Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Aree protette,
Diritto processuale penale
Numero: 3687 |
Data di udienza: 11 Dicembre 2014
* AREA PROTETTA – Ormeggio in zona protetta marina – Fattispecie: violazione del regolamento dell’area protetta di Portofino – Art. 19, c.3 e 30 L. n. 394/1991 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato – Richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Annullamento della sentenza – Esclusione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Gennaio 2014
Numero: 3687
Data di udienza: 11 Dicembre 2014
Presidente: Squassoni
Estensore: Andreazza
Premassima
* AREA PROTETTA – Ormeggio in zona protetta marina – Fattispecie: violazione del regolamento dell’area protetta di Portofino – Art. 19, c.3 e 30 L. n. 394/1991 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato – Richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Annullamento della sentenza – Esclusione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 28 Gennaio 2014 (Ud. 11/12/2013), Sentenza n. 3687
AREA PROTETTA – Ormeggio in zona protetta marina – Fattispecie: violazione del regolamento dell’area protetta di Portofino – Art. 19, c.3 e 30 L. n. 394/1991.
Anche se non rientrante nell’elenco esemplificativo delle attività non consentite in area protetta di cui alla seconda parte dell’
art. 19, comma 3, della legge n. 394 del 1991, l’ormeggio in zona protetta marina, in quanto operazione caratterizzata dall’ancoraggio, rientra fra le attività vietate in linea generale dalla prima parte della stessa norma, perché idonea a comportare la compromissione della tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto di protezione (Cass. Sez. 3, n. 23054 del 23/04/2013, Mancini; Cass. Sez. 3, n. 15742 del 21/03/2012, Palma).
(conferma sentenza della Corte d’Appello di Genova in data 11/03/2013) Pres. Squassoni, Est. Andreazza, Ric. Visintin
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato – Richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Annullamento della sentenza – Esclusione.
Non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato, comporta altresì la manifesta infondatezza di ogni questione legata al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
(conferma sentenza della Corte d’Appello di Genova in data 11/03/2013) Pres. Squassoni, Est. Andreazza, Ric. Visintin
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 28 Gennaio 2014 (Ud. 11/12/2013), Sentenza n. 3687
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Claudia Squassoni – Presidente
Guicla Mulliri – Consigliere
Luigi Marini – Consigliere
Lorenzo Orilia – Consigliere
Gastone Andreazza – Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Visintin Gianfranco, n. a Monfalcone il 09/05/1954;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova in data 11/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G. Izzo, che ha concluso per la non rilevanza della questione di legittimità costituzionale e per l’inammissibilità degli altri motivi;
udite le conclusioni dell’Avv. G. Gardella , quale difensore di fiducia, che si è riportato ai motivi
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Genova, dopo avere disposto la restituzione in termini per proporre impugnazione, ha, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Chiavari di condanna di Visintin Gianfranco per il reato di cui all’
art. 30 della legge n. 394 del 1991 per avere ormeggiato l’unità navale “Cairos” nella baia di Paraggi in violazione del regolamento dell’area protetta di Portofino, ridotto la pena ad euro 4.000,00 di ammenda.
2. Ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore lamentando con un primo motivo la violazione degli artt. 162 bis c.p. e 175 c.p.p.; lamenta che l’art. 175, comma 2 c.p. prevede la restituzione in termini del condannato in contumacia unicamente per proporre impugnazione od opposizione sì che, una volta restituito in termini lo stesso, questi non può esperire eventuali riti alternativi o richiedere, come nella specie, di essere ammesso all’oblazione, o, ancor più, di essere giudicato in due gradi di merito; e ciò in contrasto con l’art. 6 della Convenzione edu e con gli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost. Nella specie, quindi egli, pur essendo stato restituito in termini per appellare, è privo del diritto di esercitare la facoltà di oblazione di cui avrebbe potuto avvalersi in primo grado ove avesse avuto regolare conoscenza del procedimento. Chiede pertanto che venga sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 162 bis c.p. e 175 c.p.p. suddetti.
