Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 50767 |
Data di udienza: 8 Novembre 2016
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Manufatti su ruote – Nozione di precarietà – Struttura prefabbricata realizzati in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale – Opera considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti – Costruzione di un massetto – Artt. 44, lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95, T.U. Edilizia – Condanna per reati edilizi – Manufatti abusivi – Subordine al beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Obbligo di motivazione – Artt. 164 c.1, 165c.1 e 165 c.2 c.p. – Reati edilizi – Particolare tenuità del fatto e reato permanente o plurime violazioni – Effetti giuridici – Art. 131-bis cod. pen. – Giudizio di legittimità – Rilettura degli elementi di fatto o valutazione delle prove – Esclusione – Apparato logico argomentativo sui vari punti della decisione – Verifiche – Art. 606, lett. e), cod. proc. pen..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 30 Novembre 2016
Numero: 50767
Data di udienza: 8 Novembre 2016
Presidente: FIALE
Estensore: SCARCELLA
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Manufatti su ruote – Nozione di precarietà – Struttura prefabbricata realizzati in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale – Opera considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti – Costruzione di un massetto – Artt. 44, lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95, T.U. Edilizia – Condanna per reati edilizi – Manufatti abusivi – Subordine al beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Obbligo di motivazione – Artt. 164 c.1, 165c.1 e 165 c.2 c.p. – Reati edilizi – Particolare tenuità del fatto e reato permanente o plurime violazioni – Effetti giuridici – Art. 131-bis cod. pen. – Giudizio di legittimità – Rilettura degli elementi di fatto o valutazione delle prove – Esclusione – Apparato logico argomentativo sui vari punti della decisione – Verifiche – Art. 606, lett. e), cod. proc. pen..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 30/11/2016 (Ud. 08/11/2016) Sentenza n.50767
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Nozione di precarietà – Manufatti su ruote – Struttura prefabbricata realizzati in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale – Opera considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti – Costruzione di un massetto – Artt. 44, lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95, T.U. Edilizia.
In materia edilizia, rientra nella nozione di precarietà di manufatti su ruote, una costruzione può definirsi precaria e, quindi, non soggetta a concessione edilizia, solo se viene realizzata per motivi di carattere contingente, a prescindere dal materiale adoperato e dalla più o meno facile rimovibilità, e cioè quando sia destinata oggettivamente ad uso temporaneo e limitato (Sez. 3, n. 11420 del 02/07/1987 – dep. 10/11/1987, Albaione, relativa a fattispecie di rigetto di ricorso, in cui l’imputato aveva sostenuto l’insussistenza del reato in quanto il manufatto, privo di fondazioni e munito di ruote, non aveva il requisito della stabilità). Nella specie la esclusione della precarietà della casa ruotata era stata correttamente desunta dalla esistenza di tubi di scarico collegati alla stessa, che escludevano la destinazione non contingente dello stesso manufatto. Analogo discorso vale per i residui manufatti, non rilevando la struttura e la loro consistenza, atteso che la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio. A tal fine l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti, affinché ne emerga la eventuale stabilità e il carattere tendenzialmente permanente della funzione. Ne consegue che la costruzione del massetto (come avvenuto nel caso di specie), che è opera oggettivamente stabile e di non immediata ed agevole rimozione, rivela di per sè la funzione permanente dell’insediamento, costituito dal prefabbricato che vi è ancorato e che, malgrado la struttura leggera, ha con il massetto un collegamento fisso e una propria destinazione non limitata nel tempo.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Condanna per reati edilizi – Manufatti abusivi – Subordine al beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Obbligo di motivazione – Artt. 164 c.1, 165c.1 e 165 c.2 c.p.
In materia di reati edilizi, in caso di condanna sussiste il potere discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti abusivamente realizzati quando, in considerazione delle circostanze di fatto, la prognosi di astensione del reo dal commettere nuovi reati può essere positivamente pronunciata solo in presenza di una manifestazione di effettivo ravvedimento, che si traduce nell’adempimento di un obbligo di “facere” direttamente funzionale al ripristino del bene offeso. Pertanto, il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può subordinare detto beneficio all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile. Tuttavia, non è sufficiente affermare che l’ordine di demolizione ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ma è necessario spiegare perché, sul piano prognostico di cui all’art. 164 c.p., comma 1, si ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Altrimenti ragionando si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi, facoltativa, di cui all’art. 165 c.p., comma 1, e quella, obbligatoria, di cui all’art. 165 c.p., comma 2.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Reati edilizi – Particolare tenuità del fatto e reato permanente o plurime violazioni – Effetti giuridici – Art. 131-bis cod. pen.
