Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Pubblica amministrazione, Rifiuti
Numero: 50352 | Data di udienza: 3 Novembre 2016
CODICE DELL’AMBIENTE – Tutela dell’ambiente – Accertamenti di Polizia Giudiziaria – Qualifica di polizia giudiziaria in capo al personale ARPA / A.r.p.a.t. – Competenze – D. M. n. 58/1997 – D. l. n. 496/1993 – RIFIUTI – Artt. 192, 256, d. lgs. n. 152/2006.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Novembre 2016
Numero: 50352
Data di udienza: 3 Novembre 2016
Presidente: FIALE
Estensore: Mengoni
Premassima
CODICE DELL’AMBIENTE – Tutela dell’ambiente – Accertamenti di Polizia Giudiziaria – Qualifica di polizia giudiziaria in capo al personale ARPA / A.r.p.a.t. – Competenze – D. M. n. 58/1997 – D. l. n. 496/1993 – RIFIUTI – Artt. 192, 256, d. lgs. n. 152/2006.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 28/11/2016 (Ud. 03/11/2016) Sentenza n.50352
CODICE DELL’AMBIENTE – Tutela dell’ambiente – Accertamenti di Polizia Giudiziaria – Qualifica di polizia giudiziaria in capo al personale ARPA / A.r.p.a.t. – D. M. n. 58/1997 – D. l. n. 496/1993 – RIFIUTI – Artt. 192, 256, d. lgs. n. 152/2006.
Il decreto ministeriale n. 58 del 1997, in uno con il d. l. n. 496 del 1993 – costituisce un imprescindibile e chiaro supporto normativo per affermare la qualifica di polizia giudiziaria in capo al personale ARPA, proprio in ragione delle specifiche competenze allo stesso attribuite ed alla rilevanza – anche costituzionale – del bene al quale le stesse attengono, oggetto di tutela penale. Lo stesso decreto n. 58/1997 riconosce la qualifica di polizia giudiziaria anche al personale dell’A.r.p.a.t. che ha compiuto gli accertamenti; sì da condividere l’assunto in forza del quale, “poiché la tutela dell’ambiente è materia presidiata dalla legge penale, le funzioni di vigilanza e controllo che la citata normativa statale riconosce (e, quanto alla Regione Toscana, anche la conforme e successiva legislazione regionale) ai Tecnici delle Agenzie Regionali non possono non essere ricondotte nell’alveo della previsione di cui all’art. 55 c.p.p. e, quanto alla qualifica spettante ai soggetti che ne sono titolari, alla generale previsione di cui al citato terzo comma del successivo art. 57 c.p.p.”.
(annulla con rinvio sentenza del 14/8/2015 del TRIBUNALE DI FIRENZE) Pres. FIALE, Rel. MENGONI, Ric. PM in proc. Innocenti
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 28/11/2016 (Ud. 03/11/2016) Sentenza n.50352SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 28/11/2016 (Ud. 03/11/2016) Sentenza n.50352
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze nel procedimento nei confronti di Innocenti Tiziano, nato a Prato il 25/5/1963
avverso la sentenza del 14/8/2015 del Tribunale di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14/8/2015, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Tiziano Innocenti – indagato per il reato di cui agli artt. 192, 256, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – perché il fatto non sussiste; rilevava, al riguardo, che l’accusa si fondava esclusivamente su atti di indagine compiuti da personale dell’A.r.pa.t., al quale non può esser riconosciuta la qualifica di polizia giudiziaria, sì da risultare gli atti medesimi «radicalmente inutilizzabili».
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, deducendo – con unico motivo – la violazione dell’art. 57 cod. proc. pen. e del d.m. n. 58 del 1997. Premesso il carattere oggettivamente controverso della questione, specie in ordine all’individuazione dell’autorità competente ad assegnare la qualifica in oggetto, e richiamata la legge Regione Toscana n. 12 del 2013 (che la stessa qualifica ha espressamente riconosciuto, così però inducendo dubbi di incostituzionalità), si afferma che la soluzione affermativa non potrebbe, tuttavia, esser negata in forza di una lettura congiunta ed armonica degli articoli citati (e delle disposizioni contrattuali del personale de quo); a mente dei quali, infatti, tali soggetti – addetti a funzioni di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale, presidiate dalla legge penale – ricoprirebbero senza dubbio la qualifica di cui trattasi, senza peraltro rendere necessario il conferimento della stessa attraverso espressa previsione normativa.
