Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Pubblica amministrazione Numero: 39339 | Data di udienza: 9 Luglio 2018

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Edificazione in zona agricola e sottoposta a vincolo paesaggistico – Oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo – Elementi di conformità ai fini del rilascio della sanatoria – Artt. 15, 31, 34 e 44, lett. b) e c) d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1 d.lgs. 42/2004 – Suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere – Regime dei titoli abilitativi edilizi – Opera considerata unitariamente nel suo complesso – Indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori – Inosservanza dei termini – Effetti – Decadenza del permesso di costruire – Opere abusive e sanatoria c.d. condizionata – Condizioni e limiti – Doppia conformità – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Attività vincolata della P.A. e provvedimenti di rilascio illegittimi – Giurisprudenza – Reato urbanistico – Natura di reato permanente – Momento della consumazione e cessazione della permanenza – Fattispecie – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Demolizione delle opere abusive e rimessione in pristino dello stato dei luoghi – Subordine della sospensione condizionale della pena – Funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso – Obbligo di specifica motivazione – Esclusione – Motivazione implicita – Natura di provvedimento accessorio alla condanna – Ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine di demolizione – Effetti – Revoca della sospensione condizionale della pena.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 31 Agosto 2018
Numero: 39339
Data di udienza: 9 Luglio 2018
Presidente: DI NICOLA
Estensore: RAMACCI


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Edificazione in zona agricola e sottoposta a vincolo paesaggistico – Oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo – Elementi di conformità ai fini del rilascio della sanatoria – Artt. 15, 31, 34 e 44, lett. b) e c) d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1 d.lgs. 42/2004 – Suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere – Regime dei titoli abilitativi edilizi – Opera considerata unitariamente nel suo complesso – Indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori – Inosservanza dei termini – Effetti – Decadenza del permesso di costruire – Opere abusive e sanatoria c.d. condizionata – Condizioni e limiti – Doppia conformità – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Attività vincolata della P.A. e provvedimenti di rilascio illegittimi – Giurisprudenza – Reato urbanistico – Natura di reato permanente – Momento della consumazione e cessazione della permanenza – Fattispecie – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Demolizione delle opere abusive e rimessione in pristino dello stato dei luoghi – Subordine della sospensione condizionale della pena – Funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso – Obbligo di specifica motivazione – Esclusione – Motivazione implicita – Natura di provvedimento accessorio alla condanna – Ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine di demolizione – Effetti – Revoca della sospensione condizionale della pena.



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 31/08/2018 (Ud. 09/07/2018), Sentenza n.39339
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Edificazione in zona agricola e sottoposta a vincolo paesaggistico – Oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo – Elementi di conformità ai fini del rilascio della sanatoria – Artt. 15, 31, 34 e 44, lett. b) e c) d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1 d.lgs. 42/2004.
 
L’edificazione in zona agricola si riferisce ad interventi edilizi in evidente collegamento funzionale con la destinazione del fondo e la posizione soggettiva di chi lo realizza, elementi che assumono entrambi rilievo ai fini della rispondenza dell’opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l’eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria. A tale proposito, con riferimento ad una ipotesi di lottizzazione, si era rilevato come la realizzazione di un intervento edilizio in zona agricola è finalizzato alla conduzione del fondo in ragione della sua destinazione ed è a tale dato essenziale della oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo che deve farsi riferimento e non anche alle condizioni soggettive di chi richiede il titolo abilitativo. Pertanto, ciò che rileva è la effettiva destinazione del manufatto, richiamando tuttavia l’attenzione sul fatto che non si è mai escluso il rilievo assunto, in tali casi, dal requisito soggettivo, tanto da affermare che, in tema di reati edilizi, non è sufficiente il possesso temporaneo di fatto della qualifica di imprenditore agricolo professionale (ai sensi dell’art. 1, comma quinto-ter, D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99) ai fini del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, in quanto i requisiti soggettivi per il rilascio di tale permesso devono esistere al momento della richiesta ed al momento del rilascio del titolo abilitativo (Sez. 3, n. 46085 del 29/10/2008, Monetti e altro), ritenendo, altresì, che il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo deve sussistere non solo al momento del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, ma anche al momento della voltura del titolo abilitativo in favore di terzi, al fine di garantire l’effettiva destinazione delle opere all’agricoltura (Sez. 3, n. 33381 del 5/7 /2012, Pmt in proc. Murgioni e altri; Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017, Innamorati e altri). Fattispecie: realizzazione di una villa disposta su due livelli e tre ulteriori corpi di fabbrica ed una piscina con finalità tipicamente residenziali in assenza o, comunque, in totale difformità dal progetto approvato con permesso di costruire.
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere – Regime dei titoli abilitativi edilizi – Opera considerata unitariamente nel suo complesso.
 
Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L’opera deve essere infatti considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e apprezzare separatamente i suoi singoli componenti e ciò ancor più nel caso di interventi su preesistente opera abusiva (Cass. Sez. 3, n. 30147 del 19/4/2017, Tomasulo). Si è inoltre specificato che l’unitarietà dell’intervento edilizio è tale quando riferita ad un insieme di opere, realizzate anche in tempi diversi, le quali, pur non essendo parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, costituiscano, di fatto, un complesso unitario rispetto al quale ciascuna componente contribuisce a realizzarne la destinazione (Cass. Sez. 3, n. 23183 del 29/3/2018, Erbaggio).
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori – Inosservanza dei termini – Effetti – Decadenza del permesso di costruire.
 
L’indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori è finalizzata a dare certezza temporale all’attività edificatoria, allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa è mutata, per tale ragione i lavori devono quindi essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire. L’inosservanza dei termini determina la decadenza del permesso di costruire che, come indicato dalla lettera della legge, opera di diritto per il mero decorso del termine, senza necessità di adozione di un atto formale. I lavori eseguiti con permesso di costruire decaduto sono illeciti, perché realizzati senza valido titolo, come si desume dal comma terzo dell’articolo 15 d.P.R. 380/2001, il quale stabilisce che la realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione di inizio attività e che si procede, ove necessario, anche al ricalcolo del contributo di costruzione (Cass. Sez. 3, n. 43175 del 4/5/2017, Botti). 
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive e sanatoria c.d. condizionata – Condizioni e limiti – Doppia conformità – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Attività vincolata della P.A. e provvedimenti di rilascio illegittimi – Giurisprudenza. 
 
 
Nei casi in cui le opere abusivamente realizzate, non sono in ogni caso suscettibili di sanatoria, deve escludersi anche la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono. Tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto l’articolo 36 d.P.R. 3801 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un’attività vincolata della P.A., consistente nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all’Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (Cass. Sez. 3, n. 51013 del 05/11 /2015 – dep. 29/12/2015, Carratu’ e altro; Sez. 3, n. 7405 del 15/1 /2015, Bonarota; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro; Sez. 3, n. 19587 del 27I 4/2011, Montini e altro; Sez. 3 n. 23726 del 24/2/2009, Peoloso; Sez. 3, n. 41567 del 4/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro; Sez. 3, n. 48499 del 13/11 /2003, P.M. in proc. Dall’Oro ed altre prec. conf.).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato urbanistico – Natura di reato permanente – Momento della consumazione e cessazione della permanenza – Fattispecie. 
 
Il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (Cass. Sez. U., n. 17178 del 27/2/2002, Cavallaro). La cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio, mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Cass. Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo). Deve trattarsi, di un edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto del primo comma dell’articolo 25 del d.PR. 380/01, che fissa "entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento" il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti. Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell’abitazione (Sez. 3, n. 8172 del 27/1/2010, Vitali). Nel caso di specie, è stato escluso l’ultimazione delle opere sulla base dell’inequivoco dato fattuale dell’assenza, all’atto del sequestro, di "regolare e funzionante impianto elettrico", dando conto dell’assenza "non solo delle mascherine e dei corpi interni ma anche il collegamento tra tutti i cavi".


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Demolizione delle opere abusive e rimessione in pristino dello stato dei luoghi – Subordine della sospensione condizionale della pena – Funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso – Obbligo di specifica motivazione – Esclusione – Motivazione implicita – Natura di provvedimento accessorio alla condanna – Ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine di demolizione – Effetti – Revoca della sospensione condizionale della pena.
 
Il giudice penale, può subordinare l’applicazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive. Il discorso non muta con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, cui pure può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso. Inoltre, l’obbligo di specifica motivazione è stato espressamente escluso, ricordando come detta motivazione debba ritenersi implicita nella stessa emanazione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza e sul presupposto che detto ordine ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato, con la conseguenza che, quando il giudice del merito subordina la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, egli non fa altro che rafforzare il contenuto della statuizione accessoria, esaltando contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell’articolo 165 del codice penale finalizzata all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine di demolizione, circostanza che rende perciò il condannato immeritevole della sospensione condizionale della pena (così Sez. 7, n. 9847 del 25/11 /2016 (dep.2017), Palma; Conf. Sez. 3 n. 7283 del 9/2/2018, Mistretta).
 
(dich. inammissibile i ricorsi avverso sentenza del 20/02/2017 – CORTE APPELLO di LECCE) Pres. DI NICOLA, Rel. RAMACCI, Ric. Ribezzo ed altri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 31/08/2018 (Ud. 09/07/2018), Sentenza n.39339

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 31/08/2018 (Ud. 09/07/2018), Sentenza n.39339
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sui ricorsi proposti da:
 
RIBEZZO MASSIMO nato a ORIA 
 
MADAGHIELE LUCIANO nato a ORIA 
 
MINGOLLA GIUSEPPE nato a MESAGNE 
 
TAPPERI CROCEFISSO nato a LATIANO 
 
avverso la sentenza del 20/02/2017 della CORTE APPELLO di LECCE
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI 
 
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
 
udito il difensore A. P.anche in sost. Avv. C. 
 
