In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, le due ipotesi dell’art. 659 cod. pen. costituiscono distinti titoli di reato, con conseguente ammissibilità del concorso formale tra le due norme. In particolare, l’abuso previsto dal secondo comma è solo quello costituito da una violazione delle disposizioni della legge o delle prescrizioni dell’autorità che disciplinano l’esercizio della professione o del mestiere: un tipico esempio di abuso rientrante in questa previsione è costituito dallo svolgimento dell’attività rumorosa in orari diversi da quelli previsti dalla legge o dai regolamenti che disciplinano l’esercizio della specifica attività; invece, l’abuso che si concretizza nella emissione di rumori eccedenti la normale tollerabilità ed idonei a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone, rientra nella previsione del primo comma dell’art. 659 cod. pen., indipendentemente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono, quindi anche nel caso in cui l’abuso si concretizzi in un uso smodato dei mezzi tipici di esercizio della professione o del mestiere rumoroso
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra: A) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma primo dell’art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o la attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma secondo dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995.
In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso); anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, lett. e), cod.proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/08/2016 (ud. 20/04/2016) Sentenza n.35422
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/08/2016 (ud. 20/04/2016) Sentenza n.35422
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da;
1. Babbini Riccardo nato a Carrara il 30/04/1965
2. Corsini Gianfranco nato a Carrara il 28/01/1959
avverso la sentenza del 22/10/2014 del Tribunale di Massa visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Marilia De Nardo, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito per la parte civile Pisani Alessandro l’avv. Fabrizio Colazzina, che ha concluso riportandosi alla memoria depositata;
uditi per gli imputati l’avv. Marina Menconi che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
l. Con sentenza in data 22 ottobre 2014 il Tribunale di Massa condannava Babbini Riccardo e Corsini Gianfranco alla pena di euro 400 di ammenda per i reati di cui all’art. 659, primo e secondo comma, cod. pen. nonché al risarcimento alla parte civile costituita Pisani Alessandro da liquidarsi in separato giudizio con provvisionale di euro 2.000 e spese di costituzione e rappresentanza. Osservava il primo giudice che vi erano prove adeguate per ritenere fattualmente fondata l’accusa rubricata e che le condotte ascritte ai prevenuti erano state correttamente sussunte in entrambe le previsioni incriminatrici di cui all’art. 659, cod. pen. Rilevava inoltre che doveva considerarsi sussistente l’elemento soggettivo dei reati ascritti ai prevenuti, risultandone evidente dalla reiterazione la volontarietà delle condotte. Negava la concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena valutando negativamente la personalità degli imputati e trattandosi di pena pecuniaria.
2. Contro la decisione, tramite il difensore fiduciario, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati deducendo tre motivi.
2.1 Con un primo motivo lamentano violazione di legge in ordine alla affermazione del primo giudice del concorso formale tra le due ipotesi contravvenzionali loro contestate, asserendo l’applicabilità del solo secondo comma dell’art. 659, cod. pen., con la conseguente depenalizzazione dello stesso ai sensi dell’art. 10, L. 447/1995.
2.2 Con un secondo motivo si dolgono di violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza di detta ipotesi contravvenzionale. In particolare criticano la valutazione data dal primo giudice al contesto probatorio in relazione alle prescrizioni amministrative correlative.
2.3 Con un terzo motivo censurano la sentenza impugnata per violazione di legge quanto alla affermazione di sussistenza dell’elemento soggettivo del reato loro ascritto, sostenendo la loro buona fede.
3. La parte civile costituita Alessandro Pisani ha depositato memoria difensiva con la quale controdeduce a ciascun motivo del ricorso degli imputati. Dato atto in premessa dell’imminente depenalizzazione dell’art. 659, cod. pen. stanti le previsioni della legge delega 67/2014, rileva tuttavia che ciò non può influire sul proprio diritto risarcitorio. Afferma altresì la correttezza in fatto ed in diritto della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono di violazione di legge per la ritenuta applicazione concorrente di entrambe le norme incriminatrici di cui all’art. 659, primo e secondo comma, cod. pen. nonchè per la mancata considerazione della avvenuta depenalizzazione ex art. 10, L. 447 /1995 di quella, che si asserisce unicamente applicabile, di cui al secondo comma di tale disposizione codicistica.
La censura è manifestamente infondata.
