04/04/2003, P.M. in proc. De Palo, Rv. 225578). 
 
6. Ciò posto, il ricorre pone, con il primo motivo di ricorso, il tema della responsabilità penale in capo all’ex gestore di una discarica nella fase post operativa.
 
Secondo la prospettazione del ricorrente non potrebbe ravvisarsi alcuna responsabilità per i reati contestati di abbandono di rifiuti, in capo all’ex gestore di una discarica autorizzata di rifiuti solidi, chiusa da tempo e rispetto alla quale era stato osservato l’onere di gestione del percolato per il tempo indicato dall’Autorità Amministrativa. L’ex gestore della discarica sarebbe unicamente “proprietario dell’area”, sicchè al medesimo non sarebbero applicabili la disposizione di cui all’art. 256 comma 2 d.lgs 152 del 2006 che si applica, quanto ai soggetti responsabili, solo a coloro che effettuano attività tipiche di gestione di rifiuti (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio).
 
6.1. La problematica che pone il ricorrente richiede una disamina della disciplina di settore, tra cui, quella prevista dal d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante “attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” anche in correlazione con la antecedente disciplina di cui al D.lgs n. 22 del 1997.
 
Nel D.lgs n. 36 del 2003 si rinviene, all’art. 2, comma 1, lett. g), la nozione di discarica, specificandosi che per tale deve intendersi un’area “adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”.
 
Alla successiva lett. o) del citato art. 2, viene individuato il gestore come “il soggetto responsabile di una qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa; tale soggetto può variare dalla fase di preparazione a quella di gestione successiva alla chiusura della discarica”.
 
Collegata a questa è la disposizione di cui all’art. 13, comma 6 del medesimo decreto, che pone in evidenza gli obblighi del gestore che si estendono ben oltre quelli derivanti dall’autorizzazione, prevedendo la legge un obbligo generale di cautela e di prevenzione riferito non tanto alle formalità necessarie, quanto all’effettiva tutela dei beni ambiente e salute, che possono risultare messi in pericolo o offesi anche nella ipotesi che siano state rispettate tutte le prescrizioni e poste in essere tutte le condotte richieste dalle autorità. In particolare, è utile ricordare che da questa norma, la giurisprudenza della Corte con la sentenza di questa sezione n. 32797 del 18/3/2013, Rubegni, Rv 256663, ha individuato tre specifiche fasi in cui può ritenersi articolata la vita di una discarica: progettazione, preparazione e strutturazione del sito e degli impianti; gestione 
operativa, che si protrae fino alla chiusura e gestione post-operativa e di ripristino ambientale, pervenendo alla conclusione che anche tale ultima fase costituisce parte del ciclo vitale della discarica ed è oggetto della disciplina autorizzatoria, con la conseguenza che la sua violazione integra gli estremi del reato in esame. Ma non solo, la richiamata decisione ha evidenziato anche un collegamento tra la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 35 del 2003 ed il D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale, entrato successivamente in vigore, nell’art. 182, comma 5 stabilisce che le attività di smaltimento in discarica dei rifiuti sono disciplinate secondo le disposizioni del D.Lgs. del 2003 e, nell’art. 183, comma 1, lett. n), colloca tra le attività di gestione anche gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento.
 
Sempre il citato decreto disciplina, espressamente, la fase di chiusura. L’art. 12 stabilisce un preciso iter che prevede, dapprima, una previa verifica della conformità della morfologia della discarica e, in particolare della capacità di allontanamento delle acque meteoriche, seguita da una verifica del rispetto del progetto di cui all’articolo 9, comma 1, lettera a), ossia il progetto di discarica da predisporsi al momento della richiesta di autorizzazione che deve comprendere la gestione, la sorveglianza e prevedere, anche, ripristino ambientale dopo la chiusura. La discarica, o una parte della stessa, è considerata definitivamente chiusa solo dopo che l’Ente territoriale competente al rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo 10 del decreto, ha eseguito un’ispezione finale sul sito e comunicato a quest’ultimo l’approvazione della chiusura.
 
