Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 34781 |
Data di udienza: 4 Agosto 2016
* DIRITTO URBANISTICO – Rapporti tra la disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel D.p.r. 380 1 – Art. 36 Legge Reg. SICILIA n. 71/78 – Artt. 25, 44, 93, c.1, 94 c.1 e 4 e 95 d.P.R. 380/01 – Art. 117 Cost. – Giurisprudenza – Opere precarie non soggette a permesso di costruire – Disciplina edilizia antisismica – Controlli preventivi della legislazione nazionale – Condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva – Elemento soggettivo – Configurabilità della colpa – Negligente acquisizione di adeguate informazioni – Strumenti urbanistici vigenti – Reato urbanistico natura di reato permanente – Momento della consumazione e cessazione del reato – Ultimazione dei lavori – Nozione giuridica – Edificio concretamente funzionale – Requisiti di agibilità o abitabilità – Privato confinante – Soggetto danneggiato dal reato – Diritto di costituirsi parte civile – Risarcimento del danno – Rimessione in pristino – Presupposti – Art. 871, 872 e ss. cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Circostanze attenuanti generiche – Presupposti e poteri del giudice – Mancato riconoscimento – Personalità del reo – Limiti all’onere motivazionale – Inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi – Effetti – Possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. – Preclusione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: FERIALE
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Agosto 2016
Numero: 34781
Data di udienza: 4 Agosto 2016
Presidente: ROTUNDO
Estensore: Ramacci
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – Rapporti tra la disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel D.p.r. 380 1 – Art. 36 Legge Reg. SICILIA n. 71/78 – Artt. 25, 44, 93, c.1, 94 c.1 e 4 e 95 d.P.R. 380/01 – Art. 117 Cost. – Giurisprudenza – Opere precarie non soggette a permesso di costruire – Disciplina edilizia antisismica – Controlli preventivi della legislazione nazionale – Condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva – Elemento soggettivo – Configurabilità della colpa – Negligente acquisizione di adeguate informazioni – Strumenti urbanistici vigenti – Reato urbanistico natura di reato permanente – Momento della consumazione e cessazione del reato – Ultimazione dei lavori – Nozione giuridica – Edificio concretamente funzionale – Requisiti di agibilità o abitabilità – Privato confinante – Soggetto danneggiato dal reato – Diritto di costituirsi parte civile – Risarcimento del danno – Rimessione in pristino – Presupposti – Art. 871, 872 e ss. cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Circostanze attenuanti generiche – Presupposti e poteri del giudice – Mancato riconoscimento – Personalità del reo – Limiti all’onere motivazionale – Inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi – Effetti – Possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. – Preclusione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. FERIALE 10/08/2016 (Ud. 04/08/2016) Sentenza n.34781
DIRITTO URBANISTICO – Rapporti tra la disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel D.p.r. 380 1 – Art. 36 Legge Reg. SICILIA n. 71/78 – Artt. 25, 44, 93, c.1, 94 c.1 e 4 e 95 d.P.R. 380/01 – Giurisprudenza – Opere precarie non soggette a permesso di costruire – Disciplina edilizia antisismica – Controlli preventivi della legislazione nazionale.
In materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Cass. Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007 (dep. 2008), Giangrasso; Sez. 3, n. 33039 del 15/6/2006, P.M. in proc. Moltisanti; Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della Regione siciliana, Sez. 3, n. 4861 del 9/12/2004 (dep. 2005), Garufi; Sez. 3, n. 6814 del 11/1/2002, Castiglia). Con specifico riferimento alla individuazione, in via di eccezione, ad opera della Legge regionale 42003, di opere precarie non soggette a permesso di costruire, si è osservato che il legislatore regionale ha privilegiato il «criterio strutturale», considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello «funzionale», relativo all’uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata e che dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizzi e altro; Sez. 3, n. 16492 del 16/3/2010, Pennisi; Sez. 3, n. 35011 del 26/4/2007, Camarda). Si è infine specificato che la legislazione regionale in disamina è applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’
articolo 117, comma secondo, Cost., con la conseguenza che dette opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 37375 del 20/6/2013, P.M. in proc. Serpicelli; Sez. 3, n. 16182 del 28/2/2013, Crisafulli ed altro; Sez. 3, n. 38405 del 9/7/2008, Di Benedetto e altro). Fattispecie: realizzazione, in zona sismica ed in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di lavori di chiusura per circa 50 mq di una terrazza soprastante un edificio.
