CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/06/2016 (Ud. 25/02/2016) Sentenza n.26428
DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi – Soggetto responsabile dell’abuso edilizio – Valutazione del comproprietario non committente – Disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori –Artt. 19, 31 c.9 e 44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001.
In tema di reati edilizi, ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato previsto dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 è necessario escludere l’interesse o il suo consenso alla commissione dell’abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione. Pertanto, non è sufficiente, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori. Perché il proprietario non committente vada esente da responsabilità occorre qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all’abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione.
DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Soggetti responsabili – Individuazione del comproprietario non committente – Elementi oggettivi e soggettivi – Art. 44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001.
In tema di reati edilizi, l’individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria: piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, rapporti di parentela o di affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario; eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo durante l’effettuazione dei lavori; lo svolgimento di attività di materiale vigilanza sull’esecuzione dei lavori; la richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; il regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale; all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa (Cass. Sez. 3, 27.9.2000, n. 10284, Cutaia; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone; Sez.3, n. 39400 del 21/03/2013; Sez.3, n.52040 del 11/11/2014).
DIRITTO URBANISTICO – Reato di costruzione abusiva – Ordine di demolizione dell’opera – Estinzione per prescrizione – Effetti.
In materia edilizia, l’estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge l’ordine di demolizione dell’opera, indipendentemente da una espressa statuizione di revoca, atteso che tale ordine è una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione nella accessorietà alla sentenza di condanna(Cass. Sez. 3, n. 10/2/2006, Cirillo; Sez.3, n.8409 del 30/11/2006, dep. 28/02/2007; Sez.3, n. 756 del 02/12/2010, dep. 14/01/2011; Sez.3, n.50441 del 27/10/2015).
L’
art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001– interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali – (che riproduce l’omologa disposizione di cui all’art. 7, ultimo comma della legge n. 47 del 1985) prevede, infatti, testualmente che “per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”. Trattasi di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio (non di una pena accessoria, ne’ di una misura di sicurezza patrimoniale), caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale ne è attribuita l’applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla “sentenza di condanna”. L’ordine di demolizione in oggetto ha, pertanto, come presupposto – diversamente da quanto già previsto dalla stessa L. n. 47 del 1985, art. 19 ed attualmente dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, per la confisca dei terreni abusivamente lottizzati – la pronuncia di una sentenza di condanna o ad essa equiparata e non il mero accertamento della commissione dell’abuso edilizio, come nel caso di sentenza di estinzione per prescrizione (vedi Cass., Sez. 3 16.2.1998, n. 4100, ric. Maniscalco). Nella specie, quindi, la declaratoria di estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge l’ordine di demolizione impartito con la sentenza impugnata. Con riferimento alla confisca, va osservato che non può essere disposta la confisca dell’area adibita a discarica abusiva, in caso di estinzione del reato (nella specie, per prescrizione), né a norma dell’
art. 256, comma terzo, d.lgs. n. 152 del 2006, né a norma dell’art. 240, comma secondo, cod. pen. (Sez.3, n.37548 del 27/06/2013, Rv.257687; Sez. 3 n. 13741, 22 marzo 2013, non massimata).
Il d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3 stabilisce, infatti, che unicamente alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato.
DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Responsabilità – Valutazione del comproprietario non committente.
La valutazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio si sottrae al sindacato di legittimità della Suprema Corte, in quanto comporta un giudizio di merito che non contrasta ne’ con la disciplina in tema di valutazione della prova nè con le massime di esperienza.
RIFIUTI – Area adibita a discarica abusiva – La declaratoria di estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge anche la confisca.
Un’area adibita a discarica abusiva non rientra certamente tra le ipotesi di cui all’art. 240, comma 2, cod.pen., sia perché la realizzazione e la gestione di una discarica, se debitamente autorizzata, è lecita, sia perché la disposizione che la prevede consente la soggezione a confisca obbligatoria solo se l’area appartenga all’autore o al compartecipe al reato (Sez.3, n.37548 del 27/06/2013). Nella specie, quindi, la declaratoria di estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge anche la confisca disposta con la sentenza impugnata.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Limiti.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta da logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di appello – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Eccezione e limiti.
