Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 9046 |
Data di udienza: 11 Gennaio 2019
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Volumi tecnici – Parametri identificativi – Rapporto di strumentalità – Impossibilità di elaborare soluzioni progettuali diverse – Rapporto di proporzionalità tra esigenze edilizie e volumi – Costante orientamento giurisprudenziale – Giurisprudenza amministrativa – Reati urbanistici – Opere interne – Mutamento di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome – Permesso di costruire – Necessità – Interventi di ristrutturazione urbanistica con variazione tra categorie non omogenee – Destinazione d’uso – Interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere edilizie – Variazione di superficie o del carico urbanistico – Interventi subordinati a permesso di costruire – Artt. 3, 10, 22, 23 ter, 32, 44, lett. b), DPR n. 380/2001.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 7^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Marzo 2019
Numero: 9046
Data di udienza: 11 Gennaio 2019
Presidente: RAMACCI
Estensore: SCARCELLA
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Volumi tecnici – Parametri identificativi – Rapporto di strumentalità – Impossibilità di elaborare soluzioni progettuali diverse – Rapporto di proporzionalità tra esigenze edilizie e volumi – Costante orientamento giurisprudenziale – Giurisprudenza amministrativa – Reati urbanistici – Opere interne – Mutamento di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome – Permesso di costruire – Necessità – Interventi di ristrutturazione urbanistica con variazione tra categorie non omogenee – Destinazione d’uso – Interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere edilizie – Variazione di superficie o del carico urbanistico – Interventi subordinati a permesso di costruire – Artt. 3, 10, 22, 23 ter, 32, 44, lett. b), DPR n. 380/2001.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.7^ 01/03/2019 (Ud. 11/01/2019), Ordinanza n.9046
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Volumi tecnici – Parametri identificativi – Rapporto di strumentalità – Impossibilità di elaborare soluzioni progettuali diverse – Rapporto di proporzionalità tra esigenze edilizie e volumi – Costante orientamento giurisprudenziale – Giurisprudenza amministrativa.
In materia urbanistica, per l’identificazione dei volumi tecnici va fatto riferimento a tre ordini di parametri. Il primo ha carattere positivo ed è di tipo funzionale, dovendo sussistere un rapporto di strumentalità necessaria del volume tecnico con l’utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo hanno carattere negativo e sono collegati: all’impossibilità di elaborare soluzioni progettuali diverse all’interno della parte abitativa, per cui tali volumi devono essere ubicati solo all’esterno; ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra le esigenze edilizie ed i volumi, che devono limitarsi a contenere gli impianti serventi della costruzione principale e devono essere completamente privi di una propria autonomia funzionale, anche solo potenziale. (TAR Napoli n. 3490/2015 e n. 4132/2013; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 175/2015 e n. 1512/2014; Consiglio di giustizia amministrativa, sent. n. 207/2014). È stato in particolare escluso che possa considerarsi volume tecnico un locale con requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre, essendo questa "una operazione in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da non privare l’ambiente della sua intrinseca qualità abitativa" (Consiglio di Stato, sezione VI, n. 2825/2014). Come pure è stato ritenuto che la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna, costituisse "indice rilevatore dell’intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati" (C.G.A., sentenza n. 207/2014; C.d.S., sez. IV, sentenza n. 3666/2013; Tar Puglia-Lecce, sez. III, n. 2170/2011).
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati urbanistici – Opere interne – Mutamento di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome – Permesso di costruire – Necessità – Interventi di ristrutturazione urbanistica con variazione tra categorie non omogenee.
Le opere interne e gli interventi di ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, ai sensi della normativa edilizia (art. 3 comma 1, lettere a e c del T.U. n. 380 del 2001, in combinato disposto con l’art. 10 comma 1, lett. c e con l’art. 23 ter del medesimo T.U.), necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qualvolta comportino mutamento di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome (T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 04/04/2017, n.4225). Pertanto, costituisce mutamento di destinazione d’uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, la destinazione abitativa di un sottotetto che secondo gli strumenti urbanistici abbia soltanto una funzione tecnica, implicando una variazione tra categorie non omogenee.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Destinazione d’uso – Interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere edilizie – Variazione di superficie o del carico urbanistico – Interventi subordinati a permesso di costruire – Artt. 3, 10, 22, 23 ter, 32, 44, lett. b), DPR n. 380/2001.
In tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d’uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo irrilevanti le modifiche apportate dall’art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all’art. 3 del d.P.R. n.380/2001 che, nell’estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d’uso (Cass. Sez. 3, n. 3953/2015, Statuto).
