Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Rifiuti
Numero: 17378 |
Data di udienza: 31 Gennaio 2019
* RIFIUTI – Territori con lo stato di emergenza – Gestione dei rifiuti – Raccolta e trasporto – Mancanza di autorizzazione – Dolo generico – Mera consapevolezza – Art. 6 comma 1 lett. d del D.Lvo 172/2008 – Artt. 212 e 256 d.lgs. n.152/2006 – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata – Natura di reato istantaneo – Sufficiente un unico trasporto abusivo di rifiuti – Responsabilità da parte di "chiunque" gestisce i rifiuti – Titolari di imprese e dei responsabili di enti.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Aprile 2019
Numero: 17378
Data di udienza: 31 Gennaio 2019
Presidente: ROSI
Estensore: SEMERARO
Premassima
* RIFIUTI – Territori con lo stato di emergenza – Gestione dei rifiuti – Raccolta e trasporto – Mancanza di autorizzazione – Dolo generico – Mera consapevolezza – Art. 6 comma 1 lett. d del D.Lvo 172/2008 – Artt. 212 e 256 d.lgs. n.152/2006 – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata – Natura di reato istantaneo – Sufficiente un unico trasporto abusivo di rifiuti – Responsabilità da parte di "chiunque" gestisce i rifiuti – Titolari di imprese e dei responsabili di enti.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 23/04/2019 (Ud. 31/01/2019), Sentenza n.17378
RIFIUTI – Territori con lo stato di emergenza – Gestione dei rifiuti – Raccolta e trasporto – Mancanza di autorizzazione – Dolo generico – Mera consapevolezza – Art. 6 comma 1 lett. d del D.Lvo 172/2008 – Artt. 212 e 256 d.lgs. n.152/2006.
Ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 6 comma 1 lett. d del D.Lvo 172/2008 è sufficiente il dolo generico in capo al soggetto che realizza l’elemento materiale del reato (nella specie la raccolta ed il trasporto dei rifiuti pericolosi e non pericolosi), consistente nella consapevolezza da parte di questo del fatto di aver eseguito la raccolta ed il trasporto in assenza della prescritta autorizzazione.
RIFIUTI – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata – Stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti – Natura di reato istantaneo – Sufficiente un unico trasporto abusivo di rifiuti – Responsabilità da parte di "chiunque" gestisce i rifiuti – Titolari di imprese e dei responsabili di enti.
Il delitto previsto dall’art. 6, comma 1, lett. d) del d.l. 6 novembre 2008, n. 172 (conv. in legge 30.12.2008, n. 210), applicabile per i territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, così come l’omologo reato contravvenzionale previsto dall’art. 256, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (vigente in tutto il territorio nazionale), costituisce reato istantaneo per la cui integrazione è sufficiente un unico trasporto abusivo di rifiuti. Inoltre, il reato contenuto nell’art. 256 del d.lgs. 152/2006 punisce «chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione o comunicazione prescritte dalla normativa vigente …» Nella specie, il requisito della stabilità o continuatività della condotta non solo non è contemplato dalla norma emergenziale, ma ne contraddirebbe la ratio, rendendo più difficile la repressione del comportamento proprio nei territori in cui si è voluto inasprire il regime sanzionatorio.
(dich. inammissibili i ricorsi avverso sentenza del 19/06/2018 – CORTE APPELLO di CATANIA) Pres. ROSI, Rel. SEMERARO, Ric. Bonaccorso
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 23/04/2019 (Ud. 31/01/2019), Sentenza n.17378
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 23/04/2019 (Ud. 31/01/2019), Sentenza n.17378
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da BONACCORSO GIUSEPPE nato a CATANIA;
avverso la sentenza del 19/06/2018 della CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DOMENICO SECCIA il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità con statuizioni conseguenti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 19 giugno 2018, la Corte di appello di Catania ha confermato la condanna inflitta il 29 maggio 2012 a Giuseppe Bonaccorso, all’esito del giudizio abbreviato, per il reato ex art. 6 comma 1 lett. d) del d.l. 172/2008, convertito dalla legge 210/2008, per avere, in concorso con altro soggetto, in assenza di autorizzazione, trasportato a bordo di un motocarro Ape rifiuti speciali anche pericolosi, quali parti di carrozzeria di auto, radiatori, latte già contenenti prodotti chimici e rottami ferrosi di vario genere.
2. Il difensore di Giuseppe Bonaccorso ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 19 giugno 2018.
2.1. Con il primo motivo, si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 6 comma 1 lett. d) del d.l. 172/2008, convertito dalla legge 210/2008.
Dopo aver ricordato la successione delle leggi nel tempo in tema di rifiuti in Sicilia, si rileva che l’art 256 del d.lgs. 152/2006 in tema di gestione dei rifiuti mira a colpire il flusso incontrollato massivo dei rifiuti, svolta nell’ambito di un’attività imprenditoriale.
Si afferma che non vi sarebbe l’offesa del bene protetto dall’art. 6 ove l’attività sia svolta dal privato e non nell’ambito di un’attività imprenditoriale; altrimenti vi sarebbe lo snaturamento del reato.
L’art. 6 lett. d) avrebbe lo stesso ambito applicativo dell’art. 256 comma 1 lett. a) del d.lgs. 152/2006; la rilevanza penale sussisterebbe solo in caso di struttura imprenditoriale e non nel caso del privato che trasporti i rifiuti senza autorizzazione.
L’art. 256, quanto all’autore del reato, andrebbe interpretato unitamente al comma 2 che prevederebbe la responsabilità dei titolari di imprese e dei responsabili di enti; il comma 2 dell’art. 256 del d.lgs. 152/2006 costituirebbe un reato proprio.