3. Con requisitoria scritta del 7/3/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato, condividendo le tesi del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso merita accoglimento.
Rileva innanzitutto il Collegio che la sentenza impugnata lungi dall’affermare con motivata sicurezza un principio di diritto, per poi porlo a fondamento della decisione – ha sottolineato in primo luogo il carattere controverso della questione, «a più riprese e a più livelli dibattuta e nel tempo si sono così susseguiti vari pronunciamenti e pareri, di segno opposto tra loro, che hanno prima affermato e poi negato che il personale Arpa abbia ricevuto, da norme di rango statale, la qualifica di u.p.q.»: mossa questa premessa, il Giudice ha quindi ritenuto opportuno «prendere atto dell’orientamento che, certamente nel circondario fiorentino, si è affermato, e che fa discendere da ciò l’assenza della qualifica» in oggetto. Orientamento, subito dopo, argomentato con il richiamo al d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) ed al d.m. 17 gennaio 1997, n. 58 (Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro), così poi concludendo che la disciplina di quest’ultimo non può trovare applicazione nei confronti del personale A.r.p.a.t., non concernendo – in parte qua – il settore della tutela delle acque e della corretta gestione dei rifiuti.
4. Orbene, ritiene il Collegio che questa conclusione non possa esser condivisa, in uno con la premessa argomentativa che la sostiene, in forza delle considerazioni di cui al ricorso, che si apprezzano per la particolare lucidità e fondatezza.
5. In tal senso, quindi, occorre muovere dall’art. 57 cod. proc. pen., a mente del cui comma 3 “sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’articolo 55”; da individuarsi, queste ultime, nel “prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”, nonché nello svolgere “ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria”.
Di seguito, occorre richiamare la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la quale – all’art. 21 (Organizzazione dei servizi di prevenzione) – stabilisce che “in applicazione di quanto disposto nell’ultimo comma dell’art. 27, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (12/b), spetta al prefetto stabilire, su proposta del presidente della regione, quali addetti ai servizi di ciascuna unità sanitaria locale, nonché ai presidi e servizi di cui al successivo articolo 22 assumano ai sensi delle leggi vigenti la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in relazione alle funzioni ispettive e di controllo da essi esercitate relativamente all’applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro (comma 3). Al personale di cui al comma precedente è esteso il potere d’accesso attribuito agli ispettori del lavoro dall’art. 8, secondo comma, nonché la facoltà di diffida prevista dall’art. 9, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520” (comma 4).
Tale disposizione, sia pur direttamente non riferibile al caso di specie (poiché attinente soltanto alla materia della sicurezza del lavoro), deve però esser letta in combinato disposto con il d.l. 4 dicembre 1993, n. 496 (Disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente), convertito nella L. 21 gennaio 1994, n. 61, il cui art. 03 stabilisce che “Per lo svolgimento delle attività di interesse regionale di cui all’articolo 01 e delle ulteriori attività tecniche di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientale, eventualmente individuate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, le medesime regioni e province autonome con proprie leggi, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, istituiscono rispettivamente Agenzie regionali e provinciali, attribuendo ad esse o alle loro articolazioni territoriali le funzioni, il personale, finanziaria dei presidi beni mobili e immobili, le attrezzature e la dotazione multizonali di prevenzione, nonché il personale, l’attrezzatura e la dotazione finanziaria dei servizi delle unità sanitarie locali adibiti alle attività di cui all’articolo 01″.
Lo stesso decreto, al successivo art. 2-bis, prescrive poi che, “nell’espletamento delle funzioni di controllo e di vigilanza di cui al presente decreto, il personale ispettivo dell’ANPA, per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 1, comma 1, e delle Agenzie di cui all’articolo 03 può accedere agli impianti e alle sedi di attività e richiedere i dati, le informazioni e i documenti necessari per l’espletamento delle proprie funzioni. Tale personale è munito di documento di riconoscimento rilasciato dall’Agenzia di appartenenza. Il segreto industriale non può essere opposto per evitare od ostacolare le attività di verifica o di controllo”.