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 11/04/2018 – CORTE APPELLO di MESSINA) Pres. RAMACCI, Rel. SCARCELLA, Ric. Scarpulla
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.7^ 01/03/2019 (Ud. 11/01/2019), Ordinanza n.9046
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.7^ 01/03/2019 (Ud. 11/01/2019), Ordinanza n.9046
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SETTIMA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da SCARPULLA MARIA GIUSEPPA nata a BARCELLONA POZZO DI GOTTO;
avverso la sentenza del 11/04/2018 della CORTE APPELLO di MESSINA;
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Messina, con sentenza 11.04.2018 confermava la sentenza 19.12.2016 del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, appellata dalla Scarpulla, che l’aveva condannata alla pena di 2 mesi di arresto ed € 9000,00 di ammenda, con il concorso di attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati ascritti, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 44, lett. b), DPR n. 380 del 2001, così qualificato giuridicamente il fatto sub a), nonché del reato di cui agli artt. 93, 94 e 95, TU edilizia, riconoscendo il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
2. Con il ricorso per cassazione, articolato con quattro motivi, il difensore iscritto all’Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deduce:
1) violazione di legge in relazione agli artt. 521, co. 2 e 522, c.p.p. (si censura la sentenza impugnata laddove il giudice avrebbe dovuto dichiarare la nullità del d.c. a giudizio per l’assoluta genericità della contestazione, e rimettere gli atti al PM per una nuova contestazione; in particolare, ponendo a raffronto la originaria contestazione e quella risultante dalla modifica dell’imputazione, operata in data 27.10.2015, si rileva come il fatto contestato da ultimo è diverso da quello contestato con l’ordinario d.c. a giudizio, con cui veniva addebitata la costruzione di un immobile e di un sottotetto, laddove nella contestazione modificata la
condotta consiste nella modifica della destinazione d’uso del piano sottotetto mediante la realizzazione di impianti elettrici ed altro);
2) violazione di legge in relazione all’art. 3, co. 1, lett. b), TU Edilizia, come modificato dagli artt. 17 e 17bis, d.l. n. 1333 del 2014, conv. con modd. in legge n. 164 del 2014 (si censura la sentenza impugnata perché non si sarebbe tenuto conto del fatto che il sottotetto in questione era posto sopra l’appartamento dell’imputata ubicato al primo piano e che i due corpi di fabbrica sono collegati da una botola, e che, ai sensi della modifica legislativa, è comunque possibile accorpare il sottotetto con l’unità abitativa sottostante senza la necessità di permesso di costruire);
3) vizio di contraddittorietà della motivazione, anche ai sensi dell’art. 125, c.p.p. (i giudici di appello avrebbero ritenuto provata la modifica della destinazione d’uso del locale sottotetto sul presupposto che il locale si rinveniva interamente rifinito e che erano presenti luci apribili con infissi, ed ulteriore locale destinato a bagno, rafforzando i giudici di appello il proprio convincimento con l’indicazione del fascicolo fotografico che avrebbe comprovato la modifica della destinazione d’uso; diversamente, si sostiene che anche richiamando la giurisprudenza in materia, detta modifica di destinazione d’uso è possibile solo sulla base dell’individuazione di elementi univocamente significativi, propri del diverso uso cui l’opera è destinata e non coerenti con l’originaria destinazione della medesima, elementi nella specie mancanti; non si sarebbe tenuto conto in particolare del fatto che il vano sottotetto era costituito da un unico vano e che le luci esistenti erano già realizzate, nonché del fatto che con l’autorizzazione del 2008 l’imputata aveva già ammodernato il sottotetto ed in prosecuzione temporale nel 2012 stava ammodernando il primo piano; la mera sostituzione del pavimento, degli infissi o la tinteggiatura degli interni, a giudizio della ricorrente, nulla avrebbe tolto o aggiunto alla destinazione d’uso del sottotetto, non avendo tenuto conto la Corte d’appello di una serie di elementi, descritti alle pagg. 7/9 del ricorso, che avrebbero condotto ad una diversa valutazione; in altri termini, a fronte di una mancata prova della modifica strutturale del piano sottotetto sotto il profilo della altezza, la mera presenza di impianti tecnologici sottotraccia non consentirebbe da sola di poter affermare che l’imputata abbia modificato la destinazione d’uso del vano sottotetto, né questo si desume dalla realizzazione delle opere di ammodernamento dello stesso);
4) violazione di legge in relazione all’art. 157, c.p. (si censura la sentenza per non aver dichiarato estinte le contravvenzioni contestate alla data del 3.12.2017; erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto sospeso il termine di prescrizione per gg. 185 considerate le sospensioni nel giudizio di primo grado che, invece, sarebbero complessivamente pari a gg. 154, tenuto conto del rinvio per astensione del difensore dal 18.02 al 22.07.2014, donde la prescrizione sarebbe maturata alla data del 7.04.2018, antecedentemente alla sentenza d’appello; in ogni caso, valutato quanto dichiarato dai testi, il primo sopralluogo sarebbe avvenuto in data 22.10.2012, data in cui i lavori eseguiti nel sottotetto erano già realizzati; peraltro, tenuto conto di quanto dichiarato dal teste Recupero, detti lavori sarebbero stati già eseguiti qualche anno prima, e alla data dell’accertamento erano in corso solo i lavori del primo piano, donde il giudice avrebbe dovuto dichiarare estinti per prescrizione i reati in quanto le opere eseguite nel sottotetto erano antecedenti al primo sopralluogo da almeno un anno).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
4. E’ anzitutto affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nel motivo di appello (che, vengono, per così dire "replicate" in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
5. Lo stesso è inoltre da ritenersi manifestamente infondato, atteso che la Corte d’appello ha, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, spiegato le ragioni per le quali ha disatteso le identiche doglianze difensive esposte nei motivi di impugnazione.
