Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti
Numero: 25203 | Data di udienza: 16 Maggio 2012
* RIFIUTI – Nozione di sottoprodotto – Attività di recupero – Limiti – Fattispecie: operazione di triturazione di materie plastiche – Rifiuto di imballaggio – Codice CER 15.01.2002 – Artt. 183 c.1, 184 ter e 256, 1° c., D.Lgs. n. 152/2006.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 26 Giugno 2012
Numero: 25203
Data di udienza: 16 Maggio 2012
Presidente: De Maio
Estensore: Fiale
Premassima
* RIFIUTI – Nozione di sottoprodotto – Attività di recupero – Limiti – Fattispecie: operazione di triturazione di materie plastiche – Rifiuto di imballaggio – Codice CER 15.01.2002 – Artt. 183 c.1, 184 ter e 256, 1° c., D.Lgs. n. 152/2006.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 26 giugno 2012 (Ud. 16/05/2012), Sentenza n. 25203
RIFIUTI – Nozione di sottoprodotto – Attività di recupero – Limiti – Fattispecie: operazione di triturazione di materie plastiche – Rifiuto di imballaggio – Codice CER 15.01.2002 – Artt. 183 c.1, 184 ter e 256, 1° c., D.Lgs. n. 152/2006.
Si configura come “sottoprodotto” (e l’applicabilità del relativo regime derogatorio a quello ordinario dei rifiuti) ciò che non è mai stato rifiuto, costituendo materiale immediatamente riutilizzabile. Sicché, l’operazione di triturazione di materie plastiche che hanno terminato il proprio ciclo di vita quali imballaggi è un’operazione di recupero di rifiuti, finalizzata a conferire agli stessi consistenza diversa rispetto al materiale di partenza così da consentire il nuovo svolgimento di un ruolo utile e soggetta, come tale, all’obbligo di autorizzazione. Nella specie, la plastica già usata per gli imballaggi non era pronta per il reimpiego nel momento in cui si originava nel corso del processo rivolto alla produzione di medicinali e veniva appunto sottoposta a macinazione, quale operazione non costituente parte integrante del processo produttivo principale ed avente la funzione di contribuire alla trasformazione del materiale per consentirne l’inserimento in un nuovo ciclo produttivo.
(conferma sentenza n. 149/2009 TRIBUNALE di NICOSIA, del 18/01/2010) Pres. De Maio, Est. Fiale, Ric. Russo
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 26 giugno 2012 (Ud. 16/05/2012), Sentenza n. 25203SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GUIDO DE MAIO – Presidente
Dott. ALDO FIALE – Consigliere Rel.
Dott. AMEDEO FRANCO – Consigliere
Dott. GIULIO SARNO – Consigliere
Dott. GASTONE ANDREAZZA – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da RUSSO MELCHIORRE N. IL 02/08/1939
avverso la sentenza n. 149/2009 TRIBUNALE di NICOSIA, del 18/01/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Santi Spinaci che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
II Tribunale di Nicosia, con sentenza del 18.1.2010, ha affermato la responsabilità penale di Russo Melchiorre in ordine al reato di cui:
– all’art. 256, 1° comma, del D.Lgs. n. 152/2006, [per avere – nella qualità di legale rappresentante della s.p.a. “Ipra” – senza le prescritte autorizzazioni ed iscrizioni, effettuato attività di recupero di rifiuti del tipo imballaggi (codice CER 15.01.2002), riducendoli tramite appositi mulini e rivendendoli poi ad una specifica impresa – acc. in Assoro, il 26.6.2007)
e lo ha condannato alla pena di euro 6.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto impugnazione il difensore del Russo, il quale – sotto i profili della violazione di legge e dei vizio di motivazione – ha eccepito:
– la erronea qualificazione come “rifiuti” dei materiali plastici triturati, in quanto gli stessi costituirebbero “residuo dei tagli delle sacche, destinato ad essere utilizzato presso il medesimo opificio, o presso altro, senza subire alcun preventivo trattamento di nessuna natura e senza recare danno all’ambiente”.
Si tratterebbe, dunque, di “materia prima secondaria” (ai sensi dell’art. 14 del D.L. 8.7.2002, n. 138, convertito dalla legge 8.8.2002, n. 178, e della Direttiva 2008/98/CE del 19.11.2008), ovvero di “sottoprodotto” (ai sensi dell’art. 183, comma 1 – lett. n., del Digs. n. 152/2006);
– l’eccessività della pena irrogata.
