Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Inquinamento atmosferico Numero: 16422 | Data di udienza: 11 Gennaio 2011

ARIA – Diffusione di polveri nell’atmosfera – Getto di cose ed emissione – Differenza – Reato di getto di cose pericolose art. 674 c.p. – Fattispecie: getto di particolato – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni autorizzate e contenute nei limiti – Molestie alle persone e cose – Accorgimenti tecnici utilizzabili per un loro ulteriore abbattimento – Omissione – Configurabilità del reato ex art. 674 c.p. – Emissioni anomale – Doveri di attenzione e di intervento del gestore dell’impianto industriale – Reato di danneggiamento aggravato – Art. 635 c.p. – D.P.R. n.203/1988 – Emissioni – Molestie alle persone e cose – Responsabilità penale ex art. 40 dell’amministratore privo di delega – Riforma diritto societario – D.L.gs n. 6/2003 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Ricostruzione e valutazione dei fatti – Poteri e limiti. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Aprile 2011
Numero: 16422
Data di udienza: 11 Gennaio 2011
Presidente: Teresi
Estensore: Marini


Premassima

ARIA – Diffusione di polveri nell’atmosfera – Getto di cose ed emissione – Differenza – Reato di getto di cose pericolose art. 674 c.p. – Fattispecie: getto di particolato – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni autorizzate e contenute nei limiti – Molestie alle persone e cose – Accorgimenti tecnici utilizzabili per un loro ulteriore abbattimento – Omissione – Configurabilità del reato ex art. 674 c.p. – Emissioni anomale – Doveri di attenzione e di intervento del gestore dell’impianto industriale – Reato di danneggiamento aggravato – Art. 635 c.p. – D.P.R. n.203/1988 – Emissioni – Molestie alle persone e cose – Responsabilità penale ex art. 40 dell’amministratore privo di delega – Riforma diritto societario – D.L.gs n. 6/2003 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Ricostruzione e valutazione dei fatti – Poteri e limiti. 



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^  27/04/2011 (Ud. 11/01/2011) Sentenza n. 16422

 
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Diffusione di polveri nell’atmosfera – Getto di cose ed emissione – Differenza – Reato di getto di cose pericolose art. 674 c.p. – Fattispecie: getto di particolato.
 
La diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella nozione di “versamento di cose” ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 cod. pen. e non in quella di “emissione di fumo” contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto mentre il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione. (Cass. Sez. 3^, sentenza n.16286 del 2009, Del Balzo). Tale principio opera a fortiori per il getto del particolato, della cui natura di “cosa” non può certo dubitarsi. Ciò significa che sia per il getto del particolato sia per l’emissione delle polveri che ricadevano sul terreno trova applicazione la prima parte dell’ipotesi prevista dall’art.674 c.p. e non debbono essere presi in esame ai fini della responsabilità gli ulteriori requisiti fissati dalla seconda parte del medesimo articolo. Fattispecie: getto di particolato con conseguenze dannose con riferimento alle autovetture, alle colture, ai materiali plastici. 

(riforma sentenza emessa in data 12 Marzo 2009, la CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Rovigo, Sezione distaccata di Adria) Pres. Teresi, Est. Marini, Ric. PG in proc. Tatò ed altri 
 
 
 
ARIA – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni autorizzate e contenute nei limiti – Molestie alle persone e cose – Accorgimenti tecnici utilizzabili per un loro ulteriore abbattimento – Omissione – Configurabilità del reato ex art. 674 c.p. – Emissioni anomale – Doveri di attenzione e di intervento del gestore dell’impianto industriale – Reato di danneggiamento aggravato – Art. 635 c.p. – D.P.R. n.203/1988.
 
Il mantenimento delle emissioni entro i limiti consentiti non è di per sé sufficiente ad escludere l’esistenza della contravvenzione contestata ex art. 674 c.p., potendo assumere rilevanza l’omessa adozione delle misure tecniche in grado di impedire il verificarsi di molestie alle persone (Cass. sentenza n.15734 del 2009, Bua). Sicché, anche in presenza di emissioni autorizzate e contenute nei limiti “residuano doveri di attenzione e di intervento del gestore dell’impianto industriale, il quale, in presenza di ricadute ulteriori e diverse dalle emissioni sull’ambiente e sulle persone, è chiamato ad adottare quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per un loro ulteriore abbattimento” (Cass. sentenza n.41582 del 2007, Saetti e altri). Pertanto, per le ricadute oleose sussiste la violazione dell’art.674 c.p. indipendentemente dal superamento delle soglie di emissione in atmosfera, posto che l’oggetto dell’art.674 c.p. (e cioè la tutela di cose e persone da molestie e imbrattamento) differisce da quello previsto dal d.P.R. n.203/88 (tutela dell’atmosfera e dell’ambiente). Inoltre, la frequenza delle emissioni anomale, la presenza di odori acri e di forti rumori comportino nel loro insieme quel turbamento della tranquillità e quelle molestie superiori alla normale tranquillità che la giurisprudenza considera sufficiente ad integrare la contravvenzione.

(riforma sentenza emessa in data 12 Marzo 2009, la CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Rovigo, Sezione distaccata di Adria) Pres. Teresi, Est. Marini, Ric. PG in proc. Tatò ed altri 
 
 
 
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni – Molestie alle persone e cose – Responsabilità penale ex art. 40 dell’amministratore privo di delega – Riforma diritto societario – D.L.gs n. 6/2003.
 
Pur nell’ambito dei più ristretti limiti di responsabilità fissati per l’amministratore privo di delega con la riforma societaria introdotta con il D.L.gs n. 6 del 2003, afferma il principio secondo cui “l’amministratore (con o senza delega) è penalmente responsabile, ex art. 40, comma secondo, cod pen., per la commissione dell’evento che viene a conoscere (anche al di, fuori dei prestabiliti mezzi informativi) e che, pur potendo, non provvede ad impedire (Cass. pen. Sez. 5^ sentenza n.21581 del 2009, PM in proc.Mare). Pertanto, la responsabilità può derivare dalla dimostrazione della presenza di segnali significativi in relazione all’evento illecito nonché del grado di anormalità di questi sintomi, non in linea assoluta ma per l’amministratore privo di delega.” Tale principio, per quanto fissato con riferimento ad altra disciplina, appare decisivo nella parte in cui evidenzia come la responsabilità dell’amministratore residui comunque, indipendentemente dal regime delle deleghe, quando egli si sia sottratto ai propri doveri di controllo e di intervento in presenza di “anormalità” che egli era in grado di apprezzare e di affrontare. Fattispecie: omessa adozione delle misure tecniche in grado di impedire emissioni in atmosfera e il verificarsi di molestie alle persone.
 
(riforma sentenza emessa in data 12 Marzo 2009, la CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Rovigo, Sezione distaccata di Adria) Pres. Teresi, Est. Marini, Ric. PG in proc. Tatò ed altri 
 
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudice di legittimità – Ricostruzione e valutazione dei fatti – Poteri e limiti. 
 
E’ preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. Sez. 6^ Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco). Può, dunque, affermarsi che il controllo demandato al giudice di legittimità deve avere ad oggetto la coerenza e le tenuta logica della motivazione e può estendersi all’esame di singoli elementi di fatto solo ove essi possano, a causa di un vero e proprio travisamento radicale e indiscusso, inficiare l’intero ragionamento posto a fondamento della decisione.
 
(riforma sentenza emessa in data 12 Marzo 2009, la CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Rovigo, Sezione distaccata di Adria) Pres. Teresi, Est. Marini, Ric. PG in proc. Tatò ed altri 
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 27/04/2011 (Ud. 11/01/2011) Sentenza n. 16422

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli ilI.mi Sigg.:
 
Dott. Alfredo Teresi                                 Presidente
Dott.a Claudia Squassoni                  Consigliere
Dott. Giovanni Amoroso                         Consigliere
Dott. Marini Luigi                                 Consigliere est.
Dott.a Elisabetta Rosi                         Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Sui ricorsi proposti:
DAL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE Dl APPELLO DI VENEZIA;
DALLE PARTI CIVILI:
ITALIA NOSTRA ONLUS;
COMITATO CITTADINI LIBERI PORTO TOLLE
BALASSO FRANCESCO E BALASSO DAVIDE
ASSOCIAZIONE ITALIANA W.W.F. ONG-ONLUS
COMUNE DI GORO
COMUNE DI MESOLA PROVINCIA DI FERRARA
REGIONE EMILIA ROMAGNA
CONSORZIO PARCO REGIONALE DEL DELTA DEL PO – REGIONE EMILIA ROMAGNA – DAL SIG. BUSATTO RENZO, nato a Venezia il 15 Novembre 1955.
– DAL SIG. ZANATTA CARLO, nato a Treviso il 13 Marzo 1946
 
Essendo responsabili civili:
ENEL PRODUZIONE S.P.A.
ENEL S.P.A.
 
Avverso la sentenza emessa in data 12 Marzo 2009 dalla CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, che, in parziale riforma della sentenza emessa il 31 Marzo 2006 dal Tribunale monocratico di Rovigo, Sezione distaccata di Adria, con riferimento ai reati previsti dagli artt.674 c.p. (capo A), 635 c.p. (capo B), 13, comma 5 e 25, comma 7 del d.P.R. n.203 del 1988 (capo C) contestati fino al mese di ottobre 2005 nella gestione della centrale E.N.E.L. situata in località Polesine Camerini nel territorio del Comune di Porto Tolle, ha deciso come segue:
 
sulla responsabilità penale:
quanto al reato ex art. 674 c.p., ha assolto l’appellante TATO’ per non avere commesso il fatto; ha assolto il Sig. BUSATTO perché il fatto non sussiste (fatto del 15 settembre 2005) e dichiarato non doversi procedere per prescrizione dei reati nei confronti del Sig. ZANATTA;
quanto al reato ex art. 635 c.p., ha assolto il Sig. TATO’ per non avere commesso il fatto; ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti del Sig. ZANATTA con riferimento agli episodi di ricadute oleose, con dichiarazione di non doversi procedere nei suoi confronti per mancanza di querela con riferimento all’episodio del 5 e 6 aprile 2002, episodio riqualificato ai sensi dell’art. 639 c.p.; ha, inoltre, dichiarato la nullità della sentenza con riferimento all’episodio di ricaduta oleosa del 20 maggio 2002 per carenza di contestazione. disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero;
quanto al reato previsto dal d.P.R. 24 maggio 1988, n.203, ha assolto per non avere commesso il fatto i Sigg. TATO’ e SCARONI dalla contestazione di peggioramento dei valori medi di emissione ed il Sig. TATO’ dalla contestazione di peggioramento temporaneo nelle singole giornate; ha dichiarato non doversi procedere per tali ultimi episodi nei confronti del Sig. ZANATTA per intervenuta prescrizione;
sul trattamento sanzionatorio:
ha ridotto la pena nei confronti del Sig. BUSATTO in relazione al reato di cui al capo A) alla somma di 130 euro di ammenda e ridotto la pena nei confronti del Sig. ZANATTA a venti giorni di reclusione, convertiti nella pena pecuniaria di 760 euro di multa; 
 
sulle statuizioni civili:
ha dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuta revoca della costituzione in
relazione alle domande presentate da: Parco Regionale Veneto Delta del Po; Comune di. Adria; Comune di Porto Tolle; Comune di Rosolina; Comune di Taglio di Po; Provincia di Rovigo; Regione Veneto;
ha dichiarato inammissibili gli appelli dei responsabili civili relativamente alle statuizioni nei confronti delle parti civili non costituitesi nei loro confronti (Sigg. Negri, Donà, Mantoan; Comuni di Mesola e di Goro; Regione Emilia Romagna; Legambiente Emilia Romagna; Legambiente Volontariato Veneto; Provincia di Ferrara; Parco Regionale Delta del Po Emilia Romagna),
– ha dichiarato inammissibile l’appello del Sig. Zanatta relativamente alle liquidazioni del danno in favore delle parti civili e pertanto conferma la condanna del solo Zanatta in favore delle parti civili Dona e Negri;
– ha revocato la condanna in favore della parte civile Mantoan;
– ha condannato il Sig. Zanatta, in solido coi responsabili civili, al risarcimento del danno in favore delle parti civili Crepaldi, in proprio, e Balasso, in proprio e quale esercente la potestà sul figlio Davide, liquidando in favore delle parti civili Balasso una somma di 40.000,00 euro a titolo di provvisionale;
ha condannato i Sigg. Zanatta e Busatto, nella misura del 95% e 5% rispettivamente, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Cittadini Liberi di Porto Tolle (nei limiti di euro 50.000,00), Italia Nostra Onlus (euro 35.000,00), W.W.F. Onlus (25.000,00). Legambiente Emilia Romagna e Legambiente Volontariato Veneto (euro 2.500,00 ciascuna);
– ha revocato le somme concesse dal Tribunale a titolo di provvisionale in favore delle parti civili. 
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
 
Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. GIUSEPPE VOLPE, che ha concluso per:
a) la inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia;
b) la inammissibilità per carenza di motivi dell’appello proposto dal Sig. Busatto relativamente alle statuizioni civili disposte dal Tribunale;
e) annullamento senza rinvio della sentenza impugnata relativamente alla condanna dei Sigg. Busatto e Zanatta per intervenuta prescrizione dei reati;
d) conferma delle statuizioni civili disposte con la sentenza impugnata a carico rispettivamente dei Sigg. Busatti e Zanatta;
e) annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione delle percentuali di responsabilità dei Sigg. Zanatta e Busatto, con rinvio al giudice competente in sede civile,
f) annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla revoca della provvisionale in favore delle parti civili Regione Emilia Romagna, Comune di Goro, Comune di Mesola, Provincia di Ferrara, Consorzio del Parco Regionale del Delta del Po-Regione Emilia Romagna;
g) inammissibilità dei restanti motivi proposti dalle citate parti civili;
h) inammissibilità dei ricorsi proposti dalle parti civili Italia Nostra, Comitato Cittadini Liberi di Porto Tolle, Crepaldi, Balasso, W.W.F.
 
