Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 13735 | Data di udienza: 26 Febbraio 2013

* DIRITTO URBANISTICO – Abuso d’ufficio – Condotte abusive – Dolo intenzionale – Finalità prevalente – Reato di abuso d’ufficio – Integrazione – C.d. doppia ingiustizia – Violazione di legge e vantaggio patrimoniale – Intesa preventiva tra l’agente ed il beneficiario dell’illecita condotta – Necessità – Esclusione – Condotta illecita – Art. 323 cod. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Marzo 2013
Numero: 13735
Data di udienza: 26 Febbraio 2013
Presidente: Mannino
Estensore: Fiale


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Abuso d’ufficio – Condotte abusive – Dolo intenzionale – Finalità prevalente – Reato di abuso d’ufficio – Integrazione – C.d. doppia ingiustizia – Violazione di legge e vantaggio patrimoniale – Intesa preventiva tra l’agente ed il beneficiario dell’illecita condotta – Necessità – Esclusione – Condotta illecita – Art. 323 cod. pen..



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 22 Marzo 2013 (Ud. 26/02/2013), Sentenza n. 13735

DIRITTO URBANISTICO – Abuso d’ufficio – Condotte abusive – Dolo intenzionale – Finalità prevalente – Art. 323 cod. pen..
 
Il dolo intenzionale, quale atteggiamento psicologico dell’agente, deve desumersi dai comportamenti tenuti prima, durante e dopo la condotta ed in particolare modo dall’evidenza delle violazioni, dalla competenza dell’agente, dalla reiterazione e gravità delle violazioni, dai rapporti tra agente e soggetto favorito o danneggiato e, in caso di compresenza di più fini, dalla comparazione dei rispettivi vantaggi o svantaggi (Cass., n. 41365/2006). Intenzionalità non significa però esclusività del fine che deve animare l’agente. La legge del 1997 non richiede che le condotte abusive, quale ne sia la forma, vengano realizzate “al solo scopo” di conseguire questo o quell’evento tipico, perché una tale formula non è stata inserita nella fattispecie incriminatrice. Affermare infatti che l’agente deve agire “al solo scopo di” equivarrebbe ad abrogare il delitto in questione. Invero, trattandosi di delitto che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio di attività pubbliche, viene sempre esternata una finalità pubblica che serve per mascherare il vero fine. Da ciò deriva che, allorché accanto all’esternazione del fine pubblico si affianca anche uno scopo privato, occorre accertare quale sia stata la finalità prevalente ed essenziale che ha mosso l’agente ed in quale misura un fine abbia avuto la prevalenza sull’altro, sì da escludere il reato allorché il fine pubblico ha avuto la prevalenza sull’altro, ravvisandolo invece qualora resti accertato che la finalità pubblica rappresenti una mera occasione o pretesto per coprire la condotta illecita (Corte Cost. Ord. n. 251/2006). La finalità pubblica, inoltre, non può essere esclusa per la semplice violazione di una norma posta a presidio di un interesse pubblico, giacché questo può realizzarsi anche mediante una violazione di legge o di regolamento specialmente quando si tratta di violazioni formali.
 
(conferma sentenza n. 2799/2010 CORTE APPELLO di BARI, del 04/10/2011) Pres. Mannino, Est. Fiale, Ric. PC in proc. Fabrizio
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Reato di abuso d’ufficio – Integrazione – C.d. doppia ingiustizia – Violazione di legge e vantaggio patrimoniale – Intesa preventiva tra l’agente ed il beneficiario dell’illecita condotta – Necessità – Esclusione – Condotta illecita – Art. 323 cod. pen..
 
Ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio è necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia – nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia (Cass., Sez. VI, n. 35381 del 27.6.2006; Cass. Sez. V, n. 16895 dep. 21.4.2009) – mentre nessuna intesa preventiva è richiesta tra l’agente ed il beneficiario dell’illecita condotta, dovendosi ritenere sufficiente, al riguardo, che il beneficiario stesso sia specificamente individuato (Cass. Sez. VI, n. 21085 del 28.1.2004). La condotta illecita deve concretarsi in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio per realizzare lo specifico fine perseguito dalla norma violata (Cass., Sez. VI, n. 41402 del 25.9.2009).

(conferma sentenza n. 2799/2010 CORTE APPELLO di BARI, del 04/10/2011) Pres. Mannino, Est. Fiale, Ric. PC in proc. Fabrizio


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 22 Marzo 2013 (Ud. 26/02/2013), Sentenza n. 13735