In tema di particolare tenuità del fatto, il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell’alveo del comportamento abituale che preclude l’applicazione di cui all’art. 131-bis cod. pen., anche se importa una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza. In particolare, ad escludere in radice la particolare tenuità, milita il rilievo per cui il ricorrente ha violato più disposizioni della legge penale, commettendo plurime violazioni della normativa urbanistica, antisismica ed in materia di cemento armato. Pertanto, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”, come nel caso di specie), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (v., da ultimo: Sez. 5, n. 26813 del 28/06/2016, Grosoli).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Rilettura degli elementi di fatto o valutazione delle prove – Esclusione – Apparato logico argomentativo sui vari punti della decisione – Verifiche – Art. 606, lett. e), cod. proc. pen..
Esula, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. A ciò si aggiunge che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione.
(riforma sentenza della CORTE D’APPELLO DI PALERMO del 13/01/2016) Pres. FIALE, Rel. SCARCELLA, Ric. Schettino
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 30/11/2016 (Ud. 08/11/2016) Sentenza n.50767
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 30/11/2016 (Ud. 08/11/2016) Sentenza n.50767
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da SCHETTINO MARIO, n. 16/04/1960 a Palermo;
avverso la sentenza della Corte d’appello di PALERMO in data 13/01/2016;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G. Corasaniti, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 13/01/2016, depositata in data 21/01/2016, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del medesimo tribunale del 4/05/2015, subordinava il beneficio della sospensione condizionale della pena alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi da effettuarsi entro il termine di giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, confermando nel resto l’appellata sentenza che aveva condannato lo Schettino alla pena di 7 mesi di arresto ed € 23.000,00 di ammenda, con il concorso di attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati di cui agli artt. 44, lett. e), 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95, T.U. edilizia, in relazione a fatti commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nelle imputazioni (fatti accertati in data 4/05/2012).
2. Ha proposto ricorso per cassazione lo Schettino, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento della natura precaria delle opere.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte territoriale poi e il tribunale prima avrebbero erroneamente ritenuto che i manufatti realizzati non avessero il carattere della precarietà, e ce, conseguentemente, stante la loro struttura, gli stessi erano destinati a permanere sui luoghi; a tale approdo i giudici di merito sarebbero pervenuti ritenendo, in particolare, quanto alla casa ruotata sulla base delle dichiarazioni di due testi nonché sulla base della produzione fotografica in atti, da cui emergeva che la predetta opera edilizia era provvista di tubi di scarico, donde la stessa era destinata a rimanere ancorata al suolo, peraltro applicando un orientamento giurisprudenziale di questa Corte che esclude in consimili ipotesi la natura precaria; diversamente, sostiene il ricorrente, i giudici sarebbero entrati in contraddizione, da un lato, affermando che i manufatti fossero privi del requisito della precarietà per la presenza dei tubi di scarico collegati e ciò che comportava la trasformazione edilizia dei luoghi e, dall’altro, ritenendo invece che la precarietà discendesse dalla destinazione del manufatto all’esigenza di sopperire ad una necessità contingente, esaurita la quale la costruzione doveva essere rimossa; diversamente, sostiene il ricorrente, ai fini della precarietà dell’opera si sarebbe dovuto tener conto dell’intrinseca destinazione materiale dell’opera stessa ad un uso realmente precario temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione; detta precarietà ben poteva desumersi dalla presenza delle ruote di cui la casa è provvista e dalla funzione di corpi tecnici degli altri manufatti, realizzati “verosimilmente” per custodire strumenti da lavoro, necessari per la cura del terreno di proprietà del ricorrente; a ciò andrebbe aggiunta la inconsistenza del materiale con cui erano state realizzate le predette opere (struttura in ferro con pannelli coibentati; copertura con pannelli tipo Isolpack), indice di temporaneità e provvisorietà delle stesse; in ogni caso, si conclude, giammai dette opere avrebbero potuto incidere in maniera permanente sull’assetto edilizio del territorio, né cagionare un rilevante danno o un pericolo di danno.
2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità ex art. 131 bis c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe escluso la ricorrenza dell’art. 131 bis c.p., pur riconoscendo che si trattava di manufatti di modeste dimensioni, senza tener conto della impossibilità degli stessi di incidere sull’assetto territoriale e sul bene paesaggistico ed ambientale; quanto poi al requisito della non abitualità, era stato lo stesso giudice di primo grado a ritenere che il ricorrente si sarebbe astenuto dal commettere ulteriori reati, peraltro riconoscendogli sia le attenuanti generiche che la sospensione condizionale della pena.
