Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 45282 | Data di udienza: 27 Ottobre 2015

DIRITTO URBANISTICO – Destinazione urbanistica di un edificio – Criterio della funzionalità dell’opera in relazione alle potenzialità di impiego – Nozione di “carico urbanistico” – Aggravamento del carico urbanistico – Verifica e rilevanza della nuova costruzione in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. – Elemento c. d. primario e secondario di servizio – Artt. 324 cod. proc. pen., 349 cod. pen. e 44 e 33, d.P.R. n. 380 del 2001DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Carico urbanistico – Pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato – Requisito della concretezza – Ipotesi di sequestro preventivo di immobile abusivo – Sequestro – Accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti – Congruità degli elementi rappresentati – Nozione di violazione di legge e ricorso per cassazione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione:
Numero: 45282
Data di udienza: 27 Ottobre 2015
Presidente: Franco
Estensore: Scarcella


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – Destinazione urbanistica di un edificio – Criterio della funzionalità dell’opera in relazione alle potenzialità di impiego – Nozione di “carico urbanistico” – Aggravamento del carico urbanistico – Verifica e rilevanza della nuova costruzione in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. – Elemento c. d. primario e secondario di servizio – Artt. 324 cod. proc. pen., 349 cod. pen. e 44 e 33, d.P.R. n. 380 del 2001DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Carico urbanistico – Pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato – Requisito della concretezza – Ipotesi di sequestro preventivo di immobile abusivo – Sequestro – Accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti – Congruità degli elementi rappresentati – Nozione di violazione di legge e ricorso per cassazione.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ Ud.27/10/2015 Sentenza n.45282

 

DIRITTO URBANISTICO – Destinazione urbanistica di un edificio – Criterio della funzionalità dell’opera in relazione alle potenzialità di impiego – Nozione di “carico urbanistico” – Aggravamento del carico urbanistico – Verifica e rilevanza della nuova costruzione in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. – Elemento c. d. primario e secondario di servizio – Artt. 324 cod. proc. pen., 349 cod. pen. e  44 e 33, d.P.R. n. 380 del 2001.

La destinazione urbanistica di un manufatto non deve mai essere apprezzata in concreto, ossia con riguardo al momento dell’accertamento di P.G., né tanto meno deve essere apprezzata in base alla destinazione soggettivamente data dal proprietario all’uso della struttura abusiva, ma dev’essere apprezzata in astratto, vale a dire tenendo conto della funzionalità dell’opera in relazione alle potenzialità di impiego della stessa. Pertanto, l’aggravamento del carico urbanistico è stato riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi di realizzazione di opere interne comportanti il mutamento della originaria destinazione d’uso di un edificio (Sez. III n. 22866, 13 giugno 2007; conf. Sez. IV n. 34976, 28 settembre 2010). Ipotesi specifiche di incidenza dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il contenuto dell’articolo 41sexies Legge 17 agosto 1942, n. 1150 come modificato dalle leggi 12289 e 2465 che richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (Sez. III n. 284799, cit.); la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (Sez. III n.228667, cit.); l’ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (Sez. III, n. 34142, 23 settembre 2005). In conclusione, sulla nozione di “carico urbanistico”, vengono fornite puntuali indicazioni, osservando, testualmente, che “(…) questa nozione deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c. d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (Opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio.

 

DIRITTO URBANISTICO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Carico urbanistico – Pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato – Requisito della concretezza – Ipotesi di sequestro preventivo di immobile abusivo.

Il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione (Sez.III n. 4745, 30 gennaio 2008; conf. Sez. VI n. 21734, 29/05/2008; Sez. Il n. 17170, 5/05/2010) e chiarendo che, a tal fine, l’abuso va considerato unitariamente (Sez. III n. 28479, 10/07/2009; Sez. III n. 18899, 9/05/2008). Sicché, il reato di cui all’art. 349 cod. pen., nell’ipotesi di sequestro preventivo di immobile abusivo disposto al fine di impedirne l’ultimazione, è integrato dalla rimozione o la distruzione dei sigilli apposti, nonché da ogni condotta di modifica dell’immobile che, pur lasciando intatti i sigilli, sia idonea a frustarne le finalità di assicurazione della cosa, con la conseguenza che, una volta avvenuta l’ultimazione dell’opera, e, quindi, terminata l’illecita attività edificatoria che l’apposizione dei sigilli era diretta ad impedire, rimane irrilevante il successivo utilizzo dell’immobile ai fini abitativi (Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014 – dep. 09/07/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260499).

