Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 2291 | Data di udienza: 9 Maggio 2012

* DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi – In re ipsa – Abusi in zona soggetta a vincolo paesaggistico – Doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa – Irrilevanza – Soppalchi di dimensioni non modeste – Incremento di superfici dell’immobile – Titolo edilizio – Necessità – Pluralità di opere – Valutazione globale – Necessità – Fattispecie.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 18 Maggio 2012
Numero: 2291
Data di udienza: 9 Maggio 2012
Presidente: Conti
Estensore: Monaciliuni


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi – In re ipsa – Abusi in zona soggetta a vincolo paesaggistico – Doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa – Irrilevanza – Soppalchi di dimensioni non modeste – Incremento di superfici dell’immobile – Titolo edilizio – Necessità – Pluralità di opere – Valutazione globale – Necessità – Fattispecie.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 6^ – 18 maggio 2012, n. 2291

 

DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi – In re ipsa – Abusi in zona soggetta a vincolo paesaggistico – Doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa – Irrilevanza.

 

In tema di abusi edilizi, l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e, dunque, alla demolizione delle opere realizzate senza titolo è “in re ipsa” e non esige ulteriori specificazioni oltre quelle del ricadere l’intervento – realizzato senza titoli – in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, poiché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa.

 

Pres. Conti, Est. Monaciliuni – P.R. (avv.ti Barone e Vergara) c. Comune di Pozzuoli (avv. Starace).

 

DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Soppalchi di dimensioni non modeste – Incremento di superfici dell’immobile – Titolo edilizio – Necessità.

 

E’ necessario premunirsi del permesso di costruire, o di far luogo a DIA alternativa, in presenza di soppalchi di dimensioni non modeste comportanti un incremento di superfici dell’immobile.

 

Pres. Conti, Est. Monaciliuni – P.R. (avv.ti Barone e Vergara) c. Comune di Pozzuoli (avv. Starace).

 

DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Soppalchi di dimensioni non modeste – Incremento di superfici dell’immobile – Titolo edilizio – Necessità – Fattispecie.

 

L’esecuzione di soppalchi nella ristrutturazione interna di un edificio, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso, costituisce opera che richiede il permesso a costruire o, in alternativa, la denuncia d’inizio di attività, poiché comporta modifica delle superfici interne, la quale, a norma dell’art. 10, comma 1, lett. c) T.U. dell’edilizia è necessaria e sufficiente a far sorgere tale obbligo, indipendentemente, quindi, da una contemporanea modifica della sagoma o del volume; tale disciplina è applicabile pure in presenza della disposizione dell’art. 2 l.r. Campania, che dichiara sufficiente la semplice denuncia d’inizio attività in ipotesi di opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile, risultando la corrispondente disposizione della legislazione statale richiamata (l. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60) abrogata dall’art. 36, comma 2, lett. h) dello stesso T.U.

 

Pres. Conti, Est. Monaciliuni – P.R. (avv.ti Barone e Vergara) c. Comune di Pozzuoli (avv. Starace).

 

DIRITTO URBANISTICO – Abuso edilizio – Pluralità di opere – Valutazione globale – Necessità – Fattispecie.

 

Nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione; pertanto, nel caso in cui un’opera consista nella ristrutturazione di un immobile effettuata tramite la realizzazione di corposi interventi edili, essa non è scomponibile in distinte fasi cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutata nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio. (Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 5 marzo 2012, n. 1114).

 

Pres. Conti, Est. Monaciliuni – P.R. (avv.ti Barone e Vergara) c. Comune di Pozzuoli (avv. Starace).


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 6^ – 18 maggio 2012, n. 2291

SENTENZA

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 6^ – 18 maggio 2012, n. 2291

 

N. 02291/2012 REG.PROV.COLL.

 N. 02781/2007 REG.RIC.
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
 
(Sezione Sesta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 2781 del 2007, proposto da: 
 
Rizzo Paola, rappresentata e difesa dagli avv.ti Valerio Barone e Francesco Vergara, con domicilio eletto in Napoli, Piazza Sannazaro, n. 71
 
contro
 
Comune di Pozzuoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Aldo Starace, presso il cui studio è eletto domicilio, in Napoli, Riviera di Chiaia, n. 207
 
per l’annullamento, previa sospensione:
– dell’ordinanza n. 14464 del 4 aprile 2007 a firma del dirigente del II Dipartimento Gestione – Tutela del Territorio del Comune di Pozzuoli, recante l’ordine di demolire le opere abusivamente realizzate in un appartamento collocato al 2^ piano del fabbricato sito alla via Gabella Portese, n. 8, quali nell’atto stesso descritte, disponendosi, in mancanza, la loro demolizione di ufficio;
– di ogni altro atto connesso, collegato e presupposto, se ed in quanto lesivo degli interessi della parte ricorrente, ivi compreso il verbale di accertamento dei vigili urbani n. 12749 del 17 luglio 2004, nonché la “disposizione sindacale prot. 29004/1993”, relativa all’adozione delle demolizioni in danno;
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzuoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
 