Il difensore presente si riporta ai motivi
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 20/2/2017 ha riformato, concedendo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato penale ad uno degli imputati, la sentenza in data 25/2/2016 del Tribunale di Brindisi, appellata da Massimo RIBEZZO, Luciano MADIAGHIELE, Giuseppe MINGOLLA e Crocefisso TAPPERI, imputati, in concorso tra loro, dei reati di cui agli articoli 110 cod. pen., 44, lett. b) e c) d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1 d.lgs. 42/2004.
 
In particolare, il RIBEZZO, quale esecutore materiale e promissario acquirente del terreno sul quale veniva realizzato l’intervento edilizio e sostanziale beneficiario di quanto costruito sul lotto, il MADIAGHIELE, quale proprietario e promissario venditore del terreno e formale richiedente i titoli ampliativi, il MINGOLLA, quale progettista e direttore dei lavori ed il TAPPERI, quale responsabile la ditta di costruzione dell’immobile, venivano incolpati della costruzione, su un terreno in zona destinata ad usi agricoli, ricadente in zona omogenea E2 e sottoposto a vincolo paesaggistico, di una villa disposta su due livelli e tre ulteriori corpi di fabbrica ed una piscina con finalità tipicamente residenziali, il tutto in assenza o, comunque, in totale difformità dal progetto approvato con permesso di costruire (peraltro decaduto di validità in conseguenza della mancata comunicazione nei termini dell’inizio dei lavori) e senza rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, superando altresì il limite massimo di cubatura consentito (in Oria, fino a novembre 2013).
 
Viene specificato nell’imputazione che la richiesta del titolo abilitativo edilizio era stata presentata dal MADIAGHIELE, il quale fittiziamente assumeva la veste di richiedente perché in possesso delle qualità soggettive per poter realizzare un immobile rurale, mentre il costruendo fabbricato vedeva come sostanziale beneficiario il RIBEZZO il quale, in quanto comandante di una stazione dei Carabinieri, non era in possesso delle richieste di qualità soggettive.
 
Avverso tale pronuncia i predetti propongono ricorso per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
 
 
2. Ricorso RIBEZZO.
 
Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando la insussistenza del vincolo paesaggistico e la conseguente erronea qualificazione dell’intervento come in totale difformità dal titolo abilitativo conseguito.
 
Osserva, a tale proposito, che alla luce di contenuti degli strumenti urbanistici e del Piano urbanistico territoriale tematico della Regione Puglia (PUTT) non sarebbe stata richiesta nessuna autorizzazione paesaggistica per gli interventi eseguiti in quella parte del comune di Oria, con la conseguenza che l’intervento edilizio non poteva considerarsi in totale difformità.
 
Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe escluso la possibilità di sanatoria, in quanto quella rilasciata sarebbe stata subordinata di interventi di demolizione e richiama, a tale proposito, l’articolo 34, comma 2 d.P.R.380/2001, osservando che, se avesse potuto avere la disponibilità del manufatto sequestrato, egli avrebbe potuto eseguire gli interventi volti a ricondurre a conformità le opere ben prima di richiedere il permesso in sanatoria, sicché l’unica possibilità per l’amministrazione comunale, in presenza di tale situazione, era quella di subordinare la sanatoria alla demolizione delle opere non conformi.
 
Assume inoltre che, sulla base della disciplina regionale, le opere realizzate non richiederebbero necessariamente la qualifica di imprenditore agricolo in capo al soggetto che le esegue, poiché la mancanza di tale qualifica avrebbe come unica conseguenza l’impossibilità di richiedere l’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione.
 
Con un terzo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’articolo 158, comma 3 cod. pen., affermando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la prescrizione dei reati contestati, individuando in maniera non corretta il termine di ultimazione dei lavori, che sarebbe risultato pacificamente dimostrato da due fatture del 2010 e dall’aggiornamento catastale intervenuto lo stesso anno.
 
Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere realizzate, demolizione che indica come peraltro inesigibile, in quanto riferita ad un immobile sottratto alla disponibilità degli imputati a causa del sequestro penale.
 
Con un quinto motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale non avrebbe giustificato la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione.
 
 
3. Ricorso MADIAGHIELE.
 
Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione del reato, che assume anch’egli documentalmente dimostrata.
 
Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che il giudice del gravame avrebbe sostanzialmente ignorato il materiale probatorio offerto ai fini dell’individuazione della data del commesso reato.
 
Con un terzo motivo di ricorso assume l’inesistenza di vincoli sull’area oggetto dei lavori e l’efficacia della sanatoria rilasciata, ancorché subordinata ad interventi di demolizione.
 