DIRITTO URBANISTICO – Condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva – Elemento soggettivo – Configurabilità della colpa – Negligente acquisizione di adeguate informazioni – Strumenti urbanistici vigenti – Giurisprudenza.
L’elemento soggettivo richiesto nelle contravvenzioni edilizie è la colpa, configurabile, ad esempio, in tutti i casi di negligente acquisizione di adeguate informazioni sulla disciplina applicabile alla tipologia di intervento edilizio che l’agente ha intenzione di realizzare o negli altri casi in cui determinate situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, consentano di trarre elementi integrativi di tale elemento psicologico. Sicché, la condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva può consistere anche nell’inottemperanza all’obbligo di informarsi sulle possibilità edificatorie concesse dagli strumenti urbanistici vigenti, da assolversi anche tramite incarico a tecnici qualificati (Sez. 3, n. 23998 del 12/5/2011, P.M. in proc. Bisca) e che non rientra nell’ipotesi di ignoranza inevitabile l’erronea convinzione che un determinato intervento non necessiti di specifico titolo abilitativo (Sez. 3, n. 6968 del 2/5/1988, Rurali).
DIRITTO URBANISTICO – Reato urbanistico natura di reato permanente – Momento della consumazione e cessazione del reato – Ultimazione dei lavori – Nozione giuridica – Edificio concretamente funzionale – Requisiti di agibilità o abitabilità.
Il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (v. Sez. U, n. 17178 del 27/2/2002, Cavallaro). La cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Cass. Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi; Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo). L’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 32969 del 8/7/2005, Amadori; Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano). Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto del primo comma dell’
articolo 25 del TU, che fissa “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento” il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità.
DIRITTO URBANISTICO – Privato confinante – Soggetto danneggiato dal reato – Diritto di costituirsi parte civile – Risarcimento del danno – Rimessione in pristino – Presupposti – Art. 871, 872 e ss. cod. civ..
In materia urbanistica, per quanto riguarda i soggetti privati, si è ritenuto che anche la singola persona fisica possa essere riconosciuta, qualora ne ricorrano i presupposti, come soggetto danneggiato dal reato e, per tale ragione, titolare del diritto di costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno o la rimessione in pristino. Anche se la realizzazione di un manufatto abusivo non fa sorgere di per sé solo, a favore del privato confinante, un diritto al risarcimento del danno, qualora la costruzione abusiva comporti anche la violazione di norme di natura civilistica, quali quelle che impongono limiti al diritto di proprietà, che stabiliscono distanze, volumetria, altezza delle costruzioni, previste dal codice civile e dai piani regolatori, è ipotizzabile un danno patrimoniale che legittima la costituzione di parte civile del vicino (Cass. Sez. 3, n. 10106 del 21/1/2016, Terzini; Sez. 3, n. 45295 del 21/10/2009, Vespa; Sez. 3, n. 21222 del 4/4/2008, Chianese; Sez. 3, n. 5190 del 15/03/1991, De Bigontina).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Circostanze attenuanti generiche – Presupposti e poteri del giudice – Mancato riconoscimento – Personalità del reo – Limiti all’onere motivazionale.
L’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3, n. 19639 del 27/1/2012, Gallo; Sez. 1, n. 3529 del 22/9/1993, Stelitano; Sez. 6, n. 6724 del 1/2/1989, Ventura). Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi; Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 4/12/2003 (dep. 2004), Anaclerio).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi – Effetti – Possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
– Preclusione.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’
art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Cass. Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni).
