In ordine alla responsabilità del rappresentante legale di società di capitali che abbia delegato ad altri soggetti di sua fiducia determinate attività va affermata la responsabilità di tale soggetto per culpa in vigilando, quando sia consapevole delle inadempienze in cui sia incorso il proprio delegato, ovvero quando pur potendo sottoporre a controllo l’attività del delegato, abbia scientemente omesso detto controllo.
In tema di smaltimento di rifiuti, sussiste la responsabilità del soggetto che abbia affidato a terzi rifiuti destinati ad essere smaltiti laddove la condotta dell’agente si sia concretizzata in una mancata verifica dei requisiti in capo al soggetto terzo in vista del trasporto e smaltimento dei rifiuti, essendo innegabile il potere per chi detenga rifiuti di delegate a terzi la attività di smaltimento, previo controllo del possesso dei requisiti specifici in capo al terzo delegato (Cass. Sez. 3^ 1.4.2004 n. 21588).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 18/07/2011 (Ud. 16/03/2011) Sentenza n. 28206
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott. Giuliana FERRUA Presidente
2. Dott. Mario GEN’T’ILE Consigliere
3. Dott. Renato GRILLO (est.) Consigliere
4. Dott. Giulio SARNO Consigliere
5. Dott. Luca RAMACCI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da: SIMEONE Pietro, nato a Cisternino il 25.06.1949
– avverso sentenza emessa dal Tribunale di Paola – Sezione Distaccata di Scalea – il 13 gennaio 2010
– udita nella udienza pubblica del 16 marzo 2011 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Renato GRILLO;
– udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mario FRATICELLI che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Il Tribunale di Paola Sezione Distaccata di Scalea – con sentenza emessa il 13 gennaio 2010 dichiarava SIMEONE Pietro, imputato del reato di cui all’art. 256 comma 1° lett. a) del D. L.vo 152/06, colpevole del reato qualificato in quello p. e p. dal comma 2° del menzionato art. 256, condannandolo, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di € 3.000,00 di ammenda.
Proposto appello da parte del difensore dell’imputato, la Corte di Appello di Catanzaro, investita del gravame, lo convertiva in ricorso disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte. Premesso che all’imputato viene fatto carico di avere illecitamente smaltito – tramite apposito soggetto all’uopo incaricato (tale LIMBURGO Mario, giudicato separatamente) rifiuti non
pericolosi provenenti da attività di demolizione edilizia che venivano abbandonati all’aperto, con il primo motivo la difesa deduce erronea applicazione dell’art. 256 D. L.vo 152/06, oltre che motivazione illogica e carente sul punto.
In particolare il ricorrente, premesso che il reato in parola è configurabile nella sola forma commissiva, a lui non ascrivibile, lamenta che il “Tribunale aveva ritenuto esistente in capo ad esso imputato uno specifico obbligo di impedire l’evento, in realtà del tutto insussistente.
Udienza pubblica del 16 marzo 2011.
Deduce con un secondo motivo omessa motivazione in punto di valutazione del materiale probatorio che, se correttamente analizzato, avrebbe dovuto condurre a soluzione diversa da quella adottata con la decisione impugnata.
Lamenta, infine, motivazione insufficiente in ordine alla entità del trattamento sanzionatorio seppur circoscritto alla sola pena pecuniaria, immotivamente e contraddittoriamente discostantesi dal minimo edittale.
Osserva la Corte quanto segue.
Va premesso che dalla puntuale ricostruzione del fatto risultante dalla sentenza impugnata è rimasta provata la condotta di tale LIMBURGO Mario, qualificatosi dipendente della “Costruzioni Serrande Cisternino s.r.l.”, società appaltatrice dei lavori di manutenzione in corso d’opera presso l’Ospedale di Praia a Mare della quale era rappresentante legale l’odierno imputato: tale condotta è consistita – per quanto è dato leggere nella sentenza impugnata in un riversamento dal cassone di un autocarro condotto dal LIMBURGO, di calcinacci e mattoni in un’area a cielo aperto non adibita a discarica. Nella circostanza il LIMBURGO era stato sorpreso nell’atto di scaricare i rifiuti che provvedeva ricaricarli sul mezzo da lui condotto, allontanandosi dai luoghi.