Da ultimo, e soltanto per via cronologica, occorre qui richiamare il già citato decreto ministeriale 17/1/1997, n. 58 (Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro), con il quale il Ministro della Sanità, prima ancora di elencare le competenze spettanti al tecnico medesimo, afferma (art. 1, comma 2) che “Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, operante nei servizi con compiti ispettivi e di vigilanza è, nei limiti delle proprie attribuzioni, ufficiale di polizia giudiziaria; svolge attività istruttoria, finalizzata al rilascio di autorizzazioni o di nulla osta tecnico sanitari per attività soggette a controllo”.
Orbene, così richiamata la normativa di riferimento, occorre innanzitutto evidenziare che la stessa – di natura legislativa e regolamentare – riveste indubbio carattere generale, relativo cioè all’intero territorio nazionale, come (implicitamente) richiesto dal citato art. 57 cod. pen. proprio in tema di attribuzione delle funzioni di polizia giudiziaria; dal che, l’irrilevanza, nel caso di specie, della I. Regione Toscana 22 giugno 2009, n. 30, novellata sul punto dalla I. r. 2 aprile 2013, n. 12, che ha comunque, parimenti, attribuito al direttore generale dell’Arpat (in luogo del prefetto, come sopra indicato) la competenza ad individuare – peraltro, “con atto di natura ricognitiva” – il personale che, nell’ambito delle attività di ispezione e vigilanza, svolge funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria.
Di seguito, ed in adesione alla prospettazione del Procuratore ricorrente, sottolinea il Collegio che tale disciplina – e, in particolare, il citato decreto ministeriale n. 58 del 1997, in uno con il d. l. n. 496 del 1993 – costituisce un imprescindibile e chiaro supporto normativo per affermare la qualifica di cui trattasi in capo al personale in esame, proprio in ragione delle specifiche competenze allo stesso attribuite ed alla rilevanza – anche costituzionale – del bene al quale le stesse attengono, oggetto di tutela penale; in particolare, il decreto medesimo – emanato in attuazione del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ripreso nell’ordinanza impugnata – stabilisce (art. 1, comma 1) che “il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, è responsabile, nell’ambito delle proprie competenze, di tutte le attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene di sanità pubblica e veterinaria”. Una competenza ampia, quindi, diffusamente descritta al comma 3 dell’art. 1, a mente del quale il tecnico medesimo: a) istruisce, determina, contesta e notifica le irregolarità rilevate e formula pareri nell’ambito delle proprie competenze; b) vigila e controlla gli ambienti di vita e di lavoro e valuta la necessità di effettuare accertamenti ed inchieste per infortuni e malattie professionali; c) vigila e controlla la rispondenza delle strutture e degli ambienti in relazione alle attività ad esse connesse; d) vigila e controlla le condizioni di sicurezza degli impianti; e) vigila e controlla la qualità degli alimenti e bevande destinati all’alimentazione dalla produzione al consumo e valuta la necessità di procedere a successive indagini specialistiche; f) vigila e controlla l’igiene e sanità veterinaria, nell’ambito delle proprie competenze, e valuta la necessità di procedere a successive indagini; g) vigila e controlla i prodotti cosmetici; h) collabora con l’amministrazione giudiziaria per indagini sui reati contro il patrimonio ambientale, sulle condizioni di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e sugli alimenti. Fino a stabilirsi, quale disposizione di chiusura, che lo stesso tecnico della prevenzione dell’ambiente “vigila e controlla quant’altro previsto da leggi e regolamenti in materia di prevenzione sanitaria e ambientale, nell’ambito delle proprie competenze” (art. 1, comma 3, lett. i).
Competenze per le quali – si ribadisce – lo stesso decreto n. 58/1997 riconosce la qualifica di polizia giudiziaria anche al personale dell’A.r.p.a.t. che ha compiuto gli accertamenti di cui al giudizio in esame; sì da condividere l’assunto del Procuratore ricorrente in forza del quale, «poiché la tutela dell’ambiente è materia presidiata dalla legge penale, le funzioni di vigilanza e controllo che la citata normativa statale riconosce (e, quanto alla Regione Toscana, anche la conforme e successiva legislazione regionale) ai Tecnici delle Agenzie Regionali non possono non essere ricondotte nell’alveo della previsione di cui all’art. 55 c.p.p. e, quanto alla qualifica spettante ai soggetti che ne sono titolari, alla generale previsione di cui al citato terzo comma del successivo art. 57 c.p.p.».
E sì, ancora, da imporre l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Firenze, per l’ulteriore esame del procedimento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze.
Così deciso in Roma, il 3 novembre 2016