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza del 22/01/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA) Pres. ROTUNDO, Rel. RAMACCI, Ric. DRAGOTTO
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. FERIALE 10/08/2016 (Ud. 04/08/2016) Sentenza n.34781
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. FERIALE 10/08/2016 (Ud. 04/08/2016) Sentenza n.34781
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da DRAGOTTO GIOVANNI nato il 14/07/1972 a CATANIA;
avverso la sentenza del 22/01/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICAUDIENZA del 04/08/2016, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
udito il Procuratore Generale in persona del DELIA CARDIA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori Avv.: // // //
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catania, con sentenza del 22/1/2016 ha confermato la decisione con la quale, in data 28/5/2014, il Tribunale di quella città aveva riconosciuto Giovanni DRAGOTTO responsabile dei reati di cui agli
artt. 44, lett. b), d.P.R. 380\01 in relazione all’art. 36 Legge Reg. Sicilia n. 71/78,
93, comma 1, 94 commi 1 e 4 e 95 d.P.R. 380\01 per la realizzazione, in zona sismica ed in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di lavori di chiusura per circa 50 mq di una terrazza soprastante un edificio sito in Piazza Lupo n. 8, con realizzazione di una nuova cubatura mediante tamponamenti verticali e orizzontali con pannelli termocoibentati fissati al pavimento con piastre imbullonate, opere da ritenersi, pertanto, non precarie e destinate ad uso abitativo (in Catania, ace. 17/2/2010).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un Primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che l’intervento oggetto di imputazione sarebbe stato regolarmente autorizzato a seguito di richiesta di asseveramento ai sensi dell’art. 20 l.r. 4/2003 dalle competenti autorità, le quali espressamente ne riconoscevano la natura precaria, in ordine alla quale concordavano anche altri soggetti sentiti come testimoni nel corso dell’istruzione dibattimentale (tecnici ed operatori di polizia giudiziaria).
Aggiunge che la Corte territoriale, travisando le risultanze processuali, avrebbe escluso la precarietà dell’intervento introducendo dati fattuali estranei al processo, quali l’esistenza di una pavimentazione interna al manufatto e la modifica dell’originaria destinazione d’uso dello stesso.
Tale esclusione, inoltre, sarebbe avvenuta sovrapponendo la personale valutazione dei giudici a quella, di natura tecnica, della pubblica amministrazione.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta che erroneamente i giudici del merito avrebbero ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato nonostante l’affidamento evidentemente riposto dall’imputato nei provvedimenti e pareri a lui favorevoli adottati dalle autorità competenti.
4. Con un terzo motivo di ricorso osserva che la Corte di appello avrebbe errato nel non considerare spirato il termine massimo di prescrizione dei reati contestati.
Rileva, a tale proposito, che dagli atti risulterebbe l’ultimazione delle opere alla data del sequestro (15/4/2009) e che, conseguentemente, era errata la data indicata nel capo di imputazione dal Pubblico Ministero (17/2/2010) una volta accertata l’esecuzione di interventi ulteriori dopo la revoca del vincolo reale, trattandosi di semplice tinteggiatura non rilevante ai fini dell’individuazione del momento consumativo del reato, che, peraltro i giudici del gravame avrebbero, del tutto arbitrariamente, spostato ulteriormente fino a farlo coincidere con la data della pronuncia della sentenza di primo grado.
Secondo i calcoli effettuati, considerati anche le interruzioni ed il periodo di sospensione, la prescrizione avrebbe dovuto ritenersi maturata antecedentemente alla pronuncia della sentenza di primo grado.
5. Con un quarto motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla riconosciuta legittimazione dei vicini all’esercizio dell’azione civile nel processo penale ed alla conseguente condanna al risarcimento del danno in loro favore, effettuata in assenza di un diritto soggettivo tutelabile.
