Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali,
Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 9348 |
Data di udienza: 9 Febbraio 2012
* DIRITTO URBANISTICO – Opere abusive – Committente, costruttore e direttore dei lavori – Responsabilità – Dovere di vigilanza nella esecuzione – Natura di reato “proprio” – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Demolizione e ricostruzione – DIA – Insufficienza – Necessità del permesso di costruire – Assenza di autorizzazione paesaggistica – Violazione delle prescrizioni di Piano territoriale paesistico – Art. 181 c.1 bis lett.b) D.L.vo 42/2004 – Artt. 10 c. 1 lett.c), 29, 44 e 72 DPR 380/01 – Interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Nozione di “ristrutturazione edilizia” – Nozione di “nuova costruzione” – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Rilettura degli elementi di fatto – Poteri e limiti del giudice.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 9 Marzo 2012
Numero: 9348
Data di udienza: 9 Febbraio 2012
Presidente: Petti
Estensore: Amoresano
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – Opere abusive – Committente, costruttore e direttore dei lavori – Responsabilità – Dovere di vigilanza nella esecuzione – Natura di reato “proprio” – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Demolizione e ricostruzione – DIA – Insufficienza – Necessità del permesso di costruire – Assenza di autorizzazione paesaggistica – Violazione delle prescrizioni di Piano territoriale paesistico – Art. 181 c.1 bis lett.b) D.L.vo 42/2004 – Artt. 10 c. 1 lett.c), 29, 44 e 72 DPR 380/01 – Interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Nozione di “ristrutturazione edilizia” – Nozione di “nuova costruzione” – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Rilettura degli elementi di fatto – Poteri e limiti del giudice.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 9 marzo 2012 (Ud. 9/2/2012), Sentenza n. 9348
DIRITTO URBANISTICO – Opere abusive – Committente, costruttore e direttore dei lavori – Responsabilità – Dovere di vigilanza nella esecuzione – Natura di reato “proprio” – Artt. 29 e 44 DPR n.380/01.
Il reato di cui all’
art. 44 D.P.R. n. 380/01 è reato “proprio”, dal momento che il precetto penale è diretto non a chiunque, ma soltanto a coloro che, in relazione all’attività edilizia, rivestono una determinata posizione giuridica o di fatto. Sicché, a norma dell’
art. 29 DPR n. 380/01, il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.
(annulla con rinvio sentenza dell’8.4.2011 Corte di Appello di Roma) Pres. Petti, Est. Amoresano, Ric. Bareato ed altro
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Demolizione e ricostruzione – DIA – Insufficienza – Necessità del permesso di costruire – Assenza di autorizzazione paesaggistica – Violazione delle prescrizioni di Piano territoriale paesistico – 181 c. 1 bis lett.b) D.L.vo 42/2004, 44 c. 1 lett.c) 72 DPR 380/01.
La ricostruzione di un “rudere” costituisce nuova costruzione e non ristrutturazione di edificio preesistente atteso che il concetto di ristrutturazione edilizia sottende necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, delle strutture orizzontali e della copertura (Cass.pen.sez.3 n.15054 del 23.1.2007; conf. Cass.pen.sez.3 n.20776 del 13.1.2006). Per cui, se il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincide, per volumetria o sagoma, con il manufatto preesistente, l’intervento deve essere qualificato come “nuova costruzione” e necessita delle relative autorizzazione paesaggistica e del permesso di costruire, non essendo sufficiente la semplice denuncia di inizio attività. Fattispecie: lavori edili in area vincolata, consistiti nella realizzazione in luogo di una fatiscente tettoia e previa rimozione della stessa, di un’opera nuova ad uso commerciale, completamente diversa da quella preesistente. Nel mentre, i reati di cui agli
artt.44 comma 1 lett.c) e 72 DPR 380/01 si erano estinti per prescrizione.