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2012 il dott. Arcangelo Monaciliuni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
 
FATTO e DIRITTO
 
 
1- A mezzo del ricorso in esame, avviato per la notifica il 16 maggio 2007 e depositato lo stesso giorno (con notifica perfezionatasi il successivo giorno 17 maggio, come comprovato in atti), la sig.ra Paola Rizzo si duole del provvedimento del Comune di Pozzuoli, n. 14464 del 4 aprile 2007, recante l’ordine “di provvedere alla demolizione di tutte le opere abusive realizzate ed intraprese in via Gabella Portese, n. 8, atta a riportare l’appartamento de quo alle condizioni di cui all’autorizzazione edilizia n. 15/2002”: ordine impartito in quanto “lo stato delle opere è riconducibile a quello contemplato dall’art. 27 del d.P.R. 380 del 2001” e, in una, in presenza della sottoposizione della fattispecie “a tutte le disposizioni di legge” relative all’avvenuta “dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’intero territorio comunale, quale effettuata con d.m. del 12 settembre 1957”.
 
Le opere di che trattasi sono così descritte nella premessa dell’atto: “Realizzazione di un soppalco con relativa scala in legno ed ulteriore scala in ferro che dal disimpegno del soppalco porta su un piccolo vano di dimensioni mt. 2,00 x mt. 1,60 x h. mt. 2,10. Innalzamento del solaio di copertura di circa mt. 1,00. Realizzazione di un piccolo vano. Realizzazione sul lastrico solare del parapetto con muretto di muratura di altezza mt. 10,00 e ringhiera di altezza mt. 1,00 sul lato destro oltre ad un muro posto a confine con il sovrastante terrapieno. Realizzazione di n. 3 lucernai e canna fumaria. Variazione prospettiche. Il tutto in difformità all’autorizzazione edilizia n. 15 del 2002 riflettente lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione al fabbricato in questione”.
 
1a- La ricorrente in primo luogo espone:
– di essere (divenuta) proprietaria dell’appartamento in discorso, sito al 2° piano del fabbricato, per atto del 29 settembre 2003, rep. n. 48.489 comprendente, come nell’atto riportato, “la porzione di lastrico solare sovrastante l’immobile, sul quale si accede mediante scaletta interna, nonché il torrino scala ivi esistente”;
– che tale appartamento “ha sempre avuto un’altezza interna di mt. 5, come da planimetria catastale del 31 gennaio 1040 (doc. n. 1110) e tutt’ora presenta tale altezza”;
-che la società “Ashanthy Costruzioni”, sua dante causa, aveva ottenuto dal Comune di Pozzuoli autorizzazione edilizia n. 46 del 15 settembre 2000 per lavori di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo;
– che con provvedimento n. 3344 del 23 gennaio 2001 il Comune aveva ordinato la demolizione “di presunte difformità edilizie del fabbricato, consistenti un una sua altezza di circa mt. 1,10 in più”;
– che detto provvedimento era stata impugnata innanzi a questo stesso Tribunale con ricorso iscritto sub n. 1474/2001, nel cui seno, con ordinanza collegiale n. 16 del 21 febbraio 2001, era stata accolta la richiesta di tutela cautelare “fino alla definizione espressa, da parte dell’amministrazione, dell’accertamento di conformità ex art. 13 l. 28.2.1985, n. 47, richiesto dalla parte ricorrente” (della cui avvenuta presentazione l’ordinanza dà previamente atto);
– che “non risulta che il Comune di Pozzuoli si sia mai pronunciato espressamente sulla citata istanza di accertamento di conformità, anzi la società Ashanthy Costruzioni otteneva dal Comune di Pozzuoli anche il rilascio di autorizzazione edilizia n. 15 del 19 marzo 2002 per lavori interni all’intero fabbricato…” e che “nei grafici dell’autorizzazione veniva chiaramente riportata l’altezza di mt. 5 dell’appartamento della ricorrente al 2° piano, nonché l’esistenza del torrino scala e del parapetto del lastrico solare”.
 
1b- Tanto premesso, la Rizzo dà atto della sopravvenienza dell’ordinanza dirigenziale dell’aprile del 2007, della quale chiede l’annullamento, sostenendone l’illegittimità per una serie di motivi, prospettati a seguire e di cui ci si occuperà in avanti.
 
2- In data 30 maggio 2007 il Comune di Pozzuoli si è costituito in giudizio a sostegno del proprio operato, sostenendone la legittimità nell’assunto che le opere delle quali era stata ingiunta la demolizione erano riconducibili alla categoria della nuova edificazione determinando una significativa e durevole trasformazione del territorio: aumenti di superfici, incrementi di volumi e modifiche di sagoma e di prospetti in un territorio assoggettato a vincolo paesaggistico.
 