Il Collegio intende anzitutto ribadire l’orientamento prevalente della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale «In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra: A) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma primo dell’art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o la attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma secondo dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995» (tra le molte, da ultimo, Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015, Giuffrè, Rv. 261885).
Va poi anche confermato un altro principio di diritto espresso nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale «In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, le due ipotesi dell’art. 659 cod. pen. costituiscono distinti titoli di reato, con conseguente ammissibilità del concorso formale tra le due norme. In particolare, l’abuso previsto dal secondo comma è solo quello costituito da una violazione delle disposizioni della legge o delle prescrizioni dell’autorità che disciplinano l’esercizio della professione o del mestiere: un tipico esempio di abuso rientrante in questa previsione è costituito dallo svolgimento dell’attività rumorosa in orari diversi da quelli previsti dalla legge o dai regolamenti che disciplinano l’esercizio della specifica attività; invece, l’abuso che si concretizza nella emissione di rumori eccedenti la normale tollerabilità ed idonei a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone, rientra nella previsione del primo comma dell’art. 659 cod. pen., indipendentemente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono, quindi anche nel caso in cui l’abuso si concretizzi in un uso smodato dei mezzi tipici di esercizio della professione o del mestiere rumoroso» (in questo senso, Sez. 1, n. 382 del 19/11/1999, Piccioni, Rv. 215139).
Ebbene, nel caso che occupa il Tribunale di Massa, con giudizio in fatto che ovviamente non può essere sindacato nel merito in questa sede, ha accertato che l’attività produttiva de qua non solo era stata condotta in spregio delle prescrizioni amministrative (sulle quali v. anche infra), ma anche arrecando concreto e grave disturbo alle occupazioni e, soprattutto, al riposo delle persone, trattandosi di illeciti commessi in orario notturno. Ha quindi, correttamente, sussunto le condotte accertate in entrambe le ipotesi di cui all’art. 659, cod. pen., ritenendone il concorso formale ed escludendo la depenalizzazione di quella di cui al secondo comma, così facendo applicazione dei citati indirizzi nomofilattici.
3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla affermazione in fatto della loro penale responsabilità. In particolare contestano l’interpretazione data nella sentenza impugnata delle prescrizioni del Comune di Carrara circa l’esercizio notturno della loro attività produttiva, a loro dire limitata ai telai, nonché la valutazione delle prove testimoniali fatta dal primo giudice.
Il motivo è allo stesso tempo inammissibile e manifestamente infondato.
Vi è anzitutto da rilevare che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che «In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito» (tra le molte, da ultimo, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482); altresì che «Anche a seguito della modifica apportata all’
art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito» (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv.253099).
Orbene, il primo giudice ha adeguatamente motivato sia in ordine alla violazione delle prescrizioni amministrative (testi, qualificati, Fini, Mileo, Lotti e con specifico riguardo ai telai, Bini, Panzanelli e Basso) sia in relazione all’effettività e gravità del disturbo arrecato alle persone residenti in prossimità dello stabilimento degli imputati (oltre ai testi citati, anche la parte civile ed altri residenti in loco). Ha inoltre osservato che le deposizioni assunte erano suffragate dall’esito delle rilevazioni fonometriche.
Le argomentazioni del Tribunale risultano congrue ed immuni da censure sul piano logico, sicchè alla luce di detti arresti giurisprudenziali, come detto, il motivo in esame risulta inammissibile perché non consentito ed anche manifestamente infondato.
4. Altresì inammissibile e manifestamente infondato risulta essere il terzo motivo di ricorso.
Anzitutto si tratta di una censura a-specifica, non contenendo una precisa censura alla argomentazione in punto elemento soggettivo dei reati che è stata sviluppata nella sentenza impugnata. Il che appunto lo rende pacificamente di per sé inammissibile (tra le molte, v. Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
In secondo luogo il primo giudice, congruamente, con inferenza pienamente corrispondente alla comune esperienza e logica, ha osservato, che la reiterazione delle condotte non può che essere considerata se non I’ espressione di coscienza e volontà della commissione dei reati de quibus da parte dei prevenuti, così esprimendo un giudizio che nel merito non può essere sindacato in questa sede.
5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in€ 1.500,00.
I ricorrenti infine vanno condannati a rifondere alla parte civile costituita le spese di costituzione e rappresentanza in questo grado liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € millecinquecento in favore della Cassa delle Ammende; condanna altresì alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile Pisani Alessandro che liquida in complessivi euro tremilacinquecento oltre accessori di legge.
Così deciso il 20/04/2016