SENTENZA

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
 
Composta dagli I11.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. SAVERIO FELICE MANNINO – Presidente 
Dott. ALDO FIALE – Consigliere Rel.
Dott. AMEDEO FRANCO – Consigliere 
Dott. LUIGI MARINI – Consigliere  
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da LOMBARDI ANTONIO N. IL 17/06/1943 (parte civile}
nei confronti di:
FABRIZIO MARIO N. IL 19/01/1944
CAMPANIELLO GAETANO N. IL 28/03/1964
avverso la sentenza n. 2799/2010 CORTE APPELLO di BARI, del 04/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gabriele Mazzotta che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso
udito – per la parte civile ricorrente – l’avv. Bernardino Masanotti il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
uditi i difensori: Avv.to Aldo Protano (per Fabrizio) ed avv. Giuseppe Raguso sostituto processuale dell’avv. Natale Clemente (per Campaniello), i quali hanno chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
La Corte di appello di Bari, con sentenza del 4.10.2011, ha confermato – in seguito ad appello della sola parte civile – la sentenza 11.2.2010 del Tribunale di Foggia, che aveva assolto “perché il fatto non costituisce reato” Fabrizio Mario e “per non avere commesso il fatto” Campaniello Gaetano dal delitto di cui:
– agli artt. 110 e 323 cod. pen. [per avere il Fabrizio, quale geometra responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Vieste, intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale al Campaniello, legale rappresentante della s.r.l. “Progea”, rilasciandogli illegittimamente n. 3 permessi di costruzione in variante della originaria concessione edilizia n. 13/2004, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, senza l’autorizzazione preventiva della Soprintendenza per i beni e le attività culturali ed in difformità dalle previsioni del vigente P.R.G. del Comune di Vieste, consentendo una volumetria complessiva ed un numero di piani superiori ai limiti consentiti – in Vieste, il 24.4.2006, il 14.11.2006 ed il 21.11.20071.
 
Il Tribunale era pervenuto alle anzidette pronunzie assolutorie, evidenziando la mancanza di prova in ordine a qualsivoglia “relazione o accordo stretto” intercorsi tra il funzionario comunale ed il legale rappresentante della s.r.l. “Progea” ed aderendo all’orientamento interpretativo secondo il quale – quando è pacifica la coincidenza del fine realizzato nel procedimento amministrativo con l’interesse pubblico – non è ipotizzabile il reato di abuso di ufficio, atteso che l’eventuale vantaggio verrebbe a profilarsi come effetto indiretto derivante dal perseguimento del pubblico interesse.
 
Nella specie, il giudice di primo grado aveva concluso che, “quand’anche si volesse ammettere la sussistenza sia pure in angusti limiti di violazioni amministrative, ciò non integrerebbe il reato di abuso di ufficio per la carenza di prove in ordine al dolo intenzionale idoneo a fare ritenere dette violazioni come elementi costitutivi di un atto illecito e non semplicemente illegittimo”.
 
In seguito ad appello della sola parte civile, la Corte di merito ha condiviso le valutazioni del Tribunale ed ha escluso la ricorrenza negli imputati del dolo intenzionale diretto ad avvantaggiare la s.r.l. “Progea”.
 
Ha evidenziato l’emersione di elementi indizianti relativi ad irregolarità procedimentali nel rilascio dei permessi di costruire oggetto di contestazione (rilevando comunque che i profili di illegittimità erano stati diversamente valutati, nella loro portata oggettiva, dal consulente tecnico del P.M. e da altro consulente tecnico di ufficio in una controversia civile instaurata contro la s.r.l. “Progea”). Ha ribadito, però, che l’istruttoria dibattimentale non aveva accertato “alcun elemento di collegamento” tra il Fabrizio ed il Campaniello e che tra i due non era emerso “alcun accordo, né di carattere lecito, né di carattere illecito” e neppure era risultato che i due si conoscessero.
 
Il lucro che l’imprenditore Campaniello avrebbe ricavato dai conseguiti permessi edilizi, inoltre, non può essere “automaticamente incasellato nell’ingiusto vantaggio patrimoniale richiesto dall’art. 323 cod. pen.”, in quanto “è un dato normale che un privato imprenditore si riprometta di ricavare un guadagno dalla propria attività, ma se non viene dimostrato che tale profitto, per l’appunto, è ingiusto perché conseguente ad illecite sollecitazioni o pressioni per il conseguimento dei necessari permessi amministrativi, l’extraneus non può definirsi concorrente nel reato proprio del pubblico funzionario (Cass., Sez. V, 21.5.2009, n. 40499)”.
 
La Corte territoriale, poi, si è espressamente conformata alla giurisprudenza di legittimità (citando Cass., Sez. V, 3.12.2010, n. 3039, Marotta) che esclude la ricorrenza di un abuso d’ufficio nei casi in cui, accanto al conseguimento di un vantaggio privato, vi sia anche il perseguimento in via primaria dell’interesse pubblico demandato al pubblico ufficiale, finalità che priva la condotta di rilevanza penale, ed alla stregua di tale indirizzo interpretativo ha rilevato che l’ampliamento della posizione soggettiva del Campaniello ha comunque giovato all’interesse pubblico in termini di sviluppo economico, di incremento dell’occupazione e dell’indotta espansione di attività commerciali”.
 