Né, assume sempre il Comune, può rilevare la pregressa istanza di accertamento di conformità del 2001, stante la mancata impugnativa del rifiuto formatosi per silentium e stante, comunque, l’impossibilità di autorizzazioni postume, soprattutto in considerazione del fatto che mai avrebbe potuto essere rilasciata in sanatoria la presupposta autorizzazione paesaggistica, non rientrando le opere eseguite nei casi previsti dall’art. 167, commi 4 e 5, del d. l.vo n. 42 del 2004.
 
3- Nella stessa data del 30 maggio 2007 la ricorrente ha versato agli atti del processo copia di una denuncia di inizio attività in sanatoria (recte: accertamento di conformità ex art. 37, comma 4, d.P.R. 380 del 2001) acquisita (o) al protocollo comunale in data 29 maggio 2007, riepilogativa (o) dei fatti e degli atti fin qui descritti e relativa (o) “all’alloggio di sua proprietà”.
 
4- Con decreto presidenziale n. 1474 del 16 maggio 2007 e, di poi, con ordinanza collegiale n. 1640 del 30 maggio 2007, nelle more degli approfondimenti rimessi alla sede del merito, è stato concesso ingresso alla tutela cautelare invocata ex latere attoreo.
 
5- In vista della pubblica udienza del 9 maggio 2012, fissata per detta definizione del merito, in data 24 marzo 2012 la ricorrente ha depositato documentazione fotografica dello stato dei luoghi.
 
6- Alla cennata odierna pubblica udienza del 9 maggio 2012 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione.
 
7- Venendo alla fase valutativa/decisionale, prima di passare al partito esame dei diversi mezzi di impugnazione proposti va precisato che la precedente impugnativa, come innanzi azionata dalla società dante causa dell’odierna ricorrente con il gravame iscritto sub n. 1474/2001, è stata definita con la sentenza della Sezione n. 9912 del giorno 8 agosto 2008 che ne ha dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, essendo stata avanzata, “a seguito dell’emissione dell’ordinanza di demolizione del 23 gennaio 2001, una richiesta di sanatoria: presentata il 13 febbraio 2001 ai sensi dell’art. 13 della . 47 del 1985”.
 
Richiesta cui, a prescindere dalla sopravvenienza o meno per definirla di un provvedimento espresso, ha fatto seguito l’autorizzazione rilasciata in data 19 marzo 2002, sub n. 15 che, essa sola, rileva per dirimere la res controversa qui oggi da definirsi avuto conto che il provvedimento gravato espressamente lega la sanzione demolitoria comminata alla circostanza che le opere contestate (“Il tutto”) sono state eseguite “in difformità all’autorizzazione edilizia n. 15/2002…”.
 
7a- Orbene, l’autorizzazione edilizia n. 15 del 2002 era stata concessa per “lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria all’immobile sito alla via Gabella Portese, n 8, consistenti in: consolidamento delle murature mediante iniezioni di cemento; chiodatura dei cantonati; sostituzione dei solai, piattabande e dei cordoli; lavori di completamento igienico-funzionale. Il tutto in conformità alla relazione ed al progetto prodotto dal tecnico che, allegati alla presente, ne costituiscono parte integrante”.
 
Rinviando al prosieguo quanto più nel dettaglio necessario ai fini di causa, al momento può chiarirsi che dalla relazione si trae che l’autorizzazione afferisce (non alle singole unità abitative, ma) all’edificio che si sviluppa su tre livelli fuori terra, per un totale di sette unità immobiliari, e che la stessa ha ad oggetto i descritti interventi strutturali “atti a migliorare ed assicurare la stabilità dell’edificio, senza alterare le caratteristiche originarie dell’immobile”.
 
8- Tanto premesso, seguendosi per scorrevolezza di trattazione la ricorrente per come ha inteso proporre i singoli mezzi di impugnazione, è infondato il primo di essi, volto a denunciare, in una ad eccesso di potere sotto più profili, violazione dell’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 e della parte III del d. l.vo n. 42 del 2004 nell’assunto che l’applicabilità della sanzione demolitoria è assoggettata, da dette previsioni normative, alla sussistenza di due presupposti: che si sia in presenza di “inizio” di opere senza titolo e che le stesse ricadano in zone assoggettate a vincolo di inedificabilità assoluta e non relativa, come nel caso dato.
 
Ed invero, a differenza di quanto come innanzi sostenuto dalla Rizzo, “alla luce della disciplina vigente e della consolidata giurisprudenza formatasi sul testo normativo antecedente, l’art. 27 del t.u. dell’edilizia (ex art. 7 l. n. 47 del 1985) è applicabile sia che venga accertato l’inizio che l’avvenuta esecuzione di interventi abusivi e non vede la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta” (così, ex multis, da ultimo Tar Campania, questa sesta sezione, sentenza n. 5804 del 14 dicembre 2011; n. 2382 del 28 aprile 2011; n. 1636 del 23 marzo 2011; n. 2814 del 6 maggio 2010; n. 2076 del 21 aprile 2010 e n. 1775 del 7 aprile 2010); e ciò avuto conto, quanto alla disciplina vigente, che la modifica operata al testo della norma ad opera dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 ha in particolare svalutato proprio il presupposto dello “stato iniziale dei lavori”, essendo stata ora espressamente prevista la possibilità di ricorrere alla demolizione ad horas quando (si) accerti “l’inizio o l’esecuzione di opere” (cfr. Tar Campania, sezione terza, 11 marzo 2009, n. 1378, ai cui più ampi contenuti argomentativi può rinviarsi).
 