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro – Accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti – Congruità degli elementi rappresentati.

La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 – dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 – dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (per tutti: Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 – dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657). E, in tale contesto, la più recente giurisprudenza di legittimità, ha precisato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benché gli sia precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del “fumus” del reato ipotizzato, con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014 – dep. 11/04/2014, Di Salvo, Rv. 259337).

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione di violazione di legge e ricorso per cassazione.

Nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall’art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, 1° co., lett. e), cod. proc. pen. (v., tra le tante: Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009 – dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).


(Inamm. ricorso avverso ordinanza del tribunale del riesame di NAPOLI in data 22/04/2015) Pres. FRANCO AMEDEO, Rel. SCARCELLA ALESSIO, Ric. MAGLIONE


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ Ud.27/10/2015 Sentenza n.45282

SENTENZA

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ Ud.27/10/2015 Sentenza n.45282
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
 
– Sul ricorso proposto da: – MAGLIONE STEFANIA, n. 4/04/1984 a Napoli;
– avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di NAPOLI in data 22/04/2015; 
– visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; 
– udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella; 
– udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa M. Di Nardo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; 
– udite, per la ricorrente, le conclusioni dell’Avv. D. Di Bonito, che ha chiesto accogliersi il ricorso; 
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza emessa in data 22/04/2015, depositata in data 28/04/2015, il tribunale del riesame di NAPOLI rigettava l’istanza presentata nell’interesse di MAGLIONE STEFANIA confermando il decreto di sequestro preventivo emesso in data 17/03/2015 dal GIP presso il medesimo tribunale avente ad oggetto un manufatto di oltre 130 mq. sottoposto a sequestro d’urgenza in data 8/03/2015 dalla Polizia municipale di Quarto (NA) in quanto eseguito in assenza di titolo abilitativo, manufatto che risultava ultimato all’atto dell’accesso della polizia municipale, procedendo in particolare per i reati di cui agli artt. 349 cod. pen. e 44, d.P.R. n. 380 del 2001 a carico dell’indagata. 
 
2. Ha proposto ricorso MAGLIONE STEFANIA a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando l’ordinanza predetta con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 324 cod. proc. pen., 349 cod. pen. e 33, d.P.R. n. 380 del 2001. In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per aver confermato il disposto sequestro in difetto del periculum in mora; rileva la ricorrente che dal verbale dì sequestro eseguito d’iniziativa dalla PG in data 13/03/2015 risultò accertato il completamento in violazione dei sigilli già apposti in data 8/03/2014 e senza p.d.c., del manufatto in questione, che si presentava rifinito sia internamente che esternamente; all’udienza camerale tenutasi davanti al tribunale del riesame in data 22/04/2015, la difesa produceva istanza di accertamento di conformità, limitando la discussione al solo profilo del periculum in mora; secondo la ricorrente l’ordinanza sarebbe meritevole di annullamento in quanto l’opera abusivamente realizzata su area non sottoposta a vincolo, di modeste dimensioni e destinata a soddisfare la primaria esigenza abitativa del nucleo familiare, già ultimata e rifinita, non può dirsi impattare negativamente sul carico urbanistico, legittimando il mantenimento del vincolo cautelare; né, si aggiunge, l’utilizzazione del manufatto potrebbe protrarre le conseguenze del reato, non determinando alcuno squilibrio nel rapporto tra strutture secondarie di servizio ed il numero degli abitanti in quella zona. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è manifestamente infondato. 
 
4. Occorre premettere che, nel caso in esame, le censure avverso il provvedimento impugnato sono esperibili nei ristretti limiti indicati dall’art. 325 cod. proc. pen. che, com’è noto prevede che «Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge». L’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., dunque, prevede che il ricorso in cassazione avvenga per violazione di legge. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall’art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, 1° co., lett. e), cod. proc. pen. (v., tra le tante: Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009 – dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916). 
 