Infine, è previsto che, anche dopo la chiusura definitiva della discarica, il gestore è responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase di gestione post-operativa, per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l’ambiente.
 
6.2. Alla luce della normativa di settore, ritiene la Corte che la nozione di gestore sia necessariamente collegato alla articolata nozione di discarica che si collega, a sua volta, alla varie fasi fenomenologiche della stessa (conferimento, gestione, fase post operativa) si da rimanere in capo al soggetto anche nella fase post operativa e fino al termine della gestione stessa, ovvero fino alla procedura di chiusura con la comunicazione del provvedimento di approvazione.
 
Il “gestore” rimane tale fino al termine della vita della discarica, che coincide con il provvedimento di chiusura in seguito agli adempimenti previsti dalla legge.
 
Tale conclusione non è contraddetta dalla circostanza che la gestione operativa della discarica e di controllo post conferimento indicato in sette anni, da parte della società IPGI (ovvero i conferimenti), si fosse svolta anche sotto la vigenza della precedente disciplina di cui al D.Lgs n. 22 del 1997. Il tema è stato affrontato con la sentenza n. 48402/2004 di questa Corte (Sez. 3, n. 48402 del  11/11/2004, Rigon, Rv 230794) che ha enunciato il principio di diritto secondo cui la gestione post-operativa di una discarica rientra nella nozione di gestione di discarica anche sotto il vigore della precedente disciplina. La gestione post operativa – che deve rispettare le prescrizioni imposte ai fini del ripristino ambientale secondo quanto previsto dall’art. 14 del D.Lgs. n. 36 del 2003 -, era ricompresa nella nozione di gestione dei rifiuti introdotta dall’art. 6, comma primo, lett. d) del D.Lgs. n. 22 del 1997. L’art. 6, lett. d), del D.Lgs. n. 22/1997 riconduce al concetto di “gestione dei rifiuti” anche ” … il controllo delle discariche e degli impianti di smaltimento dopo la chiusura”, cosicchè il Marinelli era “gestore” anche per la fase post operativa secondo la disciplina di settore succedutasi.
 
In tale prospettiva, poi, l’art. 2, lett. o), del D.Lgs. n. 36/2003 ha inteso affermare senza equivoci che va ricondotta alla “gestione dei rifiuti” anche la gestione post-operativa di una discarica, in un’ottica di garanzia dello smaltimento “sicuro” ed ha poi disciplinato il procedimento di chiusura proprio al fine di garantire lo smaltimento “sicuro”.
 
Devono, in definitiva, ribadirsi i principi già affermati dalla sentenza n. 32797/2013 e ripresi in quella successiva n. 45931/2014, secondo cui l’attività di gestione di una discarica deve essere unitariamente considerata e comprende anche la fase post operativa, rispetto alla quale è configurabile la responsabilità del soggetto gestore fino alla fase post operativa, e la non autorizzata o irregolare gestione riguardante la fase post-operativa di una discarica cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area (Sez. 3, n. 46931 del 09/10/2014, Cifaldi, Rv. 260873).
 
6.3. Così ricostruito il tessuto normativa, ritiene la Corte destituita di fondamento l’argomentazione difensiva circa l’assenza della qualità soggettiva in capo al ricorrente. La responsabilità del gestore della discarica non cessa con la fase del post conferimento e permane sino al completamento delle procedure di chiusura come disciplinate dalla legge. Sante Marinelli è, dunque, soggetto gestore della discarica, anche dopo la fase di conferimento terminata nel 1992, rispetto alla quale non è mai stata messa in atto la procedura prevista dal decreto del 2003, che, all’indomani dell’entrata in vigore dello stesso, nel disciplinare, in attuazione alla direttiva comunitaria, la materia delle discariche, prevedeva una procedura di chiusura che il ricorrente, quale gestore della discarica, non ha mai attivato e a cui era tenuto, in ragione dell’entrata in vigore della nuova legge in osservanza del principio del tempus regit actum. Correttamente il Tribunale del riesame ha riconosciuto la qualità di soggetto attivo del reato in capo al ricorrente, sul rilievo che gli obblighi connessi alla 
gestione di una discarica non presuppongono una discarica attiva (pag. 2), motivazione adeguata ed ha fatto corretta applicazione della normativa di settore. Dunque ciò che è terminato è l’attività di conferimento e trattamento dei rifiuti, ma non la gestione successiva rispetto alla quale permane in capo alla società e al ricorrente l’obbligo di controllo e vigilanza nella fase post operativa fino alla definitiva chiusura mai avvenuta nel caso concreto.
 