Con un secondo motivo lamenta la violazione degli
artt. 19, comma 3, e 30 della L. n. 394 del 1991; evidenzia che, ancorata l’imbarcazione parallelamente alla linea idealmente tracciata dalla boa segnalante l’area protetta della baia (come illustrato anche da fotografia di cui si era chiesta l’acquisizione in sede di appello), a causa di una leggera brezza di vento, la stessa aveva ruotato di circa 60 gradi scivolando lentamente all’interno; in ogni caso evidenzia il dato fondamentale che l’ancora era stata calata fuori dell’area protetta a nulla rilevando la posizione dell’imbarcazione; infatti nella zona cosiddetta C, ovvero di riserva parziale, in cui ricadrebbe l’area in questione, l’ancoraggio sarebbe consentito, come previsto dal’art.18 del regolamento dell’area protetta di Portofino, salvo il divieto di calare l’ancora oltre la linea idealmente e normativamente tracciata dalla boa.
Con un terzo motivo lamenta la mancata assunzione di prova decisiva e mancanza di motivazione in ordine al diniego di rinnovazione dell’istruzione; premesso che in sede di appello si erano richieste l’acquisizione di riproduzioni fotografiche nonché l’esame dell’imputato e di alcuni testimoni presenti sull’imbarcazione, lamenta che la Corte territoriale, ritenendo irrilevante che l’ancora potesse essere stata calata al di fuori della linea delimitata dalla boa, abbia rigettato l’istanza, fondando tale decisione, oltre che sulla illegittima esclusione del diritto alla prova, sulla errata interpretazione di norme già denunciata con il secondo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Con riguardo al primo motivo, va premesso che il ricorrente ha, con atto del 25/06/2012, chiesto ed ottenuto dalla Corte d’Appello di Genova la restituzione nel termine ex art. 175, comma 2, c.p.p., per potere interporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Chiavari in quanto pronunciata nei suoi confronti in contumacia.
Successivamente all’avvenuta restituzione in termini, egli ha, con l’atto di appello, richiesto preliminarmente alla Corte territoriale la restituzione nel termine per proporre istanza di oblazione allegando che l’impossibilità di conoscere, oltre che la sentenza di primo grado, altresì il decreto di citazione avanti al Tribunale, lo ha privato del potere di formulare rituale e tempestiva istanza di oblazione. Tale istanza di restituzione in termini è stata tuttavia rigettata dalla Corte d’Appello in quanto formulata senza alcuna doglianza, ritenuta invece dalla Corte necessaria, in ordine alla nullità degli atti introduttivi del giudizio di primo grado.
Il ricorrente ha quindi sollevato, avanti a questa Corte, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 162 bis c.p. e 175 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost e 6 della Convenzione edu nella parte in cui, nell’ipotesi in cui l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza sia del procedimento che del provvedimento, tali articoli consentirebbero la restituzione nel termine limitatamente alla proposizione della impugnazione od opposizione da parte dello stesso e non anche con riferimento alle prerogative esercitabili solo nel corso del giudizio di primo grado in aperta violazione dei diritti di difesa, di uguaglianza e del “giusto processo”.
Ciò posto, osserva questa Corte che, anche a voler prescindere dal fatto che il motivo di ricorso in oggetto non articola alcuna doglianza nei confronti della decisione sul punto della sentenza impugnata, limitandosi a proporre tout court l’asserito contrasto delle norme astrattamente applicabili con i principi costituzionali richiamati, tale questione non è rilevante.
Lo stesso ricorso dà atto infatti della circostanza che l’imputato venne a conoscenza della intervenuta condanna in contumacia nel momento in cui allo stesso venne effettuata la notifica dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, avvenuta, come risultante dagli atti (consultabili da questa Corte in ragione della natura processuale del motivo) e come precisato nella stessa istanza di restituzione in termini per appellare presentata alla Corte di Genova, in data 30/05/2012; ne consegue che, poiché deve ritenersi che fu in tale momento che l’imputato acquisì consapevolezza che si era svolto nei suoi confronti un procedimento, in contumacia, per reato oblabile senza che egli avesse avuto la possibilità di chiedere, proprio in ragione della sua absentia, l’ammissione all’oblazione nei termini previsti dall’art. 162 bis, comma 1, c.p., lo stesso avrebbe dovuto chiedere comunque la restituzione in termini a tale ultimo fine nel termine di trenta giorni da tale intervenuta conoscenza, come prescritto dall’art. 175, comma 2 bis, c.p.p., ovvero, nella specie, entro la data del 30/6/2012. Risulta, invece, che entro tale termine venne unicamente fatta richiesta di restituzione in termini per appellare mentre la prima istanza di restituzione in termini per oblare venne effettuata in data 18/09/2012 con i motivi di appello.
