Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Novembre 2011
Numero: 44051
Data di udienza: 10 Novembre 2011
Presidente: Petti
Estensore: Teresi
Premassima
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Interventi eseguiti in zone assoggettate a vincolo paesaggistico – Qualificazione giuridica del reato – Artt. 32 e 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 – Art. 167 d. lgs. n. 42/2004 – DIRITTO URBANISTICO – Reato di costruzione abusiva in presenza di titolo edilizio illegittimo – Poteri del giudice penale – Reati edilizi ed urbanistici – Direttore dei lavori – Responsabilità – Ipotesi d’esonero – Art. 29 d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione degli elementi di prova – Sentenze di 1° e 2 grado – Formazione di un unico corpo argomentativo.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28/11/2011 (Ud. 10/11/2011) Sentenza n. 44051
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Interventi eseguiti in zone assoggettate a vincolo paesaggistico – Qualificazione giuridica del reato – Artt. 32 e 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001 – Art.167 d. lgs. n. 42/2004.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 32 d.P.R. n. 380/2001, per gli interventi eseguiti in zone assoggettate a vincolo paesaggistico, nel caso in cui l’opera sia difforme da quella autorizzata con il permesso di costruire, ogni difformità dal progetto, anche se di minima rilevanza, costituisce abuso punito ai sensi dell’art. 44, lett. c), dello stesso T.U. (Cassazione Sezione III 23.5.1997, Ciotti; 31.1.1994, n. 2733, Paolillo; n. 16392/2010). Sicché, è indifferente, ai fini della qualificazione giuridica del reato, distinguere tra le categorie della difformità (totale o parziale) e della variazione essenziale (integrando questa una tipologia di abuso edilizio che si pone a livello intermedio tra la difformità totale e la difformità parziale dal permesso di costruire), poiché è proprio D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32, comma 2, a prevedere che, in presenza del vincolo paesaggistico, tutti gli interventi realizzati in difformità dal titolo abilitativo (anche quelli che normalmente si configurano come semplici difformità parziali) sono considerati ai fini penali come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali.
(Dich. inamm. il ricorso avverso sentenza della Corte di Appello di Lecce del 6.04.2009) Pres. Petti Est. Teresi Ric. Pijola ed altri
DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Reato di costruzione abusiva in presenza di titolo edilizio illegittimo – Poteri del giudice penale.
Il reato di costruzione abusiva può ravvisarsi anche in presenza di titolo edilizio illegittimo, in tal caso, il giudice penale procede all’identificazione in concreto della fattispecie criminosa e non disapplica l’atto amministrativo, né interferisce nella sfera nella PA dal momento che esercita un potere fondato nella previsione normativa incriminatrice. La non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia e alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia illecito, cioè frutto d’attività criminosa, e a prescindere da eventuali collusioni dolose del privato interessato con organi dell’amministrazione, essendo il sindacato del giudice penale possibile nelle ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge e nelle ipotesi di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere. Pertanto, il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo (Cass. sentenze n. 1894/2007 e n.37274/2008).
(Dich. inamm. il ricorso avverso sentenza della Corte di Appello di Lecce del 6.04.2009) Pres. Petti Est. Teresi Ric. Pijola ed altri
DIRITTO URBANISTICO – Reati edilizi ed urbanistici – Direttore dei lavori – Responsabilità – Ipotesi d’esonero – Art. 29 d.P.R. n. 380/2001.
In tema di reati edilizi ed urbanistici, il direttore dei lavori é penalmente responsabile, salva l’ipotesi d’esonero prevista dall’art. 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per l’attività edificatoria non conforme alle prescrizioni del permesso di costruire in caso d’irregolare vigilanza sull’esecuzione delle opere edilizie, in quanto questi deve sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica (Cass. Sez. III n.14504/2009).
(Dich. inamm. il ricorso avverso sentenza della Corte di Appello di Lecce del 6.04.2009) Pres. Petti Est. Teresi Ric. Pijola ed altri
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione degli elementi di prova – Sentenze di 1° e 2 grado – Formazione di un unico corpo argomentativo.
Nei casi in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativi.
(Dich. inamm. il ricorso avverso sentenza della Corte di Appello di Lecce del 6.04.2009) Pres. Petti Est. Teresi Ric. Pijola ed altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28/11/2011 (Ud. 10/11/2011) Sentenza n. 44051
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Terza Sezione Penale
composta dagli Ill.mi Signori:
dott. Ciro Petti – Presidente
1. dott. Alfredo Teresi – Consigliere rel.