Con un quarto motivo di ricorso deduce la sua completa estraneità ai fatti per cui è processo.
 
Con un quinto motivo di ricorso lamenta la violazione di legge in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere eseguite, in quanto il giudice non avrebbe valutato correttamente la sua posizione, essendo l’area interessata dall’intervento edilizio di proprietà effettiva del RIBEZZO ed osserva che l’ordine imposto dal giudice avrebbe sostanzialmente sottratto l’esercizio dei propri poteri all’amministrazione comunale.
 
 
4. Ricorso MINGOLLA.
 
Con un primo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in relazione all’individuazione del momento consumativo del reato.
 
Con un secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità nei suoi confronti, avendo egli accettato l’incarico di progettista e direttore dei lavori, ma non avendo in concreto svolto tale attività, come sarebbe dimostrato dal fatto che la relativa comunicazione di inizio lavori non è mai stata effettuata dal committente e non avendo egli mai partecipato all’esecuzione dei lavori né svolto attività tecnica all’interno del cantiere.
 
 
5. Ricorso TAPPERI
 
Con un unico articolato motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rilevando che dalle risultanze acquisite agli atti del procedimento e dall’istruttoria dibattimentale non sarebbe emerso alcun elemento circa la sua responsabilità, essendo egli totalmente estraneo ai fatti contestati.
 
Tale circostanza sarebbe dimostrata dalle dichiarazioni dei testi della difesa e dal fatto che egli avrebbe eseguito esclusivamente i lavori relativi al corpo di fabbrica principale e non anche a quello degli edifici accessori, come riconosciuto in entrambi i giudizi di merito.
 
Prende successivamente in considerazione la questione della prescrizione del reato sollevata anche dagli altri ricorrenti e contesta le valutazioni effettuate dal giudice di merito in ordine al titolo abilitativo concessorio ed a quello in sanatoria.
 
Rileva, infine, che nella dosimetria della pena sarebbe stato fatto riferimento all’intera condotta contestata e non anche alla realizzazione del solo corpo di fabbrica principale, unica opera da lui realizzata.
 
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Tutti i ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito specificate.
 
 
2. Alcuni motivi di ricorso riguardano le medesime questioni e potranno, pertanto, essere trattati unitariamente.
 
Sulla natura dell’intervento e l’esistenza del vincolo paesaggistico (primo motivo di ricorso del RIBEZZO) va premesso che, come chiaramente emerge dalla mera lettura dell’imputazione, l’intervento edilizio realizzato deve essere unitariamente considerato.
 
Giova ricordare, a tale proposito, che, come è stato ripetutamente affermato da questa Corte, il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L’opera deve essere infatti considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e apprezzare separatamente i suoi singoli componenti e ciò ancor più nel caso di interventi su preesistente opera abusiva (Sez. 3, n. 30147 del 19/4/2017, Tomasulo, Rv. 270256; Sez. 3, n. 16622 del 8/4/2015, Pmt in proc. Casciato, Rv. 263473; Sez. 3, n. 15442 del 26/11 /2014 (dep. 2015), Prevosto e altri, Rv. 263339; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011 (dep.2012), Forte, Rv. 252125; Sez. 3 n. 34585 del 22/4/2010, Tulipani, non massimata; Sez. 3, n. 20363 del 16/3/2010, Marrella, Rv. 247175; Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 (dep. 2003), Tucci, Rv. 223365).
 
Si è inoltre specificato che l’unitarietà dell’intervento edilizio è tale quando riferita ad un insieme di opere, realizzate anche in tempi diversi, le quali, pur non essendo parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, costituiscano, di fatto, un complesso unitario rispetto al quale ciascuna componente contribuisce a realizzarne la destinazione (così Sez. 3, n. 23183 del 29/3/2018, Erbaggio, non ancora massimata).
 
 
3. Ciò posto, va rilevato che, come accertato nel giudizio di merito, le opere sono state realizzate, in forza di titolo edilizio ormai decaduto, in zona classificata come E2 agricola ed hanno, pacificamente, destinazione residenziale, realizzando, comunque, una cubatura di 380 mc, superiore a quella assentibile, pari a mc 153,09.
 
Determinante risulta, ai fini della liceità dell’intervento edilizio, la natura e la destinazione dello stesso. 
 
Pare opportuno ricordare, a tale proposito, quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in una decisione richiamata anche dalla sentenza impugnata (Sez. 3, n. 7681 del 13/01 /2017, Innamorati e altri, Rv. 269159) e nella quale si è esplicitamente affermato che l’edificazione in zona agricola si riferisce ad interventi in evidente collegamento funzionale con la destinazione del fondo.
 