5. Il controllo della Corte di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 – dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 – dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). La delibazione non può estendersi neppure all’elemento psicologico del reato e alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare; in altri termini, quindi, non è possibile che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell’impugnazione. Ciò, peraltro, non significa che il giudice debba acriticamente recepire esclusivamente la tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività. Alla Corte di Cassazione è, infatti, attribuito, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (per tutti: Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 – dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657). E, in tale contesto, la più recente giurisprudenza di legittimità, ha precisato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benché gli sia precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del “fumus” del reato ipotizzato, con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014 – dep. 11/04/2014, Di Salvo, Rv. 259337). 
 
6. Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti di cautela reale, è dunque evidente come, nel caso in esame, non sia possibile da parte del Collegio esercitare il sindacato richiesto dalla ricorrente avverso l’impugnata ordinanza. Ed infatti, le censure della difesa, più che prospettare un vizio di “violazione di legge” inteso nei limiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si risolvono in una critica, ancorchè ragionata, al procedimento valutativo attraverso il quale il tribunale del riesame ha ritenuto come – rebus sic stantibus – non sussistessero elementi sufficienti per poter ritenere ictu oculi mancante non solo il fumus (non contestato dalla ricorrente), ma anche il periculum in mora, avendo motivato i giudici della cautela reale le ragioni della necessità di mantenere il vincolo per evitare che la libera disponibilità del manufatto abusivo aggravasse le conseguenze dei reati ipotizzati. Come emerge dalla lettura dell’impugnata ordinanza, il tribunale del riesame ha evidenziato come il manufatto, destinato a civile abitazione, determina una rilevante lesione dell’equilibrio urbanistico e del territorio, tale da rendere necessaria l’adozione del provvedimento di cautela reale; i giudici hanno rilevato come sono certamente esplicazione di un maggior carico urbanistico le opere che determinano, ancor prima di nuovi volumi, nuove superfici, così incidendo inevitabilmente sugli standard urbanistici, derivando l’incidenza – quanto ai parametri della struttura e della volumetria – da qualsivoglia tipo di insediamento, sia residenziale che produttivo; del resto, hanno aggiunto i giudici del riesame, la destinazione urbanistica di un manufatto non deve mai essere apprezzata in concreto, ossia con riguardo al momento dell’accertamento di P.G., né tanto meno deve essere apprezzata in base alla destinazione soggettivamente data da parte dell’indagato all’uso della struttura abusiva, ma dev’essere apprezzata in astratto, vale a dire tenendo conto della funzionalità dell’opera in relazione alle potenzialità di impiego della stessa; e, sul punto, concludono i giudici della cautela, un immobile destinato a civile abitazione, comporta senz’altro un nuovo e maggior accesso in loco, incidendo sui parametri urbanistici degli indici residenziali fino alla richiesta di nuove strutture secondarie. 
 
7. A fronte di tale quadro, lo sviluppo contenutistico dell’impugnazione cautelare di legittimità come proposta dalla ricorrente investe all’evidenza il percorso logico motivazionale, piuttosto che un errore di diritto, con cui i giudici della cautela hanno ritenuto che gli elementi in atti non consentissero di ritenere insussistenti le esigenze cautelari. Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente risolto la questione della applicabilità del sequestro preventivo all’immobile ultimato riconoscendo la validità dell’orientamento che ne riteneva l’ammissibilità. In tale decisione si afferma che il giudice di merito deve valutare attentamente e, conseguentemente, motivare, la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene pertinente al reato, considerando, in particolare, “la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell’indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l’attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività”. A titolo di esempio, con specifico riferimento all’incidenza sul carico urbanistico, si aggiunge che la delibazione in fatto sotto tale profilo deve essere effettuata considerando la consistenza reale e l’intensità del pregiudizio temuto, tenendo conto della situazione esistente al momento dell’adozione della misura. 
 