6. Con un quinto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
In data 28/7/2016 la difesa della parte civile ha depositato memoria ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, perché basato su motivi manifestamente infondati.
Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che in esso viene contestata la lettura della legge regionale di settore offerta dai giudici del gravame. È dunque opportuno richiamare preliminarmente i contenuti di tale normativa, unitamente a quanto osservato dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema.
L’articolo 20 della Legge Regionale 16 aprile 2003 n. 4 stabilisce che, in deroga ad ogni altra disposizione normativa, non sono soggette a concessione o autorizzazione né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione, la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l’acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo.
In tali casi, contestualmente all’inizio dei lavori, il proprietario dell’unità immobiliare deve limitarsi a presentare al sindaco una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienicosanitarie vigenti ed a versare a favore del comune un determinato importo per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria.
Tali disposizioni sono applicabili anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie, come previsto dall’articolo 9 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37.
Ai fini dell’applicazione delle richiamate disposizioni il medesimo articolo precisa, al comma 4, che sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione, mentre si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Alle verande sono assimilate le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché ricadenti su aree private.
La disposizione in esame consente anche, a determinate condizioni, la regolarizzazione delle opere della stessa tipologia già realizzate.
2. Dei rapporti tra la summenzionata disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel
D.p.r. 380\01 si è ripetutamente occupata la giurisprudenza di questa Corte. Si è così avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007 (dep. 2008), Giangrasso, Rv. 238555; Sez. 3, n. 33039 del 15/6/2006, P.M. in proc. Moltisanti, Rv. 234935. Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della Regione siciliana, Sez. 3, n. 4861 del 9/12/2004 (dep. 2005), Garufi, Rv. 230914; Sez. 3, n. 6814 del 11/1/2002, Castiglia V, Rv. 221427).
Con specifico riferimento alla individuazione, in via di eccezione, ad opera della Legge regionale 4\2003, di opere precarie non soggette a permesso di costruire, si è osservato che il legislatore regionale ha privilegiato il «criterio strutturale», considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello «funzionale», relativo all’uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata e che dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizzi e altro, Rv. 261156; Sez. 3, n. 16492 del 16/3/2010, Pennisi, Rv. 246771; Sez. 3, n. 35011 del 26/4/2007, Camarda, Rv. 237533).
Si è infine specificato che la legislazione regionale in disamina è applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’
articolo 117, comma secondo, Cost., con la conseguenza che dette opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 37375 del 20/6/2013, P.M. in proc. Serpicelli, Rv. 257594; Sez. 3, n. 16182 del 28/2/2013, Crisafulli ed altro, Rv. 255254; Sez. 3, n. 38405 del 9/7/2008, Di Benedetto e altro, Rv. 241287).
3. Date tali premesse, deve osservarsi che la Corte territoriale ha espressamente escluso, in ragione dei ricordati principi giurisprudenziali, che ha opportunamente menzionato, che le opere realizzate potessero in qualche modo rientrare entro l’ambito di operatività della disciplina regionale.
Tale affermazione, giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata, si fonda sulla obiettiva valutazione di un dato fattuale e, segnatamente, sulla natura e consistenza dell’intervento.
In particolare, rileva la Corte del merito (pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata) che la struttura si presentava, in occasione del primo sopralluogo, aperta su tutti i lati ed imbullonata alla pavimentazione ed ai muretti preesistenti.
Al secondo accesso, in occasione del quale veniva eseguito il sequestro, il manufatto si presentava, con opere ancora in corso di esecuzione, chiuso su tutti e quattro i lati con porte a vetro scorrevoli, mentre il terzo sopralluogo evidenziava la realizzazione di un impianto elettrico e di finestre.
Infine, durante l’ultima verifica, effettuata il 17/2/2010, veniva accertata l’esecuzione di lavori di finitura consistiti nella tinteggiatura, l’installazione di pannelli coibentati di rivestimento in legno perlinato e la copertura del soffitto interno.