Uditi i Difensori:
Avv. RICCARDO VENTURI, PER LE PARTI CIVILI PROVINCIA DI FERRARA E CONSORZIO DEL PARCO REGIONALE DEL DELTA DEL PO-REGIONE EMILIA ROMAGNA NONCHÉ IN RAPPRESENTANZA DELL’AVV. CLAUDIO MARUZZI PER LE PARTI CIVILI COMUNI DI GORO E DI MESOLA, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi, con rinvio al giudice civile competente per valore.
Avv. GIACOMO NANNI, IN SOSTITUZIONE DELL’AVV. MARIANO ROSSETTI, PER LA PARTE CIVILE REGIONE EMILIA ROMAGNA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
Avv. MATTEO CERUTI, PER LE PARTI CIVILI COMITATO CITTADINI LIBERI PORTO TOLLE, ITALIA NOSTRA ONLUS, W.W.F. ONG-ONLUS, BALASSO FRANCESCO E BALASSO DAVIDE, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi
Avv. SIMONPIETRO CITTI PER LE PARTI CVILI NEGRI, DONA’, MANTOAN, che ha concluso per il riconoscimento dell’esistenza di revoca della posizione Mantoan solo per il capo B) e per la formazione del giudicato con riferimento ai risarcimenti in favore dei Sigg. Negri e Donà.
Avv. ENRICO DE CASTIGLIONE PER ENEL PRODUZIONE S.P.A. E Avv. GIOVANBATTISTA MURDACA PER ENEL S.P.A., che hanno concluso per l’inammissibilità dei ricorsi del Procuratore Generale e delle parti civili.
Avv. ALBERTO MORO VISCONTI PER IL SIG.SCARONI, che ha concluso, rinviando alla memoria Avv.De Castiglione, per l’accoglimento delle conclusioni del Sig.Procuratore Generale in udienza;
Avv. MARCO DE LUCA E AVV. CARLO MARCHIOLO, PER IL SIG. TATO, che hanno concluso per l’accoglimento delle conclusioni del Sig. Procuratore Generale in udienza
Avv. SALVATORE PANACIA PER I SIGG. BUSATTO E ZANATTA, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi e l’eventuale annullamento senza rinvio per essere i reati stinti per prescrizione
 
RILEVA
 
Con sentenza emessa in data 12 Marzo 2009, la CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Rovigo, Sezione distaccata di Adria, con riferimento ai reati previsti dagli artt. 674 c.p. (capo A), 635 c.p. (capo B), 13, comma 5 e 25, comma 7 del d.P.R. n.203 del 1988 (capo C) contestati fino al mese di ottobre 2005 nella gestione della centrale E.N.E.L. di Polesine Camerini, situata in territorio del Comune di Porto Tolle, ha deciso come segue:
 
sulla responsabilità penale:
quanto al reato ex art.674 c.p., ha assolto l’appellante TATO’ per non avere commesso il fatto; ha assolto il Sig. BUSATTO perché il fatto non sussiste (fatto del 15 settembre 2005) e dichiarato non doversi procedere per prescrizione dei reati nei confronti del Sig. ZANATTA ;
quanto al reato ex art.635 c.p., ha assolto il Sig. TATO’ per non avere commesso il fatto: ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti del Sig. ZANATTA con riferimento agli episodi di ricadute oleose, con dichiarazione di non doversi procedere nei suoi confronti per mancanza di querela con riferimento all’episodio del 5 e 6 aprile 2002, episodio riqualiticato ai sensi dell’art.639 c.p.; ha, inoltre, dichiarato la nullità della sentenza con riferimento all’episodio di ricaduta oleosa del 20 maggio 2002 per carenza di contestazione, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero;
quanto al reato previsto dal d.P.R. 24 maggio 1988, n.203. ha assolto per non avere commesso il fatto i Sigg. TATO’ e SCARONI dalla contestazione di peggioramento dei valori medi di emissione ed il Sig. TATO’ dalla contestazione di peggioramento temporaneo nelle singole giornate; ha dichiarato non doversi procedere per tali ultimi episodi nei confronti del Sig. ZANATTA per intervenuta prescrizione;
sul trattamento sanzionatorio:
ha ridotto la pena nei confronti del Sig. BUSATTO in relazione al reato di cui al capo A) alla somma di 130 euro di ammenda per ognuno dei due episodi ritenuti sussistenti e ridotto la pena nei confronti del Sig. ZANATTA a venti giorni di reclusione, convertiti nella pena pecuniaria di 760 euro di multa;
 
sulle statuizioni civili:
ha dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuta revoca della costituzione in relazione alle domande presentate da: Parco Regionale Veneto Delta del Po; Comune di Adria; Comune di Porto Tolle; Comune di Rosolina; Comune di Taglio di Po; Provincia di Rovigo; Regione Veneto;
ha dichiarato inammissibili gli appelli dei responsabili civili relativamente alle statuizioni nei confronti delle parti civili non costituitesi nei loro confronti;
ha dichiarato inammissibile l’appello del Sig. Zanatta relativamente alle liquidazioni del danno in favore delle parti civili e pertanto conferma la condanna del solo Zanatta in favore delle parti civili Donà e Negri;
ha revocato la condanna in favore della parte civile Mantoan;
ha condannato il Sig. Zanatta, in solido coi responsabili civili, al risarcimento dei danno in favore delle parti civili Crepaldi e Balasso, liquidando in favore delle parti civili Balasso una somma di 40.000,00 euro a titolo di provvisionale;
ha condannato i Sigg. Zanatta e Busatto, nella misura del 95% e 5% rispettivamente, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Cittadini Liberi di Porto Tolle (nei limiti di euro 50.000,00), Italia Nostra Onlus (euro 35.000,00), W.W.F. Onlus (25.000,00), Legambiente Emilia Romagna e Legambiente Volontariato Veneto (euro 2.500,00 ciascuna);
ha revocato le somme concesse dal Tribunale a titolo di provvisionale in favore delle parti civili.
 
Avverso tale decisione sono stati presentati separati ricorsi per cassazione dal Procuratore Generale, da alcune parti civili e dai Sigg. Zanatta e Busatto.
 
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia impugna la sentenza limitatamente alla assoluzione degli imputati TATO’ e SCARONI.
Con primo motivo lamenta errata applicazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all’art.40. comma secondo c.p., nella parte in cui la sentenza ha assolto i Sigg. Tatò e Scaroni “per non avere commesso il fatto”. Osserva il ricorrente che la lettura “parcellizzata” operata dalla Corte di Appello degli elementi ritenuti comunque accertati conduce ad una motivazione contraddittoria. In particolare, la motivazione risulta viziata allorché attribuisce valenza liberatoria per gli amministratori delegati ad alcune circostanze che tale valenza non possiedono. In particolare, la riorganizzazione del gruppo Enel seguita al d.lgs. 16 marzo 1999, n.79 (che dette corso alla c.d. “liberalizzazione del settore energetico”) con la creazione di più società per azioni corrispondenti alla vecchie divisioni interne dell’ente, non toglie che: a) l’art.13 di tale decreto conserva alla capogruppo Enel Spa “le funzioni di indirizzo strategico e di coordinamento dell’assetto industriale e delle attività esercitate dalle società da essa controllate”; b) l’art.4 dello statuto dell’ente, nel ribadire tali funzioni, prevede che le attività legate alla produzione e commercializzazione dell’energia siano svolte “nei limiti delle normative vigenti” e prevede che la controllante possa svolgere “ogni attività connessa o strumentale rispetto all’attività propria o a quella delle partecipate o controllate…”.
 
A fronte di questo dato normativo così chiaro, la Corte (pag.58 della motivazione) ha ritenuto, con riferimento alla posizione Tató, che il ruolo apicale dell’amministratore delegato comporti la sua estraneità alle scelte gestionali delle controllate, omettendo di considerare: che il teste Cardani, auditor della società (citato alla successiva pag.59), ha chiaramente indicato la posizione operativamente sovraordinata del vertice Enel rispetto alle quattro divisioni; che esiste in atti documentazione (la missiva Scaroni del l° gennaio 2003 e il protocollo Regione Veneto-Enel, sottoscritto ancora da Scaroni) da cui emerge l’esistenza di un ruolo dominante e di ingerenza della controllante anche sulle scelte gestionali della controllata”Enel produzione” e l’esistenza di impegni della controllante per il rispetto dei limiti alle emissioni della centrale termica di Porto Tolle. Se a ciò si aggiunge che era l’amministratore delegato a fissare i budget per l’approvvigionamento del combustibile (e della tipologia di combustibile), per la manutenzione degli impianti e per la gestione del contenzioso, appare evidente l’errore in cui è incorsa la Corte di Appello nel ritenere che il solo fatto di avere nominato un institore (nomina dell’Ing. Potestio da parte dell’A.D. Tatò) risulti circostanza che esclude ogni responsabilità (v. artt.2204 e 2008 del codice civile).
In analogo errore la Corte di Appello è incorsa con riferimento alla posizione SCARONI. Ritiene il ricorrente che i principi affermati dalla giurisprudenza conducano a concludere che l’amministratore della controllante non possa andare esente da responsabilità quando non eserciti i propri poteri di intervento pur avendo avuto in concreto notizia di anomalie gestionali o addirittura del verificarsi di illeciti o di eventi pericolosi e dannosi.
 
Con secondo motivo lamenta carenza di motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e) c.p.p. in ordine alla decisione di non procedere alla rinnovazione del dibattimento richiesta ai sensi dell’art.603 c.p.p. Osserva il ricorrente che la Corte di Appello abbia omesso accogliere la richiesta di rinnovazione del dibattimento avanzate negli appelli di Enel Spa e Enel produzione Spa.
Osserva, altresì, che la Corte ha omesso di esercitare i poteri officiosi di rinnovazione del dibattimento a fronte di una carenza istruttoria che la stessa Corte ha evidenziato e ritenuto assolutamente rilevante (pag.64) con riferimento alla posizione Scaroni.
 
Con atto a firma dell’Avv. Mariano Rossetti la parte civile Regione Emilia Romagna lamenta:
con primo motivo, articolato su tre diversi profili, vizio di motivazione e violazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) e c) c.p.p. in relazione agli artt.539, comma secondo c.p.p. e 185 c.p. con riferimento alla revoca della assegnazione della somma di 100.000,00 euro a titolo di provvisionale.
Tale pronuncia, a parere della ricorrente, è priva di presupposti sostanziali ed è stata effettuata in assenza di specifica impugnazione sul punto. A tale proposito osserva che la Regione non era costituita nei confronti dei responsabili civili Enel Spa e Enel Produzione Spa, così che gli imputati non potevano usufruire dell’impugnazione in merito alla condanna provvisionale proposta dai soli responsabili civili. Sul punto il ricorrente richiama: a) pag.310 della sentenza di primo grado, ove si chiarisce che la condanna è stata pronunciata per i responsabili civili esclusivamente nei confronti delle parti civili che si sono costituite nei loro confronti); b) pagg.112 e 113 della sentenza di appello.
 
La decisione, inoltre, risulta del tutto priva di motivazione con riferimento alla posizione Busatto e presenta motivazione contraddittoria con riferimento alla posizione Zanatta.
Con secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett. c) ed e) c.p.p., anche in relazione all’art.541, comma primo c.p.p., con riferimento alla pronuncia di compensazione del 50% delle spese di costituzione e difesa della parte civile relative al grado di appello; la Regione Emilia Romagna, infatti, non aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado e la sentenza di secondo grado ha confermato la condanna generica al risarcimento in danno degli imputati condannati, così che non sussiste alcuna soccombenza della parte civile che giustifichi la dichiarata compensazione.
 
Con atti separati a firma dell’Avv. Matteo Ceruti le parti civili Comitato Cittadini Liberi Porto Tolle, Italia Nostra Onlus, W.W.F. Ong-Onlus, Balasso Francesco e Balasso Davide, propongono impugnazione come segue.
 
Italia Nostra Onlus e W.W.F. Ong-Onlus propongono con atti separati motivi di impugnazione nella sostanza identici avverso i capi della sentenza che:
1) assolvono il Sig.TATO’ dai capi a), b) e c) della rubrica e il Sig.SCARONI dal capo c);
2) omettono di riconoscere il risarcimento dei danni in considerazione del reato contestato al capo c) per il peggioramento delle emissioni;
3) ha ridotto le somme riconosciute a titolo di risarcimento dei danni;
 
4) ha disposto la compensazione parziale delle spese sostenute dalla parte civile in grado di appello.
Con primo motivo lamenta vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e) c.p.p. nella parte in cui la sentenza impugnata:
– con riferimento alla posizione TATO’ (pagg.58 ss.) conclude che all’amministratore delegato di Enel S.p.a. non possono essere mossi addebiti in quanto i responsabili del settore produzione (il dirigente della “Divisione Produzione”, prima, e l’amministratore delegato di Enel Produzione S.p.a., successivamente) possedevano le competenze tecniche e i poteri di autonomia decisionale che escludono il coinvolgimento dell’imputato, e ciò anche con riferimento alla scelta del combustibile utilizzato, non essendo sufficiente per affermate l’esistenza di livelli di responsabilità a suo carico il fatto che all’imputato competesse la predisposizione del budget per l’approvvigionamento di oli combustibili e il fatto che siano stati effettuate scelte strategiche di verosimile riduzione di “tagli di investimenti anche nel settore della manutenzione” e di certa. interruzione dell’attività di “ambientalizzazione della centrale di Porto Tolle e, quindi di riconvertire gli impianti ad orimulsion”; nonché nella parte in cui esclude la rilevanza decisiva del mancato ottemperamento all’art.30 della legge regionale n.36/1997, atteso che in epoca di poco successiva tale normativa venne modificata e la centrale presentò un progetto di riconversione:
– con riferimento alla posizione SCARONI (pagg.71 SS) utilizza i medesimi argomenti utilizzati per la posizione Tatò, aggiungendo che nessun rilievo può essere assegnato alla partecipazione dell’imputato ad una assemblea tenutasi in Adria nella quale si discusse dei temi legati alla centrale ed egli sostenne l’opportunità di riconversione ad orimulsion.
 
In particolare, osserva il ricorrente che l’eccezionalità dell’impianto di Porto Tolle (per dimensioni, potenza e potenzialità inquinante) e la sua collocazione all’interno del Parco naturale Delta del Po escludono che i vertici Enel non conoscessero perfettamente la situazione e non la seguissero con la massima attenzione. Del tutto consapevole, dunque, la scelta dei vertici Enel di proseguire per oltre 15 anni la produzione in deroga ai limiti fissati col DM 12 luglio 1990; tale scelta, se pure rispettosa delle scadenze poste dallo stesso DM, si poneva in contrasto con la disciplina comunitaria e, soprattutto, è stata perseguita evitando di adottare per la centrale veneta le cautele e gli accorgimenti tecnici che sono stati, invece, adottati per altri impianti Enel (v. pag.195 della sentenza di primo grado) ed evitando di adeguarsi alle leggi regionali n.36 del 1997 e n.7 del 1999.
 
La ricognizione dei diversi filoni interpretativi della giurisprudenza della Corte porta in ogni caso ad escludere che la procura institoria (efficace comunque solo per i rapporti privatistici — Sezione Terza penale, sentenza n.4585 del 1986, rv 172 896) sia sufficiente ad escludere la responsabilità del delegante in materia ambientale con riferimento alle scelte strategiche dell’impresa o alle carenze strutturali degli impianti, con la conseguenza che la sentenza di appello omette di dare risposta alla specifica motivazione adottata dal tribunale sia con riferimento ai poteri dell’amministratore delegato (pag.242; v. anche paragrafo 15.7) sia con riferimento all’esistenza di numerose richieste, proposte anche in sede giudiziale, di risarcimento dei danni che fin dal 1999 interessarono le attività della centrale e dovevano essere ben note ai vertici aziendali.
 