(annulla con rinvio sentenza dell’8.4.2011 Corte di Appello di Roma) Pres. Petti, Est. Amoresano, Ric. Bareato ed altro
DIRITTO URBANISTICO – Interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore – Denuncia di inizio attività (D.I.A.) – Nozione di “ristrutturazione edilizia” – Nozione di “nuova costruzione” – Art.10 c. 1 lett.c) DPR n.380/01.
In materia urbanistica, sono realizzabili con denuncia di inizio attività (D.I.A.) gli interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore, ovvero che comportano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti dell’immobile, e con conservazione della consistenza urbanistica iniziale, classificabili diversamente dagli interventi di ristrutturazione edilizia descritti dall’
art.10 comma 1 lett.c) DPR n.380/01, che portano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente con aumento delle unità immobiliari, o modifiche del volume, sagoma, prospetti e superfici, e per i quali è necessario il preventivo permesso di costruire (Cass.pen.sez. 3 23.1.2007 n.1893). Rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione dell’organismo edilizio preesistente purché con la medesima volumetria e sagoma. Ne consegue che, ove il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincida, per volumetria o sagoma, con il manufatto preesistente, l’intervento deve essere qualificato come “nuovo costruzione” e necessita del permesso di costruire, non essendo sufficiente la semplice denuncia di inizio attività (Cass.pen.sez.3 n.47046 del 26.10.2007; conf.Cass.sez.3 n.16393 del 17.2.2010). Mentre, rientra nella nozione di “nuova costruzione” l’intervento di demolizione e di successiva ricostruzione di un rudere, in quanto la demolizione per essere ricondotta alla nuova nozione legislativa di ristrutturazione edilizia deve essere contestualizzata temporalmente nell’ambito di un intervento unitario volto nel suo complesso alla conservazione di un edificio che risulti ancora esistente e strutturalmente identificabile al momento dell’inizio dei lavori (Cass. Pen. sez.3 n.14455 del 4.2.2003).
(annulla con rinvio sentenza dell’8.4.2011 Corte di Appello di Roma) Pres. Petti, Est. Amoresano, Ric. Bareato ed altro
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Rilettura degli elementi di fatto – Poteri e limiti del giudice.
Esula dai poteri del giudice di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass.sez.un.n.06402 del 2.7.1997).
(annulla con rinvio sentenza dell’8.4.2011 Corte di Appello di Roma) Pres. Petti, Est. Amoresano, Ric. Bareato ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 9 marzo 2012 (Ud. 9/2/2012), Sentenza n. 9348
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Ciro Petti – Presidente
Dott. Claudia Squassoni – Consigliere
Dott. Silvio Amoresano – Consigliere Rel.
Dott. Luigi Marini – Consigliere
Dott. Santi Gazzara – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposto da:
1) Bareato Massimo nato il 27.11.1965
2) Marcelli Camillo nato il 2.02.1943
3) Cacciani Enrico nato il 21.01.1944
– avverso la sentenza dell’ 8.4.2011 della Corte di Appello di Roma
– sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
– sentite le conclusioni del P.G.,dr. Alfredo Montagna, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi
– sentito il difensore, avv. Maria Antonella Mascaro anche in sostituzione dell’avv. Carlo Marchiolo, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi
OSSERVA
1) Con sentenza dell’8.4.2011 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma dell’8.4.2009, con la quale Bareato Massimo, Marcelli Camillo e Cacciavi Enrico erano stati condannati per i reati di cui agli artt.81 e 110 c.p,
181 comma 1 bis lett.b) D.L.vo 42/2004,
44 comma 1 lett.c, 72 DPR 380/01 (perché in concorso tra loro, il primo quale legale rappresentante della Flaminia Immobiliare Alberghiera srl e dunque quale committente, il terzo quale costruttore ed il secondo quale direttore dei lavori, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art.142 comma 1 lett. m) D.L.vo cit. e in violazione delle prescrizioni di Piano territoriale paesistico n.15/7 (che non consente nella fascia di tutela integrale, la variazione dei volumi esistenti), in assenza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire nonché senza averne fatto denuncia al competente ufficio tecnico, effettuavano lavori edili consistiti nella realizzazione, in luogo di una fatiscente tettoia e previa rimozione della stessa, di un capannone in materiale misto avente volume superiore a mc.3000), dichiarava non doversi procedere in relazione ai reati di cui agli
artt.44 comma 1 lett.c) e 72 DPR 380/01 perché estinti per prescrizione e, concesse le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena in mesi 8 di reclusione ciascuno, confermando nel resto.