Aggiungono i giudici dell’appello che dalla documentazione fotografica prodotta in udienza poteva rilevarsi la demolizione e ricostruzione del muro perimetrale della terrazza di copertura, con mutazione dell’originaria sagoma esterna ed interna dell’edificio, nonché la stabile infissione del manufatto sul solaio, ricoperto da pavimentazione interna.
Inoltre, i giudici, richiamata nuovamente l’effettiva consistenza delle opere eseguite, rilevano (pag. 9 della sentenza) che le stesse presentano caratteristiche del tutto diverse da quelle originariamente assentite.
Tali affermazioni evidenziano, dunque, in modo inequivocabile che l’intervento in contestazione non presenta il fondamentale requisito della precarietà richiesto dalla normativa regionale per beneficiare della particolare disciplina di cui all’art. 20 legge regionale 4\2003.
Sono infatti le stesse caratteristiche costruttive e le dimensioni delle opere che ne rendono evidente, nella fattispecie, la non facile amovibilità e tale valutazione è stata effettuata dai giudici di merito con argomentazioni, fondate su dati fattuali, del tutto corrette ed immuni da vizi logici e, come tali, non sindacabili in questa sede di legittimità.
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente prospetta una personale lettura alternativa della vicenda, sostanzialmente affermando non soltanto la regolarità degli interventi, ma anche ipotizzando errori ed omissioni che il Collegio, invece, non rileva.
In particolare, si assume che l’intervento sarebbe stato regolarmente assentite e che nessuno tra i soggetti sentiti nel corso del giudizi avrebbe espresso dubbi sulla rispondenza delle opere alla normativa vigente.
In realtà, sul punto, la Corte territoriale motiva diffusamente proprio nella parte della sentenza nella quale, con dovizia di particolari, esamina la progressione degli interventi e la consistenza degli stessi, non tralasciando di considerare quanto affermato da varie persone sentite nel corso del processo, escludendo ogni incidenza delle loro osservazioni rispetto alle conclusioni assunte in ordine alla irregolarità delle opere.
Tale ultimo aspetto viene ulteriormente evidenziato richiamando un provvedimento del Comune di Catania di preavviso di annullamento dell’autorizzazione per mancata ottemperanza ad alcune delle prescrizioni imposte e quello dell’Assessorato regionale ai lavori pubblici, Ufficio del genio civile di Catania, che segnalava alla Procura della Repubblica l’esecuzione delle opere in violazione della normativa antisismica.
Anche in questo caso si tratta di valutazioni coerenti e prive di cedimenti logici delle quali, peraltro, il ricorrente non sembra tener conto, insistendo nella propria versione dei fatti e negando, in alcuni casi, anche l’evidenza, come quando censura il riferimento all’esistenza di una pavimentazione interna alla nuova costruzione come elemento di fatto del tutto indimostrato ed introdotto ex novo dalla Corte territoriale, dimenticando, però, che tale evenienza risulta attestata anche nella documentazione unita al ricorso e, segnatamente, nell’allegato n. 3 («dichiarazione di mancanza di pregiudizio» a firma Arch. Luisa COCO), ove si indica chiaramente «l’eliminazione parziale di parte del muro perimetrale est e del muro perimetrale sud nonché lo svellimento di parte della pavimentazione (marmette di cemento)» e la realizzazione, tra l’altro, di un «nuovo massetto pavimentazione» e di «nuova pavimentazione».
Neppure è contestata, perché se ne dà atto ripetutamente in ricorso, la presenza di un impianto elettrico che, unitamente alle ulteriori caratteristiche dianzi richiamate, hanno indotto la Corte del merito ad escludere, del tutto correttamente, la natura precaria dell’intervento.
La valutazione di dati fattuali obiettivamente riscontrati sulla quale si fonda la decisione dei giudici dell’appello, evidenzia, inoltre, la infondatezza delle ulteriori censure riguardanti possibili interferenze dei giudici del merito nell’ambito della discrezionalità tecnica propria degli organi comunali, atteso che, sulla base delle richiamate argomentazioni sviluppate in sentenza, emerge chiaramente la totale difformità dell’intervento da quanto autorizzato e l’evidente contrasto con la disciplina di settore.