Costituisce ius receptum il principio in base al quale la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità e che la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. 2, 15/05/2013, n. 36630; Sez. 2, 27/09/2013, n. 41808). Il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, inoltre, si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, 16/07 /2013, n. 30774).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto tra il dispositivo e la motivazione di una sentenza – Soluzioni.
In caso di contrasto tra il dispositivo e la motivazione di una sentenza, prevale il primo, costituente il nucleo imperativo della decisione, sulla seconda: ciò salvo che l’eventuale divergenza possa essere superata con la valorizzazione della motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alle sua determinazione, laddove essa contenga elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso, e purché quegli elementi permettano di superare le incertezze o le incongruenze contenute nel dispositivo (Cass. Sez. 4, n.40796 del 18/09/2008, Marchetti e altri; Sez. 1, n. 34986 del 10/07/2007, Mabrouky).
(annulla senza rinvio per prescrizione dei reati sentenza del 13/06/2014 della Corte di appello di Lecce) Pres. GRILLO, Rel. DI STASI, Ric. Bianco
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/06/2016 (Ud. 25/02/2016) Sentenza n.26428
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/06/2016 (Ud. 25/02/2016) Sentenza n.26428
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da BIANCO MARIA SPERANZA, nata a Lecce il 17/03/1975
avverso la sentenza del 13/06/2014 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Gabriele Valentini, quale sostituto processuale dell’avv. Giancarlo Lazzaretti, che ha concluso riportandosi ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 9.02.2012 il Tribunale di Lecce, pronunciando nei confronti della odierna ricorrente Bianco Maria Speranza, imputata {capo a) del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e
44 lett. b) d.P.R. n. 380/2001 (perché, quale proprietaria del terreno agricolo distinto in Catasto Terreni del Comune di Lecce al foglio 154 p.lla 469, in concorso con Schipa Giampiero, committente dei lavori, e Bruno Vito Vittorio, esecutore dei lavori, realizzava in assenza di permesso di costruire la trasformazione di un’area originariamente ricoperta da macchia mediterranea effettuando una colmata con l’utilizzo dei rifiuti di cui al capo b) nonché la recinzione di un muro di cemento vibrato disteso per tutto il perimetro del fondo dell’altezza di mt 2,00 circa- in località “Pampoli” agro di Lecce accertato il 28.10.2008) e (capo b) del reato di cui all’
art. 256 comma 1 lett. a) e 3 d.lgs. 152/2006 (per aver realizzato e comunque gestito in area di sua proprietà una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi- in località “Pampoli” agro di Lecce accertato il 28.10.2008) la condannava alla pena di mesi otto di arresto ed euro 3.000,00 di ammenda con ordine di demolizione delle opere abusive e confisca del terreno.
Con sentenza del 13.6.2014, la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale e condannava l’appellante Bianco Maria Speranza al pagamento delle spese del grado e di quelle sostenute della parte civile.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Bianco Maria Speranza per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
La ricorrente deduce che la Corte territoriale fondava l’affermazione di responsabilità penale sulla circostanza che, all’epoca dei fatti, la predetta aveva la disponibilità giuridica e di fatto dell’area ed un sicuro interesse all’esecuzione delle opere.
Argomenta che, invece, come da pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, il semplice fatto di essere proprietario del terreno o, comunque, della superficie sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale,
La ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ammetteva la perizia tecnica richiesta che avrebbe consentito di dirimere la questione decisiva relativa all’epoca di realizzazione dei lavori, tenuto conto che la precedente proprietaria aveva ottenuto provvedimento autorizzativo non ritirato e che all’epoca dell’accertamento la proprietà dell’area era stata trasferita alla Bianco solo da nove mesi e mezzo.
La ricorrente deduce che nella la sentenza impugnata statuiva in dispositivo la condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, mentre nella parte motiva dava atto che la costituzione di parte civile era da intendersi revocata in primo grado in assenza di presentazione delle conclusioni e che era anche intervenuto atto di rinuncia alle statuizioni civili da parte del difensore di Legambiente Onlus-Comitato Regionale Puglia.
d. declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La ricorrente eccepisce l’estinzione per intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali contestati, tenuto della data di accertamento degli illeciti (28.10.2008) e dei periodi di sospensione della prescrizione in primo grado (dal 27.10.2011 al 9.2.2012) e in grado di appello (dal 18.9.2013 al 13.6.2014).