Si osservava, a tale proposito, che, con riferimento ad una ipotesi di lottizzazione, si era in precedenza rilevato come la realizzazione di un intervento edilizio in zona agricola è finalizzato alla conduzione del fondo in ragione della sua destinazione ed è a tale dato essenziale della oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo che deve farsi riferimento e non anche alle condizioni soggettive di chi richiede il titolo abilitativo (Sez. 3, n. 15605 del 31 /3/2011, Manco e altri, Rv. 250151 ).
 
Si poneva quindi in evidenza che, pur in presenza di una formale qualifica, ciò che rileva è la effettiva destinazione del manufatto, richiamando tuttavia l’attenzione sul fatto che non si è mai escluso il rilievo assunto, in tali casi, dal requisito soggettivo, tanto da affermare che, in tema di reati edilizi, non è sufficiente il possesso temporaneo di fatto della qualifica di imprenditore agricolo professionale (ai sensi dell’art. 1, comma quinto-ter, D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99) ai fini del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, in quanto i requisiti soggettivi per il rilascio di tale permesso devono esistere al momento della richiesta ed al momento del rilascio del titolo abilitativo (Sez. 3, n. 46085 del 29/10/2008, Monetti e altro, Rv. 241770), ritenendo, altresì, che il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo deve sussistere non solo al momento del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, ma anche al momento della voltura del titolo abilitativo in favore di terzi, al fine di garantire l’effettiva destinazione delle opere all’agricoltura (Sez. 3, n. 33381 del 5/7 /2012, Pmt in proc. Murgioni e altri, Rv. 253659).
 
Si è conseguentemente giunti ad affermare il principio secondo il quale, per l’edificazione in zona agricola, la destinazione del manufatto e la posizione soggettiva di chi lo realizza sono elementi che assumono entrambi rilievo ai fini della rispondenza dell’opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l’eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria.
 
Si tratta di un principio che il Collegio condivide e che intende pertanto ribadire. Nel caso specifico, entrambi i requisiti della destinazione dell’edificio e della qualifica soggettiva del proprietario committente difettavano, avendo i giudici del merito accertato in fatto che le opere consistevano, in realtà, nella realizzazione di una villa con piscina avente inequivoca destinazione residenziale e che la richiesta del titolo abilitativo era stata avanzata da soggetto (il MADIAGHELE) che aveva fittiziamente assunto la veste di richiedente al solo fine di consentire la realizzazione delle opere di cui avrebbe poi effettivamente beneficiato il RIBEZZO, il quale non possedeva la qualifica soggettiva necessaria per conseguire il permesso di costruire in zona agricola.
 
 
4. Va altresì rilevato che, alla luce dei principi appena ribaditi, risulta del tutto infondato l’ulteriore assunto, contenuto nel ricorso del RIBEZZO (secondo motivo), secondo il quale l’assenza delle condizioni soggettive per l’edificazione in zona agricola avrebbe, quale unica conseguenza, l’impossibilità di ottenere l’esonero dai contributi di costruzione.
 
Va peraltro ricordato che questa Corte ha anche già stabilito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale della Puglia n. 1748 del 15 dicembre 2000, il Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta entrato in vigore quest’ultimo, la clausola risolutiva espressa della efficacia della legge regionale della Puglia 56/1980 (così, Sez. 3, n. 8635 del 18/9/2014 ( dep. 2015), Pmt in proc. Manzo e altri, Rv. 262512) che il ricorrente richiama ed i cui contenuti, in ogni caso, non conducevano a conclusioni diverse da quelle richiamate nelle menzionate pronunce.
 
Inoltre, come si ricava dall’imputazione, il permesso di costruire indebitamente conseguito risultava anche decaduto di validità in conseguenza della mancata comunicazione nei termini dell’inizio dei lavori.
 
Tale evenienza, che non risulta in alcun modo posta in discussione, assume comunque rilievo.
 
Come è noto l’indicazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori è finalizzata a dare certezza temporale all’attività edificatoria, allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa è mutata, per tale ragione i lavori devono quindi essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire (cfr. Sez. 3, n. 12316 del 21 /2/2007, Minciarelli, Rv. 236336).
 
L’inosservanza dei termini determina la decadenza del permesso di costruire che, come indicato dalla lettera della legge, opera di diritto per il mero decorso del termine, senza necessità di adozione di un atto formale.
 
I lavori eseguiti con permesso di costruire decaduto sono illeciti, perché realizzati senza valido titolo, come si desume dal comma terzo dell’articolo 15 d.P.R. 380\2001, il quale stabilisce che la realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione di inizio attività e che si procede, ove necessario, anche al ricalcolo del contributo di costruzione (v. Sez. 3, n. 43175 del 4/5/2017, Botti, Rv. 271310)
 
Si tratta, dunque, di un ulteriore dato inequivocabilmente indicativo del fatto che l’esecuzione delle opere è avvenuta in difetto di valido permesso di costruire.
 