2. dott. Alfredo Maria Lombardi – Consigliere
3. dott. Silvio Amoresano – Consigliere
4. dott. Alessandro Maria Andronio – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sui ricorsi proposti da
1. Pijola Lombardo Caterina, nata il 22.05.1962 a Bari,
2. Pagone Michele, nato a Brindisi il 28.06.1937,
3. Previati Paolo, nato a Falconara Marittima i17.12. 1956,
4. Bufano Pietro Francesco, nato a Cisterino il 3.09.1946,
– avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce in data 6.04.2009 che ha confermato la condanna alla pena di mesi 2 d’arresto C. 30.000 d’ammenda ciascuno loro inflitta nel giudizio di primo grado per i reati di cui agli art. 110, 81 cpv cod. pen.;
44 lettera c) d.P.R. n. 380/2001 e 163 d. lgs. n. 42/2004;
– Visti gli atti, la sentenza denunciata e i ricorsi;
– Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
– Sentito il PM nella persona del PG, dott. Fausto De Santis, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
– Sentiti i difensori dei ricorrenti, avv. Pasquale Medina (Pijola), avv. Mario Guagliani (Pagone), avv. Roberto Cavalera (Previati), che hanno chiesto 1’accoglimento dei ricorsi e la declaratoria d’estinzione dei reati per prescrizione;
osserva
Con sentenza in data 6.04.2009 la Corte di Appello di Lecce confermava la condanna alla pena dell’arresto e dell’ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a Pijola Lombardo Caterina, Pagane Michele, Previati Paolo, Bufano Pietro Francesco quali colpevoli dei reati di cui agli art. 110, 81 cpv. cod. pen.;
44 lettera c) d.P.R. n. 380/2001 e
163 d. lgs. n. 42/2004 per avere [nelle qualità, la prima, di proprietaria e committente; il secondo e il terzo, di progettisti e direttori dei lavori; il quarto, di esecutore dei lavori essendo amministratore unico dell’omonima ditta di costruzioni] realizzato, in contrada Rosa Marina di Ostuni soggetta a vincolo paesaggistico, in totale difformità del permesso di costruire n. 197/2002 e dell’autorizzazione paesaggistica 20.11.2002, una villa, previa demolizione di un manufatto preesistente, con modifiche plano volumetriche.
Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando:
Pijola Lombardo
violazione di legge; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
– sulla conferma dell’affermazione di responsabilità per la sua qualità di proprietaria senza tener conto della fittizietà dell’intestazione dell’immobile, in realtà acquistato dal padre che aveva pagato il prezzo e ne aveva disposto con testamento olografo. Sebbene essa avesse richiesto e ottenuto il permesso di costruire, la ristrutturazione era stata fatta a cura e spese del padre quale comodatario. In tale veste egli aveva stipulato il contratto d’appalto con l’impresa Bufano, contratto sottoscritto anche dall’arch. Previati e dal geom. Pagone. Nel corso del procedimento penale il padre aveva confessato di essere autore dei fatti e i coimputati avevano confermato di avere avuto rapporti esclusivamente col predetto;
–
sulla ritenuta totale difformità delle opere dal permesso di costruire n. 197/2003 senza considerare che, a fronte delle riscontrate violazioni, in data 8.02.2007 erano stati emessi, previo parere paesaggistico della Soprintendenza di Lecce, provvedimenti, che “non erano di sanatoria”, applicativi della sanzione pecuniaria ex
art. 34 e 36 del d.P.R. n. 380/2001 e
167 d. lgs. n. 42/2004; che era stata eseguita la parziale demolizione del manufatto ed era stata pagata la sanzione amministrativa sostitutiva della rimessione in pristino dell’immobile abusivo; fatti comportanti, per l’intervenuto accertamento della compatibilità paesaggistica, esclusione del potere (sostitutivo) del giudice penale dell’ordine di demolizione;
Pagone
violazione di legge
– sull’affermazione di responsabilità fondata sul formale incarico di direttore dei lavori rivestito al momento dell’accertamento della polizia municipale. Egli dopo la redazione del progetto n.197/2002 era stato emarginato e al suo posto era stato informalmente nominato l’arch. Previati che, come risultava dal contratto d’appalto, avrebbe dettato le direttive sul cantiere. Inoltre, nel cartello posto all’esterno del cantiere risultava,quale direttore dei lavori, il nome del Previati, come costatato dai VVUU in sede di sopralluogo. Mancava perciò l’elemento soggettivo del reato stante che, a seguito della sostanziale rinuncia all’incarico prima dell’inizio dei lavori) era stato nominato altro direttore e che egli non era tenuto verificare se i lavori intrapresi fossero o no conformi al progetto da lui redatto,