In tale contesto il ricorrente ritiene evidente l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo ai Sigg. Tatò e Scaroni, elemento che riconduce al dolo eventuale, richiamando a tale proposito il protocollo d’intesa stipulato da Enel Spa, a firma Scaroni per Enel Spa, in relazione al progetto di riconversione ad orimulsion, nonché il verbale dell’assemblea Enel del 26 maggio 2000 nel corso della quale, alla presenza del Sig.Tatò, si discusse dei problemi ambientali concernenti le diverse centrali. Illogica e incoerente, dunque. la motivazione adottata dalla Corte di Appello a pag.70-72 della motivazione in relazione a quanto affermato a pag.69 e, prima ancora, a pag.62, allorché la stessa Corte di Appello afferma che ai vertici Enel competeva un “adeguato controllo dell’operato” dei direttori della centrale.
Con secondo motivo lamenta vizio di motivazione in relazione al capo C) della rubrica con riferimento alla condotta di “peggioramento delle emissioni” (pag.107 ss). Dopo avere con puntuale motivazione (pag.106) affermato l’esistenza di piena prova del peggioramento delle emissioni nel periodo 1996-2002 a fronte dei risultati ottenuti dall’azienda nel 1995, la Corte di Appello, da un lato esclude la responsabilità dei due amministratori delegati rinviando alle ragioni esposte in ordine all’assoluzione per i reati di cui ai capi A) e B) della rubrica e, dall’altro, afferma che il reato sub C) contestato al Sig. Zanatta risulta prescritto e non rilevante ai tini delle statuizioni civili in quanto, trattandosi di reato di pericolo presunto, le conseguenze dannose risultano assorbite dalle statuizioni in ordine alle contravvenzioni conteste ai capi A) e B). Afferma il ricorrente che, invece, la protrazione per anni di condotte di peggioramento delle emissioni non può non avere avuto riflessi nell’aggravamento delle conseguenze dannose sull’ambiente, e ciò indipendentemente dalla accertata sussistenza delle contravvenzioni previste dagli artt.674 e 635 c.p.
 
Con terzo motivo lamenta vizio di motivazione con riferimento al quantum del risarcimento riconosciuto alle parti civili, che è stato ridotto rispetto a quanto liquidato in primo grado (pag. 116).
Infine, con quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art.541, primo comma, c.p.p. per la parziale compensazione delle spese sostenute dalla parte civile: non avendo proposto appello avverso la prima sentenza, la parte civile è risultata resistente in giudizio e la decisione, confermando nella sostanza le condanne al risarcimento dei danni, esclude che la parte civile possa essere definita ad alcun titolo soccombente.
 
Il Comitato Cittadini Liberi Porto Tolle, nella persona del Sig. Crepaldi, che agisce anche in proprio, propone ricorso contro i capi della sentenza impugnata che:
1) assolvono il Sig.TATO’ dai capi a), b) e c) della rubrica e il Sig.SCARONI dal capo c);
2) omettono di riconoscere il risarcimento dei danni in considerazione del reato contestato al capo c) per il peggioramento delle emissioni;
3) ha ridotto le somme riconosciute a titolo di risarcimento dei danni.
 
Il ricorso si articola su tre motivi. I primi due hanno contenuto sostanzialmente identico a quelli adesso sintetizzati per il ricorso proposto da “Italia Nostra”.
Il terzo motivo lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione, la riduzione della metà del danno liquidato dalla Corte di Appello (paragrafo 8.6 della motivazione) al Sig. Crepaldi e alle associazioni ambientaliste, nonché la riduzione ad euro 50.000,00 del danno liquidato in favore del Comitato.
 
I Sigg. BALASSO Francesco e Davide hanno proposto ricorso contro i tre capi della sentenza impugnata già ricordati i relazione al ricorso Comitato Cittadini Liberi di Porto Tolle.
Anche in questo caso i motivi primo e secondo hanno contenuto sostanzialmente identico a quelli proposti col ricorso di “Italia Nostra”.
Con terzo motivo si lamenta vizio di motivazione con riferimento alla riduzione del risarcimento dei danni operata (paragrafo 8.7, pagg.114 e ss) rispetto alla decisione di primo grado, riduzione che prescinde immotivatamente dalla dettagliata disamina dei danni operata dal primo giudice (pagg.294 e 295) e dalla valutazione complessiva che aveva condotto il Tribunale liquidare in via equitativa la somma di 80.000,00 euro.
Con atti separati a firma dell’Avv. Claudio MARUZZI le parti civili Comune di GORO e Comune di MESOLA propongono impugnazione dei soli capi civili della sentenza, e in particolare dei capi che hanno revocato la condanna al pagamento di una provvisionale e compensato parzialmente le spese del giudizio, nei termini che seguono.
 
II Comune di GORO propone un ricorso articolato su due motivi:
 
1. Il ricorrente premette di non avere mai esercitato l’azione civile nei confronti dei responsabili civili (non sussiste a tal proposito alcuna “estensione” della costituzione di parte civile – si vedano i verbali di udienza del 25 giugno 2006, pagg.17,24,25, 69 e 71, e del 12 gennaio 2006) e che questi si sono costituiti esclusivamente ex art.84 c.p.p. perché citati dal Ministero dell’Ambiente ex art.83 c.p.p. Ciò comporta che l’appello presentato dai responsabili civili avverso la sentenza di primo grado non poteva avere alcuna efficacia nei confronti delle parti civili che non si erano costitute nei confronti dei primi e che gli imputati non possono giovarsi dell’appello proposto dai responsabili civili
Quanto agli appelli proposti dagli imputati sui capi civili, il ricorrente lamenta la loro inammissibilità, quanto meno per assenza di motivazione specifica (si vedano le pagg.1 12 e 113 della sentenza di appello con riferimento alla posizione Busatta), ed evidenzia che in tal senso erano state formulate le conclusioni delle parti civili in sede di discussione avanti la Corte di Appello, così che la Corte di Cassazione può adesso apprezzare (si veda Sezione Quinta Penale, sentenza n.2071 del 2009, Romanelli e altri) l’errore in cui i giudici di appello sono incorsi; ed infatti:
a) BUSATTO aveva contestato in modo generico la ripartizione percentuale dell’obbligo risarcitorio fissata dal Tribunale e l’eccessività della somma oggetto della condanna,
b) TATO’ aveva chiesto la revoca della condanna al risarcimento quale conseguenza della richiesta assoluzione; aveva lamentato l’eccessività delle somme dovute a titolo di provvisionale, in particolare quella liquidata in favore del Ministero per l’Ambiente. Ma lo aveva fatto senza alcuna motivazione delle ragioni che sostengono la pretesa eccessività, dando luogo, così proponendo un motivo di appello che avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile;
c) ZANATTA aveva chiesto, senza alcuna motivazione, la riduzione della somma dovuta a titolo di provvisionale, ma non esponeva direttamente alcuna censura espressa nei confronti degli enti territoriali emiliani;
d) SCARONI non aveva avanzato alcuna richiesta con riferimento ai capi concernenti il risarcimento del danno.
Ciò premesso, il ricorrente rileva che il Comune di Goro si trovava nella medesima posizione giuridica delle parti civili Donà e Negri, ma mentre per queste ultime tiene ferma la condanna del Sig.Zanatta al risarcimento, inspiegabilmente non dispone nel medesimo senso per il Comune di Goro. Inoltre, non si comprende perché l’appello Busatto non sia stato dichiarato anch’esso inammissibile e conseguente confermata a suo carico la condanna al risarcimento dei danni.
Inoltre, l’assoluzione degli imputati Scaroni e Tatò non può comportare la revoca totale della condanna al versamento della provvisionale, posto che il giudizio di responsabilità è stato confermato nei confronti degli imputati Zanatta e Busatto, anch’essi interessati dalla provvisionale. Tale revoca comporta errata applicazione delle legge, in particolare degli artt.539, comma secondo, c.p.p., 185 c.p., 597, comma primo, 600, comma secondo, e 581, lett.c) c.p.p. per violazione del principio devolutivo: la mancanza di valido appello proposto dagli imputati e dai responsabili civili (art.600, comma secondo, c.p.p.) non avrebbe dovuto consentire alcuna pronuncia modificativa sul punto da parte della Corte di Appello, posto che la stessa sentenza di appello (pag.1 18) afferma che sia Zanatta sia Busatto risultano avere concorso (nei sensi previsti dall’art.18, comma settimo, della legge n.349 del 1986) a causare i danni ambientali. Erra, infine, la Corte di Appello a revocare la provvisionale sulla base di una “sicura solvibilità” dei debitori, posto che tra questi non rientrano le società del Gruppo Enel, ma solo i due imputati condannati
 
2. Con secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle spese della fase di giudizio, sia per quanto riguarda la parziale compensazione delle spese, che non rispetta il principio di soccombenza (non avendo il Comune proposto impugnazione avverso la sentenza di primo grado e non risultando modificata l’affermazione di responsabilità per alcuni degli imputati) sia per quanto riguarda la liquidazione delle spese in misura immotivatamente minore rispetto alle altre parti civili.
Analoghe motivazioni sono portate a sostegno del ricorso del Comune di MESOLA.
 
Con atto a firma dell’Avv. Riccardo VENTURI propongono separati ricorsi la Provincia di FERRARA e il Consorzio del Parco Regionale del Delta del Po – Regione Emilia Romagna, che impugnano ciascuno: A) il capo della sentenza relativo alla revoca della condanna al pagamento di una somma provvisionale; B) il capo relativo alla compensazione parziale delle spese processuali.
 
1. Secondo i ricorrenti la motivazione sarebbe del tutto carente, oltre che contraddittoria e manifestamente illogica, e sussisterebbe un correlato vizio di violazione di legge per l’errata applicazione degli artt. 539, secondo comma, c.p.p. in relazione all’art.185 c.p.
Ricordato che la sentenza di primo grado affronta specificamente alle pagine 282 e 283 la posizione degli enti territoriali emiliani costituitisi parte civile, i ricorrenti evidenziano che la sentenza di appello ha confermato la condanna di alcuni imputati per i reati contestati, in particolare per quello previsto dall’art.274 c.p.p.
 
In tale contesto assume valore decisivo, proseguono i ricorrenti, la circostanza che non vi è stata da parte degli imputati una specifica impugnazione in appello dei capo riguardante la condanna al versamento di una provvisionale (l’appello Zanatta, punto Vi di pag.82, contiene una censura generica, immotivata e limitata alla sola quantificazione delle provvisionali: l’appello Busatto censura esclusivamente la quota percentuale e l’entità del risarcimento del danno); con la conseguenza che, non potendo gli imputati beneficiare dell’appello proposto dai responsabili civili che non erano destinatari della costituzione di parte civile ad opera dei ricorrenti (sul punto i ricorrenti offrono ampia motivazione alle pagg.5 e ss delle impugnazioni), la revoca della provvisionale disposta in sentenza viola gli artt.581. 591 e 597 c.p.p.
 
2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano per violazione di legge (art.541, comma primo, c.p.p.) e assoluta carenza di motivazione la decisione della Corte di Appello di compensare parzialmente le spese sostenute nel grado dalle parti civili
Con atti separati a firma dell’Avv. Salvatore Panagia ricorrono i Sigg. Busatto e Zanatta. Il ricorso BUSATTO si articola su plurimi motivi che possono riassumersi come segue.
 
1.  Violazione di legge per avere i giudici di appello esercitato una potestà riservata ad altri organi dello Stato e avere erroneamente applicato l’art.674 c.p. e le altre disposizioni rilevanti.
 
Considerato che il ricorrente è stato condannato per l’episodio di ricadute di particolato avvenuto in data 6-7 ottobre 2004 nell’area del porticciolo di Pila, il ricorso contesta che tale evento possa essere ricondotto alla previsione della prima parte dell’art.674 c.p.; tale interpretazione comporterebbe una sostanziale abrogazione della seconda parte dell’art.674 c.p., che prevede una diversa disciplina per le emissioni di “gas, vapori o fumi” ad opera di stabilimenti produttivi soggetti ad autorizzazione, per i quali la rilevanza penale opera solo nei casi in cui le emissioni avvengono “nei casi non consentiti dalla legge”. Erroneamente, dunque, i giudici di appello hanno applicato al caso in esame la prima parte dell’art.674 c.p.
 
La stessa Corte di Appello si è resa conto della fragilità della propria impostazione, ed ha affermato che anche nell’ipotesi dovesse applicarsi la parte seconda dell’art.674 c.p. si verserebbe in ipotesi di contrarietà alla legge per essere le emissioni superiori alla normale tollerabilità ex art.844 codice civile, e ciò anche quando le emissioni rientrino nei limiti previsti dalla normativa di settore (nel caso di specie erano rispettati dalla centrale le previsioni del U.M. Attività produttive del 13 giugno 2003, emanato in base al D.L. n.25 del 2003, convertito con modificazioni nella legge n.83 del 2003); in tal modo il giudice ordinario finisce per invadere la sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione, cui è demandata la fissazione del punto di equilibrio fra i diversi interessi coinvolti.
 
Sul punto esiste un contrasto giurisprudenziale, che la stessa Corte di Appello evidenzia, che non potrebbe che essere causa di remissione del ricorso alle Sezioni Unite Penale della Corte di Cassazione.
 
La motivazione risulta errata, secondo il ricorrente, anche nella parte in cui individua nella violazione del divieto di peggioramento delle emissioni la base per affermare; non solo tale interpretazione ricade nei vizi sopra denunciati, ma contrasta con la circostanza che il ricorrente non è stato mai condannato per il reato sub C), così che la condanna per la contravvenzione ex art.674 c.p. fondata sulla violazione dei reato sub C) comporta una palese violazione di legge, ance sotto il profilo del contrasto con l’art.27 Cost.
 
2. Con secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’applicazione dell’art.40 c.p. Osserva il ricorrente che la motivazione adottata sul punto alle pagg.81 e 91 della sentenza contiene un palese travisamento del fatto, posto che i controlli effettuati presso il porto di Pila in data 13 ottobre 2010 escludono che le particelle rinvenute contengano zolfo e vanadio (cioè le sostanze che possono ricondurre i residui alla centrale Enel) e che non vi sono ragioni per affermare che ciò dipende da un errore di campionamento, che è stato mai eccepito da alcuno (e che pertanto non può inficiare gli esiti di una prova acquisita al fascicolo dibattimentale) e che non può essere posto alla base di una decisione sfavorevole al ricorrente.
 