4. Nondimeno, i dati fattuali valorizzati dalla Corte territoriale consentono di rilevare anche la infondatezza del secondo motivo di ricorso, poiché la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato risulta correttamente ritenuta nella sentenza impugnata.
Va ricordato, a tale proposito, che l’elemento soggettivo richiesto nelle contravvenzioni edilizie è la colpa, configurabile, ad esempio, in tutti i casi di negligente acquisizione di adeguate informazioni sulla disciplina applicabile alla tipologia di intervento edilizio che l’agente ha intenzione di realizzare o negli altri casi in cui determinate situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, consentano di trarre elementi integrativi di tale elemento psicologico.
Questa Corte ha inoltre specificato (Sez. 3, n. 23998 del 12/5/2011, P.M. in proc. Bisca, Rv. 250608) che la condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva può consistere anche nell’inottemperanza all’obbligo di informarsi sulle possibilità edificatorie concesse dagli strumenti urbanistici vigenti, da assolversi anche tramite incarico a tecnici qualificati e che non rientra nell’ipotesi di ignoranza inevitabile l’erronea convinzione che un determinato intervento non necessiti di specifico titolo abilitativo (Sez. 3, n. 6968 del 2/5/1988, Rurali, Rv. 178593).
Ciò posto, deve rilevarsi che, nel caso in esame, la consapevolezza circa la natura abusiva delle opere da parte del ricorrente risultava desumibile da una serie di circostanze fattuali evidenziate dalla Corte territoriale in più parti della sentenza ed in precedenza ricordate e, segnatamente, la realizzazione di un intervento completamente difforme da quello assentite, l’inosservanza delle prescrizioni comunicata al ricorrente dall’amministrazione comunale, i ripetuti sopralluoghi, il sequestro delle opere, sicché del tutto correttamente la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza di condizioni tali da indurre nell’imputato la convinzione di operare nel rispetto della legge.
Dunque l’accertata esistenza di profili eclatanti di illegalità ed il comportamento assunto dall’imputato costituiscono un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo delle contravvenzioni contestate che la Corte territoriale ha opportunamente valutato.
5. Per ciò che concerne, poi, la questione concernente la prescrizione dei reati, di cui tratta il terzo motivo di ricorso, va preliminarmente chiarito che la data di consumazione del reato va collocata, diversamente da quanto affermato in ricorso, al 17/2/2010.
Vero è, come sostiene il ricorrente, che i riferimenti operati dalla Corte territoriale alla data di emissione della sentenza di primo grado non trovano riscontro concreto nei dati acquisiti nel corso del processo avendo evidentemente i giudici del merito semplicemente supposto la prosecuzione dei lavori anche successivamente all’ultimo sopralluogo.
Tale supposizione, tuttavia, non può ritenersi sufficiente e, pertanto, per l’individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione va fatto riferimento alla data indicata nel capo di imputazione.
Occorre osservare, a tale proposito, che correttamente è stata considerata quale prosecuzione dell’intervento abusivo l’attività di tinteggiatura ed ulteriore rifinitura in precedenza descritte.
Invero, il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (v. Sez. U, n. 17178 del 27/2/2002, Cavallaro, Rv. 221398).
Si è inoltre precisato (ex pl. Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351) che la cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (v. anche Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498).
Si è inoltre chiarito che l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 32969 del 8/7/2005, Amadori, non massimata sul punto ed altre prec. conf. nella stessa richiamate. V. anche Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153).
Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto del primo comma dell’
articolo 25 del TU, che fissa “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento” il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità.
Alla luce di tali principi va dunque rilevato come l’esecuzione delle opere accertate in occasione del sopralluogo del 17/2/2010 evidenziano come, in precedenza, l’intervento non potesse ritenersi ultimato.
