Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 47229 | Data di udienza: 6 Novembre 2012

* RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Soglia minima di rilevanza penale della condotta – Valutazione complessiva – Requisiti della condotta – Nozione di ingenti quantitativi – Giudizio complessivo – Finalità perseguite dalla norma – Natura del reato e della pericolosità – Art. 260 D.Lgs. n.152/06DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni del perito d’ufficio difformi rispetto a quelle del consulente di parte – Poteri del giudice – Limiti alla motivazione.


Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Dicembre 2012
Numero: 47229
Data di udienza: 6 Novembre 2012
Presidente: Franco
Estensore: Ramacci


Premassima

* RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Soglia minima di rilevanza penale della condotta – Valutazione complessiva – Requisiti della condotta – Nozione di ingenti quantitativi – Giudizio complessivo – Finalità perseguite dalla norma – Natura del reato e della pericolosità – Art. 260 D.Lgs. n.152/06DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni del perito d’ufficio difformi rispetto a quelle del consulente di parte – Poteri del giudice – Limiti alla motivazione.



Massima

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 6 Dicembre 2012 (Ud. 6/11/2012) Ordinanza n. 47229

RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Soglia minima di rilevanza penale della condotta – Valutazione complessiva – Requisiti della condotta – Art. 260 d.lgs. n. 152/06.
 
L’apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta, contemplato nell’art. 260 del d.lgs. n. 152/06, deve essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a «più operazioni» ed all’«allestimento di mezzi e attività continuative organizzate» finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti. Tale valutazione complessiva, operata in concreto dal giudice, consente di superare agevolmente eventuali margini di incertezza proprio in ragione della sostanziale pianificazione e strutturale organizzazione della condotta che la norma richiede. La condotta deve essere, pertanto, oggettivamente valutata nel suo complesso anche in considerazione della indubbia natura di reato di pericolo presunto della violazione in esame, la cui previsione è finalizzata alla tutela della pubblica incolumità. Inoltre, i requisiti della condotta indicati dalla legge – compimento di più operazioni e allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti, quantitativo ingente di rifiuti e finalità di ingiusto profitto vanno considerati unitariamente e non singolarmente.
 
(conferma sentenza n. 369/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 16/05/2012) Pres. Franco, Est. Ramacci, Ric. De Pra’
 
 
RIFIUTI – Nozione di ingenti quantitativi – Giudizio complessivo – Finalità perseguite dalla norma – Natura del reato e della pericolosità – Art. 260 D.Lgs. n. 152/06.
 
La nozione di ingenti quantitativi (ex art. 260 del d.lgs. n. 152/06) non può essere individuata a priori attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare su un giudizio complessivo che tenga conto, anche in questo caso, delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l’ambiente e nell’ambito del quale l’elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento.

(conferma sentenza n. 369/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 16/05/2012) Pres. Franco, Est. Ramacci, Ric. De Pra’
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conclusioni del perito d’ufficio difformi rispetto a quelle del consulente di parte – Poteri del giudice – Limiti alla motivazione.
 
In caso di adesione alle conclusioni del perito d’ufficio rispetto a quelle, difformi, del consulente di parte, il giudice non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, essendogli solamente richiesto di dimostrare di avere comunque valutato le conclusioni del primo senza ignorare quelle del secondo, con la conseguenza che rileva il vizio di motivazione solo nel caso in cui le conclusioni del consulente di parte siano tali da dimostrare inconfutabilmente la fallacità di quelle del perito (Cass. Sez. I n. 25183, 17/6/2009; Cass. Sez. IV n. 34379, 11/8/2004; Cass. Sez. I n. 6528, 3/6/1998).

(conferma sentenza n. 369/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 16/05/2012) Pres. Franco, Est. Ramacci, Ric. De Pra’
 

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 6 Dicembre 2012 (Ud. 6/11/2012) Ordinanza n. 47229