Quanto evidenziato rende altresì evidente l’infondatezza della tesi, prospettata in ricorso, secondo la quale si tratterebbe di opere in parziale difformità, ma una simile evenienza va comunque esclusa anche in considerazione della eccedenza di cubatura riscontrata ed indicata nell’imputazione (380 metri cubi in luogo dei 153,09 assentibili) che mette chiaramente in luce, pur a voler per assurdo considerare valido il permesso di costruire, la totale difformità delle opere eseguite, dovendosi intendere per tale, come indicato nell’art. 31 del d.P.R. 380\2001, l’esecuzione di interventi che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. 
 
 
5. Va poi rilevato come la tipologia dell’intervento e l’evidente contrasto con la destinazione di zona non ne avrebbero comunque consentito la sanatoria, la cui validità viene invece affermata nel secondo motivo di ricorso del RIBEZZO e nel terzo motivo di ricorso del MADIAGHELE rilevando, sostanzialmente, l’ammissibilità della sanatoria c.d. condizionata.
 
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, deve escludersi la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, poiché tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto l’articolo 36 d.P.R. 380\01 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un’attività vincolata della P.A., consistente nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all’Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (v. Sez. 3, n. 51013 del 05/11 /2015 – dep. 29/12/2015, Carratu’ e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 7405 del 15/1 /2015, Bonarota, Rv. 262422; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973; Sez. 3, n. 19587 del 27I 4/2011, Montini e altro, Rv. 250477; Sez. 3 n. 23726 del 24/2/2009, Peoloso, non massimata; Sez. 3, n. 41567 del 4/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro, Rv. 238020; Sez. 3, n. 48499 del 13/11 /2003, P.M. in proc. Dall’Oro, Rv. 226897 ed altre prec. conf.).
 
Anche tale principio è pienamente condiviso dal Collegio e va qui confermato al fine di assicurarne la continuità.
 
Le opere abusivamente realizzate, dunque, non sono in ogni caso suscettibili di sanatoria.
 
 
6. Resta da aggiungere, con riferimento ai motivi di ricorso fin qui esaminati, che tanto il RIBEZZO, quanto il MADIAGHELE pongono in dubbio la sussistenza del vincolo paesaggistico, contestando le diverse conclusioni cui sono pervenuti i giudici del gravame sulla base di una consulenza tecnica in atti e la documentazione di riferimento.
 
Si tratta, tuttavia, di un accertamento in fatto, compiuto dai giudici del merito, che tiene evidentemente conto della ubicazione delle opere sulla base di emergenze processuali che non è consentito sottoporre ad autonoma valutazione nel giudizio di legittimità.
 
 
7. Per ciò che concerne, poi, la prescrizione dei reati, di cui trattano il terzo motivo di ricorso del RIBEZZO, il primo ed il secondo motivo di ricorso del MADIAGHELE, il primo motivo di ricorso del MINGOLLA, ed il ricorso del TAPPERI, rileva il Collegio come, anche sul punto, la sentenza impugnata sia immune da censure, perché giuridicamente corretta e conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
 
Si è detto, a tale proposito, che il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (v. Sez. U., n. 17178 del 27/2/2002, Cavallaro, Rv. 221398).
 
Si è poi precisato (ex pl. Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351) che la cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio, mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (v. anche Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498).
 
Si è inoltre chiarito che l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 32969 del 817 /2005, Amadori, non massimata sul punto ed altre prec. conf. nella stessa richiamate. V. anche Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 2611 53).
 
Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto del primo comma dell’articolo 25 del d.PR. 380\01, che fissa "entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento" il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 (dep. 2003), Tucci, Rv. 223365; Sez. 3 n. 34876 del 23/6/2009, Anselmo, non massimata; Sez. 3, n. 5618 del 17/11 /2011 ( dep. 2012), Forte, Rv. 252125). Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell’abitazione (Sez. 3, n. 8172 del 27/1 /2010, Vitali, Rv. 246221 ).
 
Nel caso di specie la Corte di appello ha correttamente escluso l’ultimazione delle opere sulla base dell’inequivoco dato fattuale dell’assenza, all’atto del sequestro eseguito il 3/3/2014, di "regolare e funzionante impianto elettrico", dando conto dell’assenza "non solo delle mascherine e dei corpi interni ma anche il collegamento tra tutti i cavi".
 
 
8. Per ciò che concerne, poi, la sospensione condizionale e la sua subordinazione alla demolizione delle opere abusive (quarto e quinto motivo di ricorso del RIBEZZO e quinto motivo di ricorso del MADIAGHELE) pare opportuno richiamare testualmente quanto recentemente affermato sul tema (Sez. 3, n. 23189 del 29/3/2018, Ferrante, non ancora massimata).
 