L’art. 255 del d.lgs. citato si applicherebbe quindi a chi operi al di fuori di strutture imprenditoriali.
La lesione al bene protetto dalla norma avverrebbe solo in caso di attacco di tipo massivo e con il cumulo delle condotte descritte dalla norma.
Oltre a ribadirsi la tesi del reato proprio, si rappresenta, in ogni caso, che anche per la giurisprudenza è necessario che sussista una struttura imprenditoriale, sicchè sarebbero prive di rilevanza penale le condotte del privato che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di un qualsiasi intento economico.
La tesi del reato proprio troverebbe poi conferma nel testo degli artt. 212 e 256 comma 4 del d.lgs. 152/2006 in relazione ai soggetti – le imprese – legittimate ad ottenere l’autorizzazione.
Si riporta por la giurisprudenza in tema di non occasionalità del trasporto e sulla necessità di una seppur rudimentale organizzazione professionale. Pertanto, l’art. 6 lett. d) può essere applicato solo ai soggetti muniti di organizzazione imprenditoriale, perché solo a questi può essere rilasciata l’autorizzazione amministrativa: il ricorrente era sprovvisto di organizzazione imprenditoriale, anche rudimentale, si era limitato in una sola occasione a raccogliere rottami ferrosi abbandonati per le strade di Acireale; si è sostanziata nella raccolta di esiguo e svariato materiale abbandonato, senza che si siano concretizzate le attività previste dal decreto emergenziale sui rifiuti.
2.2. Con il secondo motivo, si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione al rigetto dell’applicazione degli artt. 47 e 59 ultimo comma cod. pen..
Dopo le argomentazioni in diritto, si afferma che l’imputato aveva ritenuto di essere in possesso di idonea autorizzazione amministrativa rilasciata dal comune di Catania, avendo il 11 maggio 2010 presentato domanda, accettata dall’ufficio competente con la dicitura «ritiro autorizzazione amministrativa» del 1 luglio 2010; ciò aveva fatto sorgere nell’imputato l’erronea ma reale convinzione di agire legittimamente, ritenendo che il comune di Catania gli avesse rilasciato l’autorizzazione al trasporto, come dichiarato nell’interrogatorio, con conseguente assenza dell’elemento soggettivo del reato.
Si sostiene poi che la licenza rilasciata dal comune quale venditore ambulante ha creato un erroneo convincimento nell’imputato di poter operare liberamente anche nel settore dei rifiuti ferrosi.
Dopo i richiami giurisprudenziali, si afferma che si è trattato di un errore di fatto (esercizio dell’attività di venditore ambulante) o di una circostanza di esclusione della pena (possesso di titolo abilitativo) determinato da una erronea interpretazione di legge extra penale o dalla erronea convinzione di agire legittimamente derivata da fatto altrui.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile per le seguenti ragioni.
1.1. Va premesso che il reato de quo punisce «chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione o comunicazione prescritte dalla normativa vigente …».
La Corte di appello di Catania ha rigettato le questioni di diritto poste con il primo motivo di appello, ribadite con il ricorso per cassazione, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 3, n. 41529 del 15/12/2016, dep. 12/09/2017, Angeloni Rv. 270947 – 01, che ha affermato il principio per cui il delitto previsto dall’art. 6, comma 1, lett. d) del d.l. 6 novembre 2008, n. 172 (conv. in legge 30.12.2008, n. 210), applicabile per i territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, così come l’omologo reato contravvenzionale previsto dall’art. 256, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (vigente in tutto il territorio nazionale), costituisce reato istantaneo per la cui integrazione è sufficiente un unico trasporto abusivo di rifiuti.
In motivazione, la Corte ha chiarito che il requisito della stabilità o continuatività della condotta non solo non è contemplato dalla norma emergenziale, ma ne contraddirebbe la ratio, rendendo più difficile la repressione del comportamento proprio nei territori in cui si è voluto inasprire il regime sanzionatorio.
1.2. Il primo motivo di ricorso è pertanto manifestamente infondato perché è contrario all’orientamento della Corte di Cassazione,che deve essere ribadito.
1.3. Inoltre, il motivo non si è confrontato minimamente con la motivazione della sentenza impugnata, ribadendo solo la tesi difensiva, ed è pertanto privo del requisito della specificità estrinseca.
I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili sia quando risultano intrinsecamente indeterminati che quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella motivazione della sentenza n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822).
La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato perché la Corte di appello ha fatto corretta applicazione degli art. 47 e 59 cod. pen..
2.1. Ai fini della sussistenza del reato de quo è sufficiente il dolo generico in capo al soggetto che realizza l’elemento materiale del reato (nella specie la raccolta ed il trasporto dei rifiuti pericolosi e non pericolosi), consistente nella consapevolezza da parte di questo del fatto di aver eseguito la raccolta ed il trasporto in assenza della prescritta autorizzazione.
2.2. Correttamente la Corte di appello ha ritenuto che al più configuri un errore di diritto inescusabile, volendo dar credito al solo interrogatorio dell’imputato, l’aver ritenuto di poter trasportare rifiuti, pericolosi e non, con una mera licenza di venditore ambulante o in assenza dell’autorizzazione, nella sua materialità, ma in presenta di una dicitura, per altro di irrilevante contenuto.
2.3. Va poi rilevato che non è stata nea che indicata quale sarebbe la circostanza di esclusione della pena della quale sarebbe stata erroneamente supposta l’esistenza.
3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 31/01/2019.