SENTENZA

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA IM CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. AMEDEO FRANCO – Presidente
Dott. GIOVANNI AMOROSO – Consigliere
Dott. GUICLA MULLIRI – Consigliere 
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere  Rel. 
Dott. CHIARA GRAZIOSI – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
ORDINANZA
 
sul ricorso proposto da DE PRA’ GIOVANNI N. IL 28/07/1948
avverso la sentenza n. 369/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 16/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G.M. che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito, per la parte civile, l’Avv. //
Udit i difensor Avv. //
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 16.5.2012, ha riformato parzialmente la decisione con la quale, in data 8.3.2010, il Tribunale di Udine aveva riconosciuto Giovanni DE PRA’ responsabile del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 53-bis d.lgs. 22/1997, concretatosi, secondo la contestazione, nell’avere, in concorso con altri, quale direttore tecnico della s.r.l. So.Ge.Tec. e legale rappresentante della s.r.l. Ecoarena, organizzato un’attività finalizzata all’illecito smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti, consistenti in terre e rocce da scavo, prodotti da terzi e presentanti un carico inquinante tale da imporre il loro smaltimento in una discarica di categoria II tipo B-super, mentre, invece, attraverso diversi passaggi a società intermediarie e la contraffazione dei formulari e la soppressione delle analisi originarie, venivano smaltiti in una discarica di categoria tipo A, gestita dalla s.r.l. Cava Zof..
 
In particolare, l’impresa Mantovani, incaricata della sistemazione ambientale del Canale Brentella di Porto Marghera, incaricava la So.Ge.Tec. di smaltire i rifiuti derivanti da detta attività nell’impianto di inertizzazione gestito dalla Ecoarena per un importo pari a euro 67,00 per tonnellata, dove venivano inviati dalla So.Ge.Tec. e da dove, senza alcun trattamento, ripartivano, privi delle analisi originarie e con nuovi formulari in cui la Ecoarena figurava come produttore e, attraverso altri due intermediari (Eco.Tec e Ag.a.Vi.), venivano smaltiti nella discarica della Cava Zof..
 
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
 
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova, ravvisando nel testo della sentenza di primo grado ed in quella di appello palesi contraddizioni nei riferimenti alle certificazioni di analisi dei rifiuti avendo, in sostanza, entrambe le decisioni valorizzato la circostanza dell’anteriorità dei conferimenti dei rifiuti in discarica rispetto alla effettuazione delle analisi realizzate dal laboratorio «Chimica Servizi», mentre la sentenza di appello, a pag. 6, fa riferimento a rifiuti muniti di analisi, in realtà non ancora effettuate.
 
Aggiunge che tali analisi, in considerazione del momento della loro effettuazione, non avrebbero svolto alcun ruolo di agevolazione rispetto alla stipula dei diversi contratti tra le società predette.
 
Rileva inoltre che il suo personale coinvolgimento nella vicenda si sostanziava, di fatto, in una mera responsabilità di posizione, null’altro emergendo dagli atti.
 
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge in relazione alla ritenuta insussistenza del reato contestato per difetto dell’elemento oggettivo dell’attività organizzata «continuativa».
 
Osserva, a tale proposito, che il delitto contestato risulta consumato in un arco di tempo estremamente contenuto, tra il 4 ed il 6 luglio 2005 e che la reiterazione delle condotte non sarebbe, da sola, sufficiente ad integrare il delitto, essendo invece necessario che essa raggiunga una durata tale da consentire di ritenere sussistente un delitto abituale.
 
Rileva anche che difetterebbe, nella fattispecie, un apprezzabile arco di tempo entro il quale le attività organizzate di traffico illecito di rifiuti devono essere compiute affinché il delitto in contestazione sia integrato, venendo così meno la necessaria continuità di illeciti comportamenti che caratterizzerebbe il reato.
 
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando la insussistenza del delitto per difetto dell’essenziale requisito dell’ingente quantitativo di rifiuti, erroneamente valutato dai giudici del merito sulla base di una quantità di rifiuti trattata pari a sole 300 tonnellate, peraltro senza alcun riscontro alle considerazioni svolte dal consulente della difesa.
 
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
5. Il ricorso è infondato.
 
Occorre preliminarmente osservare che la Corte territoriale, oltre ad aver sostanzialmente riassunto, in termini generali, lo svolgimento dei fatti ricostruito nella sentenza di primo grado, con puntuali richiami ai riscontri emersi nel corso dell’istruzione dibattimentale, ha specificamente rinviato (pag. 7), come pure rilevato in ricorso, alla articolata motivazione del provvedimento impugnato.
 
6. Sulla base di tale rinvio e, segnatamente, in relazione ad osservazioni riguardanti alcune certificazioni di analisi, il ricorrente ritiene di individuare, nella sentenza impugnata, i profili di contraddittorietà enucleati nel primo motivo di  ricorso, in realtà del tutto insussistenti.
 