La Corte di appello di Caltanissetta (con ordinanza del 27.9.2011) ha trasmesso gli atti a questa Corte Suprema, ex art. 568, ultimo comma, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. Nella vicenda in esame è stato accettato, in punto di fatto, che – in uno stabilimento specializzato nella produzione di medicinali – gli imballaggi in plastica di ciò che era stato utilizzato ai fini produttivi venivano triturati mediante appositi mulini sì da ottenere “rimacinato di matarozze da rilavorazione industriale” poi ceduto in vendita a terzi.
Tale attività veniva svolta senza alcuna autorizzazione.
1. Quanto alla prospettata configurazione quale “materia prima secondaria” dei materiali plastici triturati, appare opportuno delineare, nei suoi elementi essenziali, la disciplina progressivamente vigente a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006.
2.1 L’art. 181, comma 6, di tale D.Lgs. (nella formulazione originaria) prevedeva la possibilità di ottenere materie prime secondarie attraverso attività di recupero – in attesa dell’emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio – rinviando alle disposizioni previste dal D.M. 5.2.1998 e disponendo che materie siffatte fossero sottoposte al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, purché avessero le caratteristiche indicate da quel decreto ministeriale e fossero “direttamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo”.
La materia ottenuta, inoltre, doveva costituire il risultato di una operazione di recupero giunta al suo completamento, come richiesto dal comma 12 dell’originario art. 181.
2.2 Il D.L.gs. 16.1.2008, n. 4 aveva modificato l’art. 181 (il cui testo é stato sostituito, da ultimo, dall’art. 7 del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205) e nell’art. 181-bis, di nuova introduzione, aveva fissato requisiti e condizioni che dovevano sussistere perché un materiale potesse essere considerato non un rifiuto ma una materia prima secondaria.
Alla stregua di quella normativa:
– doveva trattarsi di materie e sostanze prodotte da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
– dovevano essere individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si potessero produrre;
– dovevano essere individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producevano, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;
– dovevano essere precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercia, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto dei possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto;
– le materie e sostanze dovevano avere un effettivo valore economico di scambio sul mercato.
2.3 L’art. 181-bis è stato poi abrogato dall’art. 39, comma 3, del D.Lgs. n. 205/2010, che ha rinnovato ed innovato la disposizione dell’art. 184-quater del T.U. ambientale, restando superata la definizione di materia prima secondaria a fronte di una chiara fissazione delle condizioni che, ove sussistenti, fanno cessare, per un materiale sottoposto ad attività di recupero, la qualità di rifiuto.
Presupposti essenziali sono da individuarsi, in ogni caso:
– nella sottoposizione del rifiuto ad un’operazione di recupero, incluso il riciciaggio e la preparazione per il riutilizzo;
– nella sussistenza di un mercato e di una domanda del materiale recuperato (con conseguente attribuzione di un valore economico) e nella riammissione dello stesso in un ciclo produttivo tipico;
– nella rispondenza del materiale recuperato a requisiti tecnici e standard specifici;
– nella insussistenza di impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana.
2.4 In relazione alle anzidette disposizioni normative appare evidente, nel presente procedimento, che la plastica già usata per imballaggi aveva ormai esaurito tale funzione e non era idonea ad essere utilizzata direttamente in un processo produttivo industriale, sicché non può essere considerata “materia prima secondaria fin dall’origine”. Ciò che assume rilevanza fondamentale, allora, è individuare se la triturazione effettuata integri o meno un’operazione di “recupero”, in quanto, allorché si configuri l’intervenuto compimento di un’operazione siffatta, deve ritenersi necessaria l’autorizzazione che risulta carente nella fattispecie in esame.
3. Con riferimento poi alla prospettata applicabilità del regime eccettuato previsto per i “sottoprodotti”‘, va rilevato che:
a) Quanto alla provenienza:
* l’art. 183, comma 1- lett. n), dei D.Lgs n.152/06, nella formulazione originaria, definiva sottoprodotti “i prodotti dell impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo”;
* l’art. 183, comma 1- lett. p), del D.Lgs n.152/06 [come riscritto dall’art. 2, comma 20, del D.Lgs. n. 4/20081 prevedeva che gli stessi fossero “originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione”,
* l’attuale art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (aggiunto dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205) richiede che il sottoprodotto sia “originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto”.
b) Quanto ai trattamenti compatibili:
* nella formulazione originaria dell’art. 183 si richiedeva che l’utilizzo del sottoprodotto avvenisse “senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo” e si considerava “trasformazione preliminare” “qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo”;
* in seguito alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. n. 4/2008 venne richiesto che i sottoprodotti non dovessero essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologlci e di qualità ambientale, dovendo possedere invece tali requisiti fino dalla fase di produzione.