9- Migliore sorte non può subire il secondo mezzo volto a contestare la violazione della medesima normativa nell’assunto che la sanzione demolitoria è stata comminata senza operare alcuna verifica in ordine alla sussistenza o meno del “danno ambientale”, con quanto a conseguirne anche in ordine ad eventuali diversificazioni della sanzione.
 
Anche qui il Collegio non ha ragioni per discostarsi dal costante orientamento della Sezione, secondo cui l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è “in re ipsa” e non esige ulteriori specificazioni oltre quelle del ricadere l’intervento -realizzato senza titoli- in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, poichè “la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali (cfr. C. Cost. ord.za 12/20 dicembre 2007 nr. 439, nonché C. Cost. 7 novembre 2007 nr. 367 sul valore primario ed assoluto del paesaggio) elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa” (così Tar Campania, questa sesta sezione, sentenza 15 marzo 2010, n. 1464 e, ancora richiamando la prima, n. 2076 del 21 aprile 2010, n. 24015 del 12 novembre 2010, n. 5804 del 14 dicembre 2011 cit.; n. 1636 del 23 marzo 2011; n. 2814 del 6 maggio 2010; n. 2076 del 21 aprile 2010 e n. 1775 del 7 aprile 2010 e sezione terza, 11 marzo 2009, n. 1376).
 
E tanto a tacere che il principio (secondo cui “l’interesse pubblico alla demolizione delle opere realizzate senza titolo è in re ipsa e non abbisogna di alcun altra valutazione sul punto”) è affermato anche in via generale, ossia senza far specifica leva sui valori paesaggistici (così, ex multis, Cons. Stato, sez. quinta, 11 gennaio 2011, n. 79 e 7 settembre 2009, n. 5229; sezione quarta, 31 agosto 2010, n. 3955, 1° ottobre 2007, n. 5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; Tar Campania, questa sesta sezione, sentenze n. 5200 del 9 novembre 2011, n. 2382 del 28 aprile 2011, nn. 2126, 2128, 2129 del 13 aprile 2011, n. 1338 del 8 marzo 2011, n. 160 del 14 gennaio 2011, n. 24017 del 12 novembre 2010, n. 17238 del 26 agosto 2010, n. 16996 del 27 luglio 2010 e n. 2812 del 6 maggio 2010; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 9 febbraio 2011, n. 240).
10- Con il terzo mezzo di impugnazione è denunciata, in una ad inesistenza dei presupposti e difetto di istruttoria, violazione degli artt. 3, 10, 33 e 37 del d.P.R. 380 del 2001, dell’art. 2 della legge regionale della Campania 28 novembre 2001, n. 19, dell’art. 149 del d. l.vo 22 gennaio 2004, n. 42.
 
Ad avviso della ricorrente le opere sanzionate sarebbero in parte ricomprese nell’autorizzazione avuta rilasciata ed in parte di irrilevante entità, tale da non richiedere l’acquisizione né del permesso di costruire, nè dell’autorizzazione paesaggistica. A ciò aggiungendosi che “a tutto concedere, il Comune avrebbe potuto invocare l’applicazione dell’art. 33 del d.P.R. 380 del 2001, inquadrando l’intervento come ristrutturazione edilizia, con conseguente obbligo di verifica della possibilità o meno di ripristinare lo stato dei luoghi senza arrecare pregiudizio alle opere preesistenti…”.
 
10a- Quanto a detti profili sostanziali, la replica del resistente Comune è incentrata sui rilievi:
– che “le opere contestate risultano riconducibili alla categoria della nuova edificazione, determinando una significativa e durevole trasformazione del territorio …”;
 
che “la realizzazione di un soppalco, determinando, come nel caso di specie, un aumento di superficie, è sottoposto al regime del permesso di costruire “ e che “analogamente, anche le ulteriori opere hanno determinato una modifica dei prospetti e della sagoma, oltre che un incremento dei volumi all’esterno della sagoma preesistente”;
– che, stante la descritta natura delle realizzazioni effettuate, abbisognevoli del nulla osta ambientale, alcuna autorizzazione in sanatoria è rilasciabile “non rientrando le stesse fra quelle prevista dall’art. 167, commi 4 e 5, del d. l.vo n. 42 del 2004”.
 
11- Orbene, il mezzo di impugnazione all’esame troverà definizione all’esito di una verifica fattuale, effettuabile direttamente senza far ricorso ad ausiliari, volta a riscontrare quali fra gli interventi contestati fossero da ritenersi ricompresi nell’autorizzazione rilasciata nel 2002 e quali siano invece ad essa estranei.
 