I giudici del merito hanno, in modo estremamente chiaro, evidenziato il sistema escogitato per l’illecito smaltimento di rifiuti, coincidente con la descrizione fornita nel campo di imputazione ed in precedenza indicato.
 
Per quanto concerne, in modo specifico, le certificazioni di analisi dei rifiuti, il giudice di prime cure si sofferma su alcune circostanze che chiaramente illustra.
 
In particolare, nel descrivere i fatti come risultanti dall’istruzione testimoniale, rileva che, all’atto di un controllo presso il sito di destinazione finale dei rifiuti (Cava Zof), dall’esame di alcuni formulari risultava, oltre ad una evidente correzione sul luogo di destinazione (originariamente indicato nell’impianto della Ecoarena, che era stato però sequestrato il 6.5.2005, nell’ambito di altro procedimento penale) l’assenza di indicazioni sull’apposita casella dedicata alle caratteristiche chimiche e fisiche del rifiuto e la dicitura «vedasi analisi allegate».
 
Dette analisi non erano però allegate ai formulari, ma venivano rinvenute, in un secondo momento, grazie alla collaborazione di un dipendente della Cava Zof e risultavano essere state effettuate dalla società Siemec su campione prelevato il 13.4.2005. Dai risultati delle analisi emergeva che il rifiuto presentava caratteristiche tali da non poter essere smaltito presso la Cava Zof.
 
Aggiunge il giudice di prime cure che, dopo il rinvenimento della certificazione ed a fronte dei rilievi formulati dagli operanti ai responsabili della Cava Zof, perveniva via fax, presso il Comando N.O.E. Dei Carabinieri di Udine, una diversa certificazione effettuata dalla Chimica Servizi in data 18.7.2005 ed attestante una classificazione dei rifiuti compatibile con la destinazione finale presso la Cava Zof (in altra parte della motivazione il giudice ricorda che detta certificazione era stata esibite dall’imputato in occasione di un accesso presso la comune sede delle società Agavi e So.Ge.Tec.).
 
Il giudice non pone in dubbio la correttezza delle analisi eseguite dalla Chimica Servizi, così come di quelle eseguite da altra società (Dealab) pure utilizzate per la classificazione dei rifiuti, ma ne evidenzia la assoluta incertezza circa la effettiva natura e provenienza del materiale analizzato.
 
Sulla base della differenza tra le certificazioni e su altre circostanze, quali la singolarità del fatto che quelle eseguite dalla Chimica Servizi risultavano commissionate non dal produttore di un rifiuto ma da un intermediario, che la data di consegna del campione era di due giorni successiva alla data di conferimento del rifiuto e che non erano state rinvenute all’atto del controllo presso la Cava Zof ma esibite successivamente, il giudice di prime cure evidenzia solo una tra le diverse tappe del complesso percorso argomentativo seguito per pervenire all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.
 
Altrettanto fanno i giudici del gravame, riportando, dopo il legittimo richiamo ai contenuti della sentenza impugnata, i dati salienti per una adeguata risposta alle doglianze mosse con l’atto di appello, peraltro dando atto che una parte delle conclusioni tratte all’esito del giudizio di primo grado non erano oggetto di contestazione da parte dell’appellante.
 
La Corte territoriale ha chiaramente indicato, sulla base di argomenti in fatto scevri da salti logici e palesi contraddizioni, le ragioni che hanno portato alla conferma dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, i rapporti intercorrenti tra questi e le diverse società coinvolte ed il ruolo avuto nello sviluppo degli eventi, con puntuale indicazione degli elementi di riscontro, tra i quali figurano anche, ma non solo, le diverse certificazioni sulle caratteristiche dei rifiuti, riferite a tre diversi laboratori.
 
In tale sviluppo motivazionale, esaustivo e coerente, questa Corte non rinviene alcun elemento di contraddizione che non può essere certo rappresentato, come avviene in ricorso, attraverso la mera estrapolazione di alcuni brani delle due decisioni, perché ne alterano il significato.
 
La richiesta che viene formulata, inoltre, si sostanzia in una inammissibile richiesta di valutazione alternativa delle risultanze processuali, preclusa, come è noto, al giudice di legittimità.
 