2.3. Deduce, con un terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello del P.G., ha ritenuto di dover subordinare il beneficio di cui all’art. 163 c.p. alla esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, trovando ciò giustificazione ex art. 165 c.p., nella finalità di garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli delle condotte criminose; i giudici di appello non avrebbero invece tenuto conto della statuizione del primo giudice, che già aveva effettuato una prognosi favorevole dello stato di incensuratezza del ricorrente; priva quindi di qualsivoglia logica sarebbe la detta subordinazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato in relazione al terzo motivo, mentre è inammissibile nel resto per genericità e manifesta infondatezza.
4. Ed invero – premesso che le opere edilizie di cui si discute consistono nella realizzazione abusiva di un battuto cementizio su cui veniva collocata una casa su ruote di 25 mq, con tubi di scarico collegati, nonché di due manufatti in lamiera ed una struttura in ferro con tre lati tompagnati con pannelli coibentati e copertura – i giudici territoriali chiariscono con motivazione del tutto coerente con le emergenze processuali ed in maniera immune da vizi le ragioni per le quali non fosse accoglibile la tesi difensiva della natura precaria delle opere.
Si legge, infatti, nell’impugnata sentenza che i manufatti realizzati non avevano il carattere della precarietà, atteso che, nonostante la loro struttura, gli stessi erano destinati a permanere sui luoghi essendo ciò dimostrato dal fatto che anche la casa su ruote fosse dotata di tubi di scarico collegati di guisa che, comportando una sensibile trasformazione edilizia dei luoghi, non avrebbero potuto certamente essere realizzati in assenza del preventivo rilascio della concessione edilizia e delle altre autorizzazioni previste dalla legge, essendo stati realizzati in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale; del resto, si aggiunge, i testi assunti in dibattimento nonché quanto emergente dalla produzione fotografica in atti rendevano evidente che la casa mobile non era amovibile essendo dotata di tubi di scarico e quindi destinata a rimanere ancorata al suolo.
5. Orbene, alla stregua di tale apparato argomentativo, fedele alle emergenze processuali e immune da denunciati vizi, le censure di cui al primo motivo appaiono prive di pregio, essendo, in sostanza, improntate al “dissenso” rispetto alla ricostruzione dei fatti ed al risultato della valutazione degli elementi di prova operata dai giudici di merito, operazione vietata in questa sede.
Si ribadisce, e non potrebbe essere altrimenti, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte., v.: Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv.207944). A ciò si aggiunge che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv.182961).
Controllo, in questa sede, agevolmente superato dalla sentenza impugnata.
6. La genericità del motivo del resto, discende dalla mancanza di qualsiasi confronto critico con le argomentazioni esposte nell’impugnata sentenza circa l’esclusione della precarietà dei manufatti, tesi adeguatamente confutata dai giudici del merito. Trova, quindi, applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
7. Il motivo è peraltro manifestamente infondato, atteso che, con riferimento alla nozione di precarietà di manufatti su ruote è già stato affermato da questa Corte che una costruzione può definirsi precaria e, quindi, non soggetta a concessione edilizia, solo se viene realizzata per motivi di carattere contingente, a prescindere dal materiale adoperato e dalla più o meno facile rimovibilità, e cioè quando sia destinata oggettivamente ad uso temporaneo e limitato (Sez. 3, n. 11420 del 02/07/1987 – dep. 10/11/1987, Albaione, Rv. 176966, relativa a fattispecie di rigetto di ricorso, in cui l’imputato aveva sostenuto l’insussistenza del reato in quanto il manufatto, privo di fondazioni e munito di ruote, non aveva il requisito della stabilità). Nella specie la esclusione della precarietà della casa ruotata era stata correttamente desunta dalla esistenza di tubi di scarico collegati alla stessa, che escludevano la destinazione non contingente dello stesso manufatto. Analogo discorso vale per i residui manufatti, non rilevando la struttura e la loro consistenza, atteso che la natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità dell’insediamento indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio. A tal fine l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole componenti, affinché ne emerga la eventuale stabilità e il carattere tendenzialmente permanente della funzione. Ne consegue che la costruzione del massetto (come avvenuto nel caso di specie), che è opera oggettivamente stabile e di non immediata ed agevole rimozione, rivela di per sè la funzione permanente dell’insediamento, costituito dal prefabbricato che vi è ancorato e che, malgrado la struttura leggera, ha con il massetto un collegamento fisso e una propria destinazione non limitata nel tempo (Sez. 3, n. 11839 del 12/07/1999 – dep. 18/10/1999, Piparo,Rv. 215417).