–
sulla configurabilità del reato a seguito dell’intervenuta sanatoria amministrativa ex
d.P.R. n.380/2001;
Previati
violazione di legge; mancanza di motivazione
– sui richiesti benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione;
– sull’eccezione di nullità della sentenza di primo grado illeggibile in molte sue parti;
– sulla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese contra alios da Lombardo Pijola Achille, deceduto nelle more del giudizio di primo grado, perché non era imprevedibile, in ragione dell’età di 84 anni, che lo stesso potesse decedere nelle more di un eventuale lungo giudizio, donde l’inapplicabilità del disposto dell’art. 512 c.p.p.;
– sulla ricostruzione del fatto che era erronea quanto all’affermazione che egli avrebbe redatto un progetto diverso da quello da quello assentito e che fosse stato incaricato della direzione dei lavori, come asserito da Lombardo Pijola, dato non conducente alla stregua della testimonianza dell’ing. Corriero, redattore dei calcoli di stabilità, che aveva dichiarato che Previati non svolgeva la professione d’architetto;
– sulla mancata assunzione di una prova decisiva costituita dall’esame di Antonio Giovane, funzionario del Comune di Ostuni, che in sede di s.i.t. aveva riferito sull’individuazione del progettista e sul direttore dei lavori:
Bufano
violazione di legge; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta “disapplicazione” del permesso di costruire “in sanatoria” 8.02.2007 in forza del quale era stata applicata la sanzione pecuniaria ex
art. 34 e 36 del d.P.R. n. 380/2001 e
167 d. lgs. n.42/2004; era stata eseguita la parziale demolizione del manufatto ed era stata pagata la sanzione amministrativa sostitutiva della rimessione in pristino dell’immobile abusivo; fatti comportanti, per l’intervenuto accertamento della compatibilità paesaggistica, esclusione del potere (sostitutivo) del giudice penale dell’ordine di demolizione.
Tutti i ricorrenti chiedevano l’annullamento della sentenza.
Rilevato che, quando “le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativi)” [Cassazione Sezione l n. 8868/2000, Sangiorgi, RV. 216906], va puntualizzato che i giudici di merito hanno fondato il giudizio di colpevolezza su dati obiettivi puntualmente richiamati, ritenendo, alla stregua degli accertamenti di PG; delle dichiarazioni testimoniali e delle acquisizioni documentali, che l’intervento edilizio, previa presentazione di un permesso di costruire per la demolizione con ricostruzione di una villa preesistente, avente la stessa volumetria e sagoma con modifiche delle tramezzature interne e realizzazione di un interrato, era difforme dal progetto assentito.
Demolito il manufatto preesistente, era stata ricostruita un’opera totalmente nuova perché il progetto approvato prevedeva un immobile a piano terra di mq. 222 circa (di cui mq. 146 erano destinati ad abitazione, mq. 67 a veranda e mq. 9 a scala d’accesso al lastrico solare) oltre la realizzazione di un interrato, mentre, oltre ad altre difformità specificate in sentenza, era stato eseguito un interrato di circa 270 mq con solaio in c.a., con tramezzature interne con parziale realizzazione d’impianti elettrici idrici e aria condizionata e un piano rialzato di mq. 257 circa; il prospetto est del fabbricato aveva una lunghezza di 16,65 mt circa, mentre il progetto approvato riportava una lunghezza di mt. 14,40; il piano seminterrato era destinato ad abitazione (con 4 servizi igienici) e a garage, mentre nel progetto originario era previsto un vano deposito.
Pertanto, alla stregua delle dichiarazioni dei testi d’accusa, del verbale di sequestro e della CT del PM, il fabbricato de quo aveva superficie, volumetria, sagoma e caratterizzazione architettonica diverse dall’opera preesistente.