Ne consegue che la sentenza risulta, sul punto, del tutto immune da censure.
 
7. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo  di ricorso, laddove il ricorrente nega la configurabilità del reato per difetto del necessario requisito della continuità della condotta che ne caratterizza la natura di reato abituale.
 
Tale carattere, come pure osservato in ricorso, è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. III n. 29619, 27 luglio 2010; Sez. III n. 46705, 3 dicembre 2009).
 
Le richiamate decisioni non hanno però identificato il numero minimo di condotte necessarie per configurabilità del reato, mentre, in più occasioni, la dottrina ha affermato che esso debba individuarsi in almeno due, rinviando, come riferimento, ad una pronuncia di questa Corte (Sez. IV n. 28158, 16 luglio 2007) che però non contiene tale indicazione.
 
Con riferimento ad altra materia, la reiterazione di due sole condotte (di minaccia o molestia) è stata considerata idonea ad integrare, ad esempio, il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen. (Sez. V n. 6417, 17 febbraio 2010) rimediando, attraverso il riferimento al significato letterale del termine «reiterare», alla obbiettiva indeterminatezza della fattispecie incriminatrice.
 
Nel delitto contemplato dall’art. 260 del d.lgs. 152/06 ritiene, tuttavia, la Corte che l’apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta debba essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a «più operazioni» ed all’«allestimento di mezzi e attività continuative organizzate» finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti. Tale valutazione complessiva, operata in concreto dal giudice, consente di superare agevolmente eventuali margini di incertezza proprio in ragione della sostanziale pianificazione e strutturale organizzazione della condotta che la norma richiede. La condotta deve essere, pertanto, oggettivamente valutata nel suo complesso anche in considerazione della indubbia natura di reato di pericolo presunto della violazione in esame, la cui previsione è finalizzata alla tutela della pubblica incolumità. Inoltre, i requisiti della condotta indicati dalla legge – compimento di più operazioni e allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti, quantitativo ingente di rifiuti e finalità di ingiusto profitto ¬vanno considerati unitariamente e non singolarmente. Nella fattispecie, tale valutazione è stata svolta dai giudici del merito conformemente a legge.
 
La Corte territoriale ha dato infatti atto che, a fronte di un accordo che prevedeva il conferimento di ben 13.000 tonnellate di rifiuti, ne sono state smaltite presso il sito di destinazione finale circa 300 tonnellate, mediante 13 diversi conferimenti nell’arco di tempo compreso tra il 4 ed il 6 luglio 2005 e che le operazioni sono state interrotte a causa del sequestro dell’impianto della società Ecoarena nell’ambito di altro procedimento penale.
 
Tale considerazione tiene dunque conto complessivamente dei dati fattuali emergenti dall’istruzione dibattimentale e non si limita ad una verifica meramente quantitativa, peraltro già di per sé rilevante, riguardando con certezza una condotta plurisussistente sicuramente apprezzabile.
 
8. Altrettanto Corrette appaiono le conclusioni cui giunge la Corte territoriale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’ulteriore elemento dell’ingente quantitativo di rifiuti di cui si tratta nel terzo motivo di ricorso.
 
A tale proposito deve rilevarsi che, come osservato anche in ricorso, la giurisprudenza di questa Corte non offre riferimenti quantitativi che consentano di individuare la nozione di «ingente quantità» ma non tanto, come pure sostiene il ricorrente, per l’indeterminatezza del concetto espresso dalla norma quanto, piuttosto, perché, come pure si è avuto modo di affermare, tale verifica va effettuata tenendo conto che tale nozione, in un contesto che contempli anche le finalità della disposizione, deve riferirsi al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni, anche se queste ultime, considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta.
 
Ciò è chiaramente emerso allorquando si è esclusa la fondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame per violazione dell’art. 25 Cost. sul presupposto dell’asserita indeterminatezza del concetto di «ingente quantità» (Sez. III n.358, 8 gennaio 2008. V. anche Sez. III n. 47918, 16 dicembre 2003).
 