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte Suprema si è stabilmente assestata nell’affermare che in tema di reati edilizi, ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato previsto dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 è necessario escludere l’interesse o il suo consenso alla commissione dell’abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione (così questa sez. 3, n. 33540 del 19.6.2012, Pmt in proc. Grillo ed altri rv. 253169; conforme sez. 4 n. 19714 del 3.2.2009, Izzo F., rv. 243961). Questa Corte di legittimità non ritiene sufficiente, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori. Perché il proprietario non committente vada esente da responsabilità occorre qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all’abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione.
E’ dunque pacifico che in tema di reati edilizi, l’individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria: piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, rapporti di parentela o di affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario; eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo durante l’effettuazione dei lavori; lo svolgimento di attività di materiale vigilanza sull’esecuzione dei lavori; la richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; il regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale; all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa (Sez. 3, 27.9.2000, n. 10284, Cutaia; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone; Sez.3, n. 39400 del 21/03/2013, Rv.257676; Sez.3, n.52040 del 11/11/2014, Rv.261522).
Inoltre, la valutazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio si sottrae al sindacato di legittimità della Suprema Corte, in quanto comporta un giudizio di merito che non contrasta ne’ con la disciplina in tema di valutazione della prova nè con le massime di esperienza (sez. 3, n. 35631 dell’U.7.2007, Leone ed altri, rv. 237391).
Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito – con motivazione adeguata ed immune da vizi logico- giuridici – hanno ricondotto all’imputata l’attività di edificazione illecita in oggetto sui rilievi che essa era “proprietaria esclusiva” del fondo oggetto dei lavori abusivi, ne aveva la disponibilità giuridica e di fatto, ed avesse sicuro interesse all’esecuzione delle opere. Essa, inoltre, non ha dimostrato che non avesse avuto piena conoscenza dei lavori abusivi e che non fosse stata messa in condizione di esprimere il suo dissenso.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nel caso in oggetto, da logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Costituisce ius receptum il principio in base al quale la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità e che la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. 2, 15/05/2013, n. 36630; Sez. 2, 27/09/2013, n. 41808).
Il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, inoltre, si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, 16/07 /2013, n. 30774).
Nella specie, la motivazione offerta dalla Corte territoriale per il diniego della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è correlata alla rilevata completezza del quadro probatorio; essa è congrua e priva di vizi logici e si sottrae al sindacato di legittimità.
3. Il terzo motivo è fondato.
Risulta evidente la contraddittorietà interna della sentenza nella parte in cui provvede alla liquidazione delle spese in favore della parte civile nel dispositivo, dopo aver dato atto della revoca della costituzione della parte civile per mancata presentazione delle conclusioni scritte nella parte motiva.
Costituisce espressione di un pacifico principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, la regola generale secondo la quale, in caso di contrasto tra il dispositivo e la motivazione di una sentenza, prevale il primo, costituente il nucleo imperativo della decisione, sulla seconda: ciò salvo che l’eventuale divergenza possa essere superata con la valorizzazione della motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alle sua determinazione, laddove essa contenga elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso, e purché quegli elementi permettano di superare le incertezze o le incongruenze contenute nel dispositivo (Sez. 4, n.40796 del 18/09/2008, Marchetti e altri, Rv. 241472; Sez. 1, n. 34986 del 10/07/2007, Mabrouky, Rv. 237611.
Nella specie, la valorizzazione della motivazione, consente di superare tale divergenza e ritenere prevalente il contenuto della motivazione sul dispositivo che, quindi, va annullato in parte qua.
4. La non manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, consente l’accoglimento anche del quarto motivo relativo alla intervenuta prescrizione dei reati dopo la sentenza di appello (Sez. U, n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164).
Nel caso di specie, trattandosi di contravvenzioni, ai sensi dell’art. 157 cod. pen, il termine prescrizionale ordinario è di quattro anni ed il termine massimo ai sensi degli artt. 160 e 161 cod. pen. è di cinque anni.
Ne deriva che, tenuto conto della data di accertamento dei reati- 28.10.2008- il termine massimo della prescrizione sarebbe maturato il 28.10.2013.