Alla luce di tale ricostruzione fattuale, correttamente effettuata dai giudici di merito con adeguata motivazione, sono inconsistenti le censure difensive sull’intervenuto accertamento della compatibilità paesaggistica che avrebbe sanato l’abuso previa demolizione di parte del manufatto e pagamento della sanzione sostitutiva dell’ordine di rimessione in pristino con effetto preclusivo al giudice penale di emetterlo in via sostitutiva.
Poiché la costruzione, abusiva per difformità dal titolo abilitativo, insiste in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, nella specie sono intervenute [ex
art. 32 d.P.R. n. 380/2001] variazioni essenziali al progetto approvato per 1) cambio di destinazione d’uso del piano seminterrato per una superficie superiore al 50%; 2) aumento della superficie coperta pari al 26,1%; 3) incremento di volume pari al 30, 4%, 4) mutamento sostanziale dell’intervento edilizio assentito integranti totale difformità dal permesso.
Conseguentemente, ai sensi del comma 3 della suddetta norma, per gli interventi eseguiti in zone assoggettate a vincolo paesaggistico, nel caso in cui l’opera sia difforme da quella autorizzata con il permesso di costruire, ogni difformità dal progetto, anche se di minima rilevanza, costituisce abuso punito ai sensi dell’
art. 44, lett. c), dello stesso T.U. [Cassazione Sezione III 23.5.1997, Ciotti; 31.1.1994, n. 2733, Paolillo; n. 16392/2010 RV. 246960].
É indifferente, ai fini della qualificazione giuridica del reato, distinguere tra le categorie della difformità (totale o parziale) e della variazione essenziale (integrando questa una tipologia di abuso edilizio che si pone a livello intermedio tra la difformità totale e la difformità parziale dal permesso di costruire), poiché è proprio
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32, comma 2, a prevedere che, in presenza del vincolo paesaggistico, tutti gli interventi realizzati in difformità dal titolo abilitativo (anche quelli che normalmente si configurano come semplici difformità parziali) sono considerati ai fini penali come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali.
Tanto premesso, non è puntuale la censura circa l’effetto sanante dell’intervenuto permesso in sanatoria 8.02.2007.
Deve ricordarsi che, secondo i principi affermati da questa Corte nelle sentenze n. 1894/2007 e n.37274/2008 RV. 241156, il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo.
Nel caso di difformità da disposizioni legislative o regolamentari, o dalle prescrizioni urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici non si configura disapplicazione da parte del giudice penale dell’atto amministrativo concessorio [Cassazione SU 12.11.1993, Borgia] perché lo stesso giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica dell’atto, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale “In vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecle assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extra penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo” [Cassazione SU 28.11.2006, Di Mauro].
Pertanto il reato di costruzione abusiva può ravvisarsi anche in presenza di titolo edilizio illegittimo perché, in tal caso, il giudice penale procede all’identificazione in concreto della fattispecie criminosa e non disapplica l’atto amministrativo, né interferisce nella sfera nella PA dal momento che esercita un potere fondato nella previsione normativa incriminatrice.
La non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia e alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia illecito, cioè frutto d’attività criminosa, e a prescindere da eventuali collusioni dolose del privato interessato con organi dell’amministrazione, essendo il sindacato del giudice penale possibile nelle ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge e nelle ipotesi di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere.
Nella specie l’illegittimità dei provvedimenti comunali conseguiva da due dati ostativi:
– il permesso era stato rilasciato in mancanza del requisito della doppia conformità non
essendo ammissibile “in materia edilizia il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ex artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora sostituiti dagli
artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 – Testo Unico delle disposizione legislative e regolamentari in materia edilizia -, subordinata alla esecuzione di specifici interventi edilizi, atteso che tale condizione contrasta con gli elementi essenziali della sanatorio, tra cui la doppia conformità dell’opera eseguita, al momento della sua realizzazione ed in quello della presentazione della domanda” [Sezione III n. 48499/2003 RV.226897];
– l’accertamento di compatibilità ambientale non è applicabile per lavori realizzati in difformità paesaggistica che abbiano determinato (come nel caso in esame) creazione di superfici utili o volumi o aumento di quelli legittimamente autorizzati.