È ormai pacificamente riconosciuta la possibilità, per il giudice penale, di subordinare l’applicazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
 
Tale possibilità, secondo un primo orientamento, confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 1 del 10/10/1987 (dep.1988 ), Bruni, Rv. 177318), non era originariamente ammessa. Tuttavia una successiva pronuncia delle medesime Sezioni Unite (Sez. U, n. 714 del 20/11 /1996 ( dep. 1997), Luongo, Rv. 206659) ha fornito un condivisibile indirizzo interpretativo, ammettendo la legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione, che appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (cfr. Sez. 3, n. 32351 del 1/7 /2015, Giglia e altro, Rv. 264252; Sez. 3, n. 3685 del 11 /12/2013 (dep.2014), Russo, Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21 /5/2013, Farina Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/9/2007, Terminiello, Rv. 237825 ; Sez. 3, n. 18304 del 17/1 /2003, Guido, Rv. 22471; Sez. 3, n. 4086 del 17/12/1999 ( dep. 2000), Pagano, Rv. 216444 ).
 
Inoltre, l’ordine di demolizione impartito dal giudice è previsto dalla legge, in quanto l’articolo 31 stabilisce, al nono comma, che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordini la demolizione delle opere se ancora non sia stata altrimenti eseguita. L’ordine giudiziale di demolizione, poi, ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (v. Sez. 3, n. 37120 del 11 /5/2005, Morelli, Rv. 232172).
 
Il discorso non muta con riferimento alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, cui pure può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, può comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 48984 del 21 /10/2014, Maresca, Rv. 261164; Sez. 3, n. 38739 del 28/5/2004, Brignone, Rv. 229612; Sez. 3, n. 29667 del 14/6/2002, Arrostuto S, Rv. 222115; Sez. 3, n. 23766 del 23/3/2001, Capraro A, Rv. 219930).
 
Va peraltro osservato che, in altra occasione, una pronuncia di questa Corte ha ritenuto che il giudice del merito non può limitarsi a prendere atto della astratta possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’intervento abusivo, poiché l’esercizio discrezionale di tale facoltà deve essere effettuato (e necessariamente motivato) alla luce del giudizio prognostico di cui all’art. 164, cod. pen. e coniugarsi con la funzione special – preventiva dell’istituto, spiegando quindi perché si ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché, altrimenti, verrebbe meno ogni differenza tra l’ipotesi, facoltativa, di cui all’art. 165 cod. pen., comma 1, e quella, obbligatoria, di cui all’art. 165 cod. pen., comma 2 (Sez. 3, n. 17729 del 10/3/2016, Abbate e altro, Rv. 267027). 
 
Tale ultimo principio è stato seguito, senza ulteriori specificazioni, da successive pronunce (Sez. 3, n. 43576 del 30/09/2014, Principalli; Sez. 3, n. 30123 del 20/12/2016 (dep. 2017), Tuttoilmondo; Sez. 3, Sentenza n. 50767 del 08/11 /2016, Schettino, tutte non massimate), mentre in altre occasioni la questione non è stata presa in considerazione, limitandosi a richiamare i principi precedentemente affermati e dei quali si è già dato conto (ex pl. Sez. 3, n. 55515 del 08/11 /2017, Alfarano; Sez. 3, n. 52644 del 25/10/2017, Morsello Sez. 3, n. 45968 del 2017/2017, Caputo; Sez. 3, n. 28712 del 19/04/2017, Imperato; Sez. 7, n. 24390 del 05/04/2017, Giardina; Sez. 7, n. 20796 del 15/7 /2016 (dep 2017), Minolfo; Sez. 3, Sentenza n. 6037 del 24/11 /2016, ( dep. 2017), Viola, Sez. 7, Ordinanza n. 1536 7 del 21/10/2016 (dep. 2017), Tranchina, tutte non massimate).
 
In altra pronuncia, invece, l’obbligo di specifica motivazione è stato espressamente escluso, ricordando come detta motivazione debba ritenersi implicita nella stessa emanazione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza e sul presupposto che detto ordine ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse tutelato (Sez. U, n. 714 del 20/11 /1996 ( dep.1997), Luongo, Rv. 206659), con la conseguenza che, quando il giudice del merito subordina la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, egli non fa altro che rafforzare il contenuto della statuizione accessoria, esaltando contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell’articolo 165 del codice penale finalizzata all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine di demolizione, circostanza che rende perciò il condannato immeritevole della sospensione condizionale della pena (così Sez. 7, n. 9847 del 25/11 /2016 (dep.2017), Palma, Rv. 269208. Conf. Sez. 3 n. 7283 del 9/2/2018, Mistretta non ancora massimata).
 
Intendendo dare continuità al principio appena richiamato, nella citata sentenza 23189/2018 si osserva come la sentenza 17729\2016, nell’affermare l’obbligo della motivazione in caso di subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive, non tenga conto della possibilità di motivazione implicita, quale quella di cui è appena detto e, richiamando la necessità di una giustificazione da effettuarsi "alla luce del giudizio prognostico di cui all’art. 164, cod. pen." che deve "coniugarsi con la funzione special – preventiva dell’istituto", non offre ulteriori elementi per individuare entro quale ambito argomentativo possa formularsi una esplicita prognosi positiva di non recidività.
 