6.4. Un’ultima notazione: merita di essere riportato l’art. 13, comma 6 del D.lgs n. 36 del 2003 che fa obbligo al gestore di segnalare alle autorità “eventuali significativi effetti negativi sull’ambiente riscontrati a seguito delle procedure di sorveglianza e di controllo”. Come osservato da Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007, Schembri, Rv 238055, si è in presenza di un obbligo che prescinde dalla precisa individuazione di livelli di inquinamento e rafforza quanto affermato sopra secondo cui il gestore è tenuto ad un obbligo generale di cautela e di prevenzione che ha riguardo all’effettiva tutela dei beni ambiente e salute che possono risultare messi in pericolo o offesi anche nella ipotesi che siano state rispettate tutte le prescrizioni e poste in essere tutte le condotte richieste dalle autorità e dunque l’obbligo persiste per tutta la durata del ciclo della discarica.
 
Ne consegue che il primo motivo di ricorso non è fondato.
 
7. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso. Il Tribunale del riesame, nel condividere la censura difensiva di violazione degli art. 223 disp.attu. e art. 360 cod.proc.pen., ha argomentato che è ius receptum che la natura di reflui e/rifiuti non deve essere necessariamente accertata tramite prelevamento di campioni, ben potendo il giudice pervenire alla loro identificazione anche a mezzo di altri mezzi di prova (Cass. n. 37575/2006) e, con riguardo al caso specifico, la natura del reflui e la provenienza dalla discarica (circostanza non contestata dal ricorrente) derivava dal “colore e odore” attestato nel verbale di trasmissione risultanze esame organolettico, che era indicato come caratteristica del percolato. Ne consegue l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
 
8. Alla stessa sorte non si sottrae il terzo motivo di ricorso. Non è oggetto di contestazione che lo scarico del percolato derivava dalla discarica, e che lo scarico si riversava nel torrente Bretta sottoposto a vincolo paesaggistico, sicchè si configura il fumus del reato paesaggistico come ritenuto dal Tribunale (pag. 4), risultando irrilevante il profilo sollevato.
 
9. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto proposto per la prima volta nel giudizio in cassazione, non essendo stato devoluto avanti al Tribunale. 
 
10. Anche il motivo nuovo, depositati il 14 giugno 2016 ore 11,30, è infondato. Con esso si ripropone, denunciando la violazione degli artt. 15 e 17 del D.Lgs n. 36 del 2003, il tema dell’assenza di obblighi in capo al gestore nella fase post operativa già coltivato nel primo motivo di ricorso. Al riguardo, è sufficiente richiamare quanto esposto al par. 6.1 e 6.2., ed evidenziare che le previsioni degli art. 15 e 17 cit. relativi alla disciplina dei costi di gestione, non elidono gli obblighi previsti nell’art. 12 cit. per la fase di chiusura della discarica che il ricorrente ha disatteso.
 
Infine, deve rilevarsi che sulla disciplina ambientale si è pronunciata la Corte di giustizia con la sentenza nella causa (C-534-13) nella quale, sulla domanda pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato, ha ritenuto conforme alla Direttiva 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, la normativa nazionale, con riferimento agli obblighi del proprietario in ordine alla messa in sicurezza e alla bonifica di un sito inquinato, fondata sul principio che “chi inquina paga”.
 
11. Il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso il 14/06/2016
 

 

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