Partendo dunque da tale data e considerato il termine massimo di prescrizione, pari a 5 anni, si perviene alla data del 17/2/2015, ma occorre considerare le numerose sospensioni per complessivi 522 giorni (rinvii dell’udienza dal 10/1/2011 al 28/2/2011 su istanza della difesa; dal 28/2/11 al 9/5/2011 su istanza della difesa; dall’ll/7/2011 per 60 giorni per impedimento del difensore; dal 13/3/2013 al 3/4/2013 per impedimento del difensore; dal 16/9/2013 al 4/11/2013 su istanza della difesa; dal 18/11/2013 al 9/12/2013 per impedimento del difensore; dal 9/12/2013 al 26/2/2014 per impedimento del difensore; dal 14/7/2015 al 20/10/2015 su istanza della difesa; dal 20/10/2015 al 15/12/2015 per impedimento del difensore; dal 15/12/2015 al 22/1/2016 su istanza della difesa), con la conseguenza che il termine finale è spirato il 23/7/2016, ben dopo la sentenza di secondo grado.
6. Per ciò che concerne, poi il quarto motivo di ricorso, deve ricordarsi che, in materia urbanistica, per quanto riguarda i soggetti privati, si è ritenuto che anche la singola persona fisica possa essere riconosciuta, qualora ne ricorrano i presupposti, come soggetto danneggiato dal reato e, per tale ragione, titolare del diritto di costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno o la rimessione in pristino.
Si è infatti affermato che anche se la realizzazione di un manufatto abusivo non fa sorgere di per sé solo, a favore del privato confinante, un diritto al risarcimento del danno, qualora la costruzione abusiva comporti anche la violazione di norme di natura civilistica, quali quelle che impongono limiti al diritto di proprietà, che stabiliscono distanze, volumetria, altezza delle costruzioni, previste dal codice civile e dai piani regolatori, è ipotizzabile un danno patrimoniale che legittima la costituzione di parte civile del vicino (Sez. 3, n. 10106 del 21/1/2016, Terzini, Rv. 266290; Sez. 3, n. 45295 del 21/10/2009, Vespa, Rv. 245270; Sez. 3, n. 21222 del 4/4/2008, Chianese, Rv. 240044; Sez. 3, n. 5190 del 15/03/1991, De Bigontina, Rv. 187094).
Tale evenienza è stata considerata dalla Corte territoriale sulla base dell’accertata contravvenzione alla disciplina antisismica, ritenendo configurarsi, in tal caso, una violazione delle regole da osservarsi nelle costruzioni (
art. 871 cod. civ.).
Tale contravvenzione, diversamente da quanto indicato in ricorso, risulta compiutamente accertata in fatto nel giudizio di merito.
Va inoltre rilevato che la condanna generica al risarcimento del danno presuppone, per il suo accoglimento, l’accertamento di un fatto da ritenersi, alla stregua di un giudizio di probabilità, anche solo potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, fermo restando l’onere della parte civile di dare la prova in sede civile della sussistenza in concreto del danno e del suo ammontare.
7. Per ciò che concerne, infine, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, di cui tratta il quinto motivo di ricorso, va ricordato che l’applicazione delle stesse presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3, n. 19639 del 27/1/2012, Gallo, Rv. 252900; Sez. 1, n. 3529 del 22/9/1993, Stelitano, Rv. 195339; Sez. 6, n. 6724 del 1/2/1989, Ventura, Rv. 181253).
Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 4/12/2003 (dep. 2004), Anaclerio, Rv. 229768).
Nella fattispecie, il diniego è stato adeguatamente giustificato con riferimento alla particolare gravità del fatto desunta dalle dimensioni dell’opera abusivamente realizzata.
8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’
art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili ROGGIO Antonio e FICHERA Rosa che liquida in complessivi euro 3.100,00 oltre a spese generali IVA e CPA.
Così deciso il 4/8/2016