Analoga censura meriterebbe la motivazione con riferimento all’assenza di fonti alternative alla centrale Enel (pag.82, punto 5) e all’errata lettura della deposizione del teste Lazzari, che contrariamente a quanto affermato in motivazione non ha riferito alcunché di specifico sulla ricaduta di sostanze addebitata al ricorrente e che, in ogni caso, non è in possesso di competenze tecniche in grado di ricondurre l’evento all’attività della centrale ed escludere l’esistenza di fonti alternative. La motivazione presenterebbe, poi, specifiche contraddizioni sia con riferimento alla ricostruzione dei “transitorio di esercizio” (v. testioninaza Munari all’udienza del 28 Settembre 2005), sia con riferimento alle condizioni atmosferiche, sia con riferimento alla rilevanza delle sentenze del Giudice di pace di Adria e alla relazione Enel riferita ad un episodio del 1987, con la conseguenza che l’incertezza sul nesso causale avrebbe dovuto escludere l’applicazione dell’art.40 c.p.
 
3. Con terzo motivo  lamenta violazione di legge, in relazione agli artt.42, quarto comma, e 43, comma terzo c.p., sia vizio di motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del reato: Risulta errata (v. testimonianza Pini all’udienza dell’11 novembre 2005, pag.75; v. relazione Pini-Rabitti a pag.59) la lettura del dato probatorio ed errata la valutazione che nega la rilevanza decisiva del rispetto dei limiti di emissione da parte dell’impianto.
 
4. Con quarto motivo  lamenta vizio di motivazione in relazione alle statuizioni civili, avendo la Corte di Appello confermato la determinazione nella misura del 5% della quota di responsabilità del ricorrente pur avendolo assolto da uno degli unici due episodi oggetto di condanna in primo grado.
 
II ricorso ZANATTA si articola su plurimi motivi che possono riassumersi come segue.
 
1. Nullità dell’imputazione per contrasto con l’art.552, comma secondo, in relazione al primo comma, lett.c), c.p.p. e vizio di motivazione. Esiste una radicale contraddizione della motivazione là dove alle pagine 56-58 respinge il motivo di appello relativo alla nullità dell’imputazione per indeterminatezza e quindi, alla pag.104 afferma che “l’imputazione è necessariamente generica”. Tale genericità ha consentito ai giudici di merito di ampliare l’oggetto del giudizio a fatti non contestati nei capi di imputazione e, addirittura, non compresi nel periodo in contestazione (episodio 12 luglio 1987, pag.75 motivazione), con la conseguenza che a pag.95 della motivazione si ritengono accertati fatti estranei all’imputazione e se ne traggono conseguenze negative per il ricorrente, così menomando il diritto di difesa; violazione accentuata dalla grande quantità di documenti prodotti dal P.M. in corso di istruttoria dibattimentale a seguito di attività integrativa d’indagine.
 
2. Violazione di legge e vizio di motivazione per mancata assoluzione da tutti i capi di imputazione ed erronea dichiarazione di estinzione dei reati sub A) e C) e, limitatamente ad alcuni episodi, per i fatti contestati al capo B).
 
2.1 – Sussisterebbe, infatti, in atti la prova della assenza di responsabilità per il reato sub A). Sul punto il ricorrente introduce le medesime argomentazioni che fondano il primo motivo di ricorso Busatto, ricordando che la stessa sentenza di appello afferma che l’impianto “non ha mai autorizzato i limiti autorizzativi delle emissioni” (pagg.9-10). A tal proposito alle pagine 17-19 del ricorso si ricordano le dichiarazioni testimoniali che smentiscono quanto affermato alle pagg.82-85 della motivazione circa le carenze di manutenzione e i limiti di funzionamento degli elettrofiltri e quanto affermato a pag.96 circa l’assenza di pratiche volte ad eliminare o ridurre le fuoriuscite di particolato. L’esistenza di tali cautele e procedure di manutenzione esclude, poi, l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato.
 
2.2 – Quanto alle imputazioni sub B), il ricorso rinvia al successivo terzo motivo.
 
2.3 – Quanto all’imputazione sub C), il ricorrente ritiene di non avere interesse ad impugnare il capo della decisione in quanto sono state escluse conseguenze dannose rilevanti ai fini civili (pagg.108 e ss), pur censurando il mancato proscioglimento ex art.129 c.p.p.
 
3. Violazione di legge in relazione agli artt.42, secondo comma, 43, primo comma, e 635 c.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo eventuale con riferimento all’episodio del 24 maggio 2002, nonché vizio di motivazione.
 
Ritiene il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale abbia ritenuto provata la responsabilità per l’episodio del 24 maggio 2002. Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, manca infatti, del tutto la prova che le particelle avessero proprietà acide o corrosive e che le cose raggiunte dalle ricadute oleose abbiano subito alterazioni o perdite di funzionalità, con la conseguenza che si versa in ipotesi di reato ex art.639 c.p. Del resto, a tale conclusione la stessa sentenza giunge (pagg.90 e 119) con riferimento all’episodio del 5-6 aprile 2002, per il quale ha dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela. Errata e contraddittoria, poi, la motivazione allorché ritiene sussistere l’elemento soggettivo del reato (pag.102), conclusione che contrasta con il contenuto delle cinque lettere che il ricorrente scrisse all’Arpav di Rovigo e che sono state prodotte dal teste Munari all’udienza del 28 settembre 2005: tali missive possono, al più, configurare un caso di colpa cosciente e non di dolo eventuale, difettando, secondo quanto la stessa motivazione afferma a pag.102, l’elemento della prevedibilità dell’evento (Sezioni Unite Penali, sentenza 3286/2009) e l’assenza di una concreta accettazione da parte del ricorrente.
 
4. Vizio di motivazione nonché violazione di legge con riferimento agli artt.574, quarto comma, e 597, terzo comma, c.p.p. con riferimento sia alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello Zanatta avverso i capi civili della prima sentenza sia alla ripartizione del risarcimento dei danni.
Erroneamente (pag.113) la motivazione giustifica la dichiarata inammissibilità dell’appello Zanatta sui capi civili relativi alla condanna in favore dei Sigg. Negri e Donà (pagg.113 e 120) per carenza di illustrazione dei motivi, omettendo di considerare che l’impugnazione dei capi relativi alla responsabilità riverbera i propri effetti ex art.574, quarto comma, c.p.p. anche su quelli relativi alle conseguenze civili; correttamente l’appellante aveva richiesto la riforma dei capi sulle statuizioni civili solo in ipotesi di rigetto della richiesta principale di assoluzione, posto che in caso di accoglimento di quest’ultima la condanna civile sarebbe stata automaticamente travolta.
 
Quanto alla ripartizione del risarcimento tra gli imputati, la determinazione nella misura del 95% è immotivata e, soprattutto, assunta in violazione del principio di reformatio in peius. Con la decisione di primo grado la condanna era stata issata in misura minore e ripartita per ciascun capo di imputazione, così che tale misura non poteva essere aumentata dal giudice di appello senza che sul punto vi sia impugnazione del Pubblico Ministero e/o delle parti civili. Al contrario, una volta esclusa la rilevanza autonoma del capo C) ai fini del risarcimento e una volta ravvisata una possibile responsabilità dei dirigenti di Enel produzione Spa (pagg. 68-69 e 72), la Corte avrebbe dovuto ridurre la quota posta a carico del ricorrente in modo del tutto immotivato (pagg.118 e 120).
 
Con memoria depositata dagli Avv. Carlo Marchiolo e Marco De Luca nell’interesse del Sig. Francesco Luigi Tatò, viene sollecitata la conferma della sentenza impugnata.
 
L’impugnazione del Pubblico Ministero sarebbe, infatti, inammissibile perché fondata su argomenti di fatto e infondata perché nega la rilevanza di due elementi, quali la procura institoria conferita e la successiva modifica dell’assetto societario ex d.lgs. 16 marzo 1999 (in particolare si rinvia all’art.13), che i giudici di appello hanno puntualmente valutato con decisione non censurabile in sede di legittimità. Lo stesso dicasi per la motivazione con cui la Corte di Appello ha escluso il coinvolgimento del Sig.Tatò nelle scelte circa l’olio combustibile da utilizzare, circa i livelli di manutenzione degli impianti, circa le scelte di ordine finanziario.
 
L’Avvocatura dello Stato ha presentato una articolata memoria con cui, in sintesi, chiede:
a) dichiararsi l’inammissibilità della costituzione in giudizio del responsabile civile Enel S.p.a. per difetto di procura speciale;
b) dichiararsi inammissibile il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Appello e di tutte le parti civili con riferimento alla richiesta affermazione di responsabilità penale dei Sigg.Tatò e Scaroni;
e) rigettarsi i ricorsi Busatto e Zanatta in punto responsabilità, con conseguente conferma delle statuizioni civili, ed accoglimento del motivo di ricorso concernente la individuazione delle percentuali di responsabilità, con conseguente rinvio al giudice civile;
d) accogliersi i motivi di ricorso delle parti civili concernenti la revoca delle provvisionali e dichiarazione di inammissibilità dell’appello Busatto, con conseguente annullamento senza rinvio per entrambi i capi della sentenza;
e) dichiararsi inammissibili i restanti motivi proposti dalle parti civili;
f) dichiararsi estinti per prescrizione tutti i reati residui.
 
OSSERVA
 
1. Le contestazioni.
Le tre contestazioni di cui gli indagati erano chiamati a rispondere avanti la Corte di Appello (essendo state escluse in primo grado le contestazioni mosse ai capi D ed E della rubrica) hanno come riferimento l’attività svolta presso al Centrale Enel di Polesine Camerini e considerano le rispettive responsabilità aziendali, così riassumibili:
il Sig. Tatò, quale amministratore delegato di Enel Spa sino alla data del 23 maggio 2002;
il Sig. Scaroni, quale amministratore delegato di Enel Spa a partire dal 24 maggio 2002 tino all’anno 2005;
il Sig. Zanatta, quale direttore e responsabile della Centrale Enel di Polesine Camerini fino al 30 giugno 2004;
il Sig. Busatto, quale direttore e responsabile della Centrale Enel di Polesine Camerini dal 1 ° luglio 2004.
Il capo A) della rubrica concerne il reato di getto di cose pericolose previsto dall’art.674 c.p. e ha ad oggetto un duplice profilo di illiceità: a) l’esistenza di `”ricadute oleose”, evento verificatosi in date specificamente indicate; b) l’emissione di fumi in atmosfera nei casi non consentiti dalla legge;
Il capo B) concerne il reato di danneggiamento aggravato previsto dall’art.635, n.5 e 3 n.3, c.p., in relazione all’art.625, n.7 c.p., e ha ad oggetto sia le conseguenze negative degli episodi di ricaduta oleosa sia quelle relative alle emissioni di fumi. 
Il capo C) concerne il reato di peggioramento delle emissioni previsto dagli artt.13, quinto comma, e 25, settimo comma, del d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 e ha ad oggetto sia le violazioni commesse nelle date specificamente indicate sia l’ipotesi di peggioramento dei dati medi delle emissioni.
Va detto che la contestazione iniziale prevedeva anche i capi D (art.25, comma terzo, del d.P.R. 203/88, in relazione all’art.40 c.p.: mancato rispetto dei valori di emissione previsti dalla legge regionale con riferimento alla – divenuta obbligatoria – alimentazione a metano) ed E (art.25, comma secondo, d.P.R. n.203/88 in relazione all’art.40 c.p.: mancata osservanza delle prescrizioni imposte dall’autorità competente).
Nella sostanza, la contestazione mossa ai responsabili della centrale produttrice di energia elettrica è quella di avere, non rispettando le direttive comunitarie e le previsioni nazionali, alimentato tre delle quattro sezioni della centrale utilizzando olio combustibile ad elevato tenore di zolfo fino al 21 dicembre 2002 e, quindi, utilizzando olio combustibile denso “BTZ” a basso tenore di zolfo; alimentato la quarta sezione utilizzando olio combustibile ad elevato tenore di zolfo lino al novembre 2000 e dal 7 novembre 2000, dopo interventi impiantistici al fine di rispettare i limiti fissati dall’allegato 3 del DM 12 luglio 1990, utilizzando olio combustibile “STZ” e ricorrendo a dispositivi che abbattevano le polveri ma non le emissioni di ossido di zolfo.
Secondo la contestazione, tale metodologia di funzionamento degli impianti ha provocato emissioni dannose sia di gas, vapori e fumo contenenti macro e micro inquinanti prodotti dalla combustione sia di sostanze oleose, con il risultato che le polveri, i residui e le sostanze oleose hanno provocato molestie e imbrattato cose e persone situate nei territori situati nel raggio di alcuni chilometri dall’impianto, con pregiudizio specifico dei territori ricadenti nei comuni puntualmente indicati nei capi di imputazione.
Ai responsabili dell’impianto e della società Enel viene contestato di non avere rispettato le previsioni contenute nelle direttive europee in materia di emissione (in particolare la Direttiva 96/61 CE e il d.lgs. attuativo n.372 del 1999), nel d.P.R. n.203 del 1988 e nel successivo decreto del Ministero dell’Ambiente del 12 luglio 1990, nelle leggi della Regione Veneto 8 settembre 1997, n.36 (art. 30) e 22 settembre 1999 (art.25); di non avere provveduto ad utilizzare gas metano o altre fonti energetiche a basso impatto ambientale, come invece previsto dalla normativa in vigore; di non avere minimizzato gli effetti indesiderati ricorrendo ai migliori accorgimenti tecnici disponibili; di avere utilizzato in misura modesta il quarto settore produttivo che era stato “ambientalizzato” nel mese di novembre 2000; di non essersi in via generale attivati, come sarebbe stato obbligo in relazione ai ruoli direttivi rivestiti, per impedire o ridurre (capi A e B) gli effetti dannosi e per evitare (capo C) il peggioramento anche temporaneo delle emissioni
2. La sentenza di primo grado
 