Computando, poi, ai sensi dell’art. 159 cod. pen., la sospensione del termine dì decorrenza della prescrizione (dal 27.10.2011 al 9.2.2012 nel giudizio dì primo grado e dal 18.9.2013 al 13.6.2014 nel giudizio di appello) la prescrizione è maturata il 6.11.2014.
Consegue, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.
5. Vanno, inoltre, eliminati l’ordine di demolizione e la disposta confisca, alla stregua delle argomentazioni che seguono.
Con riferimento all’ordine di demolizione, va osservato che questa Corte ha affermato che, in materia edilizia, l’estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge l’ordine di demolizione dell’opera, indipendentemente da una espressa statuizione di revoca, atteso che tale ordine è una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione nella accessorietà alla sentenza di condanna(Sez. 3, n. 10/2/2006, Cirillo, Rv. 233673; Sez.3, n.8409 del 30/11/2006, dep. 28/02/2007, Rv.235952; Sez.3, n. 756 del 02/12/2010, dep. 14/01/2011, Rv.249154; Sez.3, n.50441 del 27/10/2015 Rv.265616).
L’
art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001– interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali – (che riproduce l’omologa disposizione di cui all’art. 7, ultimo comma della legge n. 47 del 1985) prevede, infatti, testualmente che “per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’
art. 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”.
Trattasi di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio (non di una pena accessoria, ne’ di una misura di sicurezza patrimoniale), caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale ne è attribuita l’applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla “sentenza di condanna” (vedi, in tal senso, Cass., Sez. Unite, 24.7.1996, ric. Monterisi).
L’ordine di demolizione in oggetto ha, pertanto, come presupposto – diversamente da quanto già previsto dalla stessa L. n. 47 del 1985, art. 19 ed attualmente dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, per la confisca dei terreni abusivamente lottizzati – la pronuncia di una sentenza di condanna o ad essa equiparata e non il mero accertamento della commissione dell’abuso edilizio, come nel caso di sentenza di estinzione per prescrizione (vedi Cass., Sez. 3 16.2.1998, n. 4100, rie. Maniscalco).
Nella specie, quindi, la declaratoria di estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge l’ordine di demolizione impartito con la sentenza impugnata.
Con riferimento alla confisca, va osservato che questa Corte ha affermato che non può essere disposta la confisca dell’area adibita a discarica abusiva, in caso di estinzione del reato (nella specie, per prescrizione), né a norma dell’
art. 256, comma terzo, d.lgs. n. 152 del 2006, né a norma dell’art. 240, comma secondo, cod. pen. (Sez.3, n.37548 del 27/06/2013, Rv.257687; Sez. 3 n. 13741, 22 marzo 2013, non massimata).
Quanto al primo profilo, va rimarcato che il
d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3 stabilisce, infatti, che unicamente alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’
art. 444 c.p.p. consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato.
Il tenore della disposizione richiamata è, quindi, estremamente chiaro nello stabilire che la confisca è applicabile soltanto in caso di condanna o applicazione pena ai sensi dell’
art. 444 cod. proc. pen., tanto che la sua perentorietà è stata indicata tra le ragioni che consentono di escluderne l’applicabilità con il decreto penale di condanna (Sez.3,n.26548 del 22/05/2008,Rv.240343; Sez.3,n.24659 del 19/03/2009,Rv.244019).
Quanto al secondo profilo, questa Corte ha affermato che un’area adibita a discarica abusiva non rientra certamente tra le ipotesi di cui all’art. 240, comma 2, cod.pen., sia perché la realizzazione e la gestione di una discarica, se debitamente autorizzata, è lecita, sia perché la disposizione che la prevede consente la soggezione a confisca obbligatoria solo se l’area appartenga all’autore o al compartecipe al reato (Sez.3, n.37548 del 27/06/2013, Rv.257687, cit).
Nella specie, quindi, la declaratoria di estinzione del reato di costruzione abusiva per prescrizione travolge anche la confisca disposta con la sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione ed elimina l’ordine di demolizione e la disposta confisca. Annulla, altresì, la sentenza impugnata limitatamente alla disposta condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile.
Così deciso il 25/02/2016