Riteneva la Corte territoriale che i motivi di appello presentati dagli imputati non fossero idonei a scalfire la condivisibile motivazione della sentenza di primo grado. Risultava accertato, sulla base delle dichiarazioni del teste Miglio e dell’analisi comparativa delle aerofotogrammetrie della zona, che nel 2000 le foto rappresentavano una tettoia cadente senza chiusure laterali, nel 2004 un telo bianco ed il nudo terreno; nel 2006, nel corso dell’ispezione, era stato invece accertata presenza di un manufatto di 750 mq., con un’altezza variabile tra 4,50 e 5 metri e con una forma diversa. Era certo, quindi, che vi era stata demolizione del precedente manufatto e realizzazione di un’opera nuova ad uso commerciale, completamente diversa da quella preesistente.
Le dimensioni del nuovo manufatto importavano, poi, il superamento dei limiti previsti dall’
art.181 comma 1 bis lett.b) D.L.vo n.42/04, per cui era configurabile l’ipotesi contestata (trattandosi di opera nuova occorreva far riferimento alla cubatura del manufatto complessivamente considerato).
Per quanto riguardava la posizione specifica del Cacciavi e del Marcelli, riteneva la Corte territoriale infondate le doglianze difensive. L’operante De Nicola aveva affermato chiaramente che il Cacciani era il responsabile dell’impresa costruttrice. Il Marcelli, pur avendo asseverato e presentato la DIA, che peraltro non era idonea alla realizzazione dell’intervento, aveva contravvenuto al dovere di vigilanza nella esecuzione.
2) Propongono ricorso per cassazione (con atti separati) il Cacciani, il Marcelli ed il Bareato, a mezzo dei difensori, denunciando la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con rifermento all’
art.181 comma 1 bis e comma 1 quinquies D.L.vo 42/2004, all’
art.29 DPR n. 380/01, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Nonostante le specifiche censure contenute negli atti di appello, la Corte territoriale si è limitata illegittimamente a rinviare per relationem alla sentenza di primo grado. Certamente contraddittoria se non illogica è la motivazione in ordine alla preesistenza del manufatto, esclusa sulla base di elementi incerti o addirittura della “proiezione delle ombre”.
E’ opera nuova solo quella che è stata demolita e ricostruita in assenza di qualsiasi elemento strutturale. La Corte territoriale, pur non potendo escludere con certezza l’esistenza di una precedente tamponatura, ha ritenuto che fosse provata la demolizione del preesistente manufatto.
La Corte omette, inoltre, di esaminare il dato relativo all’eventuale differenza tra la volumetria del manufatto preesistente e di quello oggetto della ristrutturazione, ritenendolo ininfluente (benché indicato dal legislatore ai fini del perfezionamento dell’ipotesi di cui all’art.181 comma 1 bis). La ricostruzione ex novo del manufatto viene, però, affidata non a misurazioni rigorose ed oggettive, ma all’impressione soggettiva degli operanti. Né ha tenuto conto che la difesa aveva fornito ampia prova in ordine alla preesistenza dell’immobile ed alla mancanza di un aumento della cubatura (in sede di accatastamento nel 2004 la superficie era di 820 mq, che era stata ridotta, a seguito dei lavori di ristrutturazione, ad 800 mq); inoltre le differenze di altezza erano di modestissima entità.
Risultava chiaro, pertanto, che non vi era stato alcun aumento di cubatura che anzi aveva subito una riduzione, del resto, la P.A. ha escluso la sussumibilità dell’opera nella nozione di nuova edificazione, rilasciando permesso di riduzione in pristino limitatamente alla tamponatura in vetro ed alluminio. II che avrebbe dovuto piuttosto portare ad una declaratoria di estinzione per intervenuta rimessione in pristino.