2.1 – Le decisioni in ordine ai fatti reato
La sentenza emessa dal Tribunale ha assolto tutti gli imputati dal capo E) con la formula “perché il fatto non sussiste” e sul punto non vi è stata impugnazione.
Quanto al capo D), e cioè la violazione della disciplina regionale, il Tribunale ha ritenuto che in assenza di specifici limiti di emissione tale disciplina non possa costituire la base per una violazione penale, potendo al più sussistere violazioni di natura amministrativa.
Quanto al capo A) – che viene ritenuto commesso fino alla fine di dicembre 2002, la sentenza ha distinto:
A.1 – le ricadute oleose, ricondotte alla prima parte dell’art.674 c.p., dalle altre emissioni, che vengono qualificate ai sensi della seconda parte della medesima disposizione. La sentenza ritiene che per le ricadute oleose sussista la violazione dell’art.674 c.p. indipendentemente dal superamento delle soglie di emissione in atmosfera, posto che l’oggetto dell’art.674 c.p. (e cioè la tutela di cose e persone da molestie e imbrattamento) differisce da quello previsto dal d.P.R. n.203/88 (tutela dell’atmosfera e dell’ambiente).
Con riferimento alle condotte degli imputati, il Tribunale ha individuato cinque/sei profili di illiceità che consentono di ravvisare condotte quanto meno colpose:
a) la riduzione degli interventi di manutenzione e dei controlli preventivi;
b) l’adozione di un olio combustibile di minor prezzo e a maggiore potenziale di inquinamento;
c) l’inadeguatezza del sistema di filtraggio (elettrofiltri);
d) la mancata predisposizione di “protocolli” atti ad evitare che nei periodi “transitori di esercizio” si verificassero specifici fenomeni inquinanti;
e) la mancata predisposizione di “protocolli” per i casi di “inversione termica” (la centrale era sprovvista di apparecchiature a ciò destinate, che erano state invece fornite ad altre centrali Enel);
f) l’insufficiente lavaggio delle canne di scarico
A.2 – le emissioni ordinarie (gas, vapori e fiumi) sono state considerate prodotte “nei casi non consentiti dalla legge” (art.674, seconda parte, c.p.) in quanto effettuate: 1) senza l’adozione della misure atte a evitare il peggioramento, come accertato con riferimento al reato sub C): 2) in violazione della normativa regionale che imponeva piani di riconversione e del DM 12 luglio 1970 che imponeva l’adozione delle migliori misure tecniche atte a contenere le emissioni. A tale proposito il Tribunale ha ritenuto che la frequenza delle emissioni anomale, la presenza di odori acri e di forti rumori comportino nel loro insieme quel turbamento della tranquillità e quelle molestie superiori alla normale tranquillità che la giurisprudenza considera sufficiente ad integrare la contravvenzione.
Quanto al capo B), il Tribunale ha escluso la sussistenza della ipotesi più lieve dell’imbrattamento (art.639 c.p.) in quanto le ricadute oleose hanno prodotto danni permanenti alle piante, agli indumenti e alla vernice dei veicoli, ivi compresi beni appartenenti al Demanio; per le emissioni ordinarie, invece, i danni permanenti sono stati ritenuti sussistere limitatamente alla flora lichenica.
Quanto al capo C), la motivazione della sentenza di primo grado ha preso le mosse da una ricognizione delle autorizzazioni alle emissioni, che la sentenza di appello sintetizza alle pagine 8, 9 e 10 (a tale sintesi questa Corte intende fare riferimento nel prosieguo). Afferma, quindi, che l’obbligo di evitare il peggioramento anche temporaneo delle emissioni posto a carico di chi opera in regime transitorio o in regime di “silenzio assenso” (art.13, quinto comma, del d.P.R. 203 del 1988) è stato violato dai responsabili della centrale sia con riferimento a episodi di peggioramento “momentaneo”, accertati mediante riscontro strumentale, sia con riferimento a episodi di peggioramento “istantaneo”, provati dal verificarsi di ricadute oleose; ha escluso, invece, la prova di sussistenza della violazioni con riferimento agli episodi del 6-7 ottobre 2004 e del 19 maggio 2005; ha, quindi, ritenuto provati altri episodi di violazione, emergenti dalle stesse segnalazioni dell’Enel, che possono ritenersi compresi nell’ambito del capo di imputazione caratterizzato da un’ “ampia descrizione”.
La motivazione ritiene, sotto altro profilo, provata l’esistenza di peggioramenti sia con riferimento alle polveri sia con riferimento agli aumenti di emissione dovuti alla crescita della produzione.
 
2.2 – Le decisioni sui singoli imputati
Il Tribunale ha operato una distinzione di fondo fra le scelte strategiche relative alla gestione della centrale, addebitate ai vertici dell’Enel, e le scelte concernenti le determinazioni gestionali, addebitate ai direttori della centrale. A tale proposito non va dimenticato che il Tribunale ha espresso perplessità (pag.232) in ordine alla scelta della pubblica accusa di non muovere contestazioni ai vertici della società che dopo il riassetto dell’Enel ha avuto come mandato la gestione delle centrali, e cioè la Enel Produzione Spa.
Sulla base di tale distinzione di fondo il Tribunale ha:
– condannato il Sig. Tatò per i reati contestati ai capi di imputazione A), B) e C) commessi fino al 2002, con conseguente condanna, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di sette mesi di reclusione;
– condannato il Sig. Scaroni (amministratore delegato a far data dal 24 maggio 2002) per il solo reato di cui al capo C), limitatamente alle violazioni commesse nell’anno 2004, condannandolo, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di un mese di arresto, pena. convertita nella corrispondente sanzione pecuniaria;
assolto il Sig. Scaroni da tutte le accuse ex art.674 e art.635 c.p. concernenti le ricadute oleose, considerato che a partire dal maggio 2002 tali ricadute non si erano più verificate, salvo l’unico episodio del 6-7 ottobre 2004 che costituisce un evento eccezionale di cui egli non deve rispondere penalmente, così come non deve rispondere dei casi di peggioramento registrati nel corso del 2002, addebitabili alle scelte effettuate dal predecessore;
assolto i Sigg.Zanatta e Busatto dalle contestazioni conseguenti alle scelte strategiche addebitate ai vertici Enel, e dunque assolto dalle contestazioni di cui al capo C) e alle ipotesi di peggioramento delle emissioni ordinarie, con conseguente assoluzione dalle corrispondenti ipotesi di danneggiamento di cui al capo B);
– condannato gli stessi per le ipotesi di reato collegate alle ricadute oleose, nei termini seguenti:
per il Sig.Zanatta il Tribunale ha ritenuto di individuare l’esistenza di responsabilità a titolo di dolo eventuale, e Io ha dichiarato colpevole per i fatti contestati ai capi A), B) e C) – limitatamente agli episodi di ricadute oleose e agli episodi maggiormente visibili – con riferimento ai fatti avvenuti entro il 2002; lo ha così condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di due mesi di reclusione, convertita nella corrispondente sanzione pecuniaria;
per il Sig.Busatto (che ha assunto l’incarico di direttore di stabilimento nel mese di luglio 2004) la condanna è stata pronunciata per il solo capo A) e limitata, a titolo di mera colpa, a due soli episodi di ricadute oleose (avvenuti nelle date del 7 ottobre 2004 e del 15 settembre 2005), con conseguente condanna alla pena di 260 euro di ammenda;
per il Sig.Busatto, dunque, vi è stata assoluzione per il capo B), non sussistendo l’elemento soggettivo del reato sub A), e per il capo C), non potendosi collegare i due episodi ad una situazione di peggioramento delle emissioni
 
2.3 – Le statuizioni civili
La decisione in ordine alle statuizioni civili risulta articolata e segue il giudizio di gravità delle condotte seguito con riferimento alle responsabilità penali.
A) Per quanto concerne la condanna al risarcimento dei danni:
per il capo A) fissa le misure del 70% a carico di Tatò, 25% a carico di Zanatta e 5% a carico di Busatto;
per il capo B): 85% a carico di Tatò e 15% a carico di Zanatta;
– per il capo C): 85% a carico di Tatò; 10% a carico di Scaroni; 5% a carico di Zanatta
B) Per i medesimi danni fissa il principio della responsabilità solidale quali responsabili civili anche a carico delle società Enel e Enel Produzione, citate dal Ministero dell’Ambiente.
C) Ha ritenuto sussistere un danno non patrimoniale e un danno ambientale (ex legge n.349 del 1986) in favore del Ministero dell’Ambiente, con determinazione di una provvisionale di 800.000 euro.
D) Ha ritenuto sussistere un danno non patrimoniale e un danno ambientale ex legge n.349/86 in favore degli enti territoriali e dell’Associazione Italia Nostra, fissando somme diverse a titolo di provvisionale.
E) Ha ritenuto sussistere in favore dei privati sia un danno morale conseguente al reato sub A) sia un danno patrimoniale e morale conseguente al reato sub B), procedendo a specifiche liquidazioni.
F) Ha ritenuto sussistere un danno in favore delle associazioni che operano a tutela dell’ambiente costituitesi parte civile.
G) Ha respinto, invece, alcune specifiche richieste del Ministero dell’Ambiente (restituzione in pristino; domanda inibitoria rispetto alla prosecuzione dell’alimentazione della centrale; subordinazione dei benefici di legge alla rimessione in pristino)
3. La sentenza di secondo grado
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello ha parzialmente riformato la prima decisione. In particolare, decidendo sulle imputazioni:
– quanto al reato ex art.674 c.p., ha assolto l’appellante TATO’ per non avere commesso il fatto; ha assolto il Sig. BUSATTO perché il fatto non sussiste (fatto del 15 settembre 2005) e dichiarato non doversi procedere per prescrizione dei reati nei confronti del Sig. ZANATTA ;
– quanto al reato ex art.635 c.p., ha assolto il Sig.TATO’ per non avere commesso il fatto; ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti del Sig.ZANATTA con riferimento agli episodi di ricadute oleose; ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per mancanza di querela con riferimento all’episodio del 5 e 6 aprile 2002, episodio riqualificato ai sensi dell’art.639 c.p.; ha, inoltre, dichiarato la nullità della sentenza con riferimento all’episodio di ricaduta oleosa del 20 maggio 2002 per carenza di contestazione, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero;
 
– quanto al reato previsto dal d.P.R. 24 maggio 1988, n.203, ha assolto per non avere commesso il fatto i Sigg. TATO’ e SCARONI dalla contestazione di peggioramento dei valori medi di emissione ed il Sig. TATO’ dalla contestazione di peggioramento temporaneo nelle singole giornate; ha dichiarato non doversi procedere per tali ultimi episodi nei confronti del Sig. ZANATTA per intervenuta prescrizione.
Conseguentemente ha ridotto la pena nei confronti del Sig. BUSATTO in relazione al reato di cui al capo A) alla somma di 130 euro di ammenda e ridotto la pena nei confronti del Sig. ZANATTA a venti giorni di reclusione, convertiti nella pena pecuniaria di 760 euro di multa.
 
Per quanto concerne le statuizioni civili:
ha dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuta revoca della costituzione in relazione alle domande presentate da: Parco Regionale Veneto Delta del Po; Comune di Adria; Comune di Porto Tolle; Comune di Rosolina; Comune di Taglio di Po; Provincia di Rovigo; Regione Veneto;
ha dichiarato inammissibili gli appelli dei responsabili civili relativamente alle statuizioni nei confronti delle parti civili non costituitesi nei loro confronti (Sigg. Negri, Donà, Mantoan; Comuni di Mesola e di Goro; Regione Emilia Romagna; Legambiente Emilia Romagna; Legambiente Volontariato Veneto; Provincia di Ferrara; Parco Regionale Delta del Po Emilia Romagna);
ha dichiarato inammissibile l’appello del Sig. Zanatta relativamente alle liquidazioni del danno in favore delle parti civili e pertanto conferma la condanna del solo Zanatta in favore delle parti civili Donà e Negri;
ha revocato la condanna in favore della parte civile Mantoan;
ha condannato il Sig. Zanatta, in solido coi responsabili civili, al risarcimento del danno in favore delle parti civili Crepaldi, in proprio, e Balasso, in proprio e quale esercente la potestà sul figlio Davide, liquidando in favore delle parti civili Balasso una somma di 40.000,00 euro a titolo di provvisionale;
– ha condannato i Sigg. Zanatta e Busatto, nella misura del 95% e 5% rispettivamente, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Cittadini Liberi di Porto Tolle (nei limiti di euro 50.000,00), Italia Nostra Onlus (euro 35.000,00), W.W.F. Onlus (25.000,00), Legambiente Emilia Romagna e Legambiente Volontariato Veneto (curo 2.500,00 ciascuna);
– ha revocato le somme concesse dal Tribunale a titolo di provvisionale in favore delle parti civili.
Passando ad un sintetico esame della motivazione della sentenza impugnata, la Corte ritiene di evidenziarne gli aspetti essenziali ai fini della decisione sui motivi di ricorso presentati.
 
3.1 – La Corte di Appello ha in primo luogo affrontato e respinto i motivi concernenti la nullità della contestazione, ritenendo che non sussistano difetti di completezza e chiarezza delle imputazioni tali da integrare il vizio lamentato e che l’esame della complessiva vicenda processuale dimostri in modo in equivoco che gli imputati e le parti civili hanno potuto in concreto esercitare ampiamente il diritto di “difendersi provando” rispetto a tutti i profili di illiceità contenuti nei capi. di imputazione. A tale proposito la Corte di Appello ha condiviso le osservazioni contenute nelle ordinanze adottate sul punto dal Tribunale, con particolare riguardo all’affermazione (ordinanza 31 maggio 2005) secondo cui i vizi della contestazione debbono essere valutati alla luce della materia del processo, della qualità delle parti, della conoscibilità degli atti di indagine, della concreta possibilità per le difese di attivarsi ed esercitare i propri diritti.
 
La motivazione della sentenza passa, quindi, ad esaminare le singole posizioni.
 
3.2 – Nell’ambito delle pagine dedicate all’esame della posizione del Sig.Tatò, amministratore delegato di Enel Spa nel corso del primo periodo di tempo in contestazione, la motivazione prende le mosse dall’esame in termini generali dei temi legati all’assetto societario e aziendale di Enel, ricostruendo i livelli decisionali esistenti tra il vertice aziendale e le varie divisioni interne anteriormente alla c.d. “liberalizzazione” del settore energetico nazionale (d.lgs. 16 marzo 1999, n.79) e quindi i rapporti fra controllante e controllate successivamente al mutamento di assetto societario che seguì la nuova disciplina. A tale proposito la motivazione pone in evidenza come la posizione di amministratore delegato di un’azienda di vaste dimensioni e con una estesa articolazione produttiva comporti un interessamento limitato alle questioni strategiche e a quelle che assumono rilevanza pubblica esterna a livello di sistema nazionale, sussistendo livelli intermedi di comando che la stessa sentenza di primo grado riconosce esistenti. A tale considerazione viene posta in relazione la circostanza che il direttore della divisione produzione, prima, e i responsabili della Spa Enel Produzione, poi, possedevano tutti i requisiti “per affrontare e risolvere …le questioni tecniche e gestionali connesse all’attività di produzione energetica, ivi comprese le problematiche di natura ambientale “.
 
3.3 – Per la posizione TATO’ (pagg.58 e seguenti) la Corte territoriale richiama i passaggi motivazionali con cui il Tribunale ha ritenuto sussistere la responsabilità dell’imputato sulla base di specifiche scelte aziendali, riconducibili al vertice Enel, che hanno condizionato le decisioni a valle e che comportano una diretta ingerenza del vertice nelle materie oggetto del presente processo. In particolare al vertice Enel sono attribuite tre scelte aventi ricaduta diretta sulla produzione e sulle violazioni contestate: a) la scelta dell’olio combustibile, comportante un peggioramento della qualità di esso e un maggiore potere inquinante; b) la diminuzione dei livelli di manutenzione della centrale, comportante un aumento delle emissioni e dei rischi di eventi nocivi; e) la decisione di. non “ambientalizzare” la centrale di Porto Tolle.
 