Avverso la sentenza di conferma della pronunzia assolutoria ha proposto ricorso il difensore della parte civile Lombardi Antonio, il quale ha lamentato violazione di legge in ordine alla individuazione dell’elemento soggettivo del reato, prospettando la configurabilità evidente del dolo intenzionale, “attesi l’enormità, l’aberrazione, la volontaria travisazione della realtà e la volontaria reiterazione cosciente dei comportamenti palesemente illeciti posti in essere dagli imputati nella considerazione altresì influente e quindi del tutto inescusabile dell’esperienza del geometra Fabrizio”.
 
Il difensore del Campaniello ha depositato memoria all’udienza odierna. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il ricorso della parte civile deve essere rigettato, perché infondato.
 
Ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio è necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia – nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia (vedi, ex multis, Sez. VI, n. 35381 del 27.6.2006; Sez. V, n. 16895 del 2.12.2008, dep. il 21.4.2009) – mentre nessuna intesa preventiva è richiesta tra l’agente ed il beneficiario dell’illecita condotta, dovendosi ritenere sufficiente, al riguardo, che il beneficiario stesso sia specificamente individuato (Sez. VI, n. 21085 del 28.1.2004).
 
La condotta illecita deve concretarsi in uno svolgimento della funzione o del servizio che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio per realizzare lo specifico fine perseguito dalla norma violata (vedi Cass., Sez. VI, n. 41402 del 25.9.2009).
 
Questa III Sezione – con la sentenza 24.2.2011, n. 18895, che il Collegio condivide – ha già evidenziato che, con la riforma introdotta dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, il legislatore ha abbandonato la formulazione del testo dell’art. 323 cod. pen., che delineava un reato a dolo specifico e, inserendo l’avverbio “intenzionalmente” per qualificare il dolo, ha trasformato il fine dell’agente in evento.
 
Ne consegue che il dolo costitutivo del reato è generico, ma rispetto agli eventi che completano il fatto, assume la forma del dolo intenzionale.
 
Tale forma limita il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Da ciò consegue che la configurabilità del reato è esclusa, sotto il profilo soggettivo, non solo in presenza del dolo eventuale (caratterizzata dall’accettazione del verificarsi dell’evento), ma anche in presenza del dolo diretto (che ricorre nell’ipotesi in cui l’agente si rappresenti l’evento come verificabile con elevato grado di probabilità o con certezza), occorrendo invece il dolo intenzionale, che è ravvisabile quando l’evento sia voluto dall’agente come obiettivo primario della sua condotta.
 
Il dolo intenzionale, quale atteggiamento psicologico dell’agente, deve desumersi dai comportamenti tenuti prima, durante e dopo la condotta ed in particolare modo dall’evidenza delle violazioni, dalla competenza dell’agente, dalla reiterazione e gravità delle violazioni, dai rapporti tra agente e soggetto favorito o danneggiato e, in caso di compresenza di più fini, dalla comparazione dei rispettivi vantaggi o svantaggi (vedi Cass., n. 41365/2006).
Intenzionalità non significa però esclusività del fine che deve animare l’agente. La legge del 1997 non richiede che le condotte abusive, quale ne sia la forma, vengano realizzate “al solo scopo” di conseguire questo o quell’evento tipico, perché una tale formula non è stata inserita nella fattispecie incriminatrice. Affermare infatti che l’agente deve agire “al solo scopo di” equivarrebbe ad abrogare il delitto in questione. Invero, trattandosi di delitto che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio di attività pubbliche, viene sempre esternata una finalità pubblica che serve per mascherare il vero fine.
 
Da ciò deriva che, allorché accanto all’esternazione del fine pubblico si affianca anche uno scopo privato, occorre accertare quale sia stata la finalità prevalente ed essenziale che ha mosso l’agente ed in quale misura un fine abbia avuto la prevalenza sull’altro, sì da escludere il reato allorché il fine pubblico ha avuto la prevalenza sull’altro, ravvisandolo invece qualora resti accertato che la finalità pubblica rappresenti una mera occasione o pretesto per coprire la condotta illecita (sul punto vedi pure le argomentazioni svolte nell’ordinanza n. 251/2006 della Corte Costituzionale).
 
La finalità pubblica, inoltre, non può essere esclusa per la semplice violazione di una norma posta a presidio di un interesse pubblico, giacché questo può realizzarsi anche mediante una violazione di legge o di regolamento specialmente quando si tratta di violazioni formali.
 
Nella vicenda che ci occupa la parte civile ricorrente non esclude la presenza di una finalità pubblica nell’azione amministrativa del geometra Fabrizio ed omette di specificare quali siano gli elementi sintomatici da cui possa desumersi l’effettiva e prevalente intenzione del funzionario comunale di favorire se stesso e/o recare vantaggi patrimoniali al privato, con particolare riguardo alla entità concreta delle accertate violazioni di legge e di piano (delle quali i giudici del merito hanno affermato i “limiti angusti” e che, comunque, restano assolutamente indefinite per quanto attiene alla pretesa autorizzazione di volumetrie che non sarebbero consentite) ed ai rapporti intercorrenti ed intercorsi tra soggetto agente e soggetto avvantaggiato.
 
Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
 
P.Q.M.
 
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
ROMA, 26.2.2013
 

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