In ordine alla posizione soggettiva del Cacciani, è stata affermata la responsabilità dello stesso sulla base delle dichiarazioni del teste De Nicola, che prima lo qualifica come capocantiere e poi come costruttore, e quindi senza alcun accertamento decisivo in ordine alla reale qualifica da lui rivestita.
Al Marcelli, poi, viene attribuita la qualifica di direttore dei lavori con motivazione viziata da erronea applicazione della norma penale e da manifesta illogicità. La DIA cui fa riferimento la Corte territoriale si riferisce esclusivamente ai lavori interni di posa dei servizi e dei rivestimenti e non invece ai lavori di ristrutturazione esterna, per cui, in mancanza di ulteriori elementi, non può attribuirsi al Marcelli la qualifica di direttore dei lavori in ordine ai quali sarebbe stato consumato il reato di cui al l’
art.181 contestato.
IN DIRITTO
Secondo tale norma la pena è della “reclusione” quando i lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici “ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’art.142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquantametri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore a mille metri cubi” (comma 1 bis lett.b). La norma, quindi, è chiarissima nel prevedere che, in presenza di “nuova costruzione”, per la configurabilità dell’ipotesi delittuosa è sufficiente il superamento della volumetria di mille metri cubi.
Si tratta, allora, di accertare se l’opera di cui alla contestazione costituisca nuova costruzione (agli imputati era stato contestato anche il reato di cui all’
art.44 comma 1 lett.c) DPR 380/01 per aver realizzato l’opera in questione in assenza di permesso di costruire; tale reato, pur ritenuto sussistente dai giudici di merito, è stato dichiarato prescritto e sul punto la sentenza non è stata neppure oggetto di gravame).
3.1) Per giurisprudenza consolidata di questa Corte sono realizzabili con denuncia di inizio attività (D.I.A.) gli interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore, ovvero che comportano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti dell’immobile, e con conservazione della consistenza urbanistica iniziale, classificabili diversamente dagli interventi di ristrutturazione edilizia descritti dall’
art.10 comma 1 lett.c) DPR n.380/01, che portano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente con aumento delle unità immobiliari, o modifiche del volume, sagoma, prospetti e superfici, e per i quali è necessario il preventivo permesso di costruire (cfr.ex multis Cass.pen.sez. 3 23.1.2007 n.1893).
E rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione dell’organismo edilizio preesistente purché con la medesima volumetria e sagoma. Ne consegue che, ove il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincida, per volumetria o sagoma, con il manufatto preesistente, l’intervento deve essere qualificato come “nuova costruzione” e necessita del permesso di costruire, non essendo sufficiente la semplice denuncia di inizio attività (cfr.in termini Cass.pen.sez.3 n.47046 del 26.10.2007; conf.Cass.sez.3 n.16393 del 17.2.2010).
La nozione di “nuova costruzione” è stata esaminata anche in relazione alle “caratteristiche” del preesistente manufatto e si è ritenuto che è tale “l’intervento di demolizione e di successiva ricostruzione di un rudere, in quanto la demolizione per essere ricondotta alla nuova nozione legislativa di ristrutturazione edilizia deve essere contestualizzata temporalmente nell’ambito di un intervento unitario volto nel suo complesso alla conservazione di un edificio che risulti ancora esistente e strutturalmente identificabile al momento dell’inizio dei lavori (Cass.pen.sez.3 n.14455 del 4.2.2003).
Sicchè la ricostruzione di un “rudere” costituisce nuova costruzione e non ristrutturazione di edificio preesistente atteso che il concetto di ristrutturazione edilizia sottende necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, delle strutture orizzontali e della copertura (cfr.Cass.pen.sez.3 n.15054 del 23.1.2007; conf .Cass.pen.sez.3 n.20776 del 13.1.2006).