La Corte di Appello nell’esaminare tali conclusioni ha preso le mosse dalla constatazione che nel primo periodo di gestione Tatò (quello in cui l’azienda era ripartita in divisioni operative) costui affidò con procura institoria all’ing. Potestio poteri che concernevano “l’intera gestione del settore della produzione energetica”, e che nel periodo successivo il settore produzione fu affidato ad una società di capitale controllata, con la conseguenza generale che all’amministratore delegato Enel permanevano esclusivamente “Anzioni di indirizzo strategico e di coordinamento delle società controllate”.
 
Fatta questa premessa, la Corte di Appello ha esaminato partitamente i tre aspetti sopra richiamati” giungendo a conclusioni diverse dai primi giudici.
 
a) Quanto alla scelta dell’olio combustibile, si conclude (pagg.62 e ss) che: 1) a differenza di quanto affermato dalla teste Bertoli, “non può fondatamente affermarsi…che il peggioramento della qualità del predetto combustibile (pure indiscutibilmente attestato dall’aumento dei valori di SO2 evidenziati in sentenza cfr. pag. 188-189 – e non contestati) sia conseguenza di una diversa –  e peggiore – categoria di combustibile “; 2) va escluso che le determinazioni sul budget, di competenza dell’amministratore delegato, ricomprendessero anche la scelta della tipologia e qualità del combustibile; 3) essendo mancato ogni approfondimento istruttorio circa i contenuti, nell’ambito della formazione del budget, delle scelte di competenza del vertice Enel concernenti i fattori rilevanti ai fini del presente processo, non può affermarsi che le violazioni debbano essere addebitate alla “politica di contenimento dei costi” decisa a livello di vertice aziendale, risultando in ogni caso provato che le scelte sui carburanti erano effettuate direttamente da Enel Produzione Spa e che l’amministratore delegato non interveniva nella scelta delle specifiche tipologie (pagg.64-66).
 
b) Per quanto concerne la diminuzione dei livelli di manutenzione della centrale, la Corte territoriale (pagg.67 e ss) opera considerazioni del tutto simili sul piano metodologico a quelle adesso richiamate. Escluso che vi sia prova di dirette ingerenze dei vertici Enel sulle scelte in tema di manutenzione degli impianti, si conclude che una responsabilità dell’amministratore delegato non può farsi discendere dalla circostanza che egli approvasse le voci di budget relative alla manutenzione, posto che le voci di bilancio e le possibilità di spesa da parte delle direzioni non comportavano affatto la inevitabilità di una riduzione degli interventi di manutenzione presso la centrale di Porto Tolle.
 
c) Infine, con riferimento alla decisione di interrompere il processo di “ambientalizzazione” della centrale di Porto Tolle, la motivazione (pag.70 e ss) evidenzia che si tratta certamente di scelta strategica, e dunque riferibile anche ai vertici di Enel Spa, ma dettata da ragioni plurime che non possono avere una diretta ricaduta causale sui fatti di causa. Il rapido succedersi della normativa regionale (legge n.36/97, che poneva un termine per la riconversione degli impianti al settembre 1998, e legge n.7/99, entrata in vigore solo pochi mesi dopo tale scadenza) e la proposta Enel di riconvertire l’impianto ad orimulsion e non a metano escludono che possa parlarsi di una significativa inerzia dell’azienda capace di incidere in modo decisivo sulle emissioni irregolari.
 
La Corte territoriale osserva, poi, che non risulta provato – ed anzi sussistono elementi che depongono in senso contrario (documentazione relativa all’anno 2000 prodotta dalla Direzione di Enel Produzione Spa) – che i vertici Enel fossero puntualmente informati delle richiesta di risarcimento danno avanzate con riferimento alla centrale veneta.
 
In conclusione, secondo i giudici di appello manca del tutto la prova che i vertici Enel si siano concretamente ingeriti nelle scelte gestionali che, come in seguito esposto in sentenza, hanno un rapporto causale diretto con i fatti oggetto di contestazione. Di qui l’assoluzione del Sig.Tatò “per non avere commesso il fatto”. Tale decisione comporta che nessuno degli imputati viene ritenuto responsabile per il reato di danneggiamento sub B) riferito alle emissioni ordinarie.
 
3.4 – Per la posizione SCARONI la motivazione della sentenza (pagg.71 e ss) muove dalla premessa che l’appellante è stato condannato in primo grado unicamente per il reato sub C) e limitatamente ai peggioramenti delle emissioni relativi alle sole emissioni di polveri e di SO2 per l’anno 2004.
 
Osserva la Corte territoriale che per la posizione Scaroni valgono a fortiori le considerazioni esposte per la posizione Tatò, con in più alcuni elementi di grande rilievo: 1) la predisposizione del budget non aveva più alcun riferimento alla scelta dei combustibili; 2) le caratteristiche, leggermente peggiori, del combustibili utilizzato e il limitato peggioramento delle emissioni nel corso del 2004 non consentono di affermare che sussistano effettivi risparmi per l’azienda e non permettono di condividere la conclusione secondo cui (pag.247 della sentenza) il giudice di primo grado aveva individuato nel vantaggio economico la ragione del citato peggioramento.
 
Va escluso, poi, per la Corte di Appello che la partecipazione alla conferenza tenutasi in Adria possa costituire prova di una specifica consapevolezza in capo all’appellante dei problemi della centrale di Porto Tolle (lo Scaroni aveva affrontato esclusivamente il tema strategico della riconversione a orimulsion), e che, in ogni caso, anche ipotizzando che in tale occasione l’esistenza di problemi gestionali, il Sig. Scaroni potrebbe non essersene fatto carico personalmente “evidentemente confidando… sull’intervento dei soggetti direttamente responsabili della gestione dell’impianto (direttore di centrale, innanzitutto e, quindi, responsabili di Enel produzione Spa)”; tale considerazione trova conferma nella circostanza che alle riunioni con gli enti territoriali per discutere degli interventi a fini ambientali hanno partecipato soltanto il direttore di stabilimento o il responsabile di Enel produzione Spa e nella circostanza che il Sig. Scaroni aveva sposato una politica di attenzione alla tutela ambientale e di rispetto dei limiti fissati dalla legge, politica che (teste Sessa) comporta vantaggi di immagine e vantaggi a livello di quotazione dei titoli azionari.
 
Sulla base di tali considerazioni anche il Sig. Scaroni è stato assolto “per non avere commesso il fatto”.
 
3.5 – Venendo così alle posizioni ZANATTA e BUSATTO, la Corte di Appello ricorda che:
per il Sig. BUSATTO resta da esaminare la responsabilità per due episodi di ricadute oleose (una nell’anno 2004 e una nell’anno 2005) ai soli fini del reato di getto pericolo previsto dall’art.674 c.p., essendo definitiva nei suoi confronti l’assoluzione per il reato previsto dall’art.635 c.p.;
per il Sig. ZANATTA restano da esaminare le responsabilità per gli episodi di ricaduta oleosa rilevanti sia per il reato sub A) sia per il reato sub B), nonché per i fatti previsti dalla seconda parte dell’art.674 c.p. (emissioni ordinarie nei casi non consentiti dalla legge) commessi dal 1996 al 2002;
– tutti i reati previsti dall’art.674 c.p. sono estinti per intervenuta prescrizione;
– gli episodi contestati ai sensi dell’art.635 c.p. sono estinti, invece, limitatamente a quelli commessi fino al 12 marzo 2001, per i quali il termine massimo è maturato il 12 settembre 2008;
– l’episodio di ricaduta oleosa avvenuto in data 20 maggio 2002 è stato contestato suppletivamente dal P.M. (udienza 2 dicembre 2005) unicamente in relazione al capo A), così che l’avvenuta condanna del Sig. Zanatta in relazione al reato sub B) è avvenuta in assenza di iniziativa del P.M. e deve essere annullata dalla Corte anche in assenza di specifica impugnazione, trattandosi di ipotesi di nullità assoluta rilevabile d’ufficio;
– in ogni caso, l’esame dei fatti coperti da prescrizione deve essere effettuato dalla Corte per il rilievo che essi rivestono ai fini civili.
 
3.5.1 – Ciò premesso, la Corte procede all’esame in via generale delle ricadute oleose (pagg.74 e ss) affrontando le censure che gli imputati e i responsabili civili hanno mosso alle conclusioni cui è giunto il Tribunale sulla base dei criteri esposti (pagg.81 e seguenti della sentenza di primo grado). Escluso che le tre decisioni del Giudice di Pace di Adria, emesse in sede civile tra parti diverse da quelle del presente processo e prodotte dalla Difesa nel corso del primo giudizio, possano avere rilievo decisivo in questa sede, la Corte evidenzia che gli stessi appellanti riconoscono che l’episodio più grave di ricaduta – avvenuto in data 25 febbraio 2002 – è da attribuirsi all’attività della centrale, sebbene sia ascrivibile secondo gli stessi appellanti ad una situazione eccezionale che dimostrerebbe l’assenza di prevedibilità dell’evento.
 
E che la prospettata adozione di misure atte a evitare le ricadute non abbia prodotto gli effetti inibitori vantati dalle Difese lo dimostrano secondo la Corte territoriale (pagg.77 e ss) sia le numerose testimonianze in atti rese da abitanti della zona, che impongono di affermare che plurimi episodi negativi vi furono e che, anche a seconda delle condizioni del vento e del tempo, le particelle potevano ricadere perfino ad una distanza di due chilometri dall’impianto (teste Donà, pag.78 della motivazione). Non solo, perché anche le testimonianze di tre dipendenti Enel hanno dato atto del fenomeno.
 
Tale conclusione viene dalla Corte territoriale confermata anche dopo avere esaminato (pagg.79 e ss) le censure proposte con gli appelli ZANATTA ed Enel Produzione Spa, esame che ha condotto alla conferma delle considerazioni espresse dal giudice di primo grado. La Corte territoriale, infatti, ha respinto le osservazioni difensive circa gli errori in cui sarebbe incorso il Tribunale nel considerare la direzione del vento, l’assenza di analisi chimiche, l’esistenza di possibili fonti di inquinamento alternative (quanto alla deposizione Lazzari, che è stata, come si è visto, contestata nel secondo motivo del ricorso Busatto, si veda pag.82).
 
3.5.2 – Quindi, dopo avere chiarito (pagg.83-85) che le ricadute possono trovare causa sia nel funzionamento “normale” della centrale, ovviamente qualora si verifichino specifiche condizioni meteorologiche che le favoriscono, sia nelle ipotesi di “transitori di esercizio”, sia nelle ipotesi di guasti o di altre anomalie, la Corte di Appello procede all’esame dei singoli episodi in contestazione, distinguendo gli episodi posti a carico del Sig. Zanatta (pagg.85-91) da quelli a carico del Sig. Busatto (pagg.91-93).
 
La Corte territoriale giunge alla conclusione, quanto alla posizione BUSATTO che l’affermazione di responsabilità trova piena prova solo per l’episodio del 7-8 ottobre 2004, dovendosi ravvisare l’esistenza di un ragionevole dubbio per l’episodio avvenuto nel 2005. Quanto alla posizione ZANATTA, la Corte territoriale giunge alla determinazione di confermare la prima sentenza soltanto con riferimento agli episodi del 18 aprile 1999, del 25-26 ottobre 1999, del 15 maggio 2000, del 12 marzo 2001, del 5-6 aprile 2002 (episodio per il quale, tuttavia, la Corte ritiene di dover accogliere l’appello Zanatta e di escludere la rilevanza dell’episodio ai limitati fini del reato ex art.635 c.p., per cui va pronunciata assoluzione), del 20 maggio 2002 (episodio per il quale, si ricorda, la Corte territoriale ha dichiarato la nullità parziale della sentenza di primo grado nella parte in cui ha pronunciato condanna anche per il reato ex art.635 c.p. in assenza di contestazione suppletiva del P.M.) e del 24 maggio 2002.
 
3.6 – La rilevanza delle ricadute oleose ai fini del reato previsto dall’art.674 c.p.
 
La Corte territoriale esamina separatamente i profili oggettivi  del reato (pagg.93-94) da quelli soggettivi  (pagg.94 e ss).
 
Sul piano oggettivo la Corte conclude che il particolato fuoriuscito dall’impianto può essere ricondotto al concetto di “cose” previsto dalla prima parte dell’art.674 c.p. e che deve condividersi la giurisprudenza che include l’emissione di polveri tra le condotte riconducibili a tale previsione normativa. Del resto, la nozione di “emissione” contenuta nel d.P.R. n.203 del 1998 è più ampia e non può essere limitata ai gas, vapori o fumi previsti dalla seconda parte dell’art.674 c.p.: comporta “emissione” infatti, l’introduzione in atmosfera di qualsiasi sostanza liquida, solida o gassosa.
 
In ogni caso, conclude la Corte territoriale, anche volendo ricondurre il particolato alla seconda ipotesi di cui all’art.674 c.p., si versa in ipotesi di emissioni effettuate “nei casi non consentiti dalla legge” (sul punto la motivazione rinvia alle pagine successive dedicate alle emissioni ordinarie).
 
Sul piano soggettivo, la Corte giunge alla conclusione che non si è in presenza di episodi eccezionali e imprevedibili e condivide le considerazioni con cui il Tribunale (pagg.126 e ss) aveva ritenuto tali episodi evitabili qualora fosse stata posta in essere un’attenta gestione operativa.
 
3.7 – La rilevanza delle ricadute oleose ai fini del reato previsto dall’art.635 c.p.
 
La Corte di Appello ritiene di condividere integralmente le considerazioni formulate dal primo giudice in ordine alla distinzione fra i reati di danneggiamento e imbrattamento (esposte al paragrafo 7.1 della motivazione), considerazioni che non sono oggetto di specifico motivo di appello.
 
Con riferimento ai danni specificamente accertati dal Tribunale in relazione ai beni delle parti civili Balasso e Doni, la Corte di Appello (pagg.99 e ss) ritiene infondati gli appelli proposti e conferma l’esistenza delle conseguenze dannose con riferimento alle autovetture, alle colture, ai materiali plastici.
 
Quanto all’elemento soggettivo del reato (pagg.101 e ss) la Corte affronta le censure mosse dal Sig. ZANATTA all’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado circa l’esistenza di dolo eventuale. A tutto concedere, afferma l’appellante potrebbero ravvisarsi gli estremi della colpa per culpa in vigilando sull’operato dei capi settore addetti alle operazioni e, in ogni caso, egli si è adoperato perché gli eventi non si ripetessero, come dimostrato sia dalle missive da lui inviate alle autorità sia dal fatto che con il suo arrivo gli episodi cessarono nella sostanza di verificarsi.
 