8. Manifestamente infondato è poi il motivo relativo al mancato riconoscimento dell’art. 131-bis c.p.
Ed invero, i giudici di merito hanno escluso che si trattasse di fatto di particolare tenuità tenuto conto della realizzazione di una serie di manufatti, sia pure di modeste dimensioni, destinati ad incidere non soltanto sull’assetto del territorio ma anche sull’aspetto paesaggistico ed ambientale.
Trattasi di motivazione immune da vizi, dovendosi peraltro rilevare, secondo un orientamento ormai progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza di questa Sezione, che in tema di particolare tenuità del fatto, il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell’alveo del comportamento abituale che preclude l’applicazione di cui all’art. 131-bis cod. pen., anche se importa una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza(Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015 – dep. 27/11/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 26544801). In particolare, ad escludere in radice la particolare tenuità, milita il rilievo per cui il ricorrente ha violato più disposizioni della legge penale, commettendo plurime violazioni della normativa urbanistica, antisismica ed in materia di cemento armato. Sul punto, si osserva, deve darsi continuità all’orientamento secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”, come nel caso di specie), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (v., da ultimo: Sez. 5, n. 26813 del 28/06/2016, Grosoli, Rv. 267262).
9. Quanto, infine, alla censura relativa alla subordinazione della sospensione condizionale della pena all’ordine di rimessione in pristino stato (da intendersi, evidentemente, come ordine di demolizione ex art. 31, comma nono, d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui “per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”), la Corte territoriale afferma che detta subordinazione trova giustificazione ex art. 165 c.p. nella finalità di garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli delle condotte criminose.
Trattasi, tuttavia, di affermazione non corretta in diritto.
Ritiene il Collegio fondate le censure difensive svolte nel terzo motivo, dovendo infatti darsi continuità ad un principio, già affermato da questa Corte, secondo cui in caso di condanna per reati edilizi, è correttamente esercitato il potere discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti abusivamente realizzati quando, in considerazione delle circostanze di fatto, la prognosi di astensione del reo dal commettere nuovi reati può essere positivamente pronunciata solo in presenza di una manifestazione di effettivo ravvedimento, che si traduce nell’adempimento di un obbligo di “facere” direttamente funzionale al ripristino del bene offeso (Sez. 3, n. 3139 del 03/12/2013 – dep. 23/01/2014, Domingo e altro, Rv. 258587; Sez.3, sentenza n. 43576 del 2014, rie. Principalli ed altro, non massimata).
10. A norma dell’art. 165 c.p., comma 1, la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
È principio consolidato di questa Suprema Corte che “il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena infinta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può subordinare detto beneficio all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile” (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996, Luongo, Rv. 206659).
Occorre, però, che dell’esercizio facoltativo di tale facoltà il giudice dia conto, ove esercitata nei confronti di persone che, come nel caso di specie, non hanno mai fruito del beneficio della sospensione condizionale.
La sentenza di primo grado non aveva subordinato il beneficio della sospensione condizionale alla demolizione del manufatto. La Corte territoriale, investita di specifico gravame sul punto da parte del P.G., ha invece accolto l’impugnazione subordinando il beneficio alla demolizione, affermando che la subordinazione trova giustificazione ex art. 165 cod. pen. nella finalità di garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli delle condotte criminose, richiamando giurisprudenza di questa Corte sul punto.
La Corte d’appello, nella sostanza, si è limitata a prendere atto della astratta possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena, ma ha omesso del tutto di considerare che l’esercizio discrezionale di tale facoltà deve essere effettuato (e necessariamente motivato) alla luce del giudizio prognostico di cui all’art. 164, cod. pen. e coniugarsi con la funzione special – preventiva dell’istituto.
Non è dunque sufficiente affermare che l’ordine di demolizione ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ma è necessario spiegare perché, sul piano prognostico di cui all’art. 164 c.p., comma 1, si ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena (in senso conforme: Sez. 3, n. 17729 del 10/03/2016 – dep. 29/04/2016, Abbate e altro, Rv. 267027).
Altrimenti ragionando si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi, facoltativa, di cui all’art. 165 c.p., comma 1, e quella, obbligatoria, di cui all’art. 165 c.p., comma 2.
La sentenza, va dunque annullata in parte qua.
11. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, in accoglimento del terzo motivo, al fine di rimediare all’errore di diritto commesso, dovendosi dichiarare inammissibile il ricorso nel resto, ciò che determina l’irrevocabilità delle statuizioni in punto di responsabilità e di trattamento sanzionatorio, dovendo peraltro rilevarsi che il termine di prescrizione maturerà solo in data 4/05/2017.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla condizione apposta alla sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione,1’8/11/2016