In altre occasioni si è affermato che il requisito dell’ingente quantitativo deve essere valutato caso per caso, traendo elementi di comparazione anche dalle previsioni di reati contravvenzionali in tema di rifiuti e, soprattutto, considerando la specificità ed autonomia delle singole figure (Sez. III n.4503, 3 febbraio 2006); che la nozione in esame è valutabile nella sua chiara locuzione come un cospicuo accumulo di rifiuti, indipendentemente dall’effettiva e concreta implicazione dei singoli carichi inquinanti (Sez. III n.45598, 16 dicembre 2005); che l’ingente quantità non può desumersi automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell’attività di gestione di rifiuti e che dev’essere accertata e valutata con riferimento al dato oggettivo della mole dei rifiuti non autorizzati abusivamente gestiti (Sez. III n. 30373, 13 luglio 2004).
 
9. Deve, in definitiva, rilevarsi che la nozione di ingenti quantitativi non può essere individuata a priori attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare, come già osservato in alcune tra le decisioni dianzi richiamate, su un giudizio complessivo che tenga conto, anche in questo caso, delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l’ambiente e nell’ambito del quale l’elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento.
 
Del resto, la peculiare formulazione della previsione normativa non consente soluzioni diverse, fondate sulla individuazione di valori preventivamente fissati, ma permette di effettuare un giudizio adeguato rispetto alle molteplici condotte che possono essere riferite all’ambito di operatività dell’art. 260 d.lgs. 152/06.
 
Si tratta, evidentemente, di un apprezzamento in fatto che è rimesso, anche in questo caso, al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esente da vizi logici o giuridici.
 
Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, anche con riferimento a tale ulteriore requisito i giudici di merito hanno proceduto ad un giudizio che, alla luce dei principi in precedenza richiamati, risulta conforme a legge ed adeguatamente motivato.
 
Non si sono infatti limitati a considerare il solo dato ponderale dei rifiuti illecitamente smaltiti, ma hanno valutato, ancora una volta con coerenza e logica, la natura del rifiuto ed il suo rilevante potenziale inquinante, le caratteristiche del sito di destinazione e le possibili conseguenze dovute al dilavamento per l’assenza di impermeabilizzazione, la sua collocazione in zona agricola nonché la obiettiva pericolosità della condotta posta in essere e la sua natura non occasionale.
 
Tale verifica è stata inoltre effettuata tenendo conto anche delle specifiche doglianze difensive in punto di valutazione del compendio probatorio, dando motivatamente atto del fatto che la decisione di primo grado aveva opportunamente esaminato anche gli elementi indicati dalla difesa.
 
Tale affermazione appare allineata ai principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di valutazione delle risultanze peritali ed obbligo di motivazione del giudice di merito, applicabili anche con riferimento alle relazioni dei consulenti delle parti processuali o di altri soggetti esperti.
 
Tale valutazione, si è affermato, costituisce giudizio di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità quando il giudice abbia dato compiutamente conto, in motivazione, delle ragioni per le quali abbia optato per la scelta ritenuta maggiormente condivisibile, del contenuto dell’opinione disattesa e delle eventuali deduzioni delle parti (Sez. IV n. 45126, 4 dicembre 2008; Sez. IV n. 11235, 9 dicembre 1997).
 
Si è poi precisato che, in caso di adesione alle conclusioni del perito d’ufficio rispetto a quelle, difformi, del consulente di parte, il giudice non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, essendogli solamente richiesto di dimostrare di avere comunque valutato le conclusioni del primo senza ignorare quelle del secondo, con la conseguenza che rileva il vizio di motivazione solo nel caso in cui le conclusioni del consulente di parte siano tali da dimostrare inconfutabilmente la fallacità di quelle del perito (Sez. I n. 25183, 17 giugno 2009; Sez. IV n. 34379, 11 agosto 2004; Sez. I n. 6528, 3 giugno1998).
 
Nella fattispecie, i giudici del merito hanno dato compiutamente conto del quadro complessivo ricavabile dall’istruzione dibattimentale fornendo ogni utile indicazione per ripercorrere l’iter logico seguito nell’apprezzamento delle diverse opinioni, attraverso una diffusa illustrazione degli aspetti concernenti la natura dei rifiuti, la loro provenienza e le analisi effettuate, il che rende non proponibile in questa sede la questione dedotta, sollevata peraltro in modo del tutto generico, attraverso la estrapolazioni di alcuni brani della deposizione di un teste consulente di parte e l’apodittica affermazione che quanto riferito avrebbe avuto un ruolo determinante.
 
9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
 
Così deciso il 6.11.2012
 
 

 

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