3.2) La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali consolidati principi ed ha ritenuto, con motivazione puntuale ed immune da vizi logici, che l’opera realizzata e di cui alla contestazione costituisse “nuova costruzione”.
Sulla base di precise circostanze fattuali (e non certo di supposizioni o impressioni), emergenti dalle dichiarazioni del teste Miglio e dall’analisi comparativa delle aerofotogrammetrie della zona, ha accertato, richiamando anche la sentenza di primo grado, che nel 2000 vi era una tettoia cadente senza chiusure laterali, nel 2003 e 2004 si notava un manufatto privo di copertura all’interno del quale si notava il terreno e l’erba, e solo nel 2006 era stata accertata la presenza di un manufatto di 750 mq., con un’altezza variabile tra i 5 metri e 4,50 metri e con una forma diversa (pag.5 sent.Trib e pag.4 sent.App).
Non essendo, palesemente, il preesistente manufatto un organismo edilizio strutturalmente identificabile (con mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura) la demolizione e ricostruzione dello stesso costituiva, comunque, “nuova costruzione”.
I Giudici di merito hanno poi accertato che tale opera superasse abbondantemente il limite di mille metri cubi previsto dall’art.181 bis comma 1 bis lett.a), per cui non risultavano necessarie particolari misurazioni e tanto meno una consulenza tecnica.
Le censure sollevate dai ricorrenti, in ordine all’accertamento in fatto dei Giudici di merito i non tengono conto che il sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice si i avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. un. n.06402 del 2.7.1997).
Trattandosi di nuova costruzione, del tutto improprio è poi, il richiamo all’art.1 quinquies in relazione alla dedotta rimessione in pristino della tamponatura in vetro ed alluminio.
4) Quanto alle posizioni soggettive degli imputati, è pacifico che il reato di cui all’
art.44 DPR 380/01 è reato “proprio”, dal momento che il precetto penale è diretto non a chiunque, ma soltanto a coloro che, in relazione all’attività edilizia,
rivestono una determinata posizione giuridica o di fatto. A norma dell’art.29 DPR cit., infatti, il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo”.
Il Bareato non muove alcuna contestazione in ordine alla sua qualità di committente delle opere, per cui l’esame va limitato alle censure sollevate con i ricorsi del Cacciani e del Marcelli.
La Corte territoriale ha, senza esaminare in modo approfondito le risultanze processuali, in modo sbrigativo ritenuto che il Cacciani fosse il responsabile dell’impresa esecutrice dei lavori. Si è limitata, in proposito, a far riferimento alla testimonianza dell’operante De Nicola, senza tener conto che il Tribunale, nel riportare le dichiarazioni del medesimo De Nicola, si era così espresso: “Ha dichiarato il teste di ricordare che sul posto aveva identificato colui che stava eseguendo le opere il Cacciani, che era il capocantiere..” (cfr.pag.2 sent.Trib.)
Anche in relazione alla posizione del Marcelli la motivazione è apodittica e perplessa, avendo la Corte territoriale desunto la qualità di direttore dei lavori dalla circostanza che il predetto aveva presentato una DIA “strumento non idoneo alla realizzazione dell’intervento, in violazione della normativa vigente e contravvenendo al dovere di vigilanza che il legislatore gli riconosce”.
Non spiega però la Corte territoriali quali lavori prevedesse la DIA presentata dal Marcelli e l’epoca in cui era stata presentata e, quindi, non chiarisce il “rapporto” tra detti lavori e quelli di cui alla contestazione.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente alle posizioni del Marcelli e del Cacciani, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. I Giudici del rinvio, pur potendo pervenire alle medesime conclusioni della sentenza annullata, accerteranno, motivando adeguatamente, se i predetti rivestivano la qualifica loro contestata di, rispettivamente, direttore ed esecutore dei lavori.
P. Q. M.
Annulla, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di Marcelli Camillo e Cacciani Enrico. Rigetta il ricorso di Bareato Massimo che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2012