Si aggiunge che, quando un simile giudizio è stato materialmente espresso, ciò è avvenuto facendo riferimento, ad esempio, alla "particolare spregiudicatezza" ed al "totale spregio per i beni giuridici protetti dalla fattispecie incriminatrice" manifestati dagli imputati, ritenendo quindi che solo con la subordinazione del beneficio si potesse realizzare una presa dì coscienza del fatto e di conseguenza un effettivo ravvedimento (lo evidenzia Sez. 4, n.40713 del 19/04/2017, Chirico, non massimata, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto dalla sentenza n. 43576\2014, cit.), oppure riconoscendo soddisfatto l’obbligo di motivazione quando la subordinazione condizionale della pena è giustificata "con l’esigenza di assicurare una efficace tutela al bene protetto e di incentivare la acquisizione della consapevolezza della illiceità delle condotte, anche allo scopo di dissipare ogni dubbio in ordine alla indispensabile prognosi positiva circa le future condotte dell’imputato" (Sez. 7, n. 14336 del 20/1 /2017, Como, non massimata).
 
Si concludeva, pertanto, che tale valutazione oltre a poter essere implicitamente espressa nei termini di cui si è detto in precedenza, può anche ricavarsi aliunde nella complessiva motivazione effettuata dal giudice del merito, laddove questi abbia comunque espresso un giudizio di gravità del reato e di capacità a delinquere dell’imputato desunta attraverso i criteri specificati dall’art.133 cod. pen., che l’art. 164 cod. pen. richiama.
 
Nessuna censura, dunque, può essere mossa, anche sul punto, alla sentenza impugnata, la quale, peraltro, contiene esaustivi richiami alla gravità dei fatti ed alla finalità della subordinazione del beneficio alla demolizione quale unico strumento atto ad assicurare una qualche garanzia di resipiscenza degli imputati.
 
 
9. Resta da rilevare, quanto alla dedotta questione circa l’effettiva disponibilità o proprietà delle opere, ritenuta rilevante nel ricorso del MADIAGHELE al fine dell’adempimento della condizione apposta alla sospensione condizionale della pena, che essa potrà eventualmente essere posta in sede di esecuzione, non essendo possibile in questa sede effettuare verifiche circa la proprietà e disponibilità effettiva dell’area e delle opere.
 
 
10. Quanto alla responsabilità del MADIAGHELE, posta in dubbio nel guarto motivo di ricorso proposto nel suo interesse, va rilevato che la doglianza è formulata genericamente e si risolve nella mera contestazione delle conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale, conclusioni che, in ogni caso, diversamente da quanto sostenuto, sono supportate da idonea motivazione, la quale pone in evidenza il ruolo dell’imputato ed il fattivo contributo prestato alla consumazione dei reati, garantendo al RIBEZZO lo strumento giuridico per realizzare un intervento apparentemente legittimo e lecito.
 
 
11. Anche la posizione del MINGOLLA viene chiaramente definita nella sentenza impugnata, sicché le contestazioni mosse nel secondo motivo di ricorso dell’imputato appaiono anch’esse caratterizzate da manifesta infondatezza.
 
I giudici dell’appello hanno infatti dato atto di dati fattuali significativi, quali la posizione di progettista e direttore dei lavori risultante dai documenti in atti e la cura del frazionamento catastale dopo l’esecuzione degli interventi, ritenendo, del tutto coerentemente, irrilevante il fatto che il MADIAGHELE, committente formale, non abbia provveduto alla comunicazione di inizio lavori.
 
Il motivo di ricorso, inoltre, presuppone una rivalutazione dei dati documentali apprezzati dai giudici del merito non consentita nel giudizio di legittimità.
 
 
12. A conclusioni non dissimili deve pervenirsi con riferimento alla posizione del TAPPERI, che pure sottopone al giudizio di questa Corte una inammissibile rivalutazione delle emergenze processuali, dovendosi peraltro rilevare che, come correttamente osservato dalla Corte di appello, risulta del tutto inconferente il fatto che egli abbia curato l’esecuzione dei soli lavori dell’edificio principale, stante la totale illiceità delle opere eseguite.
 
Quanto appena osservato, peraltro, esclude ogni fondatezza dell’ulteriore censura in punto di dosimetria della pena.
 
L’inserimento dell’imputato nello specifico settore professionale dell’edilizia consentiva allo stesso, come rilevato nella sentenza impugnata, di avvedersi della effettiva tipologia e destinazione delle opere e della non conformità delle stesse alla disciplina urbanistica.
 
 
13. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
 
La Corte dispone inoltre che copia del presente dispositivo sia trasmessa alla amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico, RIBEZZO Massimo, a norma dell’art.70 d.lgs. 150\09.
 
Così deciso in data 9/7 /2018
 

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