Veniva peraltro affermato, nella giurisprudenza penale ed amministrativa (vedi Cass., Sez. III, n. 41839/2008 e C. Stato, Sez. IV, n. 888/2010), che le operazioni di cernita e di selezione non fossero più incluse tra quelle di recupero;
* nella definizione di “sottoprodotto” posta dall’attuale art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (aggiunto dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. 3.12.2010, n. 205) – viene previsto che esso deve essere tale da potere essere “utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale”.
3.1 A fronte dall’anzidetta successione di leggi penali nel tempo, la disciplina applicabile alla fattispecie in esame sarebbe – ai sensi dell’art. 2 cod. pen. – quella più favorevole all’imputato ed essa dovrebbe integralmente applicarsi anche retroattivamente, senza potersi procedere ad una combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia.
Nel caso di specie, però, il Collegio ritiene che la configurabilità di un “sottoprodotto” (e l’applicabilità del relativo regime derogatorio a quello ordinario dei rifiuti) debba negarsi alla stregua di tutta la normativa via via succedutasi, poiché sottoprodotto è ciò che non è mai stato rifiuto, costituendo invece materiale immediatamente riutilizzabile.
La plastica già usata per gli imballaggi – al contrario – non era pronta per il reimpiego nel momento in cui si originava nel corso del processo rivolto alla produzione di medicinali e veniva appunto sottoposta a macinazione, quale operazione non costituente parte integrante del processo produttivo principale ed avente la funzione di contribuire alla trasformazione del materiale per consentirne l’inserimento in un nuovo ciclo produttivo.
4. Punto essenziale, dunque – come si è detto dianzi – è quello di stabilire se l’effettuata attività di triturazione delle materie plastiche sia da qualificare come un’operazione di “recupero” che non poteva essere svolta senza essere sottoposta al vaglio autorizzatorio dell’autorità.
Al riguardo deve rilevarsi che:
– Nella prima stesura del D.Lgs. n. 152/2006 venivano ricondotte all’attività di “recupero” quelle “operazioni che utilizzano rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita o la selezione, e, in particolare, le operazioni previste nell’Allegato C”.
– La Direttiva 2008/98/CE (con nozione che l’art. 10 del D.Lgs. n. 205/2010 ha poi recepito nell’art. 183 del D.Lgs. n. 152/2006) definisce “recupero” qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale.
4.1 Nella valutazione del caso che ci occupa (tenuto anche conto della definizione comunitaria recepita dalla normativa nazionale) deve osservarsi che l’operazione di triturazione delle materie plastiche che hanno terminato il proprio ciclo di vita quali imballaggi correttamente è stata ritenuta dal giudice del merito operazione di recupero di rifiuti – finalizzata a conferire agli stessi consistenza diversa rispetto al materiale di partenza si da consentire il nuovo svolgimento di un ruolo utile – soggetta come tale all’obbligo di autorizzazione, nella specie carente.
Non si tratta di mera selezione (o di attività ad essa assimilabile), che si sarebbe potuta ritenere esclusa dall’ambito del recupero ai sensi del D.Lgs. n. 4/2008, e l’attuale formulazione dell’art. 184-ter del D.Lgs n.152/06 prevede che “l’operazione di recupero può consistere anche semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati”.
In buona sostanza, la vicenda concreta è caratterizzata dalla presenza di un “rifiuto di imballaggio”, nozione che l’art. 3, punto 1, della Direttiva 94/62/CE riferisce a “tutti i prodotti composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione”.
Di tale rifiuto il possessore aveva l’obbligo di disfarsi ai sensi dell’art. 3, n. 2, della medesima Direttiva 94/62/CE ed a fronte di tale obbligo lo ha sottoposto ad un trattamento che, pur non avendo ripristinato lo stato iniziale del materiale, era comunque finalizzato a costituire una fase di ripristino. All’esecuzione di tale trattamento egli, però, avrebbe dovuto essere autorizzato.
5. Infondato à pure il secondo motivo di gravame, perché la pena risulta determinata con corretto riferimento ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., in considerazione sia dell’entità oggettiva dell’illecito accertato sia della personalità deli imputato, già raggiunto da precedenti condanne.
5. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
ROMA, 16.5.2012