6. Quanto al primo motivo, i giudici respingono l’eccezione di nullità del d.c. a giudizio per presunta violazione del combinato disposto degli artt. 521, co. 2 e 522, c.p.p., rilevando come dalla lettura della contestazione, oggetto di modifica da parte del Pm all’ud. 27.10.2015, risulta chiaramente che all’imputata era stata contestata la modifica della destinazione d’uso del locale sottotetto, mediante la trasformazione dello stesso in unità abitativa attraverso l’abbassamento del piano di calpestio e la predisposizione di impianti idraulici ed elettrici; da qui, il rigetto dell’eccezione escludendosi qualsiasi genericità od indeterminatezza nella descrizione delle condotte contestate.
Si tratta di motivazione del tutto immune dai denunciati vizi, laddove si consideri che la modifica dell’imputazione di cui all’art.516 cod.proc.pen. presuppone un fatto in relazione al quale le emergenze dibattimentali rendano necessaria soltanto una puntualizzazione della ricostruzione degli elementi essenziali del reato o dei suoi riferimenti spazio-temporali. La nozione di fatto "diverso", adottata nella citata norma, deve essere intesa in senso materiale e naturalistico, con riferimento non solo al fatto storico che, pur integrando una diversa imputazione, resti invariato, ma anche al fatto che abbia connotati materiali parzialmente difformi da
quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio; mentre la locuzione "fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio", di cui al successivo art.518, concerne un accadimento del tutto difforme ed autonomo, per le modalità essenziali dell’azione o per l’evento, rispetto a quello originariamente contestato.
Orbene, alla luce delle emergenze processuali, è evidente che la modifica dell’imputazione operata dal Pm all’ud. 27.10.2015 avesse l’effetto di descrivere più puntualmente il fatto "diverso" nell’accezione indicata dall’art. 516, c.p.p., ossia un fatto che aveva connotati materiali parzialmente difformi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio, in cui era stato contestato il medesimo reato consistente nella realizzazione di opere edilizie illegittime e nella modifica della destinazione d’uso del locale sottotetto. A ciò, peraltro va aggiunto che ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (v., tra le tante: Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008 – dep. 16/04/2008, Fontanesi, Rv. 239866).
E, nel caso di specie, proprio analizzando quanto emergente dalla sentenza di primo grado, il reato edilizio , sub specie di modifica della destinazione d’uso, viene esplicitamente collegato ad una condotta individuata specificatamente nel rendere fruibile il locale sottotetto dell’immobile suddetto, attraverso, tra l’altro, l’abbassamento del piano di calpestio e la predisposizione di impianti elettrici, donde nessuna indeterminatezza era rilevabile, così scongiurandosi il rischio di lesione dei diritto di difesa.
7. Quanto al secondo ed al terzo motivo, che, attesa l’omogeneità dei profili di doglianza, meritano congiunta trattazione, gli stessi appalesano parimenti inammissibili.
Ed invero, quanto alla necessità del p.d.c. in relazione al mutamento della destinazione d’uso del sottotetto per finalità abitative, correttamente i giudici di appello richiamano la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la destinazione abitativa di un sottotetto, che secondo gli strumenti urbanistici aveva soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di destinazione d’uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee (in termini: Sez. 3, n. 17359 del 08/03/2007 – dep. 08/05/2007, P.M. in proc. Vazza, Rv. 236493). Sul punto non esplica alcun rilievo l’intervenuta modifica normativa operata dal d.l. n. 133 del 2014, essendo stato affermato da questa Corte che in tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d’uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo irrilevanti le modifiche apportate dall’art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all’art. 3 del citato d.P.R. che, nell’estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d’uso (in termini: Sez. 3, n. 3953 del 16/10/2014 – dep. 28/01/2015, Statuto, Rv. 262018). Nello stesso senso la giurisprudenza amministrativa, secondo il cui costante orientamento giurisprudenziale (TAR Napoli n. 3490/2015 e n. 4132/2013; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 175/2015 e n. 1512/2014; Consiglio di giustizia amministrativa, sentenza n. 207/2014), per l’identificazione dei volumi tecnici va fatto riferimento a tre ordini di parametri. Il primo ha carattere positivo ed è di tipo funzionale, dovendo sussistere un rapporto di strumentalità necessaria del volume tecnico con l’utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo hanno carattere negativo e sono collegati: all’impossibilità di elaborare soluzioni progettuali diverse all’interno della parte abitativa, per cui tali volumi devono essere ubicati solo all’esterno; ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra le esigenze edilizie ed i volumi, che devono limitarsi a contenere gli impianti serventi della costruzione principale e devono essere completamente privi di una propria autonomia funzionale, anche solo potenziale. È stato in particolare escluso che possa considerarsi volume tecnico un locale con requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre, essendo questa "una operazione in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da non privare l’ambiente della sua intrinseca qualità abitativa" (Consiglio di Stato, sezione VI, n. 2825/2014). Come pure è stato ritenuto che la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna, costituisse "indice rilevatore dell’intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati" (Consiglio di giustizia amministrativa siciliana, sentenza n. 207/2014; Consiglio di stato, sezione IV, sentenza n. 3666/2013; Tar Puglia- Lecce, sezione III, n. 2170/2011).