Pacifica la fondatezza delle doglianze attoree rispetto a quelli rientranti nella prima categoria, non altrettanto è a dirsi per i restanti non autorizzati, rispetto ai quali, per come meglio si chiarirà in prosieguo, deve invece convenirsi con i contenuti della replica offerta dall’amministrazione resistente.
 
11a- Secondo quanto sostenuto dalla (stessa) Rizzo, dai grafici di progetto allegati all’autorizzazione si ricaverebbe la ricomprensione in essi:
– del “torrino scala” (ma non anche della scala interna, che si assume solo indicata nell’atto di compravendita del 29 settembre 2003: il che non ne attesta la legittima realizzazione);
 
– dell’altezza dell’appartamento indicata in mt. 5, corrispondente esattamente a quella attuale; altezza, di 5 mt., tale peraltro ab origine come confermato dalla planimetria catastale del 31.1.1940, versata anch’essa in atti;
 
– del “parapetto” (ma non anche del muretto e della ringhiera pure contestati, rispetto ai quali viene evidenziata la modesta entità).
11b- Da quanto è dato trarre dalla documentazione versata in atti siffatte affermazioni si appalesano esatte.
 
Ne consegue, nel rispetto delle regole processuali (cfr. art. 64 c.p.a.), che le stesse vanno messe a fondamento della decisione: beninteso, appalesandosi veritiere e, in una, stante l’assenza di contestazioni specifiche da parte dell’amministrazione che, fatta eccezione per il soppalco, le restanti opere ha accomunato senza operare differenziazioni al loro interno, pur a fronte delle circostanziate precisazioni svolte in ricorso con il supporto della documentazione pure versata in atti.
 
11c- E, come preannunciato, ne consegue la fondatezza delle doglianze attoree per quanto, in riferimento a dette opere, lamentano il difetto di istruttoria adeguata e, quindi, l’inesistenza dei presupposti di fatto.
 
11d- Per l’effetto, per tale parte il mezzo di impugnazione all’esame va accolto e, per la corrispondente parte, il provvedimento impugnato va annullato.
 
12- Sempre come già preannunciato, per la restante parte la prospettazione della ricorrente non può invece trovare ingresso.
12a- Quanto al soppalco ed annessi, rispetto al quale si sostiene la non necessità del permesso di costruire non incidendo lo stesso sulla sagoma e sui prospetti della costruzione, il Collegio non ha ragione di discostarsi dai precedenti della Sezione e, segnatamente, dalle ampie argomentazioni e conclusioni contenute nella sentenza n. 908 del 22 febbraio 2011, cui può per brevità rinviarsi, qui solo ricordandosi che, per prevalente indirizzo del giudice amministrativo e di quello penale, deve invece affermarsi la necessità di premunirsi del permesso di costruire, o di far luogo a DIA alternativa, in presenza di soppalchi di dimensioni non modeste comportanti un incremento di superfici dell’immobile, come nella fattispecie data si trae visivamente dalla stessa documentazione fotografica versata in atti dalla Rizzo, e quindi anche un ulteriore carico urbanistico.
 
Conclusione, questa, cui non può esser opposta la legislazione regionale campana (l’art. 2 della legge regionale della Campania 28 novembre 2001, n. 19, qui pure invocato), come sostenuto da Cass. penale, sez. III, 22 settembre 2006, n. 37705, che, all’esito di una compiuta ricostruzione della normativa statale e regionale, ha fissato il principio di diritto, dalla Sezione già condiviso in seno alla cennata pronuncia n. 908/2011, secondo cui “l’esecuzione di soppalchi nella ristrutturazione interna di un edificio, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso, costituisce opera che richiede il permesso a costruire o, in alternativa, la denuncia d’inizio di attività, poichè comporta modifica delle superfici interne, la quale, a norma dell’art. 10, comma 1, lett. c) T.U. dell’edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001) è necessaria e sufficiente a far sorgere tale obbligo, indipendentemente, quindi, da una contemporanea modifica della sagoma o del volume. Tale disciplina è applicabile pure in presenza della disposizione dell’art. 2 L.R. Campania, che dichiara sufficiente la semplice denuncia d’inizio attività in ipotesi di opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile, risultando la corrispondente disposizione della legislazione statale richiamata (l. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60) abrogata dall’art. 36, comma 2, lett. h) dello stesso T.U.”.
 
12 b- Quanto, poi, all’asserita modesta entità delle restanti opere, come detto prive di titolo (recte: di titoli) abilitativo (i) per stessa ammissione attorea, va ancora richiamato il condiviso orientamento della Sezione secondo cui nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accade, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse atteso che “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione” (cfr. in tali sensi, Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenze n. 1114 del 5 marzo 2012; n. 26787 del 3 dicembre 2010; 16 aprile 2010, n. 1993; 25 febbraio 2010, n. 1155; 9 novembre 2009, n. 7053; Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584), ovvero che, nel caso in cui un’opera consista nella ristrutturazione di un immobile effettuata tramite la realizzazione di “corposi interventi edili, essa non è scomponibile in distinte fasi cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutata nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio” (così la giurisprudenza sopra riportata e così già Tar Puglia, Bari, sezione seconda, 16 luglio 2001, n. 2955).
Ed ancora deve ricordarsi che ove gli interventi ricadano in zona assoggettata a vicolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore (cfr. art. 149 del d.l.vo n. 42 del 2004), gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, titolo autonomo non conseguibile a sanatoria ex combinato disposto fra art. 146 e successivo art. 167, commi 4 e 5 del medesimo decreto, che esclude sanatorie per interventi non qualificabili come manutentivi o che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi (Tar Campania, questa sesta sezione, sentenza n. 1114 del 5 marzo 2012 cit.; n. 26787 del 3 dicembre 2010 cit.; n. 1973 del 14 aprile 2010).
 