Del resto, una diversa interpretazione che giungesse a riconoscere all’imputato restituito in termini per appellare, giacché contumace, la possibilità di chiedere con l’atto di appello di essere rimesso in termini per potere formulare istanza di oblazione, si risolverebbe del tutto irragionevolmente nell’attribuire allo stesso, a fronte della mancanza di qualsivoglia eccezione in punto di nullità del giudizio di primo grado, nella specie mai proposta, una facoltà (ovvero appunto quella di richiedere l’ammissione in termini per oblare) che mai potrebbe essere riconosciuta all’imputato processato e condannato non in contumacia.
In definitiva, dunque, la tardiva proposizione dell’istanza di restituzione in termini per proporre oblazione, precludendo a priori ed a prescindere dalla latitudine dei poteri e delle facoltà che sono, allo stato attuale della normativa, esercitabili dal condannato in contumacia restituito in termini, l’applicabilità dell’istituto della rimessione, rende non rilevante la questione sollevata.
4. Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato che anche se non rientrante nell’elenco esemplificativo delle attività non consentite in area protetta di cui alla seconda parte dell’
art. 19, comma 3, della legge n. 394 del 1991, l’ormeggio in zona protetta marina, in quanto operazione caratterizzata dall’ancoraggio, rientra fra le attività vietate in linea generale dalla prima parte della stessa norma, perché idonea a comportare la compromissione della tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto di protezione (Sez. 3, n. 23054 del 23/04/2013, Mancini, Rv. 256171; Sez. 3, n. 15742 del 21/03/2012, Palma, Rv. 252382).
Ora, il ricorrente, senza contestare un tale principio, sostiene però che ai fini dell’attività di ormeggio vietata dalla norma debba aversi strettamente riguardo alla sola operata collocazione dell’ancora sì che se anche la imbarcazione si trovasse all’interno dell’area protetta (tale posizione nella specie essendo stata raggiunta poi per effetto non di una manovra indirizzata consapevolmente a tal fine ma per effetto della rotazione di circa 60 gradi dovuta al vento), ove l’ancora fosse stata comunque gettata al di fuori dell’area in questione il reato non sussisterebbe.
Tale interpretazione non è tuttavia, come già correttamente motivato dalla Corte territoriale (secondo cui il natante, il suo motore e le attività umane che ne conseguono sono fonti di pericolo per lo specchio acqueo e il suo habitat indipendentemente dal luogo in cui l’ancora viene calata), condivisibile.
Infatti, atteso che la ratio posta a fondamento della normativa in questione è volta, come del resto emergente dallo stesso chiaro dettato dell’
art. 19 comma 3 cit., ad inibire tutte quelle attività che possano compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell’area, all’interno dell’ormeggio vietato deve evidentemente farsi rientrare anche la posizione che la imbarcazione ottenga per effetto dell’ancoraggio, indipendentemente dal punto ove quest’ultimo sia effettuato; non è chi non veda infatti come anche dalla permanenza della sola imbarcazione possano derivare effetti quali, esemplificativamente, lo scarico, anche solo occasionale, di rifiuti o la perdita, anche fisiologica, di carburante certamente idonei, a fronte della struttura di reato di pericolo del reato in questione, a pregiudicare la tutela per legge dell’area protetta.
Quanto poi all’assunto secondo cui la posizione dell’imbarcazione sarebbe stata causata dal vento spirante, lo stesso, ove conducente, nell’impostazione del ricorrente, a sostenere, come pare di potere ritenere, la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, sarebbe in contrasto con la componente anche solo colposa derivante dalla natura contravvenzionale del reato in questione, tale da imporre, a chi manovri in prossimità dell’area protetta, di evitare di collocare l’imbarcazione in posizione che, tenendo conto anche dei venti spiranti, possa sconfinare in area protetta; la manifesta infondatezza di tale motivo, oltre a rendere qui non sindacabile l’omessa specifica risposta della Corte territoriale (cfr. Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, Tannoia e altro, Rv. 256314 secondo cui non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato), comporta altresì la manifesta infondatezza di ogni questione legata al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, consistita, appunto, nel pretendere di provare una situazione di fatto (ovvero lo sconfinamento dovuto al vento) in ogni caso, per quanto appena detto, irrilevante.
5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara irrilevante la questione di legittimità costituzionale; rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, l’11 dicembre 2013