8. E, nella specie, è la stessa ricorrente a riconoscere nella propria impugnazione (pag. 5) che i due corpi di fabbrica sono tra loro collegati da una botola, ciò che, unitamente agli altri elementi individuati dai giudici di merito, rendeva evidente la finalità abitativa del locale sottotetto; quanto infatti al presunto vizio motivazionale sul punto, le censure della ricorrente sono del tutto prive di pregio, non tenendo conto della puntuale motivazione dei giudici di appello che pervengono all’affermazione della responsabilità dell’imputata, riconoscendo la sussistenza della contestata modifica della destinazione d’uso del sottotetto per finalità abitative sulla scorta di argomenti la cui tenuta motivazionale è fuori discussione.
Si legge in sentenza, in particolare, anzitutto che non rileva la circostanza che non fosse stato provato l’effettivo abbassamento del piano di calpestio, in quanto la natura delle opere realizzate all’interno del sottotetto dimostrava inequivocabilmente la modifica della destinazione d’uso dello stesso e la sua trasformazione in unità abitativa; ancora, si evidenzia come dal verbale di sequestro in atti risultava che il locale sottotetto si presentava, al momento, dell’accertamento, fornito di impiantistica elettrica e televisiva, di impiantistica idraulica e di riscaldamento in fase di completamento, presentatosi l’area completamente pavimentata ad eccezione di un piccolo locale, la cui destinazione alla realizzazione di un bagno era dimostrata dalla presenza di impiantistica idraulica.
Sulla base di tale elementi, quindi, i giudici di appello pervengono alla logica conclusione per cui non poteva ritenersi che gli impianti rinvenuti fossero stati realizzati a servizio del locale sottostante, in quanto dal fascicolo fotografico e dal verbale di sequestro era chiaramente evincibile che il sottotetto non era un semplice locale destinato ad uso tecnico, poiché era munito di finestre corredate da infissi, era rifinito, la pavimentazione era nuova ed all’interno di era anche un locale destinato alla realizzazione di un bagno. Infine, correttamente, affermano i giudici di merito, la responsabilità non poteva essere esclusa per il fatto che le
opere avessero carattere interno, richiamando sul punto la consolidata giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, secondo cui per la normativa edilizia (art. 3 comma 1, lettere a e c del T.U. n. 380 del 2001, in
combinato disposto con l’art. 10 comma 1, lett. c e con l’art. 23 ter del medesimo T.U.), le opere interne e gli interventi di ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qualvolta comportino mutamento di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome (v., tra le tante: T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 04/04/2017, n.4225).
9. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze della ricorrente, dunque, appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
10. Quanto, infine, all’eccezione relativa alla estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, i giudici individuano correttamente il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione alla data del sopralluogo (4.12.2012), atteso che tale data coincide con il sequestro del manufatto abusivo, rilevandosi peraltro l’inconsistenza della tesi difensiva secondo cui i lavori eseguiti nel locale sottotetto fossero stati ultimati in precedenza, atteso che dalla sentenza – che richiama il verbale di sequestro in atti -, emergeva che i lavori erano in corso di esecuzione al momento del sopralluogo. Tenuto conto del termine massimo di anni 5, la prescrizione sarebbe maturata alla data del 4.12.2017, ma considerate le sospensioni verificatesi in primo grado, pur accettando quelle individuate dalla difesa in gg. 154, il relativo termine (7.05.2018) non era decorso alla data della sentenza d’appello (11.04.2018), con conseguente manifesta infondatezza sul punto del ricorso.
Non rileva, infatti, la circostanza che la prescrizione sia successivamente maturata, trovando infatti applicazione il principio per cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
11. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 11 gennaio 2019