E ciò fermo comunque che “in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio” (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sezione quarta, 13 gennaio 2010, n. 41; Tar Campania, questa sesta sezione, sentenze citt.) e (fermo comunque ancora) che “quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 380/2001 è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica” (cfr., sempre la cennata giurisprudenza della Sezione).
 
12c- Normativa e principi questi applicabili alla situazione qui data, in presenza di un unico medesimo programma edificatorio relativo all’unità abitativa della Rizzo, alterante nel suo complesso lo stato dei luoghi e, senza quindi che possano operarsi singole enucleazioni al suo interno, sostanziante, ancora nel suo coacervo, incrementi di superfici e di volumi: ivi comprese le opere murarie, la cui preesistenza “fin dalla costruzione originaria del’immobile” è solo asserita, senza peraltro che, come già ricordato, ne sia nel contempo predicata espressamente anche la legittimità.
 
12d- Alla stregua di quanto fin qui osservato deve escludersi che, per la parte in esame, l’amministrazione abbia fatta illegittima applicazione della legge.
 
Ed invero, la carenza dei due titoli abilitativi necessari per l’esecuzione del coacervo di opere in discorso nel territorio vincolato, rende(va) doverosa l’applicazione della sanzione demolitoria.
 
E ciò anche ove sotto il profilo urbanistico/edilizio la loro realizzazione fosse stata possibile a mezzo di semplice dia, posto che la mancanza di autorizzazione paesaggistica giustifica(va) in pieno, di per sé sola, la misura sanzionatoria, atteso che, come sopra già fatto emergere, il coacervo di interventi contestati non può esser fatto rientrare sotto lo scudo dell’art. 149 del d. l.vo 42 del 2004 che sottrae alla necessità dell’autorizzazione interventi a carattere manutentivo o di restauro “che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”: circostanza questa qui non data.
 
Il che comporta che lo stesso (lo si ripete ancora: coacervo di opere), non rientrando nell’ambito applicativo dell’art. 149 cit., abbisognava sempre e comunque della relativa previa autorizzazione imposta dall’art. 146 stesso decreto, soggiacendo, in carenza, agli “obblighi di ripristino a proprie spese”, di cui all’art. 167 che segue.
 
Obblighi, peraltro, discendenti anche dal Testo unico dell’edilizia il cui art. 27 la medesima sanzione prevede in presenza di esecuzione senza titolo di opere in territorio assoggettato al vincolo, anche ove eseguibili a mezzo di dia (o di scia), posto che, ex combinato disposto fra artt. 22 e 23 T. U. ripetuto, in assenza del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, il titolo abilitativo edilizio non si forma, ovvero l’attività non può essere intrapresa (Tar Campania, sempre questa sesta sezione, ex multis, sentenze n. 1114 del 5 marzo 2012 cit., n. 5805 del 14 dicembre 2011 e n. 16995 del 27 luglio 2010).
 
A ciò aggiungendosi, per dare compiuta risposta ai diversi profili di censura prospettati nel mezzo di impugnazione all’esame, il dettato dell’art. 37, comma 2, d.P.R. 380 del 2001 che la sanzione demolitoria “salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti” (ossia dell’art. 167, commi 1 e 2, d. l.vo n. 42 del 2004, che qui rilevano) consente di irrogare per interventi “di restauro e di risanamento conservativo, di cui alla lettera c) dell’art. 3 eseguiti in assenza di denuncia di inizio attività su immobili comunque vincolati…”.
12e- Né, in connessione, può assumere rilievo la denuncia di mancato accertamento in ordine alla possibilità di eseguire le demolizioni senza pregiudizio dell’esistente da conservarsi.
 
Ferma l’astrattezza della censura, non supportata da alcun elemento atto a dimostrare la sussistenza del pregiudizio di cui l’amministrazione si sarebbe dovuta far carico, in ogni caso, per consolidata giurisprudenza, “la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi” (cfr., ex multis, Tar Campania Napoli, questa sesta sezione, 2 maggio 2012, n. 2006, 8 aprile 2011, n. 2039, 15 luglio 2010 , n. 16807 e 14 aprile 2010, n. 1973; Salerno, sez. II, 13 aprile 2011, n. 702).
 
