Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Rifiuti
Numero: 16707 |
Data di udienza: 8 Febbraio 2019
* RIFIUTI – Attività di gestione non autorizzata di rifiuti – Configurabilità del reato ex art. 256 D.Lvo n.152/2006 – Presupposti e criteri normativi – Mancanza di assoluta occasionalità – Esercizio anche di fatto o in modo secondario o consequenziale ad una attività primaria diversa – Artt. 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 T.U.A..
Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 7^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Aprile 2019
Numero: 16707
Data di udienza: 8 Febbraio 2019
Presidente: ROSI
Estensore: MENGONI
Premassima
* RIFIUTI – Attività di gestione non autorizzata di rifiuti – Configurabilità del reato ex art. 256 D.Lvo n.152/2006 – Presupposti e criteri normativi – Mancanza di assoluta occasionalità – Esercizio anche di fatto o in modo secondario o consequenziale ad una attività primaria diversa – Artt. 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 T.U.A..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 7^ 17/04/2019 (Ud. 08/02/2019), Ordinanza n.16707
RIFIUTI – Attività di gestione non autorizzata di rifiuti – Configurabilità del reato ex art. 256 D.Lvo n.152/2006 – Presupposti e criteri normativi – Mancanza di assoluta occasionalità – Esercizio anche di fatto o in modo secondario o consequenziale ad una attività primaria diversa – Artt. 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 T.U.A..
La condotta sanzionata dall’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, ossia gestione non autorizzata di rifiuti, è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo un’attività di gestione rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione), esercitata anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità.
(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 24/04/2017 del TRIBUNALE di CUNEO) Pres. ROSI, Rel. MENGONI, Ric. Tafani
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 7^ 17/04/2019 (Ud. 08/02/2019), Ordinanza n.16707
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 7^ 17/04/2019 (Ud. 08/02/2019), Ordinanza n.16707
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SETTIMA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da TAFANI FESTIM;
avverso la sentenza del 24/04/2017 del TRIBUNALE di CUNEO;
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24/4/2017, il Tribunale di Cuneo riconosceva Festim Tafani colpevole della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e lo condannava alla pena di 1.800,00 euro di ammenda.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della pronuncia a) per carenza della qualifica soggettiva di cui all’art. 256, comma 2, decreto citato, dal che la rilevanza meramente amministrativa della condotta; b) mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., oggetto di motivazione contraddittoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima censura, occorre ribadire che il Tafani è stato imputato – e condannato – in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d. Lgs. n. 152 del 2006, tipico reato comune; dal che, l’irrilevanza della questione. Tale conclusione è stata poi confermata, tra le altre, da un’articolata pronuncia di questa Sezione (n. 29992 del 24/6/2014, PM in proc. Lazzaro, Rv. 260266), nella quale è stato compiuto un ampio e diffuso excursus sull’evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinaria della materia, che il Collegio condivide e ribadisce in questa sede. Va quindi nuovamente affermato che la condotta sanzionata dall’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, esercitata anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità.
E fermo restando, peraltro, che la sentenza ha anche escluso che l’attività svolta dal ricorrente potesse esser ritenuta di assoluta occasionalità, attesa la quantità di rifiuti trattati in due conferimenti (1470 kg.), tale da implicare una preliminare fase di raggruppamento e cernita degli stessi, con predisposizione di un veicolo adeguato per il loro trasporto.
4. Le stesse considerazioni in fatto, non contestate neppure con il ricorso, coinvolgono poi anche la seconda censura, relativa all’art. 131-bis cod. pen.; la Corte di appello, invero, ha richiamato al riguardo proprio il numero dei conferimenti ed il quantitativo di rifiuti trattati. E senza che, dunque, si possa ravvisare la contestata contraddittorietà motivazionale, atteso che la "non allarmante gravità dei fatti accertati" non coincide di certo con la particolare tenuità di cui alla norma invocata.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2019