La Corte respinge il ricorso richiamando quanto già motivato in ordine alla frequenza delle ricadute, e al peggioramento delle emissioni negli anni 1998-2003 e ricordando (pag.10 I – l 02) come l’appellante avesse sempre minimizzato o negato il verificarsi degli eventi lamentati dalle autorità locali e dalla popolazione, omettendo di adottare interventi migliorativi e proseguendo nell’ordinaria gestione della centrale accettando consapevolmente il rischio che le ricadute tornassero a verificarsi.
 
La condanna del Sig. Zanatta in ordine al reato sub C) viene, dunque, confermata con riferimento alle ricadute oleose.
 
3.8 – Le emissioni ordinarie in relazione al reato sub A)
L’unico imputato che in primo grado era stato condannato per il reato di danneggiamento sub B) con riferimento alle emissioni ordinarie, e cioè il Sig.Tatò, è stato assolto dalla Corte di Appello.
Di conseguenza le emissioni ordinarie conservano rilevanza con riferimento esclusivamente alla ipotesi di molestie contestata in relazione al capo A); si tratta di reato prescritto, ma la Corte ha provveduto all’esame dei motivi di ricorso in quanto la decisione assume rilevanza ai fini civili.
 
I motivi di appello contestavano che le emissioni ordinarie avessero carattere non consentito. Esse,
–  infatti, sono sempre avvenute nei limiti di legge; non sussiste violazione dell’art.13, quinto comma, del d.P.R. n. 203 del 1988 (capo C); non sussiste il carattere molesto delle emissioni e non vi è prova delle altre molestie (odori acri e rumori) ritenute sussistenti dal primo giudice (pag.203).
 
La Corte di Appello ha ritenuto tali argomenti infondati, e infatti:
1. la sentenza di primo grado ha considerato “ordinarie” le emissioni che hanno dato origine ai numerosi episodi di ricaduta di polveri e sostanze che non rivestono la rilevanza degli episodi specificamente contestati; non si tratta, dunque, di emissioni qualitativamente diverse dalle ricadute oleose, che sono state contestate nei capi di imputazione come specificazione della contestazione generale. Tali episodi “minori” (specificamente indicati al punto 6.1.2 della motivazione della sentenza di primo grado) che sono risultati frequenti e che consistevano in pioggerelline nere debbono essere ricondotti alla prima parte dell’art.674 c.p., al pari degli odori sgradevoli, atteso il loro carattere molesto che comportava il verificarsi di macchie sulle cose e spingeva le persona a tenere gli infissi chiusi, con conseguente stato d’ansia diffuso tra la popolazione locale;
 
2. la Corte territoriale ritiene, comunque, di aderire all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il reato previsto dalla prima parte dell’art.674 c.p. viene integrato quando gli eventi superino la normale tollerabilità ex art.844 c.c.. Il superamento della normale tollerabilità risulta oggettivamente dimostrato in atti (si considerino a tal proposito le proteste che la popolazione ha rivolto ripetutamente al Comune di Porto Tolle) e deve essere valutato anche alla luce della circostanza che la popolazione raggiunta dalle emissioni non vive in area industriale ma in area caratterizzata da attività agricole e di pesca e in un contesto di parco naturale;
 
3. non vengono, poi, condivise le censure con cui gli appellanti contestano che possa parlarsi di un peggioramento delle emissioni nei sensi e secondo la metodologia seguita dai primi giudici; la sentenza qui impugnata alle pagine 106 e 107 illustra le ragioni per cui l’aumento quantitativo e il peggioramento qualitativo delle emissioni conducono al giudizio di illiceità delle emissioni stesse secondo la ratio degli artt.13, comma quinto, e 25, comma settimo, del d.P.R. n.203 del 1988
 
Infine, quanto alle conseguenze civili dei reati, si rinvia a quanto esposto in precedenza e si procederà in seguito all’esame delle singole pronunce.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
La dettagliata esposizione della vicenda processuale e delle singole impugnazioni consente adesso alla Corte di procedere sinteticamente ad illustrare i motivi della presente decisione, muovendo dalla necessità di sgombrare il campo da due argomenti contenuti nei motivi di ricorso che richiedono una risposta preliminare: il vizio che affliggerebbe i capi di imputazione e comporterebbe la nullità della contestazione e dell’intero giudizio; la critica di fondo mossa alle impugnazioni del Procuratore Generale e delle parti civili, per le quali è stata chiesta una pronuncia di inammissibilità.
 
1. La Corte ritiene di dover prendere le mosse da questo secondo aspetto. Vanno certamente condivise le osservazioni delle Difese degli imputati e dei responsabili civili circa i limiti del controllo di legittimità e circa l’esigenza che alla Corte di Cassazione non venga richiesto un controllo che implica il ri-esame del materiale probatorio e la ri-valutazione degli elementi di fatto in vista dell’adozione di una ricostruzione diversa e alternativa rispetto a quella adottata dai giudici di merito. Si tratta di impostazione conforme alla ormai costante giurisprudenza che muove dalle sentenze delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074 e trova una chiara conferma nel principio interpretativo secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
 
Può, dunque, affermarsi che il controllo demandato al giudice di legittimità deve avere ad oggetto la coerenza e le tenuta logica della motivazione e può estendersi all’esame di singoli elementi di fatto solo ove essi possano, a causa di un vero e proprio travisamento radicale e indiscusso, inficiare l’intero ragionamento posto a fondamento della decisione.
 
A tali principi la Corte intende attenersi nell’esame di tutti i motivi di ricorso, ivi compresi quelli proposti dai Sigg.Busatto e Zanatta.
 
Fatta questa premessa, la Corte sottolinea come una parte delle censure mosse alla sentenza di appello dal Procuratore Generale e dalle parti civili incorrano nel vizio sopra ricordato nel momento in cui sollecitano una diversa valutazione del materiale probatorio e una diversa ricostruzione del fatto, comprendendo in esso gli elementi essenziali della fattispecie, tra cui lo stesso rapporto causale.
 
Deve, invece, riconoscersi che la restante parte delle censure si sostanzia in una critica al percorso logico seguito dai giudici di appello e cerca, come si vedrà nelle pagine successive, di mettere in crisi la coerenza del ragionamento. I motivi di ricorso possono così essere collocati nel complesso all’interno del perimetro consentito dalla legge e restano immuni da vizi che ne comporterebbero la inammissibilità, con la conseguenza che dovranno essere oggetto di esame da parte di questa Corte.
 
2. Quanto alle censure mosse dagli imputati alla formulazione dei capi di imputazione, deve rilevarsi che si è in presenza di motivi che ripropongono questioni già sollevate in sede di merito e risolte dai giudici di appello. Il complessivo ragionamento esposto in motivazione alle pagine 56 e 57, confermativo della decisione assunta sul punto dal Tribunale, appare alla Corte nella sostanza corretto e condivisibile nella parte in cui mette in evidenza come la completezza e sufficienza della contestazione debba essere valutata alla luce del contraddittorio già instauratosi, della completezza del materiale probatorio raccolto in corso di indagine e quindi depositato alle difese, della concreta possibilità per le stesse difese di comprendere gli estremi delle accuse e di esercitare il diritto alla prova con riferimento a tutti i fatti e le condotte che formano oggetto del giudizio. C’è tuttavia, un passaggio motivazionale impreciso e non coerente con la restante parte della motivazione che la Corte territoriale ha posto a sostegno della decisione; si tratta di un passaggio che non fa venire meno la complessiva tenuta logica della sentenza impugnata, ma che merita di essere evidenziato e corretto da parte di questa Corte. Il riferimento è all’incipit del secondo capoverso di pag.57, che, per quanto poi valutato e superato nel prosieguo, presenta rischi di contraddittorietà. Si legge, infatti, nella motivazione: “se è indubbio, infatti, che le contestazioni non brillano per sintesi e nitidezza, non è francamente sostenibile che si tratti di imputazioni ambigue”. Sul punto la Corte osserva che l’assenza di “sintesi” delle contestazioni risponde all’esigenza di offrire una dettagliata e puntuale elencazione dei fatti e delle condotte, così che non sembra possa parlarsi di un elemento di criticità dell’imputazione bensì di una impostazione che offre per gli imputati la più ampia garanzia di instaura zone del contraddittorio. Quanto, poi, alla carenza di “nitidezza”, la Corte ritiene che si tratti di requisito impropriamente individuato dai giudici di appello, poco chiaro nei suoi contenuti e, comunque, superato dalla successiva parte della motivazione.
 
3. Nel procedere all’esame del contenuto dei restanti motivi di ricorso, la Corte osserva che i due organi giudicanti di merito hanno concordemente valutato che un’evidente debolezza dell’ipotesi dell’accusa può essere ascritta alla scelta della Procura della Repubblica procedente di individuare i livelli di responsabilità unicamente nei responsabili dell’impianto di Porto Tolle e nella posizione dell’amministratore delegato di Enel Spa, escludendo la rilevanza causale delle condotte ascrivibili a chi, come l’ing. Potestio, nominato institore dal Sig.Tatò, o come i responsabili della divisione produzione e, quindi, della Spa Enel Produzione hanno esercitato compiti gestionali diretti sulla centrale e godevano a tal fine di significativi margini di discrezionalità manageriale e tecnica.
A tale proposito la Corte ritiene che questa considerazione critica non sia estranea alle valutazioni che il Tribunale e, soprattutto, la Corte di Appello hanno operato con riferimento alle posizioni Tatò e Scaroni seguendo un percorso argomentativo che esclude l’esistenza di prove certe di responsabilità per l’amministratore delegato in una situazione ove non sono definite in modo chiaro e coerente le responsabilità delle posizioni manageriali intermedie e non vengono così fissati in modo chiaro neppure gli spazi decisionali dei vertici aziendali aventi diretta incidenza sui fatti di causa (sul punto si rinvia, a titolo di esempio, alle conclusioni tratte dalla Corte di Appello nel secondo capoverso di pag.72 con riferimento alla partecipazione del Sig. Scaroni alla conferenza tenutasi in Adria; v. supra punto 3.4).
E’, dunque, nell’ambito di questo contesto che occorre valutare la fondatezza dei motivi di ricorso della Procura Generale e delle parti civili che censurano la decisione con la quale la Corte di Appello giunge all’assoluzione dei Sigg. Tatò e Scaroni e che individuano profili di loro responsabilità personale indipendentemente da quelli che avrebbero potuto essere ascritti alle posizioni che in via generale possiamo definire “intermedie”.
 
4. Le posizioni Tato’ e Scaroni.
L’evidente limite che, nei termini ora descritti, caratterizza la formulazione delle contestazioni non comporta, a parere della Corte, la necessaria infondatezza delle censure mosse dal Procuratore Generale e dalla parti civili all’assoluzione degli amministratori delegati di Enel. La carenza di un’analisi delle competenze dei responsabili “intermedi”, infatti, non impedisce a questa Corte di rilevare l’esistenza di alcuni non convincenti passaggi logici e di censurabili soluzioni interpretative presenti nella motivazione della sentenza impugnata.
In sintesi, occorre ricordare che quando la sentenza di appello modifica la prima decisione in modo significativo o, come nel caso in esame, in modo radicale, occorre che la motivazione dia conto in termini esaustivi e convincenti delle ragioni che hanno condotto ad accogliere i motivi d’impugnazione. Senza ripercorrere qui i passaggi essenziali delle due decisioni di merito, che sono stati esposti nelle pagine che precedono, la Corte ravvisa alcuni profili di illogicità e di contraddittorietà della motivazione di appello che assumono rilevanza decisiva con riferimento alle posizioni Tatò e Scaroni.
 
4.1 – Quanto al Sig.Tatò, vengono in luce due profili diversi.
 
4.1.1 – Innanzitutto non vi è dubbio che le scelte gestionali adottate dall’ente Enel prima della privatizzazione del 1999, e cioè anteriormente alla creazione del soggetto giuridico Enel Produzione Spa, abbiano consapevolmente disatteso le disposizioni richiamate dai capi di imputazione sia con riferimento alle linee guida e agli obblighi contenuti nella direttiva comunitaria 92/43CEE sia con riferimento alla specifica normativa regionale emanata a tutela dell’ambiente. A tale proposito deve richiamarsi quanto puntualmente affermato dalla sentenza di primo grado, e non smentito dalla sentenza di appello, circa le prescrizione contenute nella Legge Regione Veneto n. 36 del settembre 1997 e le diverse e meno rigide prescrizioni contenute nella successiva legge n.36 del 1999 (pubblicata nel febbraio 1999 ed entrata in vigore nel successivo mese di marzo), che fissava in diciotto mesi il termine per presentare adeguati progetti di riconversione; entrambe le sentenze di merito hanno per accertato che la centrale di Porto Tolle non rispettò i vincoli ambientali posti dalla legge regionale del 1997, né procedette ad interventi di adeguamento nel periodo di “vacatio” che seguì la perdita di efficacia di tale normativa, né, infine, si adeguò di fatto all’obbligo introdotto nel 1999 di adottare come combustibile il metano o altro prodotto a ridotto impatto ambientale, posto che i progetti di riconversione non ebbero seguito effettivo entro la scadenza fissata dalla legge. E’ dunque, certo che non solo l’Enel rimase del tutto inadempiente alla prima normativa qui richiamata, ma adottò una politica di gestione degli impianti e di utilizzazione del carburante che vanificò anche le diverse prescrizioni emanate nel 1999.
 
A questo proposito la Corte ritiene che in presenza di tale inadempimento non risultino prive di rilevanza, né riconducibili a mera questione di fatto, le articolate considerazioni di ordine generale esposte dal procuratore Generale e, ancor più ampiamente, dalle parti civili Italia Nostra e W.W.F. in ordine alle dimensioni dell’impianto di Porto Tolle e alla sua rilevanza strategica per la produzione nazionale di energia. Deve, infatti, rilevarsi che la scelta consapevole di non adottare le misure necessarie per adeguare gli impianti alla normativa richiamata deve essere considerata scelta di ordine strategico e non riducibile, soprattutto anteriormente alla privatizzazione del 1999, alla sfera di valutazione delle persone preposte alla gestione dell’impianto o di colui che il Sig.Tatò aveva delegato. Non appare, dunque, coerente con le premesse di ordine generale adottate dalla stessa Corte di Appello l’affermazione secondo cui le scelte gestionali strategiche compiute negli anni 1997-99 non sarebbero riconducibili alla sfera di responsabilità dell’amministratore delegato.
 
4.1.2 – Tale conclusione trova una conferma in un secondo passaggio motivazionale non condivisibile sul piano logico e interpretativo. La Corte ritiene che la motivazione della sentenza impugnata sia viziata da profonda contraddittorietà allorché riconosce che negli anni in cui il Sig.Tatò ebbe la responsabilità di Enel si registrarono frequenti ricadute oleose e immediatamente dopo afferma che non sussisteva per l’amministratore un obbligo di intervento potendo egli legittimamente fare affidamento sulle competenze altrui.
 