Peraltro, la denuncia afferisce “in particolare” al “preteso aumento di altezza dell’appartamento di un metro, la cui demolizione non può essere eseguita senza arrecare grave pregiudizio…”: contestazione comunale, questa, ritenuta dal Collegio illegittima nei sensi di cui innanzi.
12f- Non residuando altri profili di censura da vagliare, la sopra esaminata parte del terzo mezzo di impugnazione va respinta.
13- Procedendo, alla luce di quanto fin qui argomentato e concluso non vi è spazio per concedere ingresso al quarto, quinto e sesto mezzo di impugnazione: ovviamente per quanto ad esser riferiti agli interventi non ricompresi nell’autorizzazione del 2002, quali indicati sub precedente punto 11a.
 
13a- Privo di pregio, infatti, si appalesa il quarto mezzo, volto a denunciare difetto di motivazione per mancata specificazione dell’interesse pubblico perseguito con la disposta demolizione.
 
Di esso si è già fatta giustizia innanzi, sub precedente punto 9, ove si è già ricordato che “l’interesse pubblico alla demolizione delle opere realizzate senza titolo è in re ipsa”, qui aggiungendosi che “una volta accertata la violazione, la sanzione va doverosamente applicata, né occorre motivazione specifica sull’interesse pubblico alla demolizione dell’opera, e neppure il previo accertamento della sua conformità o meno alla vigente disciplina urbanistica…” (cfr., la giurisprudenza della Sezione fin qui riportata e cfr. ancora Cons. Stato, sezione quinta, sentenza 7 aprile 2011, n. 2159).
 
13b- Migliore sorte non può essere riservata al quinto mezzo, secondo cui il Comune aveva l’onere di verificare la sanabilità delle opere ex artt. 36 e 37 del d.PR. 380 del 2001.
 
Ed invero, non solo, in punto di diritto, la giurisprudenza fin qui riportata e dal Collegio condivisa (ma cfr. anche, in termini, Cons. Stato, sezione quinta, 6 marzo 2012, n. 1260) esclude decisamente la sussistenza di tale preteso onere a carico dell’amministrazione, ma, vieppiù, in punto di fatto, il provvedimento impugnato si è fatto carico di escludere espressamente tale possibilità: sia pur in via assertiva, ma sufficiente alla bisogna (ove mai avesse avuto ad esistere l’onere) una volta chiarito che le opere incidevano su di un territorio vincolato.
13b1- Né, è il caso qui a questo punto di precisare, può assumere rilevanza alcuna la sopravvenuta presentazione di una (nuova) istanza di accertamento di conformità: quella datata 28 maggio 2007 ed inoltrata ex art. 37, comma 4, del d.P.R. 380 del 2001 al fine di “convertire” la sanzione demolitoria in quella pecuniaria.
 
E’ sufficiente al riguardo rilevare che “manca del tutto la previsione di un effetto ancorché meramente sospensivo dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione collegato alla presentazione della domanda” (cfr. Tar Campania, Napoli, ancora questa sesta sezione, ex multis, n. 21844 del 28 ottobre 2010 e n. 5017 del 17 settembre 2009).
 
13c- Infondato è poi il sesto mezzo, volto a denunciare la mancata comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento.
Ed invero, alcuna violazione delle garanzie partecipative può esser predicato, stante la doverosità di intervenire irrogando la sanzione demolitoria, quale, come innanzi chiarito, prevista dalla legge in presenza di costruzioni eseguite in assenza dei ripetuti titoli abilitativi (cfr., per tutte, Cons. Stato, sezione quinta, sentenza 7 aprile 2011, n. 2159 cit., sezione quarta, 5 marzo 2010, n. 1277 e, ex multis, Tar Campania, questa sesta sezione, sentenze n. 1107 del 5 marzo 2012, n. 5805 del 14 dicembre 2011 e 21 aprile 2010, nn. 2074 e 2076).
14- Tramite il settimo ed ultimo mezzo di impugnazione che residua all’esame è denunciata la violazione dell’art. 41 del d.P.R. 380 del 2001, nell’assunto:
– che dal provvedimento impugnato “risulta che non è stato né redatto il preventivo di spesa per la demolizione in danno da parte dell’ufficio tecnico comunale, né, e soprattutto, che la valutazione tecnico economica dell’intervento è stata approvata dalla Giunta municipale” come prescritto dal testo della norma (che si assume essere) vigente: “In tutti i casi in cui la demolizione deve avvenire a cura del comune, essa è disposta dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale su valutazione tecnico-economica approvata dalla giunta comunale” (art. 41, comma 1);
– di poi, in quanto non “risulta” indicata la ditta prescelta per far luogo alla demolizione in danno, né seguite le “previste procedure di scelta del contraente per l’affidamento dei lavori” (di cui al comma 2 dell’art. 41), né ancora rispettato il comma 3, secondo cui, “in caso di impossibilità di affidamento dei lavori, deve esserne data notizia all’Ufficio Territoriale del Governo” che provvede in sostituzione.
14a- Detta, composita, doglianza va dichiarata inammissibile.
 