8. Sulla nozione di “carico urbanistico”, peraltro, vengono fornite puntuali indicazioni, osservando, testualmente, che “(…) questa nozione deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c. d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (Opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standard urbanistici di cui al D.M 2,4.1968 n. 1444 che richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell’esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26 L. n. 47/1985 e art. 4 comma 7 1. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell’immobile; e) nell’esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 L. n. 47/1985 e art. 4 L. 493/1993)”. Sulla scia di tali condivisibili rilievi, altre decisioni successive hanno ulteriormente delineato i termini della questione, richiamando l’attenzione sulla circostanza che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione (Sez.III n. 4745, 30 gennaio 2008; conf. Sez. VI n. 21734, 29 maggio 2008; Sez. Il n. 17170, 5 maggio 2010) e chiarendo che, a tal fine, l’abuso va considerato unitariamente (Sez. III n. 28479, 10 luglio 2009; Sez. III n. 18899, 9 maggio 2008). L’aggravamento del carico urbanistico è stato riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi di realizzazione di opere interne comportanti il mutamento della originaria destinazione d’uso di un edificio (Sez. III n. 22866, 13 giugno 2007; conf. Sez. IV n. 34976, 28 settembre 2010). Nelle menzionate pronunce vengono, inoltre, indicate ipotesi specifiche di incidenza dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il contenuto dell’articolo 41 sexies Legge 17 agosto 1942, n. 1150 come modificato dalle leggi 122\89 e 246\05 che richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (Sez. III n. 28479\09, cit.); la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (Sez. III n.22866\07, cit.); l’ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (Sez. III, n. 34142, 23 settembre 2005). 
 
9. La menzionata giurisprudenza, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, ha dunque chiaramente individuato entro quale ambito può procedersi ad una corretta valutazione dei presupposti per l’applicazione del sequestro preventivo con riferimento all’aggravio del carico urbanistico. Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, tale verifica era stata correttamente operata dal G.I.P., il quale aveva adeguatamente considerato la consistenza delle opere eseguite e la concreta rilevanza delle stesse. Invero, la semplice descrizione degli interventi riportata nello stesso ricorso (manufatto di circa 130 mq. composto da solo p.t. su camera d’aria, con struttura portante in cemento con solaio di calpestio in c.a., tetto in legno lamellare isotech e tegole, rifinito con pitturazione sia all’esterno che all’interno, con installazione di porte interne ed ultimazione degli impianti tecnologici, pavimentazione e bagni) chiarisce che si tratta della creazione ex novo, di un manufatto prima non esistente, destinato ad esigenze abitative (e, quindi, con vocazione residenziale), con conseguente compromissione dell’assetto imposto al territorio attraverso la pianificazione. 
 
10. Sul punto non rileva né la circostanza che sia stata presentata istanza di accertamento di conformità (posto che la presentazione della domanda di condono edilizio ovvero il deposito dell’istanza di accertamento di conformità non impediscono all’autorità giudiziaria il compimento di atti urgenti, qual’è il sequestro preventivo, sia perchè la predetta misura cautelare reale ha il solo scopo di lasciare inalterata la situazione ovvero impedire la prosecuzione dell’opera abusivamente realizzata, sia perchè ai fini dell’estinzione del reato è necessaria una formale dichiarazione: Sez. 3, n. 32201 del 28/06/2007 – dep. 07/08/2007, Boccia, Rv. 237218), né il successivo utilizzo dell’immobile ai fini abitativi, laddove si consideri che il sequestro è stato disposto sia per la violazione dell’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 che per la violazione dell’art. 349 cod. pen., atteso che le ragioni che ne avevano legittimato l’esecuzione d’urgenza in data 13/03/2015 erano legate all’accertato completamento, in violazione dei sigilli già apposti in data 8/03/2014, dei lavori abusivi in quanto non assentiti da alcun titolo abilitativo (nella specie, trattandosi di nuova costruzione, non v’è dubbio trattarsi del permesso di costruire). Orbene, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il reato di cui all’art. 349 cod. pen., nell’ipotesi di sequestro preventivo di immobile abusivo disposto al fine di impedirne l’ultimazione, è integrato dalla rimozione o la distruzione dei sigilli apposti, nonché da ogni condotta di modifica dell’immobile che, pur lasciando intatti i sigilli, sia idonea a frustarne le finalità di assicurazione della cosa, con la conseguenza che, una volta avvenuta l’ultimazione dell’opera, e, quindi, terminata l’illecita attività edificatoria che l’apposizione dei sigilli era diretta ad impedire, rimane irrilevante il successivo utilizzo dell’immobile ai fini abitativi (Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014 – dep. 09/07/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260499). 
 
11. Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00). 
 
P.Q.M. 
 
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 27/10/2015 
 

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