4.2 – Va qui rilevato che analogo argomento viene utilizzato dalla Corte di Appello con riferimento alla posizione Scaroni. Si legge in motivazione che una consapevole responsabilità dell’imputato non può essere fatta discendere dalla partecipazione all’incontro con gli enti locali tenutosi in Adria, sia perché il tema affrontato dall’amministratore era di ordine generale e riguardava le politiche di riconversione degli impianti, sia perché, ed é qui il punto che adesso merita di essere valutato, anche nell’ipotesi che egli fosse stato destinatario delle specifiche proteste per i danni conseguenti alla ricadute e all’inquinamento, avrebbe potuto legittimamente attendersi che i responsabili dell’impianto assumessero le necessarie iniziative.
 
La Corte ritiene che tale ragionamento sia viziato sia sul piano logico sia sul piano dell’interpretazione delle norme. Sul piano logico, e il ragionamento vale anche a fortiori per la posizione Tatò, appare evidente alla Corte che il principio dell’affidamento non può operare in favore del responsabile legale di una struttura complessa allorché la situazione pericolosa o il verificarsi di conseguenze dannose presentano continuità nel tempo, sono già stati rappresentati ai responsabili operativi e si collegano a caratteristiche strutturali degli impianti. Qualora questo si verifichi, infatti, appare del tutto illogico che il responsabile legale, sia esso soggetto che ha rilasciato deleghe specifiche o soggetto che ha compiti di controllo quale vertice del gruppo, possa limitarsi a fare affidamento proprio sulla competenza e la volontà di quelle stesse persone che avrebbero dato causa agli inconvenienti e che in modo evidente non hanno voluto o non sono stati in grado fino a quel momento di trovare adeguate risposte. In altri termini, la consapevolezza dell’esistenza di inconvenienti rilevanti e ripetuti incide sui doveri di controllo del responsabile legale e impone una sua diretta attivazione.
 
A questo proposito la Corte ritiene che una chiara interpretazione del dato normativo e una chiara ricostruzione dei doveri sia rinvenibile nella condivisibile motivazione della decisione della Quinta Sezione penale (sentenza n.21581 del 2009, PM in proc.Mare, rv 243889) con la quale, pur nell’ambito dei più ristretti limiti di responsabilità fissati per l’amministratore privo di delega con la riforma societaria introdotta con il D.L.gs n. 6 del 2003, afferma il principio secondo cui “l’amministratore (con o senza delega) è penalmente responsabile, ex art. 40, comma secondo, cod pen., per la commissione dell’evento che viene a conoscere (anche al di, fuori dei prestabiliti mezzi informativi) e che, pur potendo, non provvede ad impedire. Pertanto, la responsabilità può derivare dalla dimostrazione della presenza di segnali significativi in relazione all’evento illecito nonché del grado di anormalità di questi sintomi, non in linea assoluta ma per l’amministratore privo di delega.” Tale principio, per quanto fissato con riferimento ad altra disciplina, appare alla Corte decisivo nella parte in cui evidenzia come la responsabilità dell’amministratore residui comunque, indipendentemente dal regime delle deleghe, quando egli si sia sottratto ai propri doveri di controllo e di intervento in presenza di “anormalità” che egli era in grado di apprezzare e di affrontare.
 
Tornando così alla posizione Scaroni, la Corte ritiene che il ricordato vizio logico della motivazione consistente nella omessa relazione tra l’incontro avvenuto in Adria e l’esistenza, almeno da quel momento, di un suo dovere di attivazione risulti ancora più evidente se l’episodio di Adria viene posto in relazione alla circostanza che proprio il Sig. Scaroni aveva sottoscritto con gli enti territoriali un “protocollo d’intesa” che aveva ad oggetto i temi ambientali e l’impatto degli impianti di Porto Tolle sul territorio e sulle popolazioni.
 
4.3 – Le considerazioni qui formulate imporrebbero alla Corte di procedere all’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio, ciò anche in considerazione della sussistenza degli illeciti contestati ai capi A), B) e C) della rubrica nei termini che saranno affrontati con riferimento alle posizioni Busatto e Zanatta.
 
Tale soluzione è preclusa dall’avvenuta estinzione dei reati per prescrizione, che impone l’annullamento della sentenza senza rinvio e la trasmissione degli atti al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art.622 c.p.p.
 
5. I ricorsi concernenti le posizioni Busatto e Zanatta.
 
L’ampia descrizione delle contestazioni e delle argomentazioni prospettate nelle decisioni di merito e nei motivi di ricorso operata nella prima parte del presente provvedimento consente alla Corte di esporre sinteticamente le ragioni che conducono a rigettare i ricorsi proposti dai due responsabili degli impianti di Porto Tolle, con l’eccezione del ricorso Zanatta nella parte relativa al riparto di responsabilità.
 
La Corte muove dalla piena condivisione del principio, fissato da questa Sezione con la sentenza n.16286 del 2009, Del Balzo (rv 243454), secondo cui ” La diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella nozione di “versamento di cose” ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 cod. pen. e non in quella di “emissione di fumo” contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto mentre il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione.”
 
Tale principio opera a fortiori per il getto del particolato, della cui natura di “cosa” non può certo dubitarsi. Ciò significa che sia per il getto del particolato sia per l’emissione delle polveri che ricadevano sul terreno trova applicazione la prima parte dell’ipotesi prevista dall’art.674 c.p. e non debbono essere presi in esame ai fini della responsabilità gli ulteriori requisiti fissati dalla seconda parte del medesimo articolo.
 
In ogni caso, quanto alla esistenza di emissioni operate “nei casi non consentiti dalla legge”, la Corte si limita qui a richiamare quanto detto in precedenza circa il mancato adeguamento degli impianti alla normativa comunitaria e alle leggi regionali per ricordare che profili di inadeguatezza degli impianti e delle emissioni sussistevano anche con riferimento al regime delle autorizzazioni. Non vi è dubbio, infine, che non può trovare censura la sentenza impugnata nella parte in cui ricorda l’esistenza di una contestazione anche per le molestie arrecate alla popolazione sotto il profilo della diffusione di odori acri e fastidiosi.
 
A tale proposito merita ricordare che questa Sezione con la sentenza n.15734 del 2009, Bua (rv 243387) ha affermato il principio che il mantenimento delle emissioni entro i limiti consentiti non è di per sé sufficiente ad escludere l’esistenza della contravvenzione contestata, potendo assumere rilevanza l’omessa adozione delle misure tecniche in grado di impedire il verificarsi di molestie alle persone. In modo ancora più articolato, la sentenza n.41582 del 2007, Saetti e altri (rv 238011) ha affermato che anche in presenza di emissioni autorizzate e contenute nei limiti “residuano doveri di attenzione e di intervento del gestore dell’impianto industriale, il quale, in presenza di ricadute ulteriori e diverse dalle emissioni sull’ambiente e sulle persone, è chiamato ad adottare quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per un loro ulteriore abbattimento” .
 
A fronte di queste sintetiche notazioni, la Corte rileva che per quanto concerne i due ricorrenti in esame si è in presenza di un’affermazione di responsabilità per i fatti considerati dalla decisione di appello e della dichiarazione di estinzione di parte dei reati per avvenuta maturazione dei termini prescrizionali.
 
Quanto fin qui affermato esclude che sussistano ragioni che conducano ad annullare la sentenza impugnata con riferimento alla sussistenza degli illeciti e alla loro attribuzione ai ricorrenti.
 
Tale conclusione opera anche per i motivi di ricorso che contestano la fondatezza dell’ipotesi di danneggiamento. Le sentenze di merito hanno puntualmente affrontato la relazione di causa ed effetto esistente tra le ricadute oleose e la caduta delle polveri, da un lato, e le conseguenze dannose lamentate dalle parti civili e dai cittadini, dall’altro; ha escluso in punto di fatto la fondatezza dei motivi di appello; ha, infine, escluso la riferibilità dei danni a fonti diverse dalla centrale. In presenza di una motivazione che la Corte ritiene immune da vizi logici, i motivi di ricorso presentati sul punto non possono trovare ingresso in sede di legittimità proprio in forza dei limiti del giudizio avanti questa Corte che sono stati richiamati nella prima parte della presente motivazione e che impediscono di operare una ri-valutazione del materiale probatorio al fine di giungere ad un diverso apprezzamento delle prove e ad una diversa ricostruzione dei fatti.
 
Anche in questo caso, peraltro, la Corte deve prendere atto che i termini prescrizionali risultano oramai maturati per tutti gli episodi di danneggiamento sono prescritti, ivi compreso l’episodio del 24 maggio 2002 per il quale vi è stata condanna del Sig. Zanatta. Deve, dunque, pronunciarsi anche in questo caso annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione.
 
Come accennato in precedenza, va invece accolto il ricorso Zanatta nella parte in cui lamenta l’esistenza di un vizio logico e giuridico in tema di riparto delle responsabilità. Effettivamente la Corte di Appello non ha fornito una motivazione reale sull’incidenza che la diversa decisione in tema di responsabilità dei Sigg. Tatò e Scaroni ha sul complessivo riparto delle responsabilità, mentre risulta evidente che l’esclusione della responsabilità di alcuni concorrenti non può non incidere sulle posizioni di coloro per i quali permane un giudizio di colpevolezza. Ritiene la Corte che, anche alla luce di quanto stabilito in questa sede in relazione alle posizioni Tatò e Scaroni, la sentenza debba essere annullata sul punto, rimettendosi al giudice di rinvio la decisione complessiva in tema di danni e di riparto di responsabilità.
6. Le questioni concernenti la responsabilità civile.
 
I numerosi profili di ricorso concernenti le conseguenze civili da reato possono, una volta rimessa al giudice di rinvio la decisione nei termini sopra descritti, essere sinteticamente esaminate nei termini che seguono.
 
6.1 – L’annullamento della sentenza disposto con rinvio al giudice civile nella parte relativa alle posizioni Tatò e Scaroni, nonché con riferimento alla quantificazione dei danni e al riparto di responsabilità tra gli imputati, comporta la devoluzione al giudice di rinvio della complessiva valutazione delle conseguenze civili da reato, così che appare necessario rimettere a quella sede anche le decisioni in tema di spese sostenute dalle parti civili nel grado di appello e nel corso del presente giudizio.
 
6.2 – La Corte ritiene che meritino accoglimento i motivi di ricorso concernenti la revoca della provvisionale che il primo giudice aveva disposto in favore delle parti civili Regione Emilia Romagna, Comune di Goro, Comune di Mesola, Provincia di Ferrara, Consorzio del Parco Regionale Delta del Po. Sono, infatti, pienamente condivisibili le censure proposte dalle parti civili allorché evidenziano che non solo l’appello Zanatta ma anche l’appello Busatto sul punto appare assolutamente generico, e per di più limitato alla sola questione della quantificazione dei danni, e che non può avere rilevanza nei loro confronti l’impugnazione dei responsabili civili, avverso i quali le dette parti civili non si sono costituite. La sentenza va, dunque, annullata sul punto senza rinvio.
 
6.3 – Meritano accoglimento anche i motivi concernenti la compensazione parziale delle spese sostenute nel grado di appello dalle parti civili Italia Nostra Onlus, WWF Ong Onlus, Regione Emilia Romagna, Comune di Goro, Comune di Mesola, Provincia di Ferrara, Consorzio del Parco Regionale Delta del Po. Tale compensazione è errata e immotivata, non sussistendo per le parti civili in parola alcuna forma di soccombenza nei confronti dei due imputati per i quali il giudice di appello ha confermato il giudizio di responsabilità. La sentenza deve, dunque, essere annullata sul punto senza rinvio.
 
6.4 – La Corte ritiene che debbano essere respinti il secondo motivo proposto dalle parti civili WWF e Italia Nostra, nonché i corrispondenti motivi proposti dal Sig.Balasso e dal Comitato Cittadini Liberi di Porto Tolle. La motivazione della sentenza impugnata non merita censure nella parte in cui ha individuato la causa dell’esistenza di conseguenze pregiudizievoli non tanto nel peggioramento delle emissioni in quanto tale, bensì nelle ricadute oleose e nelle altre forme di “getto di cose” che hanno direttamente inciso sull’ambiente e sui beni delle persone costituitesi in giudizio, con la conseguenza che non sussistono profili di illogicità nella scelta di riferire i danni risarcibili ai soli reati contestati ai capi A) e B) della rubrica.
 
6.5 – Quanto al ricorso Balasso, deve essere rigettato anche il terzo motivo: la. Corte territoriale ha fornito una logica motivazione delle ragioni che non consentono di quantificare i danni subiti, quantificazione che viene rimessa al giudice civile, e si è in presenza di valutazione di fatto non censurabile in sede di legittimità.
 
6.6 – Va respinta la censura mossa dal Sig. Zanatta nella prima parte del quarto motivo di ricorso. A fronte di una specifica decisione del primo giudice, la contestazione delle pronunce civilistiche avrebbe dovuto essere esposta in sede di appello in modo puntuale e circostanziato, non essendo sufficiente un generico o generale richiamo alle questioni prospettate in tema di responsabilità penale: il vizio lamentato pertanto non sussiste e la sentenza impugnata deve trovare conferma anche su questo punto.
 
6.7 – Quanto, infine, al primo punto della memoria presentata dall’Avvocatura dello Stato, la Corte rileva che il profilo di censura prospettato non è oggetto di ricorso e non può essere preso in esame in via ufficiosa, difettando i presupposti di un intervento d’ufficio del giudice di legittimità.
 
P.Q.M.
 
1) Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla revoca delle somme liquidate a titolo di provvisionale in favore delle parti civili Regione Emilia Romagna, Comune di Goro, Comune di Mesola, Provincia di Ferrara, Consorzio del Parco Regionale Delta del Po, nonché con riferimento alla compensazione parziale delle spese sostenute nel grado di appello dalle parti civili Italia Nostra Onlus, WWF Ong Onlus, Regione Emilia Romagna, Provincia di Ferrara, Comune di Goro, Comune di Mesola,Consorzio del Parco Regionale Delta del Po.
 
2) Annulla la sentenza impugnata in ordine ai residui reati contestati a Tatò Francesco Luigi, Scaroni Paolo, Zanatta Carlo e Busatto Renzo per essere estinti per prescrizione e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in sede civile per le statuizioni in tema di risarcimento del danno e di riparto dello stesso tra gli imputati, nonché di quantificazione delle spese sostenute dalle parti civili nel corso del grado di appello e nel presente giudizio.
 
3) Rigetta nel resto.
 
Così deciso in Roma il giorno 11 Gennaio 2011
 

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