Tanto precisato, va rilevato che il ricorrente, nella sua specifica veste di amministratore unico della società sopra indicata, era anche – per come pacificamente risulta dalla sentenza impugnata
– il titolare della ditta appaltatrice dei lavori di manutenzione, ditta dalla quale
dipendeva per come risulta altrettanto incontestabilmente dalla sentenza impugnata – il
LIMBURGO, materiale autore dello smaltimento dei rifiuti.
Ora, in ordine alla responsabilità del rappresentante legale di società di capitali che abbia delegato ad altri soggetti di sua fiducia determinate attività, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito la responsabilità di tale soggetto per culpa in vigilando, quando sia consapevole delle inadempienze in cui sia incorso il proprio delegato, ovvero quando pur potendo sottoporre a controllo l’attività del delegato, abbia scientemente omesso detto controllo (in tal senso Cass. Sez. 6^ 4.9.1997 n. 9715, Prenna, Rv. 209008).
E, con specifico riferimento alla materia della gestione dei rifiuti, la giurisprudenza di questa Corte si è attestata sul versante della responsabilità del legale rappresentante di società di capitali laddove la condotta di abbandono, o deposito incontrollato, di rifiuti venga posto in essere dai dipendenti della società, profilandosi in questo caso una forma di culpa in vigilando (Cass. Sez. 3^ 10.3.2005 n. 14285, Brizzi, Rv. 231081).
Appare quindi inesatto nei termini in cui è stato prospettato il richiamo fatto dal ricorrente all’art. 40 comma 2° c.p., posto che la responsabilità dell’imputato nasceva da uno specifico obbligo di garanzia che gli avrebbe dovuto imporre di vigilare sull’attività dei propri dipendenti.
Peraltro va aggiunto che, con orientamento assolutamente consolidato, questa Corte ha affermato la responsabilità del soggetto che abbia affidato a terzi rifiuti destinati ad essere smaltiti laddove la condotta dell’agente si sia concretizzata in una mancata verifica dei requisiti in capo al soggetto terzo in vista del trasporto e smaltimento dei rifiuti, essendo innegabile il potere per chi detenga rifiuti di delegate a terzi la attività di smaltimento, previo controllo del possesso dei requisiti specifici in capo al terzo delegato (Cass. Sez. 3^ 1.4.2004 n. 21588).
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, osserva la Corte che, in modo congruo ed immune da vizi logici, il Tribunale ha ritenuto di dover affermare la responsabilità del SIMEONE sulla base di risultanze probatorie oggettive quali: a) il certo rapporto di dipendenza del LIMBURGO dalla società amministrata dal SIMEONE; b) la provenienza degli scarti di demolizione dal cantiere ove operava la ditta del SIMEONE; e) la loro collocazione sul mezzo condotto dal LIMBURGO dipendente della società amministrata dal SIMEONE.
Non può quindi assumere alcuna rilevanza la circostanza dedotta dal ricorrente che il mezzo condotto dal LIMBURGO appartenesse ad altra società, avendo correttamente il Tribunale individuato la responsabilità sulla base della diretta riconducibilità degli sfabbricidi alla società amministrata dal SIMEONE e del coinvolgimento diretto di un dipendente della società amministrata dal SIMEONE nell’attività di trasporto e sversamento.
In conclusione è da escludere che la motivazione sul punto offerta dal Tribunale sia frutto di affermazioni apodittiche o – come sostenuto dal ricorrente – di mere congetture, avendo invece il giudice fatto buon governo delle regole che disciplinano la valutazione delle prove: prove che in modo del tutto corretto il Tribunale ha ritenuto come oggettive e non contestate.
Nessun vizio motivazionale è dato rinvenire sul punto della sentenza concernente il trattamento sanzionatorio, avendo, anche in questo caso, il Tribunale dato conto delle ragioni del suo discostamento dai limiti minimi edittali, individuandole nella non positiva personalità dell’imputato comparata alla modesta entità del fatto: sicchè è da escludere qualsiasi contraddittorietà della decisione sul punto.
Il ricorso va, pertanto, rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 16/03/2011