Va al riguardo premesso che il provvedimento impugnato, datato 4 aprile 2007, reca nella sua parte dispositiva, quale statuizione principale, diretta ed immediata, l’ordine alla Rizzo “di provvedere, a sua cura e spese, alla demolizione…” dandovi inizio “il giorno 17 maggio 2007” (ovvero assegnando 46 giorni per l’adempimento) e, di poi, l’ulteriore locuzione “….E nel caso che il responsabile dell’abuso non dia inizio alle operazioni di demolizione così come disposto, il Direttore di Sezione provvederà ad horas a mezzo di impresa idonea alla demolizione di ufficio con prosieguo delle operazioni fino al completamento delle operazioni”.
 
La prima notazione a farsi riguarda (un certo grado di) atipicità della parte dispositiva, stante il richiamo nella parte motiva all’art. 27 del d.P.R. 380 del 2001 ai cui sensi, in ragione della localizzazione degli abusi e della connessa necessità di intervenire in via automatica e con immediatezza (cfr., sul punto, Tar Campania, sezione terza, n. 20721 del 1 dicembre 2008), il dirigente “provvede alla demolizione…” senza che sia dalla norma prescritta la previa ingiunzione al privato, tipica dell’art. 31 dello stesso Testo Unico che affida alla parte il termine di novanta giorni per ripristinare lo stato dei luoghi; atipicità, qui non in discussione, visivamente volta a consentire al privato di provvedere in proprio evitando ulteriori pregiudizi, fra cui quelli legati ai possibili maggiori costi dell’esecuzione in danno.
La seconda, alla prima legata, afferisce alla natura della seconda parte che reca, in una, l’avvertenza al privato delle conseguenze dell’inadempimento e l’ordine dal Dirigente del Dipartimento al Direttore di Sezione di provvedere ove mai avesse avuto a verificarsi detta condizione.
14b- Tuttavia, da detto coacervo non si ricava in alcun modo che l’amministrazione abbia prefigurato un percorso -eventuale- non rispettoso delle previsioni di legge; né il contrario può assumersi facendosi leva sulla mancata indicazione dei cennati elementi in seno al provvedimento qui impugnato, non essendo la stessa imposta, in seno ad esso, né da disposizioni di legge, né dalla natura dell’atto: quale innanzi specificata.
A ciò aggiungendosi che alcuna specifica censura viene rivolta avverso “la disposizione sindacale prot. 29004/1993, relativa all’adozione delle demolizioni in danno”, solo inserita nell’epigrafe del gravame, sulla cui scorta evidentemente dovrà -nel caso- procedersi in danno.
 
14b- In definitiva, come in similari condizioni già concluso da questo Tribunale, non vi è qui spazio per ammettere la composita censura: afferente “ad una fase successiva a quella di irrogazione della sanzione (oggetto del provvedimento impugnato), ovvero al momento della ingiunzione al pagamento a seguito di demolizione eseguita dal Comune in assenza di spontanea ottemperanza da parte dell’ingiunto” (Tar Campania, sezione quarta, 27 maggio 2009, n. 2955).
14c- Il che impone di far luogo alla preannunciata dichiarazione di inammissibilità, evitandosi, nel rispetto del canone processuale di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a., ulteriori approfondimenti (ad avviso del Collegio richiesti ove si fosse stati in presenza dell’attualità dell’interesse):
– in ordine agli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale n. 196 del 2004 e della sua esatta portata per quanto attiene alla ivi dichiarata illegittimità costituzionale “del comma 49-ter dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, introdotto dalla legge di conversione n. 326 del 2003”, che aveva modificato l’art. 41 del d.P.R 380 del 2001 concentrando nell’autorità prefettizia la competenza a far effettuare le demolizioni conseguenti ad abusi edilizi;
 
– ad ammettersi la (non pacifica sia per la dottrina che per la giurisprudenza) riviviscenza del testo dell’art. 41 in commento nella sua originaria versione quale riportata in ricorso, in ordine alla quota-parte di interesse e legittimazione sussistente in capo ai privati destinatari della misura ripristinatoria in danno e, in connessione, ai soggetti tutti da ritenersi necessari contraddittori.
 
15- In definitiva, traendo le fila, il ricorso va accolto nella sola parte in cui il provvedimento impugnato ingiunge di far luogo alla demolizione degli interventi già ricompresi nell’autorizzazione del 2002, quali partitamente innanzi indicati sub punto 11a).
Per l’effetto, per tale parte va annullato.
 
15a- Alla luce delle composite conclusioni raggiunte sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nella sola parte in cui il provvedimento impugnato ingiunge alla ricorrente Rizzo di far luogo alla demolizione degli interventi già ricompresi nell’autorizzazione del 2002, quali partitamente innanzi indicati sub punto 11a). Per l’effetto, per tale parte va annullato.
Per tutto il resto, l’impugnativa va respinta.
 
Spese di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
Renzo Conti, Presidente
Arcangelo Monaciliuni, Consigliere, Estensore
Roberta Cicchese, Primo Referendario
 
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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