Quanto al concorso degli imputati nei reati, i giudici di merito hanno ben individuato i compartecipi delle violazioni edilizie:
– nella proprietaria che, oltre ad essere l’intestataria dell’immobile, aveva richiesto il permesso 5
di costruire n.197/2002 e quelli in sanatoria in corso d’opera [essendo irrilevante il contratto di comodato, non registrato, stipulato col padre con l’evidente scopo di sottrarre la figlia dalle conseguenze penali degli illeciti programmati];
– in Pagone Michele, quale direttore dei lavori, qualifica che aveva formalmente assunto e che non aveva dismesso nel momento in cui anche l’arch. Previati era stato officiato per la nuova progettazione e nella direzione dei lavori stante che, anche nel caso in cui altro direttore eserciti di fatto la direzione, non viene meno la responsabilità di quello formalmente investito alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui “in tema di reati edilizi ed urbanistici, il direttore dei lavori é penalmente responsabile, salva l’ipotesi d’esonero prevista dall’
art. 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per l’attività edificatoria non conforme alle prescrizioni del permesso di costruire in caso d’irregolare vigilanza sull’esecuzione delle opere edilizie, in quanto questi deve sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica” [Sezione III n.14504/2009 RV. 243474];
– in Previati Paolo quale direttore dei lavori del manufatto abusivo, alla stregua della deposizione del defunto Lombardo Pijola [le cui dichiarazioni sono state ritenute utilizzabili con corretta motivazione circa la sopravvenuta impossibilità di ripetere gli atti assunti nel corso delle indagini preliminari che non era prevedibile per il solo riferimento all’età anagrafica; cfr. Cassazione Sezione I n.24249/2004 RV. 228549: “La sopravvenuta impossibilità di ripetere gli atti assunti nel corso delle indagini preliminari deve essere liberamente apprezzata dal giudice di merito ed espressa con motivazione adeguata e logica che riconduca, con criterio “ex ante” ad una diagnosi di prevedibilità o imprevedibilità”] secondo cui a Previati, che aveva redatto un progetto diverso da quello assentito, era stata affidata la direzione dei lavori che, all’evidenza, non poneva nel nulla quella formalmente comunicata al Comune, nonché per la riscontrata circostanza che l’impresa Bufano aveva eseguito i lavori seguendo il progetto Previati e non quello del Pagone. L’esauriente istruttoria aveva reso privo di decisività il richiesto esame del tecnico comunale;
– in Bufano Pietro, titolare dell’impresa che aveva eseguito i lavori, il quale aveva l’obbligo di uniformarsi al progetto assentito.
Le contrarie affermazioni degli imputati si risolvono, quindi, nella prospettazione di una lettura alternativa delle acquisizioni probatorie che non è consentita in sede di legittimità.
E’ pure palesemente infondata la censura sul rigetto dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, asseritamente illeggibile, notificata all’imputato Previati in data 28.02. ex art. 548 comma 3 c.p.p., perché all’imputato contumace va notificato l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza, sicché egli, con l’ausilio del difensore, ha avuto la possibilità di redigere il ricorso acquisendo copia integrale della sentenza in cancelleria.
Va, infine, rilevato che il motivo sul diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, avanzato da Previati, è fondato perché la corte territoriale, pur avendone preso atto, ha omesso di motivare in merito.
Però i reati, dallo stesso commessi il 22.05.2004, sono prescritti per essere decorso il termine massimo di anni 4 mesi 6 pur aumentato di 60 giorni per il rinvio del dibattimento richiesto dalla difesa.
In presenza di una causa d’estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia d’annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 c.p.p..
Pertanto, poiché non ricorrono i presupposti per applicare il secondo comma della suddetta norma e pronunciare il proscioglimento del ricorrente con formula piena, tenuto conto dei numerosi elementi emersi a suo carico e posti in evidenza nella motivazione delle sentenze di merito, la sentenza impugnata deve essere pertanto annullata senza rinvio limitatamente al Previati.
Per gli altri imputati, i quali hanno eccepito la prescrizione nelle conclusioni rassegnate nel presente giudizio, non può essere emessa detta declaratoria.
Invero, l’inammissibilità dei ricorsi per cassazione [nei quali non ci sono censure sulla prescrizione] dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. [Cassazione SU n.32/2000, De Luca].
Grava, quindi, sui predetti l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in €. 1.000.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Previati Paolo per essere i reati ascrittigli . estinti per prescrizione.
Dichiara inammissibili i ricorsi degli altri ricorrenti che condanna singolarmente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €. 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza 10.11.2011.